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Un malarico nido di papi: la corrispondenza privata di Ivo Andrić (1920-1926)

Valentina Sileo

Il rapporto che Andrić ebbe con l’Italia fu particolarmente pro- fondo: la sua carriera diplomatica lo portò a vivere fuori dai con- fini della sua amata terra. Nei primi anni Venti visse a Roma e a Trieste ed ebbe modo di entrare in contatto con la letteratura italiana e apprezzarla. Le lettere che lo scrittore inviò in patria per dare notizie di sé costituiscono la testimonianza più diretta sul primo Andrić, sugli anni più critici dal punto di vista della sua formazione artistica e spirituale; da esse possiamo ricavare alcune importanti informazioni riguardanti la sua vita privata, il suo modo di intendere le relazioni affettive, le sue considerazioni sul paese in cui si trova a vivere, ma soprattutto il modo in cui il soggiorno italiano influenza la sua formazione e in parte la sua scrittura.

Il confine fisico quindi è vissuto dall’autore come un limite e una possibilità: da un lato Andrić si trova a soggiornare in luoghi che sono dei rifugi obbligati e che alimentano la nostalgia per la patria; d’altro canto però è solo grazie a questo cambio di pro- spettiva che l’autore può osservare la realtà da un nuovo punto di vista e arricchire il suo percorso letterario.

* * *

Appassionato e attento lettore di cronache, diari, documenti sto- rici, assiduo frequentatore di archivi, Ivo Andrić difficilmente si sarebbe liberato di un qualsiasi pezzetto di carta con un valore. Ha conservato circa 4000 lettere1 e un grande numero di queste, sia inviate che ricevute, sono state pubblicate in «Sveske Zadužbine 1 Miroslav Karaulac, Umetnost običnog, in introduzione a Sabrana dela

u 20 knjiga (a cura di Radovan Vučković, Žaneta Đukić Perišić, Biljana

Ive Andrića» (I quaderni della Fondazione Ivo Andrić). Raccolte per la prima volta nel 2000 da Miroslav Karaulac, sono apparse nel volume Pisma: (1912-1973): privatna pošta (Lettere: 1912- 1973. Corrispondenza privata, 2000)2 e solo recentemente, nel 2011, entrano a far parte di Sabrana Dela Ive Andrića (Opere scelte di Ivo Andrić).3

È proprio dal testo del 2011 che sono estratte e analizzate le lettere presentate in questo elaborato, poiché rappresenta l’edi-l’edi- zione più recente e più completa; esso contiene in totale 440 lettere e rimane fedele all’impostazione dell’epistolario del 2000: sia l’introduzione che la postfazione sono le stesse del volume curato da Karaulac.

Il corpus di lettere che si è scelto di analizzare è composto da 117 missive inviate nel periodo che va dal 14 febbraio 1920 al 18 agosto 1926, principalmente da Roma e Trieste.

Questi documenti, pubblicati solo in seguito alla morte dell’au- tore, sono la prova tangibile della sua riservatezza: egli infatti più volte osteggiò la stampa di testi privati. Non permise a Borislav Mihajlović Mihiz di dare alle stampe, nell’introduzione di Prokleta Avlija (Il cortile maledetto, 1956),4 la sua lettera datata settembre 1942 e indirizzata al presidente della Srpska Književna Zadruga, Svetislav Stefanović, nella quale lo informava che, per motivi le- gati alla situazione politica, rifiutava la pubblicazione delle proprie novelle nell’antologia di racconti serbi contemporanei che sarebbe uscita di lì a poco. Com’è noto l’autore non volle prendere parte ai fatti politici e sociali che agitavano l’Europa del secondo conflitto mondiale e tentò sempre di proteggere la sua attività di letterato. Non permise neppure a Fra Rastko Drljić di pubblicare sulla rivista «Dobri pastir» la sua corrispondenza con Tugomir Alaupović.5 Nel- la lettera che inviò in quell’occasione, motivò il suo diniego soste- nendo che i testi non stampati e le lettere personali appartengono alla sfera della vita privata e dichiarò che non avrebbe mai concesso a nessuno di pubblicare qualcosa che non avesse già personalmente 2 Ivo Andrić, Pisma: (1912-1973): privatna pošta (a cura di Miroslav

Karaulac), Matica srpska, Novi Sad 2000.

