• Non ci sono risultati.

Il caso della memorialistica polacca sui Gulag Krystyna Jaworska

Talvolta la storia letteraria, al pari di altre discipline, sembra pro- cedere in modo non lineare, a scatti, sussulti, con periodi di rela- tivo stallo a cui seguono cambiamenti repentini in più direzioni, in dimensioni che paiono ricordare quelle delineate dalla fisica contemporanea, in cui tempo e spazio si dilatano, restringono, mutano, si ricompongono a seconda di una moltitudine di va- rianti difficili da presagire, che portano infine a rivedere quelli che parevano essere giudizi consolidati, formulati a partire dal- la prospettiva presente, ma che devono necessariamente fare i conti con il clima culturale dominante nel periodo studiato e su come esso abbia inciso sulla formazione del consenso attorno a determinate opere o al contrario frenato la conoscenza di altre. Avremo dunque a che fare talvolta con percorsi in cui gli attori (scrittori, critici, lettori) si sono mossi con regole diverse, a se- conda di dove e quando si trovavano, regole non comparabili, a causa di molteplici fattori di natura extraletteraria che influisco- no ineludibilmente sullo sviluppo della creatività artistica.

Indubbiamente il contesto storico è di fondamentale impor- tanza per capire i meccanismi che governano la circolazione del- le idee, al punto che eventi quali la seconda guerra mondiale e il crollo dell’impero sovietico sono spesso considerati cesure nella periodizzazione storico-letteraria, soprattutto per l’Europa Centro Orientale. Ma se è evidente che tali fattori hanno effetti sull’immediato, solo ora è chiaro quanto essi di fatto incidano sulla fortuna di determinate opere anche a distanza di tempo, quando oramai i motivi che ne ostacolavano la diffusione sono un lontano ricordo. L’implosione dell’impero sovietico, si sa, ha cambiato l’assetto politico internazionale e le sfere d’influenza fissate a Jalta. L’indipendenza riacquisita dai paesi dell’Europa centro-orientale ha portato mutamenti profondi non solo nel-

la sfera politico-economica, ma in tutti gli ambiti. L’abolizione della censura ha permesso una radicale rilettura della storia e del- la letteratura, non più vincolate dai rigidi vincoli dell’ideologia; hanno iniziato a circolare testi prima proibiti per motivi politici, pubblicati prima all’estero, quindi è stata la volta delle testi con- siderati immorali e della letteratura “degenerata” e di evasione, sia tradotta sia prodotta in loco straniera e locale.

Per quasi mezzo secolo al vertice degli argomenti più vietati in assoluto in Polonia si trovavano le critiche all’Unione Sovietica e ovviamente non si dovevano menzionare i crimini perpetrati dal regime. Mentre si potevano, e anzi era ben visto, evidenziare i cri- mini nazisti, sia in forma di studi storici, sia con la pubblicazione di memorie e opere letterarie che ne trattavano; d’altro canto era assolutamente proibito anche solo accennare a ciò di negati- vo avvenne sotto l’occupazione sovietica nel periodo bellico. Per questo motivo parole come Katyn’, luogo di uno dei massacri in cui furono uccisi e gettati in fosse comuni dalla Nkvd migliaia di prigionieri polacchi nel 1940 (episodio oggetto di uno strug- gente film nel 2007 da parte di Andrzej Wajda, figlio di una delle oltre ventimila vittime),1 non dovevano neppure apparire nelle enciclopedie, per lo stesso motivo non si dovevano menzionare l’invasione sovietica, le deportazioni di massa ad essa seguite e i Gulag. Le opere che ne trattavano, pubblicate in Occidente, non solo non potevano essere diffuse, ma spesso erano oggetto di interdizione persino il nome degli autori.

