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Un caso notevole: la critica alla dimostrazione newtoniana della legge delle

Parte II. La critica hegeliana a Newton

3. La confutazione della meccanica newtoniana

3.1. Un caso notevole: la critica alla dimostrazione newtoniana della legge delle

Tra le evidenze che Hegel offre a conferma della propria posizione, la critica della dimostrazione newtoniana della legge delle aree è senza dubbio la più articolata nonché la più celebre, tanto per l’innegabile genialità della dimostrazione di Newton quanto per la complessità (spesso misconosciuta) del controargomento hegeliano191.

La dimostrazione della “legge delle aree” riveste una posizione di particolare importanza all’interno della costruzione matematica dei Principia192. Posto in apertura dello studio matematico dei moti e delle forze che li causano (è la prima proposizione dell’opera193), è a partire dai risultati di questa dimostrazione che Newton, secondo quello che abbiamo visto essere lo stile newtoniano, costruisce i modelli sempre più complessi che all’interno dei primi due libri dei Principia vanno a costituire la sua teoria dei moti centrali194. Ed è basandosi proprio su questi modelli, uniti alle strutture inferenziali definite nelle Regulae philosophandi, che infine, nel libro III, giunge a dimostrare l’effettivo valore fisico tanto della forza di gravitazione universale quanto della legge che la esprime. Pertanto, questa dimostrazione costituisce a tutti gli effetti una delle chiavi di volta (se non la chiave di volta) dell’intero edificio matematico newtoniano. Non solo, come più volte Hegel sottolinea, è proprio sulla base di questa dimostrazione che in lungo e in largo si è magnificato Newton come colui che aveva trovato per primo la dimostrazione delle leggi del movimento scoperte da Keplero195. Lo svolgimento è noto196. Newton inizia considerando il moto che descriva una traiettoria curva per mezzo di raggi condotti da un centro delle forze immobile, come prodotto in un tempo diviso in parti uguali. Nel primo istante un corpo qualsiasi

essenziale del pensiero è quindi costituita da questa spiegazione, e quel simbolizzare è qualcosa di vuoti e di superfluo»

191 Ihmig, ‘Hegel’s Rejection’ : 403.

192 De Gandt “The Geometrical Treatment” : 113.

193 «Propositio I. Theorema I. Areas, quas corpora in gyros acta radiis ad immobile centrum virium ductis

describunt, & in planis immobilibus consistere, & esse temporibus proportionales» K-C : 65.29-31.

194 Per un’analisi dell’utilizzo fatto da Newton del contenuto di questa dimostrazione nella costruzione

della sua teoria delle forze centrali si veda De Gandt “The Geometrical Treatment” e Force and

Geometry: 244-264. 195 Enz § 270 A.

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descriverà, per effetto della propria vis insita (Lex I), il segmento di retta AB e, nell’istante successivo, in assenza di qualsiasi forza esterna, esso continuerà nella sua traiettoria rettilinea (Lex II) descrivendo un altro segmento Bc uguale al primo. Se però poniamo che nel momento in cui il corpo raggiunge il punto B su di esso agisca una forza centripeta con un impulso unico ma grande197 abbastanza da deviare la traiettoria del corpo dalla retta Bc, il secondo estremo C del segmento corrispondente alla traiettoria deviata sarà determinabile grazie alla costruzione del moto composto per mezzo del parallelogramma delle forze (Corol. I alle Leges motus). Come abbiamo visto198, con questa costruzione Newton si proponeva di studiare forze e moti fisici per mezzo della loro rappresentazione geometrica. Infatti, così costruita, la nuova traiettoria è determinata come una certa figura geometrica (il segmento BC che, unito al centro S, diviene il triangolo SBC) per la quale, facendo valere le proprietà elementari delle figure piane, si può dimostrare che essa ha area uguale al triangolo SBc costruito a partire dall’unione degli estremi della traiettoria inerziale del corpo al centro S, e che giace sullo stesso piano sia del primo triangolo SAB che di SBc; ovvero che su di un piano immobile, aree uguali vengono descritte in tempi uguali e che la somma delle singole aree è proporzionale al tempo in cui esse sono state descritte. Ripetuto il procedimento per tanti segmenti quanti ne vengono determinati dai successivi impulsi della forza centripeta per ogni parte uguale di tempo, si potrà dunque costruire una poligonale (ABCDEF) e, aumentando il numero dei triangoli costruiti sui segmenti deviati e diminuendone la larghezza all’infinito, si troverà per il corollario IV del Lemma III199 che il perimetro ultimo della poligonale è una linea curva e perciò che la forza centripeta per la quale un corpo è sempre ritratto dalla tangente di questa curva, agisce ininterrottamente e che le aree descritte sono sempre proporzionali ai tempi in cui sono descritti.

