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Esilio e straniamento nella poetica di Iosif Brodskij

Nadia Caprioglio

Есть города, в которые нет возврата. […] Там толпа говорит, осаждая трамвайный угол, на языке человека, который убыл.1 L’età moderna, come suggerisce l’illuminante saggio di Edward Said «Reflections on exile»2, è spesso considerata un’epoca spiri- tualmente orfana e alienata, dominata dal dislocamento e dallo straniamento, tanto che la cultura moderna occidentale è in larga parte opera di esiliati, emigrati, rifugiati, i quali hanno trasformato una condizione di perdita in uno dei motivi cul- turali più ricchi e significativi del nostro tempo. Il fenomeno dell’esilio è noto fin dall’antichità e, per quanto riguarda lo specifico ambito della cultura russa, gli intellettuali esuli del XIX secolo, quali Aleksandr Herzen e la sua cerchia, avevano una visione interculturale e transnazionale simile agli esilia- ti dell’epoca sovietica, soffrivano, probabilmente, delle stesse frustrazioni e miserie3. Tuttavia, una differenza fra le cosiddet- te «prima» e «seconda» ondata di esuli esiste, e consiste nelle dimensioni del fenomeno, nella rapidità e nell’asprezza degli sconvolgimenti politici e culturali che hanno strappato molte persone alle loro radici, alla loro terra, al loro passato. George Steiner pensa che una buona parte della letteratura del XX se-

1 Iosif Brodskij, «Dekabr’ vo Florencii» in Id., Sočinenija Iosifa Brod-

skogo, Puškinskij Fond, Sankt-Peterburg 1997, vol. III, p. 113. Trad. it.:

«Esistono città a cui non c’è ritorno. (…) / La folla che assedia l’angolo dei tram là parla / nella lingua di chi è partito» (Iosif Brodskij, Poesie italiane, Adelphi, Milano 1996, pp. 27-29. Trad. di Serena Vitale).

2 Edward W. Said, Reflections on Exile and Other Literary and Cultural

Essays, Granta Books, London 2001, p. 173.

3 Vd. Edward H. Carr, The Romantic Exiles: A Nineteenth Century Por-

colo sia «extraterritoriale»4, una letteratura dall’esilio, anche se non sempre sull’esilio, opera di autori un po’ eccentrici, nostal- gici, deliberatamente distaccati dal tempo e dallo spazio:

Sembra una particolarità che coloro i quali creano arte in una civiltà di semi-barbarie, che ha prodotto così tanti senzatetto, che ha strappato lingue e persone alle loro radici, siano essi stessi poeti senza dimora costretti a vagare di linguaggio in linguaggio5.

Il presente saggio è dedicato al poeta russo Iosif Brodskij (1940- 1996), in particolare alle implicazioni metafisiche dell’esilio e allo straniamento che si manifestano nella sua opera quando l’esilio e la poesia entrano in dialogo. Ispiratrici del nostro studio sono le pagine fatte pervenire in absentia da Brodskij alla conferenza sugli esuli tenutasi a Vienna nel dicembre 1987 presso la «Wheat- land Foundation», in seguito pubblicate su «New York Review of Books». È Brodskij stesso a dichiarare nel proprio intervento che «l’esilio è una condizione metafisica […] e chi la ignora o la elude bara con se stesso, si nasconde il senso di ciò che gli è avvenuto, si condanna a rimanere per sempre un oggetto passivo».6

Il caso di Brodskij è singolare poiché egli, senza relazione di dipendenza dal luogo in cui si trovava fisicamente, ha sempre avuto una percezione di se stesso come di un esiliato dal punto di vista esistenziale, si è sempre sentito esule all’interno dell’ordine del mondo, anche prima che iniziassero i suoi problemi con le autorità nella Russia Sovietica, come testimoniano, fin dal 1962, alcuni versi della poesia Stansy Gorodu (Strofe alla città):

4 George Steiner, Extraterritorial. Papers on Literature and the Language

of Revolution, Penguin Books, Harmondsworth 1972, pp. 14-21.

5 «It seems proper that those who create art in a civilization of quasi-

barbarism which has made so many homeless, which has torn up tongues and peoples by the root, should themselves be poets unhoused and wan- derers across language». Ibid., p. 21 (qui e oltre traduzione mia, se non diversamente indicato – N.C.).