La nascita stessa della memorialistica sui Gulag era soggetta a condizioni avverse. Per prima cosa la vittima doveva sopravvivere, cosa non facile in luoghi in cui la mortalità era elevatissima, doveva essere liberata, e poi essere nella situazione di poter scrivere quanto visto e pubblicarlo, ovvero doveva trovarsi fuori dal blocco sovieti- co. Ciò significava che, anche se pubblicate, tali testimonianze ave- vano generalmente una circolazione molto ridotta e non potevano essere lette nel paese d’origine dell’autore: anche quando avevano rilevante valore letterario, i critici non ne potevano ovviamente 1 Sulle motivazioni del crimine si veda Victor Zaslavsky, Pulizia di

classe: il massacro di Katyn’, Il Mulino, Bologna 2006. Le autorità sovietiche

ammisero la responsabilità dell’eccidio solo nel 1990, mentre il numero delle vittime continua tutt’ora a crescere, con la scoperta di ulteriori fosse comuni.

discutere, la tematica non compariva nei manuali di letteratura e l’autore era condannato all’inesistenza culturale.

Dopo il 1989, finalmente, tali opere possono essere pubblicate liberamente anche nell’ex blocco sovietico, ma intanto sono pas- sati cinquant’anni e, dopo l’iniziale curiosità, l’interesse dei lettori di fatto è calata. I tempi, come anche la vita stessa degli autori, sono mutati, altre sono le priorità. In quanto persone e in quanto scrittori il danno che hanno subito è per lo più irrimediabile; si tratta non solo di riscrivere la storia letteraria, compito tutt’ora in corso, ma di riscriverla con l’amara consapevolezza che si tratta di una operazione riparatoria, che deve tener conto delle diverse condizioni in cui alcuni autori sono stati costretti a operare, privati in gran parte del proprio ambiente, del contatto quotidiano con la lingua, del potenziale pubblico, del confronto con i critici. Tutto ciò deve aver necessariamente inciso anche sulla loro produzio- ne. Opere scritte negli anni Quaranta e Cinquanta raggiungono potenzialmente un più ampio pubblico di lettori decine di anni dopo. È chiaro che l’impatto è diverso e lo scollamento è quindi non solo geografico, ma anche temporale. Tale problematica, og- getto ultimamente di riflessione da parte di alcuni studiosi,2 può essere analizzata da diverse angolature, in questa sede si focalizzerà l’attenzione su alcune delle maggiori opere letterarie polacche ine- renti la deportazione in Urss e i Gulag: saranno considerati testi di Melchior Wańkowicz, Józef Czapski, Herminia Naglerowa, Bea- ta Obertyńska, Gustaw Herling-Grudziński, Aleksander Wat, in quanto la loro diversa fortuna critica può offrire spunti interessanti al fine di queste indagini.

Si deve tener conto che tornare con la mente a episodi così traumatici richiede comunque un notevole sforzo, in genere deve passare del tempo per permettere alle ferite di cicatrizzarsi alme- no in parte, prima di poterne narrare. A questo punto una delle difficoltà che si pongono di fronte ad uno scrittore è la decisione di come affrontare l’argomento, cosa dire, cosa non dire e come dirlo, ovvero la scelta del registro stilistico da seguire nel descri- vere vicende aberranti, restando fedele ai fatti, in quanto anche da questo dipende la possibilità di essere letto.

2 Tra i quali Violetta Wejs-Milewska, Wykluczeni – wychodźtwo, kraj,

Il primo testo di un certo rilievo che narra quanto subito dai deportati fu scritto, non a caso, da un non deportato: Melchior Wańkowicz (1892-1974). Scrittore noto già prima della guerra per i suoi reportage, pubblica nel 1944 negli Stati Uniti (evidentemen- te non era allora stato possibile pubblicarlo in Europa) quanto rife- ritogli da una ragazzina, unica sopravvissuta della propria famiglia, incontrata dopo che fu tratta in salvo dall’Urss e trasportata con migliaia di altri bambini nel 1942 in Iran. Il testo fu ristampato in polacco nel 1945 in Italia e nello stesso anno tradotto in inglese e quindi nel 1947 in francese e italiano,3 ma non ebbe eco di rilievo da parte dei lettori stranieri, presumibilmente anche a causa della scarsa diffusione e della mancanza di recensioni.