197 Il testo originale riporta «Verum ubi corpus venit ad B, agat vis centripeta impulsu unico sed magno»

K-C : 89.3-7. La grandezza di questo impulso, che qui non riceve nessun’altra determinazione, dovrà intendersi come sufficientemente grande da vincere la resistenza opposta dalla vis insita del corpo, come espresso dalla Definitio V (K-C : 40.1-41.18).

198 Vedi supra cap. 1.2.1.

199 «Et propterea hae figurae ultimae […] non sunt rectilineae, sed rectilinearum limites curvilinei» K-C :

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Ora, agli occhi di Hegel, questa pietra angolare dell’edificio dei Principia è destituita nella maggior parte dei casi di un significato fisico200, e né l’arguzia matematica che vi è all’opera né il fatto che proprio grazie alla teoria che da questa dimostrazione prende il via Newton sia riuscito a dedurre la realtà della forza di gravitazione universale, sembrano poter incidere su questo giudizio. Certo, in anni più recenti, uno studio approfondito dell’opera newtoniana ha sottoposto questa dimostrazione a un’analisi e a un giudizio critici che ne hanno evidenziato gli effettivi limiti e i presupposti impliciti su cui essa si basa201; limiti e presupposti a partire dai quali si è intrapreso un onesto tentativo di riscattare la critica hegeliana202. Ma, come il “patriottismo offeso” non si è rivelato sufficiente a giustificare l’intento della critica hegeliana, così ora si dovrà mostrare che, in accordo a quell’intento, neppure l’esattezza o l’inesattezza matematica della dimostrazione di Newton sono il vero obiettivo della critica hegeliana.

Scrive Hegel:

«Tra i procedimenti che hanno un notevole ruolo nelle dimostrazioni matematiche, ritengo che si debba registrare la così celebre decomposizione delle forze, destituita nella maggior parte dei casi di un significato fisico: infatti, se la direzione meccanica del movimento può veramente nascere da opposte direzioni di più forze, non ne risulta che la direzione della forza viva derivi da forze opposte, ma quel rapporto meccanico secondo il quale il corpo sarebbe spinto da forze estranee è da ritenere completamente estraneo alla forza viva […] Poiché quasi tutta la scienza meccanica e astronomica si fonda su questa decomposizione e quindi sulla costruzione del parallelogramma delle forze, la stessa grandezza della scienza in sé perfetta e in accordo con i fenomeni naturali sembra che conforti questa ipotesi […] <ma> la decomposizione di un fenomeno semplice rappresentato da una linea retta o da una linea curva in altre linee è un postulato matematico che si raccomanda abbondantemente in matematica perché riesce comodo in molti casi, il cui principio però rientra in un’altra scienza. Né d’altra parte un principio si deve giudicare dall’uso che se ne fa e dalle conseguenze che comporta; né da ultimo si deve attribuire un significato fisico alle linee in

200 «In iis, quae ad mathematicas demonstrationes multum faciant, sensu physico plerumque destitutam

referendam esse censeo celebrem illam virium resolutionem» DOP : 239.21-22 [10].

201 Whiteside, The Mathematical Papers, vol. 6, nota 19 : 35-37

202 Penso al lavoro di M. Nasti de Vincentis il quale con grande esattezza e puntualità ha mostrato come

Hegel avesse potuto probabilmente fondare la sua critica su una eccezionale consapevolezza del valore delle strutture matematiche sulle quali si impernia la trattazione dei Principia. Ciononostante, per quanto onore questi rilievi, quando ben centrati, possano portare a Hegel e alla sua effettiva conoscenza e comprensione delle scienze a lui coeve, trovo che, a mio modesto parere, distraggano l’attenzione dal significato prettamente filosofico della critica di Hegel.