3 Id., Sabrana dela u 20 knjiga (a cura di Radovan Vučković, Žaneta

Đukić Perišić, Biljana Đorđević Mironja), Štampar Makarije, Beograd 2011.

4 Id., Prokleta avlija, Svijetlost, Sarajevo 1956.

mandato in stampa. Nonostante questo Fra Rastko Drljić pubblicò la sua corrispondenza e Andrić non glielo perdonò mai.6

Inoltre, in due lettere datate rispettivamente 30 dicembre 1912 e 22 gennaio 1913, Andrić scrisse all’amico e compagno Vojmir Durbešić esprimendo esplicitamente la sua volontà di instaurare con lui una corrispondenza intima e confidenziale ed esortandolo a non consegnare in nessun caso, nemmeno dopo la sua morte, questi scritti ai suoi biografi.7

È evidente quindi che venga in qualche modo violato il segre- to epistolare tanto caro al nostro autore e lo conferma la studiosa Jasmina Vučetić ponendo l’accento sul carattere intimo di queste epistole:

Dok čitamo brojna […] Andrićeva privatna pisma postajemo svesni ambivalentnih i po prirodi svojoj raskoračnih osećanja koja se u nama javljaju: ono što nam prija jeste zadovoljstvo čitanja, zadovoljstvo uslovljeno “viškom značenja” kojim su pisma kao književna vrsta u manjoj ili većoj meri obeležena. Ono, međutim, “što devojci sreću kvari” jeste tihi ali stalno prisutan osećaj stida i nelagode što se nadnosimo nad nečije intimne životne trenukte.8 Sono dunque le lettere che lo scrittore invia in patria per dare notizie di sé, a costituire il corpus centrale di questo contributo. 1. Un rifugio obbligato

Era consuetudine, durante il regno dei Karađorđević, chiamare uomini letterati, poeti o scrittori a occupare posizioni di prestigio

6 Miroslav Karaulac, op. cit., p. 617.

7 Ivo Andrić, Sabrana dela u 20 knjiga, ed. cit., vol. 19, pp. 30-33. 8 Jasmina Vučetić, “Nad Andrićevom prepiskom (reka života u pismima

Iva Andrica)”, in Djelo Andrića u novom milenijumu: zbornik radova, Prosvijeta, Herceg Novi 2006, p. 145: «Leggendo le numerose lettere private di Andrić ci accorgiamo di provare emozioni ambivalenti e per loro natura contradditorie: ciò che ci appaga è il piacere della lettura, piacere dato dal “valore aggiunto” della conoscenza che le epistole, in quanto genere letterario, in misura maggiore o minore esprimono. Tuttavia, ciò che “rovina la festa” è la sensazione di vergogna e imbarazzo, silenziosa ma sempre presente, per il fatto di trovarci di fronte a momenti intimi della vita di qualcuno». Se non diversamente indicato, le traduzioni sono mie (V. S.).

nelle rappresentanze diplomatiche; Ivo Andrić non fu l’unico, la stessa sorte toccò anche a Jovan Dučić, Milan Rakić, Stanislav Vi- naver, Rastko Petrović e Miloš Crnjanski.Grazie all’aiuto dell’ami- co Tugomir Alaupović, Andrić è assunto al Ministero degli esteri e inviato a Roma. Nominato viceconsole il 14 febbraio 1920, viene inviato al Regio Consolato Jugoslavo presso il Vaticano:

Ja sam ukazom, konačno, postavljen za Vice konzula u New York ali sam na rad upućen našem poslanstvu kod Vatikana. Za prvo vrijeme to mi je draže, jer nisam, ima nekoliko, najbolje sa zdravljem pa Bog zna kako bih podnio taj toliki put, proti boravka i radu u Rimu nisam mogao ništa da imam. Plata mi je ista. […] U utorak mislim da putujem.9

Come testimonia il telegramma del ministero competente, Ivo Andrić prenderà servizio come nuovo segretario dell’amba- sciata nel mese di marzo 1920.

