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un caso letterario di superamento dei confini Alex Borio

1. Introduzione

L’evanescenza dei confini empirici è fra gli argomenti privilegiati per un’analisi interdisciplinare. Soprattutto nel periodo storico attuale, durante il quale i processi di globalizzazione hanno reso gli orizzonti fisici e temporali labili e mutevoli, le chiavi di lettura del fenomeno che si propone di indagare il presente volume, i confini in movimento, sono molteplici. In questa sede si intende illustrare una prospettiva letterario-psicoanalitica.

Lo stimolo che induce alla declinazione narrativa del sé e della contingenza è proprio di ogni individuo, e rappresenta uno stru- mento d’indagine per le dinamiche di comunicazione intercul- turale. Attraverso l’esempio specifico rappresentato da Manuel Puig, questo articolo si pone l’obiettivo di analizzare il processo letterario in qualità di connettore di differenti identità.

Lo scrittore da me scelto, si rivela emblematico in virtù di una produzione narrativa che si fonda sul vissuto quotidiano, e che pertanto, in misura ancor più diretta rispetto a narrazioni allegoriche o fantastiche, propone eventi che chiunque potrebbe vivere o, quantomeno, rispetto ai quali si raffronterebbe in modo analogo ai protagonisti delle opere puigiane.

Quindi la comunanza (fondata sulla comprensione) fra scrit- tore e lettore si riscontra su basi concrete e psicologiche. Risul- ta interessante a tal proposito un’affermazione dello stesso Puig, estrapolata dall’intervista Conversazione con Manuel Puig (scritto- re) di Doriano Fasoli per Riflessioni.it – giugno 2008:

Mi ha sempre interessato la psicologia e, nell’ambito psicoanalitico, particolarmente la scuola di Lacan, che ritengo sia molto liberatrice, una scuola ottimista che crede si possa mettere ordine nella testa della gente. A me, ad esempio, è piaciuta molto questa proposta

lacaniana di vedere l’inconscio come un modello di organizzazione paragonabile a un linguaggio. Il fatto che l’inconscio non sia una borsa piena di gatti rabbiosi ma, al contrario, tutto un sistema organizzato. Ciò ti dà la speranza che forse trovi il tasto giusto e ci vedi più chiaro.1

Questa citazione esprime un preciso punto di vista (quasi una dichiarazione d’intento): ovvero l’importanza della ricostruzione del vissuto.

Manuel Puig è scrittore particolarmente rappresentativo del- la letteratura globale (o, per ricorrere al termine utilizzato da Wolgang Goethe nel 1827, mondiale), intesa come narrazione di vicende/ casistiche stereotipiche sperimentabili da personaggi archetipici, raccontate attraverso modalità narrative (per quanto differentemente elaborate) riconducibili a precisi modelli. Come dire: da una matrice originale son nate e continuano a nascere nu- merose versioni di determinati casi esemplari, nei confronti dei quali gli epigoni mantengono un costante grado di referenzialità.

In merito, sono emblematici i personaggi archetipici: si con- sideri per esempio Don Giovanni, i cui tratti distintivi si riscon- trano in numerosissimi seduttori apparsi sul panorama letterario mondiale.

Un ulteriore esempio è fornito dalla diffusa presenza in let- teratura della cosiddetta coppia perversa, ovvero dal legame che sovverte le convenzioni sociali e razziali prima ancora che ses- suali. Si considerino romanzi fra loro distanti cronologicamente come Lancillotto o il cavaliere della carretta (databile fra il 1170 e il 1180) di Chrétien de Troyes, Pamela (1741) di Samuel Ri- chardson, Gli elisir del diavolo (1815) di Ernst Theodor Amadeus Hoffman e L’amante (1992) di Marguerite Duras.