6 «Exile is a metaphysical condition (…) and to ignore or to dodge it is

to cheat yourself out of the meaning of what has happened to you, and to doom yourself to remaining forever at the receiving end of things». Joseph Brodsky, “The Condition we call Exile”, «New York Review of Books», 21 Jan. 1988, p. 16. Trad. it.: Iosif Brodskij, Dall’esilio, Adelphi, Milano 1988, p. 20, Trad.: Gilberto Forti: «La condizione che chiamiamo esilio».

Пусть меня, беглеца, осенит Белой ночью твоя

Неподвижная слава земная.7

Quando fu accusato di «parassitismo sociale», nel febbraio- marzo 1964, e sottoposto a un processo che sembrava avere come oggetto la letteratura stessa, piuttosto che l’individuo Brodskij, fu perché, come suggerisce il capo d’accusa, viveva al di fuori (o, forse, al di sopra) della massa: aveva svolto diversi lavori strani e occasionali, dando l’impressione di scarsa serietà e coerenza, e il suo verso non apparteneva all’idioma prevalente. Brodskij, tuttavia, non ci permetterebbe di ascriverlo fra coloro che hanno vissuto un’esperienza di esilio tragica. La sua concezione di esilio non risente del mito letterario russo dello scrittore esiliato, poi- ché nella sua esperienza personale l’esilio non ha rappresentato solo una perdita, ma anche la conquista di ciò che per lui aveva maggior significato, della libertà di essere solo con il tempo, con l’eternità e la sua ricaduta sul discorso poetico.8

La condizione morale dello scrittore contemporaneo che vive lontano dalla propria patria si confronta con le diverse categorie di «esule» (chi è bandito contro la propria volontà), «emigrato» (chi vive altrove avendo scelto di farlo) e «turista» (chi, moderno avatar del viaggiatore romantico del XIX secolo, si reca in un pa- ese straniero per sperimentare la propria «alterità» in condizioni di sicurezza).9 Brodskij è passato attraverso tutte queste categorie: come Aleksandr Puškin e Osip Mandel’štam, conobbe le umi- liazioni e le privazioni dell’esilio interno (1964-1966) in un’area remota, nel paesino nordico di Norinskaja, quattordici baracche nella zona di Archangel’sk; in seguito, quando fu “invitato” dalle autorità a lasciare l’Unione Sovietica, nel giugno del 1972, divenne emigrato e poi turista professionale, finché la prematura morte che lo colse nel 1996 rese definitivo il suo non-ritorno a casa.

7 Iosif Brodskij, Stansy Gorodu, in Id., Sočinenija, op cit., vol. I, p. 168.

Trad. It.: Mi illumini, esule, / Nella notte bianca la tua / Immobile gloria terrena.

8 Vd. David Bethea-Frank Siggy, «Exile and Russian Literature», in

Evgeny Dobrenko-Marina Balina (eds.), Twentieth-Century Russian Litera-

ture, Cambridge University Press, Cambridge 2011, p. 210.

9 Vd. Sanna Turoma, Brodsky Abroad: Empire, Tourism, Nostalgia, Uni-

In Brodskij la figura dell’esule assume i tratti del frammento, è «una parte del discorso»10 che non aspira tanto al ritorno a casa, quanto a rivivere in modo ossessivo la sua fuga da casa.11 Il si- gnificato di «casa», inoltre, è piuttosto vago, come emerge da un frammento del dialogo fra i due protagonisti dell’opera teatrale Mramor (Marmi, 1984):

Туллий. Лучше домой позвони.Публий.

Сам звони! Домой!.. Куда хрен вернешься. С таким же успе- хом в Грецию Древнюю звонить можно. Либо -- В Иудею Библейскую... «Домой»!12

A tale proposito Brodskij osserva che per uno scrittore intra- prendere la via dell’esilio è come un tornare a casa, perché solo lì egli «si avvicina alla sede di quegli ideali che l’hanno ispirato fin dall’inizio».13 È forse possibile provare nostalgia per la terra in cui si è stati vicini alla morte? Per un luogo in cui si ha conosciuto intolleranza e ingiustizia? – ci domandiamo parafrasando Rober- to Bolaño.14 Tuttavia, l’esilio non può essere uno stato di totale soddisfazione e sicurezza; anche se le migrazioni attraverso con- fini e lingue hanno prodotto esempi mirabili di scrittori e intel- lettuali che operano come «figure di connessione» fra le culture,

10 Čast’ reči (Parte del discorso) è il titolo della raccolta che contiene

poesie composte dal 1972 al 1976: Iosif Brodskij, Čast’ reči. Stichotvorenija

1972-1976, Ardis, Ann Arbor (MI) 1977. Il titolo rappresenta

simbolicamente l'inizio della nuova realtà di Brodskij, in cui egli è rimasto solo con il proprio linguaggio: “Di tutto l'uomo vi rimane una parte del discorso” (Ot vsego čeloveka vam ostaetsja čast’ reči).