Gran parte delle lettere prese in esame sono indirizzate alla collega e amica zagrebese Zdenka Marković (1884-1974), polo- nista e collaboratrice di «Književni Jug», rivista dall’orientamen- to panjugoslavo alla quale collaborò assiduamente anche Andrić. Egli la conobbe nell’autunno del 1917, periodo durante il qua- le visse a Zagabria: si frequentarono assiduamente, andarono insieme ai concerti di musica classica, a teatro e condivisero le stesse passioni per i poeti romantici e della «Giovane Polonia»10 come Adam Mickiewicz, Juliusz Słowacki, Zygmunt Krasiński, Stanisław Wyspiański, Jan Kasprowicz.11 Il legame fra di loro fu talmente profondo e solidale che sarà proprio lei a occuparsi di intrattenere i rapporti con gli editori durante la permanen- za all’estero dello scrittore e di partecipare alla correzione delle

9 Ivo Andrić, Sabrana dela u 20 knjiga, ed. cit., vol. 19, p. 227: «Con

il decreto sono stato nominato, finalmente, vice console a New York, ma mi hanno trasferito presso la nostra delegazione in Vaticano. Per i primi tempi preferisco così, perché, già da un po’, non sono in buone condizioni di salute e chissà come avrei fatto a sopportare un viaggio così lungo; non ho niente in contrario a lavorare e vivere a Roma. Lo stipendio è lo stesso. […] Penso di partire martedì».

10 Sulle influenze polacche in Andrić e il suo periodo a Cracovia, in

italiano, vedi Alessandro Ajres, “Ivo Andrić a Cracovia”, in «Impossibilia», n. 2, ottobre 2011, pp. 177-191.

bozze di Nemiri (Inquietudini, 1920) e Put Alije Djerzeleza (Il viaggio di Alija Gjerzelez, 1920) secondo le sue istruzioni. Le due opere furono entrambe pubblicate durante il soggiorno italiano di Andrić, la prima dall’editore zagrebese Stjepan Kugli e la se- conda dall’editore belgradese Svetislav Cvijanović. Inoltre sarà sempre la Marković, insieme all’editore Cvijanović, a sostenere economicamente l’anziana madre di Andrić, rimasta a Višegrad, con i compensi ricavati dai manoscritti.12

I primi giorni del suo soggiorno a Roma, Andrić pernotta temporaneamente in una pensione sita in via Sicilia 166.13 La- mentandosi dei disagi materiali che incontra, soprattutto di na- tura economica, scrive a Zdenka Marković:

Namučio sam se dok sam našao pension jer je ovde gotovo ista nevolja kao i u Zagrebu: sve puno. S tom razlikom da je ovde sve za sto puta skuplje. Pension me stoji do trideset lira dnevno, to znači preko 60 din.14

Oltre alle difficoltà legate al carovita, l’autore non gode di buona salute e farà fatica ad abituarsi al clima di una città che trova polverosa, al cibo, e in generale all’atmosfera della “città eterna” che definisce un «malarico nido di papi».15 Successiva- mente scriverà all’amica polonista: «Ho visto molte delle bellezze sulle quali giace l’orrore dei secoli. Sono dimagrito un po’. È col- pa della città e della sua polvere, ho avuto anche il raffreddore».16 Il giovane diplomatico confermerà, nella missiva del 23 apri- le, la sua insofferenza nei confronti di una città che non ha scelto, e che non riuscirà ad apprezzare fino in fondo per quanto la trovi affascinante dal punto di vista storico e architettonico:

12 Ibid., p. 225.

13 Radovan Popović, Andrićeva prijateljstva, Službeni glasnik, Beograd

2009, p. 49.