In sostanza l’uomo rielabora la storia, personale e collettiva, e intesse un fitto legame “narrativo” di corrispondenze con se stesso e la collettività. In tal senso appare significativo il principio di comunanza recondita formulato da Jung, che elaborando la teoria dell’inconscio collettivo scrisse:

al mondo effimero della nostra coscienza essi [modelli] comunicano una vita psichica sconosciuta, appartenente a un lontano passato;

1 http://www.riflessioni.it/conversazioni_fasoli/manuel-puig.htm,

comunicano lo spirito dei nostri ignoti antenati, il loro modo di pensare e di sentire, il loro modo di sperimentare la vita e il mondo, gli uomini e gli dei. L’esistenza di questi stati arcaici costituisce presumibilmente la fonte della credenza nella reincarnazione e nella credenza di “vite anteriori”.2

1.2 La letteratura come connettore interculturale

Un vecchio detto afferma che le storie non mutano, cambia solo il modo di raccontarle. Il ripetersi di elementi comuni nell’am- bito delle letterature mondiali (le quali sostanzialmente trattano esperienze e vicende concepite dal punto di vista umano, fondate di conseguenza su una prospettiva antropocentrica) rivela che il principio di creazione letteraria è fondamentalmente sistemico e referenziale. Infatti la letteratura aggrega e configura alcune fun- zioni narrative basilari precostituite, rielaborandole in strutture narrative autonome.

Ritenendo spunti narrativi basilari gli stimoli culturali che qualsiasi contesto trasmette, potremmo intendere le letterature nate nel corso del tempo come vere e proprie articolazioni di un vasto numero di idee fondamentali.

Anzitutto occorre considerare che l’essere umano è condan- nato a esprimersi. E, principalmente, si esprime producendo let- teratura, in un certo senso autobiografica a livello immediato. Infatti l’individuo si costituisce a partire dall’esposizione del sé, traducendo la propria interiorità e comunicandola. L’inconscio determina i comportamenti individuali e induce a esprimerli in un contesto sociale. Ma per poter interagire col contesto l’indi- viduo deve anzitutto relazionarsi con se stesso e raccontarsi. A tal proposito, esaminando la teoria formulata sull’inconscio da Jacques Lacan, Massimo Recalcati scrive:

La parola è ciò che attribuisce un senso storico alla vita. È solo il suo potere simbolico che umanizza la vita. L’esperienza della parola analitica è l’esperienza di una risoggettivazione progressiva, attraverso la parola, del proprio tempo storico. Ma, possiamo chiederci, questa risoggettivazione deve essere pensata come

2 Jung, Carl Gustav, Gli archetipi dell’inconscio collettivo (1934-54),

una sorta di metabolismo psichico? Per Lacan l’inconscio come “capitolo censurato della mia storia” designa l’inconscio non tanto come riserva segreta del senso, ma come ciò che deve essere restituito al senso.3

L’inconscio si configura, citando nuovamente Jacques Lacan, come capitolo censurato del libro della storia del soggetto. Ri- correndo alle parole “capitolo” e “storia”, Lacan propone una visione linguistico letteraria dell’individuo. Il linguaggio è fon- damentale, e il processo che regola l’articolazione linguistica si attiva stabilendo a livello inconscio dinamiche combinatorie che influenzano la produzione consapevole e intenzionale di senso. Tutte le formazioni dell’inconscio hanno struttura di linguaggio, sono pensieri articolati che rispondono a leggi proprie che il sog- getto non comprende in modo immediato, poiché si tratta di un linguaggio in codice, che deve essere tradotto e raccontato.

In sostanza l’inconscio traduce in linguaggio stimoli e impul- si, e impone di concepire una modalità espressiva del linguaggio a livello cosciente. Risulta pertanto fondamentale la funzione della parola inconscia satura di significati che, elaborata analiti- camente, permette di trascrivere l’inconscio e di conferire conti- nuità e coerenza al discorso cosciente.