11 Vd.: Svetlana Boym, The Future of Nostalgia, Basic Books, New York

2001, p. 287.

12 Iosif Brodskij, Mramor, Ardis, Ann Arbor (MI) 1984, p. 38. Trad. it.:

«Tullio. Perché non telefoni a casa? Publio. Telefona tu! A casa! Là … col cazzo che ci torni! Tanto vale telefonare nella Grecia antica o nella Giudea biblica… A casa!» (Iosif Brodskij, Marmi, Adelphi, Milano 1995, p. 65. Trad.: Fausto Malcovati).

13 Iosif Brodskij, Dall’esilio, op. cit. p. 17. Trad.: Gilberto Forti, Gio-

vanni Buttafava. «Gets closer to the seat of the ideals which inspired him all along” Joseph Brodsky, «The Condition We Call Exile», op. cit., p. 16.

14 Roberto Bolaño, “Literature and Exile”, «The Nation», 12 January

2011. Reperibile al sito: http://www.thenation.com/print/article/157695/ literature-and-exile (consultato il 10/01/2014).

secondo la nota formula di Michael Seidel,15 c’è sempre un velo di malinconia e un senso di perdita nei testi letterari e autobio- grafici di questi autori. La loro scrittura risente inevitabilmente della discontinuità dell’essere, di ogni genere di straniamento, sia fisico e geografico, sia spirituale,16 di una duplicità di visione cul- turale che li proietta nella sensazione di vivere simultaneamente in più dimensioni,17 li costringe a confrontare ogni attività svolta nel nuovo ambiente alla memoria delle stesse cose in un altro ambiente.

Brodskij, quando si trovava ancora in Unione Sovietica, era considerato uno degli scrittori più filoccidentali, posseduto da un’irrimediabile «abroad sickness».18 le sue poesie scritte in pa- tria ci mostrano un soggetto inquieto che ha sempre la chiara consapevolezza della possibile esistenza di mondi altri, alternati- vi.19 Il saggio autobiografico Less than one (1976) si apre con un ricordo dell’infanzia che rappresenta il suo primo passo nell’arte dello «straniamento», il tentativo di “disinserirsi”, ignorando le onnipresenti immagini di Lenin sui libri di testo, le pareti della scuola, i francobolli e le monete.20 Il termine «straniamento» non ha qui una connotazione negativa: non è tanto un sintomo di disagio, quanto la possibile cura, per lo meno temporanea, di un disagio. Viktor Šklovskij nel saggio «Iskusstvo kak priëm» (L’ar- te come procedimento 1917) afferma che lo straniamento (ostra- nenie) è un artificio artistico fondamentale che distingue l’arte

15 Vd. Michael Seidel, Exile and the Narrative Imagination, New Ha-

ven, Yale University Press, 1986, p. XII.

16 Vd. Susan Rubin Suleiman (ed.), Exile and Creativity. Signposts, Travel-

ers, Outsiders, Backward Glances, Duke University Press, Durham 1998, p. 2.

17 Si tratta di una duplice consapevolezza che Edward Said, con un

prestito musicale, definisce «di contrappunto». Vd. Edward Said, «The Mind of Winter: Reflection on Life in Exile», Harper’s, Sept. 1984, p. 55.

18 Lev Losev, “Home and Abroad in Works of Brodsky”, in Id., Under

the Eastern Eyes: the West as Reflected in Recent Russian Emigré Writings, Mac

Millan, London 1991, p. 31.

19 Vd., a titolo di esempio, la poesia Proročestvo (Profezia, 1965), in Iosif

Brodskij, Sočinenija, op. cit., vol. II, p. 125. (Trad.: Giovanni Buttafava in Iosif Brodskij, Fermata nel deserto, Mondadori, Milano 1979, pp. 41-43).

20 Id., Less Than One. Selected Essays, Farrar, Straus & Giroux, New

York 1986, pp. 7-8. (Trad.: Gilberto Forti, «Meno di uno», in Iosif Brod- skij., Fuga da Bisanzio, Adelphi, Milano 1987, pp. 14-16).

dalla non-arte.21 O-stranenie significa molto di più che prendere le distanze o rendere strano: sottintende anche i concetti di “di- slocazione” e “spaesamento”, poiché stran- è la radice della parola russa strana, «paese».