Wańkowicz è famoso tra i suoi conterranei soprattutto per quello che è considerata la sua epopea maggiore: i tre volumi dedicati alla battaglia di Montecassino. Dopo la guerra, nel 1947 si stabilì negli Stati Uniti, acquisendone la cittadinanza nel 1956. Nel 1958, ancora nel clima di disgelo seguito alla destalinizzazio- ne, decise di rientrare in Polonia, dove fu accolto e dove vennero ristampate alcune sue opere, seppure in edizioni opportunamen- te censurate, ovviamente non Dzieje rodziny Korzeniowskich (La storia della famiglia Korzeniowski). Nel 1964 corse persino il rischio di finire in carcere per aver firmato, con altri intellettuali, un appello al governo, ma la pena fu revocata, sebbene egli restò sotto il vigile occhio della polizia segreta. Dzieje rodziny Korze- niowskich non ebbe in effetti ristampe neppure nelle case editrici gestite da esuli polacchi in Occidente, forse anche perché la scelta dell’autore di rientrare in Polonia lo aveva discreditato agli occhi di parte degli emigrati, e si registra solo una traduzione in lingua 3 Melchior Wańkowicz, Dzieje rodziny Korzeniowskich, National Com-

mittee of Americans of Polish Descent, New York 1944, Id., op. cit., Oddział Kultury i Prasy 2° Korpusu, s.l. [Italia], 1945; trad. Inglese: Golgotha road, National Committee of Americans of Polish Descent, New York 1945 2a ed.; trad francese: La litanie de la faim ou la famille Korzeniowski, trad. di J. Wegiel-Langlet, Paris 1947, trad. spagnola: Historia de una familia polaca, Argentina 1982; trad. italiana: Storia di una famiglia, Roma [1947]. Per non appesantire le note mi limito qui e per gli altri autori trattati alle prime edizioni e traduzioni, per la bibliografia completa si veda: Ewa Głębicka, in

Współcześni polscy pisarze i badacze literatury. Słownik biobibliograficzny, pod

red. Jadwiga Czachowskiej i Alicja Szalagan, t. 9, Wydawnictwo Szkolne i Pedagogiczne, Warszawa 1999, pp. 32-40; t. 10, Warszawa 2007, p. 817.

spagnola, edita in Argentina nel 1982. A partire dal 1979, con la nascita dell’editoria clandestina in Polonia, il volumetto viene ripubblicato illegamente e fino al 1989 se ne contano ben undici edizioni stampate di nascosto in diverse regioni, tra cui, non a caso, nelle città della costa baltica e della Slesia, dove nel dopo- guerra furono trasferiti i profughi dai territori che in seguito agli accordi di Jalta passarono all’Unione Sovietica: gli stessi territori da cui erano stati deportati nel 1939-1940 centinaia di migliaia di cittadini polacchi nell’ambito di quello che si potrebbe defini- re una “pulizia di classe”, per usare l’espressione coniata da Vik- tor Zaslavsky a proposito delle fosse di Katyn’. Indubbiamente a favorire la ristampa di questo testo era anche la sua piccola mole (l’edizione originale conta appena 64 pagine stampate in sedice- sima, fatto tutt’altro che secondario per le edizioni clandestine. Dopo il 1989 il testo fu pubblicato solo una volta, nel 1991 nel terzo volume delle Dzieła emigracyjne (Opere dell’emigrazione) dello scrittore, su iniziativa di un editore di Varsavia.