Come dire: il soggetto reca in se stesso il principio di inte- razione con l’alterità, riscontrabile anzitutto nella distinzione inconscio-conscio, ed è pertanto geneticamente predisposto alla decifrazione dei codici e alla loro riproposizione. E li ripropone esponendoli in linguaggio narrativamente strutturato. Statistica- mente, è comprovata l’esistenza di fenomeni letterari diacronici riconosciuti come originali benché rispecchino in modo fedele modelli esistenti. La corrispondenza strutturale fra opere nate in contesti differenti è spesso evidente, un esempio è rappresentato dai romanzi organizzati in numerosi blocchi narrativi non intro- dotti da raccordi. Si pensi a romanzi quali Pedro Paramo di Juan Rulfo e Vite Nuove di Ingo Schulze (rispettivamente pubblicati nel 1955 e nel 2007), i quali articolano frammentariamente la vicenda narrata. Oppure classici quali Vita e opinioni di Tristarm Shandy, gentiluomo (1760-1767) di Laurence Sterne, che espone 3 http://www.psychiatryonline.it/node/3409, consultato in data

la vita del protagonista attraverso l’accumulo episodico delle si- tuazioni che ha vissuto.

In merito al caso menzionato, il principio uniformante è si- gnificativo dal punto di vista della suddivisione del flusso del testo. Manuel Puig rientra perfettamente in questa categoria, poiché i romanzi da lui scritti sono suddivisi in frazioni narrative che costituiscono veri e propri segmenti autosufficienti.

2. La narrativa di Manuel Puig

Manuel Puig (General Villegas, 28 dicembre 1932–Cuernavaca, 22 luglio 1990) attraverso i suoi romanzi ha rielaborato la real- tà vissuta (propria e altrui), evitando il ricorso all’allegoria o alla declinazione fantastica (tranne nel caso di Pube Angelicale, dove però l’elemento futuristico riflette una proiezione psicologica della protagonista e costituisce un contesto fondato su basi logiche e pragmatiche). Lo scrittore argentino rappresenta un esempio em- blematico della figura dell’apolide: nato nel 1932 a General Vil- legas nella provincia di Buenos Aires, nel 1946 si è trasferito a Buenos Aires dove si è diplomato e in seguito laureato in filosofia, dopo aver abbandonato il corso di laurea in architettura. Ottenne una borsa di studio per seguire i corsi di Cesare Zavattini al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, e in Italia cominciò a lavorare come autore di recensioni e approfondimenti a tema ci- nematografico. Il sogno nel cassetto del giovane Puig era quello di diventare sceneggiatore e scrivere per il cinema e la tv.

L’ambiente smaccatamente commerciale di Cinecittà tuttavia non soddisfece le sue aspettative, e per questo motivo all’inizio degli anni Sessanta ritornò a Buenos Aires, dove scrisse nel 1968 il suo primo romanzo, Il tradimento di Rita Hayworth, che ot- tenne un grande riscontro sia di pubblico che di critica, venendo tradotto in molte lingue e segnalato da una giuria di critici del quotidiano parigino Le Monde fra i cinque romanzi stranieri più meritevoli di encomio apparsi nel biennio 1968-1969. Il suo se- condo romanzo, Una frase, un rigo appena, pubblicato nel 1969, fu altrettanto apprezzato. Nel 1973 Puig abbandonò l’Argentina (per non tornarvi più) a seguito alla censura che, muovendo ac- cuse di pornografia, colpì inflessibilmente il suo romanzo Fattac-

cio a Buenos Aires, scritto nel 1973. Trasferitosi in Messico scrisse e pubblicò, nel 1976, Il bacio della donna ragno (del quale scrisse anche una versione teatrale e che il regista brasiliano Hector Ba- benco omaggiò realizzando nel 1985 un film il cui protagoni- sta, William Hurt, interpretando il personaggio di Molina vinse l’oscar per il miglior attore protagonista). Dal 1978 al 1980 Puig visse a New York, dove ricoprì il ruolo di lettore presso la Colum- bia University e dove realizzò i suoi successivi lavori, ovvero il già citato Pube angelicale e Queste pagine maledette (datati rispettiva- mente 1979 e 1980). Si trasferì poi a Rio de Janeiro, dove scris- se Sangue di amore corrisposto (1982) e Scende la notte tropicale (1988), per poi tornare definitivamente in Messico a Cuernavaca nel 1989, dove morì nel 1990 a seguito delle complicazioni ri- portate nel corso di un’operazione chirurgica alla cistifellea.