14 Ivo Andrić, Sabrana dela u 20 knjiga, ed. cit., vol. 19, p. 227: «Mi sono

dannato per trovare una pensione perché qui si trovano le stesse difficoltà di Zagabria: tutto pieno. Con la differenza che tutto è cento volte più caro. La pensione mi costa trenta lire al giorno, ovvero oltre sessanta dinari».

15 Ibid., p. 256.

16 Ibid., p. 229: «Vidio sam mnogo ovih lepota na kojima leži užas

Meni se je dogodio moj obični proljetni malheur: osjećam se veoma slabo, i Rim je mnogo kriv svojom prašinom i lošom hranom. […] Svim mojim šetnjama i interesantnim lutanjima po muzejima i palatama je kraj, zabranio mi je odlučno, ponajviše sam kod kuće i idem samo do Poslanstva ili u park što je oboje blizu. […] Osim poslanika nemam nikakvog društva što je i dobro i nije, pogotovo kad sam ovako slab. […] Lekar kaže da je za mene ova klima “preslatka” ali da ću se već naviknuti.17

Esprime ancora il suo disappunto con la Marković a proposi- to del torrido clima estivo che si preparava ad affrontare: «Sono altrettanto sul piede di guerra con il clima locale. È iniziato il caldo insopportabile, non si riesce a passeggiare né a dormire».18

Non è soltanto il clima afoso a costituire un problema, anche l’inverno romano pare essere troppo rigido. Infatti, in una lettera datata 12 dicembre 1920, conferma a Zdenka Marković il suo malessere e ribadisce chiaramente l’ostilità di quella città: «Gli ultimi giorni sono stati freddi e piovosi qui da me. Ho sofferto terribilmente in queste stanze senza stufa. Ora è tornato il sole. […] Questa città per me è sempre più misteriosa e mostruosa».19

È importante sottolineare che l’insofferenza che l’autore pro- va nei confronti della capitale, di quella città definita addirittura mostruosa e ripugnante, non è soltanto causata dal clima o dalle difficoltà materiali che si trova ad affrontare, è bensì sintomo di un disagio interiore, che echeggia dai versi di Nemiri. In bilico fra prosa e poesia, i componimenti di questo periodo esprimo- no il travaglio della realtà post-bellica e il ricordo dell’esperienza carceraria.

17 Ibid., p. 231: «Il mio solito malheur primaverile è comparso: mi

sento molto debole, e Roma è decisamente colpevole con la sua polvere e il suo cibo cattivo. […] Niente più passeggiate e interessanti vagabondaggi per musei e palazzi, me l’ha proibito categoricamente [il dottore], per la maggior parte del tempo sto a casa, vado solo in Ambasciata o al parco che è vicino a entrambe. […] Oltre all’ambasciatore non ho nessuna compagnia, il che è al tempo stesso un bene e un male, a maggior ragione quando sono così debole. […] Il dottore dice che per me questo clima è troppo «dolce» ma che mi ci abituerò».

18 Ibid., p. 235: «Jednako sam na ratnoj nozi sa ovdašnjom klimom.

Bile su počele nesnosne vrućine da se nije moglo ni šetati, ni spavati».

19 Ibid., p. 255: «U mene su poslednji dani bili kišni i studeni, strašno

sam se napatio u ovim sobama bez peći. Sad je opet sunce. […] Sve mi je ovaj grad viša tajna i čudovište».