Il secondo testo uscito, non senza difficoltà, sempre nel 1944, è Wspomnienia Starobielskie (Ricordi di Starobielsk). L’autore, Jó- zef Czapski (1896-1993), una delle più suggestive e affascinanti figure di intellettuale dell’Europa Centro-orientale per il suo pro- fondo umanesimo e pacifismo, conoscitore della cultura russa, appassionato da scrittori e pensatori quali Lev Tolstoj, Vladimir Solov’ëv, Vasilij Rozanov, Dmitrij Merežkovskij, era tra i pochi ufficiali che evitarono l’eccidio delle fosse di Katyn’, in quan- to fu trasferito da Starobel’sk (l’attuale Starobil’s’k, in Ucraina) in un altro campo. Quando nel 1941, dopo l’attacco tedesco, l’Urss, su pressione alleata, accettò la richiesta polacca di liberare i deportati e di formarne un esercito,4 Czapski fu incaricato dal comando di cercare tracce degli ufficiali suoi commilitoni che mancavano all’appello. I suoi sforzi non diedero risultato, non si sapeva ancora che fossero stati trucidati: solo nell’aprire 1943 i tedeschi scoprirono le fosse di oltre quattromila ufficiali polacchi a Katyn’, non lontano da Smolensk. Czapski decise di comme- morarne allora la memoria ricordandone alcuni in Wspomnienia Starobielskie, in cui descrivere l’atmosfera che regnava nel campo 4 Cfr. Władysław Anders, Bez ostatniego rodzialu, Gryf, London 1949,

tr. it. Un’armata in esilio, Cappelli, Rocca San Casciano 1950, nuova trad. it. Memorie 1939-1946, Baccilega, Imola 2014.

di concentramento. Singolare è la vicenda dell’uscita del librici- no. Czapski era a capo dell’ufficio Cultura e stampa della forma- zione militare polacca sorta in Urss nel 1941, quindi evacuata e riorganizzata in Medio Oriente e nell’inverno 1943-1944 in maggioranza sbarcata in Italia, dove con il nome di 2° Corpo d’armata polacco, inquadrata operativamente nell’8a Armata bri- tannica, prese parte ai combattimenti contro l’esercito tedesco. Inizialmente il testo di Czapski doveva uscire in Medio Oriente, dove si trovava ancora il grosso delle strutture tipografiche mili- tari polacche, ma fu bloccato dalla censura alleata,5 in quanto la verità su Katyn’ era un argomento che irritava i russi. Si riuscì in- fine a pubblicarlo nella collana dell’esercito polacco «Biblioteka Orła Białego» in Italia nel novembre 1944 (anche se il luogo di edizione non è specificato sul volumetto), in quanto vi combat- teva il 2° Corpo d’armata e la carta era più facilmente reperibile. Nel 1945 nella stessa serie uscì la traduzione italiana e francese in una serie creata ad hoc, «Testimonianze», ma senza indicazione dell’editore e del luogo di edizione.

Nel 1949 Czapski, stabilitosi dall’estate del 1944 in Francia, diede alle stampe Na nieludzkiej ziemi (La terra disumana), in cui raccolse le sue memorie del periodo trascorso dalla nascita dell’esercito polacco in Urss sino all’evacuazione in Iran. Il testo fu tradotto nello stesso anno in francese, nel 1951 in inglese, nel 1967 in tedesco, ma tutt’ora non è stato tradotto in italiano.6 A mio parere è il più bello, se è lecito usare tale aggettivo, tra quan-

5 Nella motivazione del censore britannico V. Corerley Prince, Cairo,

14.04.1944 si legge che il divieto è per non «prejudicing the efforts of the Polish Government to secure improved relationship with Russia», è da notare che Stalin dopo la scoperta delle fosse aveva unilateralmente inter- rotto le relazioni diplomatiche con il governo polacco in esilio a Londra, Archivio dell’Instytut Polski i Muzeum gen. Sikorskiego, Polish Institute and Sikorski Museum, Londra, coll. A.XI.9/2, cit. in Krystyna Jaworska,

Contro la congiura del silenzio. Pubblicazioni in italiano del Secondo Cor- po d’armata polacco, ”poloniaeuropae”, n. 2, Ricordare la seconda guerra

mondiale, 2011, p. 8 (http://www.poloniaeuropae.eu/ wp-content/up- loads/Jaworska_contro-la-congiura-silenzio-OK.pdf).