Scrisse in tutto otto romanzi, tre opere teatrali (fra le quali, nel 1987, Il mistero del mazzo di rose) e i saggi Agonia di un de- cennio: New York ’78 e Gli occhi di Greta Garbo e (1984 e 1993). Assorbendo gli stimoli culturali e sociali che hanno contraddi- stinto gli ambienti nei quali è vissuto, Manuel Puig ha plasmato i suoi personaggi in maniera corrispondente alla realtà dei luoghi che rappresentano lo scenario delle sue opere (l’Argentina nel caso nel caso delle prime sei, New York relativamente a Queste pagine maledette e il Brasile per quanto riguarda le ultime due). E, fatto significativo, in due occasioni scrisse addirittura la sua opera in una lingua diversa dalla propria: Eternal curse on the reader of these pages in inglese (in italiano: Queste pagine maledette) e Sangre de amor correspondido in brasiliano (in italiano: Sangue di amore corrisposto).

Ecco un dato al quale riservare attenzione: il camaleontismo linguistico dello scrittore argentino ne riflette il preciso intento di affrancarsi da qualsiasi autorità: quella paterna (da bambino lo scrittore soffrì per il rapporto con un padre tirannico, affezio- nandosi alla madre che rappresentò la vera figura di riferimento lungo tutto l’arco della sua vita), quella politica (il regime ditta- toriale imperante in Argentina dalla quale il giovane Puig fuggì, per tornare solo momentaneamente dopo la propria parentesi italiana) e quella espressiva (cioè le modalità espressive rigida- mente canonizzate e artificiose che non riflettono la spontaneità del parlato e, ancor più, del pensare).

gesta fuori dell’ordinario, non occupano mai una posizione (so- ciale ed emotiva) dalla quale consegue e sia possibile l’esercizio di autorità. Spesso anzi la subiscono: si tratta infatti di persone su- bordinate socialmente e psicologicamente, gente comune che si trova a far fronte alle proprie frustrazioni e al disagio ambientale. Oppure individui soddisfatti di una vita semplice senza afferma- zioni particolari.

Le opere di Manuel Puig sono in sostanza focalizzate sul mini- mo comun denominatore di qualsiasi contesto, a prescindere dalle peculiari dinamiche sociopolitiche. Puig racconta l’opposizione fra l’ordine e il rigore dell’individuo e quello del sistema sociale costituito nel quale si trova calato, e mette in scena i moti intimi, istintivi dei protagonisti. L’istintualità umana, considerata nei suoi aspetti più immediati, è un fattore comune a livello universale, e perciò Manuel Puig propone personaggi identificabili col lettore di qualsiasi latitudine. Il legame con la prospettiva letterario-psicoa- nalitica proposta nell’introduzione appare dunque fondato.