2. «L’uomo non viaggia mai da solo»20

Le escursioni di cui Andrić accenna nelle sue missive di questi anni, non nascondendo il proprio entusiasmo per le bellezze pa- esaggistiche italiane, costituiscono l’unico momento di evasione per l’autore che «non viaggia mai da solo» poiché in ogni luogo che visita, in particolare Roma, Napoli e Firenze, è accompagna- to dal ricordo di Njegoš. Il vladika nella primavera del 1851, insieme al suo seguito montenegrino aveva attraversato questa città e Andrić ne ripercorre le tracce soprattutto attraverso i testi di Nenadoviciana memoria.21 Saranno proprio queste esperienze di viaggio a essere fonte di ispirazione per la scrittura dei saggi su Njegoš, in particolare di Njegoš u Italiji (Njegoš in Italia, 1925), che appare per la prima volta su «Politika» nel 1925:

Nigde čovek ne putuje sam. Ponajmanje je to slučaj na putovanjima po Italiji. U zemlji blagog neba, kao da su blaži i strogi zakoni prostora i vremena: preko granica svih vremena i mimo svih zakona traje jedan neprestan zbor duhova, misao se brže veže za misao, lepota se lakše ovapločuje i otkriva. Sećanja imaju snagu života, a život često boju uspomena.22

Di ritorno da una gita a Tivoli, scrive alla sua confidente:

Rim je sada kao ni u jedno doba godine sumoran i pust. Uvjek sam sam, a ipak veoma malo radim. Ovih dana bio sa našima od ponslanstva, u Tivoli. Preporodi me i okrepi takav dan među

20 Ivo Andrić, Njegoš u Italiji, in Sabrana dela u 20 knjiga, ed. cit., vol.

15, p. 75.

21 Ljubomir Nenadović, Pisma iz Italije, SKZ, Beograd 1907. La

traduzione italiana è di Franjo Trogančić: Ljubomir Nenadović, Lettere

dall’Italia, Centro editoriale internazionale, Roma 1958. Vedi anche Ivo

Andrić, Ljuba Nenadović o Njegošu u Italiji, in Sabrana dela u 20 knjiga, ed. cit., vol. 15, pp. 189-196.

22 Ivo Andrić, Njegoš u Italiji, in Sabrana dela u 20 knjiga, ed. cit.,

vol. 15, p. 75: «L’uomo non viaggia mai da solo. Ancor meno nel caso di viaggi in Italia. Nella terra dal cielo quieto è come se fossero più docili anche le rigide leggi dello spazio e del tempo: attraverso i confini di tutti i tempi e al di là di qualsiasi legge, esiste una perpetua adunanza di spiriti, i pensieri si legano più rapidamente, la bellezza si incarna e si svela più facilmente. La memoria ha la forza della vita e la vita spesso ha il colore dei ricordi».

stablima i vodopadima, i onda lakše snosim ovu močvaru koja se zove vjećni grad.23

Pare che l’escursione a Tivoli abbia influito positivamente sull’umore dello scrittore, il quale in quell’occasione manda una cartolina alla sua amica polonista. Il contatto con la natura lo li- bera dal senso di costrizione provato in città e lo rinvigorisce, fa- cendogli dimenticare seppur per poco la distanza dalla sua terra. Nel 1921 Andrić si trova a Napoli, città che lo colpisce in modo particolare, tanto da sentire come un peso il ritorno a Roma, città che qui definisce addirittura «ripugnante»:

Bio sam svega tri dana u tom čudesnom gradu o kom se je toliko banalnosti napisalo i koji je, pored svega toga, u istini lijep, neopisivo i neizrecivo lijep. To bogastvo oblika i boja i taka snaga rase kakvoj u Rimu nema ni traga. Vidio sam Pompeje i Vezuv i najljepše bronze na svijetu i Museo Nazionale. Vratio sam se grozničav i umoran ali srećan. I sad mi Rim izgleda kao kakav Linz, jos mrži i odvratniji.24

A Napoli l’autore cerca instancabilmente la «casa all’angolo della via» nella quale il vladika abitava e che lo stesso Nenadović visitava due volte al giorno.25 L’attrazione per questa città è im- mediata ed è descritta da uno stato febbricitante ed euforico. Al confronto Roma perde la sua grandezza e si riduce fino a spec- chiarsi in una realtà provinciale come quella di Linz.