Nella nostra società post-ideologica e transnazionale l’esilio è una «condizione metafisica», per tornare alle parole di Brodskij, che tende a orientare l’opera di scrittori e artisti lontani dalla loro terra d’origine verso la categoria della cosiddetta “nostalgia riflessiva”, incentrata sull’algia, il desiderio e il senso di perdita, piuttosto che verso la categoria della “nostalgia restauratrice”, la quale pone l’accento soprattutto sul nostos e cerca di ricostruire, grazie all’arte, la dimora perduta.22 Nel caso di Brodskij, se la Russia rimane l’immutato punto di riferimento della sua scrit- tura, tuttavia nell’orizzonte del poeta si delineano altri luoghi in grado di contenere la memoria della geografia e del paesaggio interiore perduti. Il più importante è Venezia, città in cui Brod- skij fa convergere identità e alterità rispetto alla mai dimenticata Leningrado / Pietroburgo,23 «La più bella città sulla faccia della Terra».24 Come emerge con particolare intensità nella possente poesia Laguna (1973),25 Venezia diventa per Brodskij una patria estetica “straniata” che, in quanto capitale di un impero del pas- sato, contiene molti tratti comuni alla sua città capaci di riconci- liarlo con la sua perdita. In Laguna assistiamo a una sorta di rime- morizzazione che, con André Aciman, attingendo al linguaggio della finanza, potremmo definire anche «arbitraggio»:26 l’utilizzo

21 Viktor Šklovskij, Sborniki po teorii poetičeskogo jazyka, 18-aja Gosu-

darstvennaja Tipografija, Petrograd 1917, pp. 3-14. (Trad. it. di Maria Ol- soufieva, Una teoria della prosa, Garzanti, Milano 1974, pp. 7-34).

22 Vd. Svetlana Boym, op. cit., pp. 49-50. (Capitolo parzialmente tra-

dotto in italiano nella raccolta Filip Modrzejewski-Monika Sznajderman (a cura di), Nostalgia. Saggi sul rimpianto del comunismo, Bruno Monda- dori, Milano 2003, p. 49).

23 Ved. il saggio “A Guide to a Renamed City”, in Joseph Brodsky, Less,

op. cit., pp. 69-93.

24 Iosif Brodskij., Fuga da Bisanzio, op. cit., p. 42. («The most beautiful

city on the face of the earth ». Joseph Brodsky, Less, op. cit., p. 32).

25 Brodskij, Iosif, «Laguna», in Id., Sočinenija, op. cit., vol. III, pp. 44-

47 (Id., Fermata nel deserto, op. cit., pp. 128-136).

26 André Aciman, «Arbitrage», in Id., False Papers. Essays on exile and

di realia e di ricordi acquisiti in un luogo e in un tempo diversi. A Venezia, dove trascorre in solitudine il suo primo Natale lontano dalla Russia, il poeta si perde nello specchio posto all’entrata di una vecchia pensione per rendersi conto che l’emigrazione non offre una via di scampo dalle sue riflessioni distorte: abbandonare un impero significa «approdare» ad un altro.27

Пансион «Аккадемиа» вместе со всей Вселенной плывет к Рождеству под рокот телевизора; […] И восходит в свой номер на борт по трапу постоялец, несущий в кармане граппу, совершенный никто, человек в плаще, потерявший память, отчизну, сына.28

Brodskij ricorre all’immagine dello «specchio» e della «nave», temi frequenti nella letteratura dell’emigrazione del XX secolo, due eterotopie che si aprono in uno spazio «altro», così da inver- tire o neutralizzare l’insieme dei rapporti che esse designano: lo specchio è eterotopico in quanto l’Io lirico si vede dove non è, in uno spazio virtuale, ma connesso a tutto ciò che lo circonda, così come la nave, cui è paragonata la pensione in cui egli dimora, riprendendo la definizione di Michel Foucault, si riduce a «un frammento fluttuante di spazio, un luogo senza luogo»,29 in cui vengono meno tutte le norme vigenti sulla terra.

Il sogno di risvegliarsi fuori dall’«impero» viene ben presto disilluso perché, varcando «lo specchio» che lo attende «alla fine della strada», il «nessuno», l’«uomo in impermeabile», si ritroverà 27 «Impero» è in Brodskij una metafora centrale, proiettata sia nel pas-

sato, sia nel futuro. Ved. Polukhina, Valentina, Joseph Brodsky: a Poet for

Our Time, Cambridge University Press, Cambridge, UK, New York 1989,

pp. 195-209.