6 Józef Czapski, Na nieludzkiej ziemi, Paris, 1949, trad. fr. La terre in-

humaine, trad di M. A. Bohomole, Paris 1949; trad. ingl. The inhuman land,

trad. G. Hopkins, London 1951; trad. ted. Unmenschliche Erde, trad. W. Gromek, Köln 1967.

ti furono scritti in polacco su quel terribile periodo, per il pro- fondo spirito umanitario che illumina anche nei momenti più cupi, pieno di compassione per la sofferenza delle vittime, ma privo di risentimento verso gli aguzzini. Fu ristampato più vol- te nelle edizioni clandestine in Polonia negli anni 1979-1989.7 Dopo il 1989 se ne conta solo una edizione, che comprende an- che Wspomnienia starobielskie, da parte dell’editore Czytelnik nel 1990. Alcuni anni or sono furono pubblicate le sue “conferenze” tenute in francese nel campo di Grjazovec, dove Czapski fu tra- sportato da Starobel’sk, tradotte in italiano grazie alla benemerita casa editrice L’Ancora del Mediterraneo: La morte indifferente. Proust nel gulag.8 Attualmente l’autore è oggetto comunque di rinnovato interesse tra gli studiosi in Polonia, non solo per le sue memorie del periodo dela seconda guerra mondiale, ma più in generale in quanto saggista e pittore. Resta ancora da indagare maggiormente il ruolo ispiratore che svolse su molti intellettuali non solo polacchi.

Torniamo ora indietro per accennare al terzo testo. Nel 1945 in Italia il Settore Cultura e Stampa del 2° Corpo, oltre alla ri- stampa di Dzieje rodziny Korzeniowskich di Wańkowicz e la ver- sione italiana di Ricordo di Starobielsk di Czapski pubblicò anche Ludzie sponiewierani9 (Gente calpestata) una raccolta di otto rac-

7 Jadwiga Czachowska, Herminia Naglerowa, in Współcześni polscy pisa-

rze..., op. cit., t. 2, Warszawa 1994, pp. 85-90, t. 10, op. cit., pp. 229-230.

8 Le conferenze, tenute nell’inverno 1940-1941 in francese per i com-

pagni di prigionia, furono per la prima volta edite nella traduzione polacca di Teresa Skórzewska in «Kultura», 1948, n. 12, pp. 22-43. Nel 1987 l’e- ditore Noir sur Blanc, Montricher, pubblicò il testo originale con il titolo

Proust contre la déchéance, riproposto nel 2012 dall’editore Libretto di Pa-

rigi; la trad. italiana di M. Zemira Ciccimarra, con prefazione di È. de la Héronnière e postfazione di Gustaw Herling, è del 2005.

9 Herminia Naglerowa, Ludzie sponiewierani, Rzym 1945. Di questa

raccolta quattro racconti sono stati tradotti in italiano: Obłęd i polityka (tr. di E. A. Naldoni, Pazzia e politica, «Iridion», 1945, n. 1, pp. 35-43);

Chleb (tr. a cura di B. A. Il pane, «Domenica», 1945, n. 18); Cęciwa, Kazachstańskie noce (tr. di Francesca Fornari, La corda dell’arco e Le notti in Kazakhstan. Due racconti di Herminia Naglerowa, «Dep. Deportate, esuli,

profughe», n. 12/2010, pp. 116-129. Anche in risorsa elettronica: http:// www.unive.it/media/allegato/dep/n12-2010/Documenti/01_Fornari.pdf, ultima consultazione: 26.06.2011).