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cui in virtù di quel postulato si decompone la direzione di una forza rappresentata da una linea, per il fatto che si tratta di un procedimento comodo in matematica»203

L’orizzonte e il terreno stesso del problema sono esposti molto chiaramente. Qui, per Hegel, non sono in questione la correttezza della matematica newtoniana né tantomeno quella di aver articolato le operazioni matematiche nella sintassi del metodo sintetico. Anzi: considerata su di un piano prettamente matematico, la dimostrazione newtoniana è indubbiamente un’acquisizione di assoluto valore per tutte le discipline scientifiche204. Grazie ad essa si è arrivati ad ottenere uno strumento semplice ed efficace che, riducendo contesti complessi come nel caso dei moti composti, li rende accessibili a uno studio approfondito e apre alle capacità della scienza nuovi oggetti e nuovi campi di studio. Ciò che invece è il centro del problema è, di nuovo, il valore fisico di questo teorema e, di conseguenza, la verità o meno dell’affermazione secondo la quale esso dimostrerebbe la legge fisica formulata da Keplero.

Ora, come abbiamo visto, per Newton la figura geometrica che costituisce il terreno della dimostrazione matematica è, sì, la rappresentazione grafica, figurativa di un moto fisico ma allo stesso tempo non è soltanto questo. Tra ragione e realtà, tra geometria e natura, Newton avverte un’ambigua affinità che lungi dall’inasprire l’estraneità apparente tra le due sembra invece far trasparire un fondamento comune. E questa struttura che sembra sottendere le due sfere del mondo naturale e della scienza fisica e che le rende analoghe l’una all’altra è la meccanica la quale così assurge, come abbiamo visto205, al rango di tecnica poietica per eccellenza, i cui risultati, siano essi i moti planetari o il moto di un punto che descrive una curva piana, sgorgano dalla medesima fonte e si differenziano pertanto nella loro perfezione o meglio, nel grado della loro realtà, soltanto in funzione della perfezione del loro artefice.

Per Hegel questa promiscuità tra i due piani pone però due problemi ineludibili e di fatto insolubili rispetto all’affermazione che la meccanica newtoniana riuscirebbe in una effettiva deduzione matematica delle leggi planetarie di Keplero.

203 DOP : 239.21-26, 30-33; 240.3-8 [11-13].

204 Cfr. DOP : 246.18-20 [37] «bisogna ritenere che la scienza astronomica, per ciò che prende in prestito

dalla matematica deve moltissimo a Newton» e ENZ § 270 Z : «è certo merito di Newton aver dato una formulazione che ha molto di vantaggioso per la trattazione matematica».

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Il primo di questi problemi si radica nella natura stessa della dimostrazione matematica della legge delle aree. Per come viene formulata, questa dimostrazione vale soltanto per orbite circolari, ed è soltanto in virtù dello stile di approssimazione per modelli sempre più complessi che Newton procederà a dimostrare la validità matematica del suo risultato per orbite prima generalmente coniche e poi ellittiche e, a partire da questi, per sistemi a più corpi e infine per l’intero sistema del mondo. Nota però Hegel, questo gioco che viene a crearsi tra i termini delle dimostrazioni (e cioè che il medesimo rapporto possa valere per una molteplicità di oggetti che solo il modo della trattazione dimostra equivalenti) è proprio ciò che la deduzione cogente e necessaria della dimostrazione deve eliminare. In quanto dimostrazione essa dovrebbe mostrare il necessario legame tra i termini del teorema: posti gli elementi essa dovrebbe mostrare come tra di essi si costituisca un rapporto necessario che non può valere che fra di essi. Ma questo è esattamente ciò che la teoria newtoniana non può fare. Riducendo i termini fisici della questione a sole quantità essa determina il loro rapporto come un rapporto numerico e dunque valido per ogni termine la cui espressione numerica riesca a provare quel rapporto. Nella misura in cui il teorema newtoniano, partendo dalla forza attrattiva di un corpo centrale e dalla forza centrifuga del corpo orbitante, esprime la proporzionalità tanto delle aree quanto degli archi descritti dal corpo, esso vale propriamente soltanto nel caso di orbite circolari. Ma allora come è possibile affermare che esso dimostra una legge della natura nella quale l’orbita tracciata realmente dai pianeti non è mai un cerchio né una semplice conica ma esattamente una ellisse?206. Solamente affermando che l’ellisse sulla quale si muovono i pianeti fisici non sia in

