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IV.3 Il corpo come manifesto parodico

IV.3.1 Il caso Elmahd

Nonostante nella teoria di Femen non venga contemplata la semplice esibizione artistica, si verificò nel 2011 una vicenda che fu per il movimento sia motivo di orgoglio sia indice della difficoltà di avere voce sulla scena politica internazionale.

Nei mesi più caldi della rivoluzione che portò alla caduta di Mubārak, una ragazza egiziana, Aliaa Magda Elmahdi, pubblicò una sua foto, nuda, sul proprio blog, intitolato

A Rebel’s Diary247. Le reazioni nei confronti della ragazza furono prevalentemente di condanna248, ma nei giorni successivi alla pubblicazione, la Elmahdi condivise anche le risposte che ricevette a sostegno del suo gesto, inviatele sia da uomini sia da donne e rappresentanti foto o disegni di nudo. Nel post Nude Art249 [Arte Nuda], la Elmahdi era

ritratta in piedi, con lo sguardo diretto alla fotocamera, nuda, a eccezione di un paio di calze autoreggenti, con ai piedi un paio di ballerine rosse di vernice e un fiore rosso tra i

245 Nel documentario di Kitty Green, Femen. L’Ucraina non è in vendita, Aleksandra Nemčinova disse:

«Le proteste a cui partecipo sono assurde. È quando devono prendere in giro qualcosa che hanno bisogno di una ragazza così “grande” in una protesta di Femen. Non è la solita protesta di Femen».

246 Meghan Murphy, There is a wrong way to do feminism. And Femen is doing it wrong, “Feminist

Current”, 31 ottobre 2012. Ultima consultazione: 22 gennaio 2017. ˂ https://goo.gl/ZLovcz ˃.

247 Il blog è consultabile al seguente link: ˂ http://arebelsdiary.blogspot.it/ ˃. Consultato il 26 agosto 2017. 248 Marwan M. Kraidy, The Revolutionary Body Politic: Preliminary Thoughts on a Neglected Medium in

the Arab Uprisings, in “Middle East Journal of Culture and Communication”, vol. 5, 2012, pp. 66-74.

249 Aliaa Elmahdi, "Nude Art”, A Rebel’s Diary (blogspot), 23 ottobre 2011. Consultato l’11 dicembre

2016. ˂ https://goo.gl/NIFZ9v ˃. Si confronti anche: Mohamed Fadel Fahmy, Egyptian blogger Aliaa

Elmahdy: Why I posed naked, “CNN”, 20 novembre 2011. Ultima consultazione: 11 dicembre 2016. ˂ https://goo.gl/PDcoAg ˃.

89 capelli. La giovane fece esplicito riferimento alla body art250 degli anni Settanta e alle condanne che gli artisti subivano in quel periodo e concluse il suo articolo con un richiamo alla libertà di espressione. L’esposizione del proprio corpo come soggetto di espressione artistica e veicolo di un messaggio di libertà, la avvicinò al mondo delle Femen; trovato asilo politico in Svezia, l’attivista collabora dal 2012 con il gruppo Femen presente nel Paese.

I primi studiosi che si occuparono del caso sottolinearono che il corpo della Elmahdi, reso «malleabile indicatore geopolitico»251, permise di far entrare a Piazza Tahrir le questioni riguardanti il genere e la sessualità, proprio perché inserite in uno spazio virtuale, un blog, consultabile da qualunque parte del mondo.

Nell’introdurre la cultura visiva e i social media nella prassi sessuale e rivoluzionaria, [Elmahdi] mette in discussione i confini di una organizzazione convenzionale. Colloca, inoltre, il corpo fisico all’interno del corpo politico, in qualità di massimo agente creativo e politico, capace di trasformare la disuguaglianza strutturale della società. Posizionando il suo corpo su una tela e ponendosi lei stessa come voce per la libertà di espressione nel web, attraverso la performance, Elmahdi estende i confini della piazza pubblica. Il suo attivismo digitale è particolarmente promettente perché diviene guida di coloro che vivendo in esilio e lontani dal paese natale partecipano alla comunità virtuale252.

Karina Eileraas ritenne che la sfida che la Elmahdi attuò nei confronti delle convenzioni relative all’impegno artistico, sociale e politico ebbe un effetto positivo sul clima di solidarietà e cambiamento sociale scaturito nei mesi della rivoluzione egiziana. Tuttavia, l’affiancamento a Femen avrebbe favorito l’allineamento della giovane egiziana ai valori occidentali, nonché a quella che la studiosa definisce «un’agenda verosimilmente islamofoba e neocoloniale»253, comportando, quindi, la perdita del collegamento con la comunità islamica.

Le successive performance che la Elmahdi mise in scena in collaborazione con le Femen, furono sempre pensate come risposte a questioni riguardanti il mondo islamico, ma la loro incisività rimase vincolata allo spazio virtuale, e le reazioni negative che ne

250 Sull’argomento: Amelia Jones. Body art. Performing the subject. University of Minnesota Press,

Minneapolis, 1998. Lea Vergine. Body art e storie simili. Il corpo come linguaggio. Skira, Milano, 2000.

251 Karina Eileraas, Sex(t)ing Revolution, Feme-ining the Public Square: Aliaa Magda Elmahdy, Nude

Protest, and Transnational Feminist Body Politics, in “Signs”, vol. 40, n. 1, 2014, p. 46. ˂ http://www.jstor.org/stable/10.1086/677073 ˃.

252 Ibidem. 253 Ivi, p. 42.

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derivarono furono anche dovute al mancato riscontro diretto sul territorio islamico254. La foto pubblicata il 23 agosto 2014 sul proprio profilo Facebook, in cui l’attivista egiziana, insieme a una Femen svedese, cospargeva feci e sangue mestruale sulla bandiera dell’autoproclamato Stato Islamico, fu scattata tra le pareti di un edifico in Svezia255. Le Femen, con la partecipazione della leader Inna Shevchenko, avevano già utilizzato i fluidi corporei per denunciare questioni legate al mondo politico, ma sempre lontano dai luoghi direttamente coinvolti nelle vicende. Nel dicembre 2013, cinque attiviste urinarono sulla foto dell’allora presidente ucraino Viktor Janukovyč, davanti all’ambasciata ucraina a Parigi256, e nell’ottobre 2014, due attiviste parteciparono alla blood bucket challenge, a denuncia dello spargimento di sangue durante il conflitto russo-ucraino, in piazza Duomo a Milano257. La teatralità assunta dall’elemento grottesco rafforzò, quindi, il legame di Femen con le avanguardie artistiche dei decenni passati e si inserì nel filone dei tentativi che desiderano sovvertire le norme culturali secondo cui i fluidi corporei che fuoriescono dalla donna sono da considerarsi negativi.