28 Iosif Brodskij, «Laguna», op. cit., p. 44. Trad. it.: «La pensione

“Accademia”, con il mondo intero, / nuota verso il Natale / sull’onda di un brusio televisivo; (…) / Sulla scaletta sale un pensionato a bordo / della sua camera, con una grappa in tasca, / uomo in impermeabile, un nessuno, / che ha perduto memoria, patria, figlio». (Id., Fermata nel deserto, op. cit., p. 129).

29 «Un morceau flottant d’espace, un lieu sans lieu ». Michel Foucault,

“Des Espaces autres”, Id., «Architecture, mouvemente, continuité», N. 5, Oct. 1984, p. 49.

in un altro impero. È questo il tema di una delle prime poesie scritte da Brodskij dopo la Russia, Tors (Torso, 1972).

Если вдруг забредаешь в каменную траву, выглядящую в мраморе лучше, чем наяву, иль замечаешь фавна, предавшегося возне с нимфой, и оба в бронзе счастливее, чем во сне, можешь выпустить посох из натруженных рук: ты в Империи, друг. Воздух, пламень, вода, фавны, наяды, львы, взятые из природы или из головы, -- все, что придумал Бог и продолжать устал мозг, превращено в камень или металл. Это -- конец вещей, это -- в конце пути зеркало, чтоб войти. Встань в свободную нишу и, закатив глаза, смотри, как проходят века, исчезая за углом, и как в паху прорастает мох и на плечи ложится пыль -- этот загар эпох. Кто-то отколет руку, и голова с плеча скатится вниз, стуча. И останется торс, безымянная сумма мышц. Через тысячу лет живущая в нише мышь с ломаным когтем, не одолев гранит, выйдя однажды вечером, пискнув, просеменит через дорогу, чтоб не прийти в нору в полночь. Ни поутру.30

30 Iosif Brodskij, Tors, in Id., Sočinenija, op. cit., vol. III, p. 36. Trad.

it.: «Se capiti d’un tratto fra erbe di pietra, / più splendenti nel marmo che nel vero, / o se vedi una ninfa inseguita da un fauno, / felici entrambi più nel bronzo che nel sogno, / posson lasciare il bordone le affrante dita: / sei nell’Impero, amico. // Aria, acqua, fiamma, fauni, leoni, naiadi, / copie dal vero o corpi immaginari, / tutto ciò che ha inventato Dio e che il cervello / s’è stancato di continuare, s’è fatto pietra, metallo. / Questa la fine delle cose, questo alla fine della strada / lo specchio per entrare. // Mettiti in una nicchia vuota e, rovesciando / gli occhi, guarda svanire dietro l’angolo / i secoli, e il muschio ricoprire il ventre / e le spalle la polvere, tinta del tempo. / Qualcuno spezza un braccio, e con un tonfo rotola / la testa giù dal collo. // E resta un torso, anonima somma di muscoli. / Mille anni dopo abiterà qui un topo, ma, / l’unghia rotta sul granito, uscirà una sera, / squittendo,

«L’immortale impero di marmo e bronzo»31 è solo in appa- renza un seducente approdo: tutto si è trasformato in pietra o metallo. L’immagine riporta a Kamen’ (Pietra, 1913) di Osip Mandel’štam, (uno dei poeti più amati da Brodskij32), la raccolta poetica che esplora il mondo terrestre, materiale, contrapposto al vuoto dell’orizzonte o del cielo. Tors comincia rivolgendosi a un interlocutore, ma ben presto la seconda persona, l’Io riflesso del poeta, lascia il posto a un impersonale torso senza testa, «ano- nima somma muscoli»: lo straniamento è qui ottenuto con lo smembramento della figura umana. Alla «fine delle cose» c’è solo uno specchio e neppure il topo, che rappresenta il futuro, «mille anni dopo», riuscirà mai a ritornare a casa.

Il tema del non-ritorno a casa è centrale anche in un’altra poesia dello stesso anno, Odissej Telemaku (Odisseo a Telemaco, 1972), in cui Odisseo, «bloccato su una brutta isola», circondato da sassi e porci, non riesce a trovare la via di casa. È la stilizzazio- ne di una biografia classica evocata a rappresentare la diversità del poeta che si trova a vivere in un impero barbarico:

Мне неизвестно, где я нахожусь, что предо мной. Какой-то грязный остров, кусты, постройки, хрюканье свиней, заросший сад, какая-то царица, трава да камни... Милый Телемак, все острова похожи друг на друга, когда так долго странствуешь, и мозг уже сбивается, считая волны, глаз, засоренный горизонтом, плачет, и водяное мясо застит слух. Не помню я, чем кончилась война, и сколько лет тебе сейчас, не помню.33

zampettando oltre la strada, / per non tornare a mezzanotte in tana. / E neppure al mattino» (Iosif Brodskij, Poesie italiane, Adelphi, Milano 1996, p. 11. Trad.: Giovanni Buttafava).