23 Id., Sabrana dela u 20 knjiga, ed. cit., vol. 19, p. 245: «Roma è in

questo periodo cupa e deserta come in nessun’altra stagione. Sono sempre solo, tuttavia lavoro molto poco. In questi giorni sono stato con i nostri dell’ambasciata a Tivoli. Mi rigenera e mi ristora passare una giornata in mezzo ad alberi e cascate e quindi sopporto meglio questa palude chiamata Città Eterna».

24 Ibid., p. 262: «Sono stato tre giorni soltanto in questa meravigliosa

città sulla quale sono state scritte troppe banalità e che è, a parte tutto, davvero bella, indescrivibilmente e incredibilmente bella. Di questa ricchezza di forme e colori, di questa potenza a Roma non c’è traccia. Ho visto Pompei, il Vesuvio, i bronzi più belli del mondo e il museo Nazionale. Sono tornato stanco e febbricitante ma felice. E adesso Roma mi sembra una specie di Linz, ancor più ripugnante e disgustosa».

25 Ivo Andrić, Njegoš u Italiji, in Sabrana dela u 20 knjiga, ed. cit., vol.

15, p. 75: «U Neapolju sam odmah prvih dana imao da potražim kuću na uglu ulice».

La stessa Roma lo riporta al pensiero di Njegoš, «Roma, ma- linconica e insalubre»,26 città che secondo Andrić non dev’essere stata d’aiuto per il già malato vladika con il quale l’autore sembra instaurare un rapporto di sincera comprensione e ammirazione.

All’inizio di giugno, l’autore si trova in Toscana, insieme con Miloš Crnjanski visita Frascati e Firenze. A testimoniarlo sono le cartoline che Andrić invia al suo editore belgradese Cvijanović. In particolare quella datata 4 giugno che raffigura Villa Confalonieri, firmata anche a nome di Crnjanski.27 Questa esperienza confluirà qualche anno più tardi in Ljubav u Toskani (Amore in Toscana, 1930), il diario di viaggio pubblicato da Crnjanski nel 1930.28

Il pensiero torna a Njegoš anche durante la permanenza nel capoluogo toscano: «E finalmente a Firenze. Stando di fronte all’hotel Italia, che invero non assomiglia molto a quell’Italia in cui risiedeva Njegoš con il suo seguito, il ricordo torna nuovamente al vladika. Qui è stato il suo lungo ultimo soggiorno in Italia».29

Andrić e Crnjanski si incontreranno più tardi anche a Spalato: come prova la lettera datata 13 agosto 1921, Andrić, di ritorno da Višegrad, si trattiene a Spalato qualche giorno prima di torna- re in Italia via Ancona (dall’8 all’11 agosto), mentre Crnjanski al contrario tornava in patria dopo il suo lungo viaggio in Italia.30 3. Amore e odio

In alcuni momenti, Andrić supera l’ostilità nei confronti della città eterna e si abbandona alla contemplazione della sua storia. Nonostante le difficoltà e gli ostacoli, rimane particolarmente affascinato dalla città e ne percepisce la bellezza ammirando i marmi e le antiche costruzioni romane, eterne e silenti, frutto di stratificazioni di epoche diverse e dello sforzo dell’uomo. Il 4

26 Ibid.

27 Ivo Andrić, Sabrana dela u 20 knjiga, ed. cit., vol. 19, p. 380. 28 Miloš Crnjanski, Ljubav u Toskani, Knjižara Gece Kona, Beograd,

1930.

29 Ivo Andrić, Njegoš u Italiji, ed. cit., vol. 15, p. 78: «I konačno u

Firenci. Stojeći pred hotelom “Italija” koji izvesno ne liči mnogo na onu “Italiju” u kojoj je odseo Njegoš sa pratnjom, i opet se misao vraća na