Un altro aspetto sul quale occorre soffermarsi è quello rappre- sentato dalla struttura formale dei romanzi puigiani, organizzati in frammenti in modo da riflettere credibilmente la frammen- tarietà che contraddistingue la vita reale. Giuseppe Mallozzi, autore di Manuel Puig. La vita, la letteratura, il cinema, saggio monografico dedicato a Puig, afferma nel corso di in un’intervi- sta realizzata da Alessandro Ticozzi:

Ogni romanzo di Puig è diverso dall’altro, perché l’autore era solito mescolare diverse tecniche di scrittura, inventando una nuova forma narrativa. Per esempio, mescolava frammenti di radio-teatro e temi scolastici, testi burocratici e diari intimi, dialoghi telefonici e monologhi interiori. Già nel suo primo romanzo, Il tradimento di Rita Hayworth, Puig aveva inserito tutto questo materiale, tanto che il suo primo libro può essere considerato da solo come la summa di tutta la sua opera letteraria. Dimostrava di aver compreso bene la lezione di Joyce: molteplicità di tecniche narrative, rottura dell’ordine lineare del tempo, assenza di un narratore unico. In altri romanzi, come per esempio Il bacio della donna ragno, fa un uso massiccio del dialogo, senza nemmeno un tratto di prosa descrittiva.4

4 (http://www.retididedalus.it/Archivi/2011/giugno/INTERVISTE/1_

Ogni vicenda raccontata dallo scrittore è articolata in seg- menti che costituiscono vere e proprie parentesi narrative auto- sufficienti. Estratti da quotidiani, stralci di dialoghi, verbali: un accumulo di veri e propri materiali di repertorio che si susseguo- no conferendo alle storie lo spessore della verità. E, aspetto ancor più interessante, anche sotto il profilo formale la concezione del- le opere denota l’affrancamento (per quanto possibile) da qual- siasi forma di autorità, anche quella dell’autore: Puig si rivolge ai propri lettori assumendo la posizione di mero aggregatore di testimonianze, registrate e assemblate senza che assumano ne- cessariamente fluidità narrativa, non badando alla scorrevolezza dell’insieme. Anzi: la lettura dei suoi romanzi assume spesso un incedere sincopato, ruvido: dialoghi e frammenti che si susse- guono in virtù di uno sviluppo logico-sequenziale non spiegato verbalmente o reso sintatticamente attraverso il ricorso a con- giunzioni e nessi temporali, ma dalla comunicazione costante fra le informazioni che i singoli blocchi narrativi contengono. Ecco tre esempi.

In Fattaccio a Buenos Aires si noti la successione del frammen- to in cui vengono riferite le azioni compiute dal protagonista, Leo Druscovich, fra il 21 e il 22 maggio 1969. Nella sezione conclusiva si legge:

«Prese la strada numero 9, che conduce a Rosario […] Nel cercare di superare un altro veicolo sulla destra, in un tratto che precedeva una curva, perse il controllo della macchina e capottò»5. Segue uno spazio

bianco, che precede l’inserto successivo: «Autopsia medico-legale Luo- go: Baradero Data: 22 maggio 1969 Nome: sconosciuto Immatrico- lazione: Sesso maschile, incidente avvenuto su strada n. 9, guidava automobile, ribaltamento».6

In Una frase, un rigo appena si consideri l’incipit:

«Trafiletto apparso nel numero corrispondente all’aprile 1947 della

rivista mensile “il nostro vicinato”, pubblicata a Coronel Vallejos, pro- vincia di Buenos Aires. compiantodeceSSo. La scomparsa del signor Juan Carlos Etchepare, occorsa il 18 aprile ultimo scorso, alla pre-

5 Manuel Puig, Fattaccio a Buenos Aires, Feltrinelli, Milano 1982, p.

207.

coce età di ventinove anni dopo aver subìto le alterne vicende di una lunga malattia».7

Il blocco che segue riporta una lettera con la quale un perso- naggio si introduce:

«Buenos Aires, 12 maggio 1947 Stimata Signora Leonor, ho ap- preso la triste notizia dalla rivista “il nostro vicinato” e dopo molte esitazioni oso inviarLe le mie condoglianze per la morte di Suo Figlio. Io sono Nélida Fernández in Massa, mi chiamavano Nené, si ricorda di me».8