31 Svetlana Boym, op. cit., p. 298.

32 Ved. il saggio dedicato a Osip Mandel’štam «The Child of Civiliza-

tion» (1977), in Joseph Brodsky, Less, op. cit., pp.123-144.

33 Iosif Brodskij, Odissej Telemaku in Id., Sočinenija, op. cit., vol. III, p.

27. Trad. it.: «Non so dove mi trovo, ho innanzi un’isola / brutta, baracche, arbusti, porci e un parco / trasandato e dei sassi e una regina. / Le isole, se viaggi tanto a lungo, / si somigliano tutte, mio Telemaco: / si svia il

Lo spaesamento è totale: baracche, un parco trascurato, un paesaggio piatto, in cui la memoria non trova punti di riferimen- to. Anche qui il corpo dell’esiliato si smembra in una serie di sineddochi: il cervello «si svia», l’occhio «lacrima» a rappresentare l’uomo che piange le immagini di cose e persone delle quali è stato privato. Come Tors, anche questa poesia trasmette un senso di perdita struggente, sottolineato da una nota di rassegnazione. L’Odisseo di Brodskij è diverso dall’Ulisse della tradizione: sa che non tornerà a casa, è consapevole di aver inseguito il mito del viaggio fine a se stesso per scoprire solo che la realtà è uguale ovunque e non ci sarà per lui la rinascita a una nuova vita. «Le isole, se viaggi tanto a lungo, si somigliano tutte» sta a significare che l’assenza della patria, della città natia, crea una sostanziale uguaglianza tra tutti gli altri luoghi che sono e saranno sempre luoghi di peregrinazione e di estraneità.

La poesia è spesso interpretata come il doloroso congedo dal figlio che Brodskij ha dovuto abbandonare e che non potrà segui- re da vicino. L’unico sentimento positivo che traspare è l’amore paterno: Расти большой, мой Телемак, расти. Лишь боги знают, свидимся ли снова. Ты и сейчас уже не тот младенец, перед которым я сдержал быков. Когда б не Паламед, мы жили вместе. Но может быть и прав он: без меня ты от страстей Эдиповых избавлен, и сны твои, мой Телемак, безгрешны.34

Vent’anni dopo Brodskij scriverà la poesia Itaka (Itaca, 1993), collegata idealmente a Odissej Telemaku:

cervello, contando le onde, / lacrima l’occhio – l’orizzonte è un bruscolo -, / la carne acquatica tura l’udito. / Com’è finita la guerra di Troia / io non so più e non so più la tua età» (Iosif Brodskij, Fermata nel deserto, op. cit., pp. 111-113. Trad.: Giovanni Buttafava).

34 Ibid. Trad. it.: «Cresci Telemaco. Solo gli Dei / sanno se mai ci

rivedremo ancora. / Ma certo non sei più quel pargoletto / davanti al quale io trattenni i buoi. / Vivremmo insieme, senza Palamede. / Ma forse ha fatto bene: senza me / dai tormenti di Edipo tu sei libero, / e sono puri i tuoi sogni, Telemaco» (Ibid.).

Воротиться сюда через двадцать лет, отыскать в песке босиком свой след. […] Твой пацан подрос; он и сам матрос, и глядит на тебя, точно ты -- отброс. И язык, на котором вокруг орут, разбирать, похоже, напрасный труд. То ли остров не тот, то ли впрямь, залив синевой зрачок, стал твой глаз брезглив: от куска земли горизонт волна не забудет, видать, набегая на.35

La poesia esordisce con l’infinito «tornare» ed è nuovamente il soggetto omerico che Brodskij elegge a simbolo, non tanto della propria vicenda personale, quanto del destino tipico dell’uomo moderno, cui è precluso il ritorno in una terra originaria, in un passato vissuto. Come è possibile, infatti, trovare nella sabbia, «dopo vent’anni», la propria labile traccia?

Lo «straniamento» continua nella terza strofa, dove il figlio Tele- maco, ormai adulto e datosi anch’egli alla marineria, guarda il padre