conti di Herminia Naglerowa (1890-1957). Scrittrice affermata già prima della guerra, era stata arrestata dai sovietici nel gennaio 1940 e dopo oltre un anno trascorso in diverse carceri fu condan- nata a otto anni di Gulag, da scontare a Burma, in Kazachstan. Liberata nel 1941, si arruolò nell’armata polacca, dove le fu affi- data la direzione della stampa periodica per le ausiliarie, che portò a un ottimo livello letterario. In Ludzie sponiewierani sono narrate vicende emblematiche dell’invasione nazi-sovietica e della depor- tazione in Urss, spesso focalizzandosi su un oggetto che assume valore simbolico, dando nel contempo concretezza quasi materica ai racconti. Salvo che in uno, in cui si descrive la lotta con la fame di un bambino in un kolchoz, le protagoniste sono donne che lottano in condizioni estreme: in carcere, nei campi di concen- tramento, nel luoghi delle deportazioni della popolazione civile. I racconti mostrano i molteplici confini che il recluso è costretto a superare, confini non solo geografici, dovuti alla deportazione, ma soprattutto fisici e mentali; sono tappe di un processo di an- nientamento graduale che incidono sulla sua identità privandolo della libertà e costringendolo a subire vessazioni di ogni genere.

Stabilitasi nel dopoguerra in Gran Bretagna, nei racconti autobiografici sull’arresto e sugli interrogatori subiti in carcere editi su «Wiadomości» a Londra negli anni 1947-48,10 Naglero- wa svolse indirettamente un’analisi che è anche uno smaschera- mento del sistema sovietico e dei suoi meccanismi repressivi. Se in Ludzie sponiewierani la descrizione era incentrata soprattutto sulle compagne di sventura, ora la narratrice compare in prima persona, non senza una notevole dose di amara autoironia, nella lotta per mantenere la dignità umana, nel contrapporsi alla du- plice morte a cui si vuole destinarla: quella interiore, che inizia con l’ingresso nel Gulag, e quella fisica, dovuta alla condizio- ni di deperimento dell’organismo per fame e malattie, in una proiezione di se stessa al confine tra autobiografia e narrativa.11

10 Questi racconti furono poi pubblicati con il titolo Przekraczanie

granicy assieme a Ludzie sponiewierani, nel volume Kazachstańskie noce,

Veritas, London 1958.

11 Cfr. Zdzisława Mokranowska, Proza kobiet (beletrystyka), in Józef Olej-

niczak (pod red.), Literatura emigracyjna 1939-1989, t. 2, Śląsk, Katowice 1996, p. 63; A. Wal, Wokół “tematów sowieckich”. O wspomnieniach Herminii

Anche dopo è come se non riuscisse, o non volesse, distaccarsi da quell’esperienza sconvolgente, al punto che il carcere diventa per lei, come ebbe a notare Tymon Terlecki,12 la metafora della condizione umana in situazioni estreme e sarà il tema centrale di due romanzi: Sprawa Józefa Mosta (Il caso di Józef Most) del 1953 e Wierność życiu (La fedeltà alla vita), edito postumo nel 1967 a cura di Tymon Terlecki. Il critico segnala le peculiarità di quest’opera non terminata, ambientata a Leopoli sotto l’occupa- zione sovietica, in una cella stipata di donne di varia nazionalità, ceto sociale e cultura, ritenendolo l’opus magnum dell’autrice, nel quale ella si libera infine della letterarietà delle opere precedenti13 per arrivare a una scrittura asciutta e al tempo stesso pregnante. Adottò anche una tecnica originale di narrazione, in cui sfumano i confini tra parlato e pensato nei dialoghi e monologhi dei per- sonaggi, e a cui aggiunge come terza voce le proprie osservazioni. La grandezza di Wierność życiu consiste anche nella capacità di affrontare un tema chiave della realtà del secolo breve, quello dell’umanità degradata, di descrivere le reazioni umane in con- dizioni di estrema privazione, e mostrare come l’essere umano, ridotto a mera fisiologia, a mero corpo umiliato, può ancora tro- vare una dimensione spirituale.

L’autrice, nonostante che prima della guerra fosse tra le più quotate scrittrici in Polonia, esule a Londra è coperta dal divieto