Ne Il bacio della donna ragno è emblematica la conclusione di un dialogo fra uno dei protagonisti (Molina) e il direttore del carcere nel quale è detenuto: «detenuto Converrebbe che io tornassi in cella con un pacco, e qui le ho preparato la lista, se lei è d’accordo […] direttore Mi faccia vedere...»9. Dopo il con- sueto spazio bianco segue la trascrizione della lista menzionata: «Lista di cose per pacco a Molina, per favore tutto in due borse col manico, come lo porta mia madre».10

La mancanza di congiunzione descrittiva adempie a un dupli- ce compito: quello già anticipato di omettere dai testi una voce autoritaria onnisciente che filtri gli avvenimenti attraverso il pro- prio punto di vista (e in tal senso, la scansione dei fatti risulta rigorosa al punto di rispettarne scrupolosamente la successione cronologica), e di conseguenza il rispetto dell’identità altrui, re- gistrata e proposta oggettivamente e non alterata.

Manuel Puig si propone come un cronista finzionale obiet- tivo in massimo grado: i suoi personaggi nascono dalla realtà, si esprimono utilizzando il lessico caratteristico dei contesti ai quali appartengono e interagiscono nel rispetto della verosimi- glianza. Ogni situazione viene esposta presentandola, nella sua nuda essenza, proponendone le caratteristiche, e componendo un mosaico che risulti complessivamente coerente nell’insieme dei tasselli che lo compongono.

7 Una frase, un rigo appena, Sellerio, Palermo 1996, p. 12. 8 Ibid.

9 Il bacio della donna ragno, Einaudi, Torino 2005, p. 172. 10 Ibid.

Ci troviamo di fronte dunque a un apparente paradosso: por- zioni narrative autosufficienti che non necessiterebbero l’apporto di quelle precedenti e di quelle successive per acquisire senso, che configurano tuttavia romanzi estremamente coesi e compatti. La narrativa di Puig vanta precursori illustri addirittura risalen- ti agli albori del romanzo: si pensi infatti ai romanzi epistolari, che organizzano il narrato in porzioni narrative rappresentate da lettere. Impossibile non citare capisaldi quali Pamela di Samuel Richardson e Le relazioni pericolose di Choderlos de Laclos (ri- spettivamente 1740 e 1782), limitandosi a citare solo due esempi che denotano però contesti culturali e geografici fra loro diffe- renti (anglosassone nel primo caso e francese nel secondo). In- teressante considerare nuovamente come la frammentazione del testo sia una caratteristica riscontrabile in numerosissime opere appartenenti correnti letterarie distinte e differenti contesti sto- rici e culturali. In fondo, sono presenti capitoli e titoli o perlo- meno interruzioni nel flusso del testo sia nei romanzi più coesi sotto il punto di vista della distribuzione del testo che in alcune opere, quali l’Ulisse di Joyce, che alterano la struttura classica del romanzo. Quasi a riflettere la necessità, prettamente umana, di ordinare gli elementi in modo che possano essere fruibili, in modo da rispecchiare criteri di regolamentazione. Allora, con- siderare i romanzi traduzioni di spunti, idee e soprattutto bi- sogni condivisibili psicologicamente risulta possibile e sensato. Si riconsideri nuovamente la definizione junghiana di inconscio collettivo, ovvero di sedimenti di esperienza condivisi/condivi- sibili interculturalmente e quindi comprensibili e rielaborabili da chiunque. L’aspetto comunicativo, e in particolare il rigore essenziale affinché la comunicazione risulti produttiva, è palese nell’ambito della narrativa puigiana. Lo stesso scrittore affermò nell’intervista realizzata da Doriano Fasoli già citata:

per me la letteratura è comunicazione. Sempre quel mio problema che voglio proporre ai lettori è un problema che può essere anche abbastanza collettivo, perché altrimenti non mi interesserebbe il lavoro. Per me la scrittura ha sempre questa doppia esigenza: rispondere a un mio bisogno e a un possibile interesse del lettore.