primis una realtà fenomenica bensì una realtà matematica ovvero un mero rapporto tra

le quantità di grandezze geometriche e, di conseguenza, che la verità della natura sia determinabile in primis in maniera soltanto matematica e solo in un secondo tempo si possa andare a valutare se il fenomeno corrisponde o meno alla legge che si è costruita. Ma in questo modo non si è prodotta alcuna dimostrazione di una legge fisica207 né un discorso speculativo sulla natura, bensì soltanto un discorso matematico che partendo dal fenomeno naturale lo riduce a rapporti quantitativi e, in base alla coerenza dei propri risultati matematici, ritiene di aver scoperto una legge della natura.

206 DOP : 251.31-38 [59].

207 Si veda ENZ § 270 Z «il termine leggi indica una connessione di due determinazioni semplici, in modo

che soltanto la loro relazione semplice reciproca costituisca l’intero rapporto, mentre entrambe devono avere l’apparenza della libertà reciproca».

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L’estrema problematicità di questo approccio emerge poi, nella sua forma più evidente, con il secondo problema: quello relativo alla forza centrifuga. La ricezione della critica hegeliana ha sempre rimproverato a Hegel di non aver compreso il testo di Newton e di aver affermato una terribile sciocchezza pensando di poter criticare la fisica meccanica considerando la forza centrifuga come una forza reale208. In realtà Hegel non è così sbadato come è sembrato. Se infatti andiamo a prendere in considerazione la validità della pretesa newtoniana del valore fisico di una rappresentazione geometrica, avremo di nuovo da una parte la pretesa di una considerazione speculativa della natura, di un discorso che si articoli in una filosofia della natura; dall’altra, la pretesa che una parte di questo discorso valga solamente in modo formale, come discorso puramente matematico per il quale concetti matematici e fisici possono essere usati in maniera promiscua e, tuttavia, senza la reale possibilità che possano riferirsi a una realtà concretamente esistente. Ora, delle due l’una: o la decomposizione dei moti composti nei raggi vettori che rappresentano le forze che agiscono contemporaneamente sul medesimo corpo è un procedimento fisico – e allora quelle rappresentazioni grafiche, quelle linee, quei raggi vettori rappresentano forze che esistono realmente in natura. Oppure quegli enti geometrici sono soltanto un supporto, uno strumento che permette di studiare la realtà fisica dei moti e delle forze ma che non ha il suo corrispettivo fisico in una forza o in un moto reali. Ma nessuna di queste due possibilità può essere abbracciata dalla meccanica newtoniana. Per la seconda, il motivo è presto detto: nella misura in cui il mezzo matematico sia l’unico strumento capace di garantirci l’esattezza dei nostri giudizi esso deve necessariamente riuscire a evidenziare nella molteplicità del fenomeno fisico delle strutture essenziali che non possono essere ridotte o considerate altrimenti e sulle quali, poi, si basa il processo di deduzione dei fenomeni rimasti esterni alla trattazione matematica. Per quanto riguarda la prima possibilità la questione si fa più complessa. Infatti non c’è dubbio che per Newton la rappresentazione geometrica sia analoga alla realtà fisica e che proprio questa analogia, che riposa sulla comune dinamica poietica che le ha prodotte, garantisca la possibilità di far transitare un medesimo contenuto dalla forma matematica alla dimensione fisica. Ma non è meno

208 Da questo punto di vista non c’è testo che non riporti la critica hegeliana della forza centrifuga agli

errori che la ricezione settecentesca avrebbe fatto nel mancare di comprendere come la forza centrifuga non sia altro che l’espressione, in altri termini, della forza d’inerzia insita nel corpo orbitante e che non appiattisca, di conseguenza, la riflessione hegeliana sulla tradizione manualista (che invece abbondava di questi errori) e di cui Hegel era grande fruitore.

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certo che l’analogia rimanga sempre e comunque tale e non possa in nessun caso passare in identità tra i due piani209.

In definitiva, quella newtoniana è una via di mezzo tra le due possibilità. Per Newton (che non fu mai più filosofo di quanto Hegel non sarebbe stato matematico) l’analogia tra geometria e natura ha validità solo nella misura in cui l’oggetto, ora geometrico ora naturale, venga considerato nella prospettiva dinamica della sua produzione. Allora, in quanto costituiti in uno spazio (sia esso relativo o assoluto, fisico o geometrico) e nella porzione di una dimensione ricorsiva che indichiamo come tempo (anch’esso relativo o assoluto, escatologico o fenomenico210), e solamente allora i due oggetti possono equivalersi. In ogni altro frangente, che noi consideriamo i rapporti sui quali vengono costruite le figure geometriche oppure le cause che sostanziano le forze che agiscono sui corpi, i due domini restano distinti. Nella misura in cui l’elaborazione dei Principia è stata accolta come una vera philosophia e cioè nel momento in cui la filosofia sperimentale è giunta ad essere considerata «la migliore, anzi l’unica e sola filosofia»211, la posizione newtoniana perde però la sua fisionomia peculiare. Non è infatti per affettazione che Hegel designa il segmento che unisce il punto in movimento col centro della forza come “raggio vettore” e non con “linea”, come invece nei Principia. Se l’opera di Newton è certo l’origine, la fonte di questa terribile confusione è soltanto a partire da questa, e cioè a opera del newtonianismo, che si è proceduto ad accrescere la promiscuità fra matematica e fisica, piuttosto che a criticarla e a inserirla nella prospettiva di un discorso filosoficamente vero sulla natura. Il concetto di raggio vettore, utilizzato per primo da Laplace, è un indice privilegiato di questa tendenza. Newton, parlando di linee, pur all’interno di aedificum compositum continua a distinguere, seppure in una prospettiva soltanto operativa, i rapporti tra figure geometriche e i rapporti tra corpi fisici. Al contrario, il newtonianismo ha

209 La cosa si rivelerebbe insostenibile non solo su di un piano ontologico (implicando un platonismo con

il quale Newton si confronta ma che non abbraccerà mai) ma soprattutto su un piano teologico, in quanto l’identità tra prodotti implicherebbe l’identità delle cause ovvero l’identità tra Dio e l’uomo, tra creatore e creatura.

210 Si ricordi che il tempo (relativo) viene definito da Newton in base al moto, a sua volta individuato a

partire dalla traslazione da un luogo a un altro che si fonda sulla definizione dello spazio, assoluto o relativo (vd. : 37, nota 72). A monte di tutto ciò è il moto, che Newton pone alla base del tempo.

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definitivamente abolito anche quest’ultima barriera e, considerando i due lati della trattazione come identici, è giunto a identificare i piani fisico e matematico.

Il concetto di forza centrifuga era stato elaborato nella seconda metà del XVII secolo da Christiaan Huygens per definire la tendenza di un corpo che si muova di moto circolare uniforme ad allontanarsi dal centro del moto. Questo concetto, fondamentale per la fisica moderna, si era rivelato di estrema importanza anche per Newton il quale proprio in onore a Huygens aveva nominato la forza opposta come ‘centripeta’. Ma se per Huygens quella centrifuga è una forza reale, per Newton e ancor più per il newtonianismo essa era andata riducendosi a un mero principio meccanico. Infatti sulla base della prima legge del moto che determina la vis insita del corpo nei termini di una forza d’inerzia, la forza centrifuga diveniva un’ulteriore espressione dell’inerzia (nella fattispecie l’espressione dell’inerzia nel contesto di un moto causato da una forza centrale) e, nella misura in cui questa non agisce su un corpo determinandone un moto osservabile212 ma definisce piuttosto lo stato del corpo sul quale agisce la forza fisica, quella centrifuga restava una forza solo di principio in quanto non passibile di un confronto diretto con i fenomeni. Quale realtà attribuire dunque a questa supposta forza? Se forze con direzioni opposte possono veramente originare la direzione

meccanica del movimento, questo però non significa che il movimento reale nasca

effettivamente da queste forze: «La necessità geometrica di una linea tangente – afferma Hegel – non comporta affatto la necessità di una forza fisica tangenziale»213.

Inoltre, in quanto scienza dello spazio, la geometria non compone la figura partendo dalle parti, al contrario essa pone il tutto (la figura) e ne deduce i rapporti delle parti.

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