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Keplero contra Newton: la geometria e la natura

Parte II. La critica hegeliana a Newton

3. La confutazione della meccanica newtoniana

3.3. Keplero contra Newton: la geometria e la natura

L’analisi che abbiamo compiuto nei capitoli precedenti ha evidenziato come la critica hegeliana, piuttosto che rivolgersi in maniera vaga e confusionaria contro la fisica newtoniana e la sua fortuna, realizzi invece un’analisi e una valutazione consapevoli del significato che la scienza empirica assumeva all’interno di un’opera che portava non solo il titolo ma la pretesa di esporre i principi matematici della filosofia della natura. Viene allora da chiedersi come mai Hegel abbia riservato i suoi strali al solo Newton. Se davvero Newton è stato soltanto l’iniziatore (e che iniziatore!) della filosofia sperimentale, perché allora Hegel non ha parlato a maggior ragione e con la stessa ampiezza di Maclaurin, D’Alembert, Euler o Laplace? In altri termini, nella dimensione prettamente filosofica della critica alla fisica meccanica, quale significato prende la contrapposizione tra il felix ingenium di Keplero e la barbarie di Newton?

Un tentativo di risposta a questa domanda potrebbe iniziare con una provocazione: nel confronto tra genio e barbarie speculativa, il nucleo concettuale della critica hegeliana riceve, per così dire, la figura della contrapposizione tra Keplero e Newton.

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Ciò che qui Hegel mette a confronto non sono infatti i due scienziati (il Keplero e il Newton storici) bensì i due profili di scienza che in Keplero e Newton possiamo riconoscere. E il tema sotteso a questo confronto non è tanto e immediatamente il rapporto che deve intercorrere sul piano speculativo tra le scienze empiriche e la scienza filosofica, come spesso si è inteso. Il vero perno sul quale ruota questa contrapposizione è piuttosto il diverso rapporto tra discorso speculativo e realtà naturale che i due profili rappresentano233.

Keplero, scrive Hegel, «ha scoperto le sue leggi empiricamente, attraverso l’induzione […] l’opera del genio in questo campo sta proprio nell’estrarre la legge universale da questi singoli fenomeni»234. Al contrario Newton, prodigandosi nel dare dimostrazioni matematiche dei fenomeni, ha rimosso le determinazioni fisiche dal loro terreno d’origine fenomenico, le ha rese indipendenti (§ 266 Z) e, pur fondandosi sul fenomeno empirico, non se ne è accontentato e lo ha disconosciuto (§ 267 A).

Per comprendere il significato che per Hegel ricopre la scoperta delle tre leggi del moto planetario da parte del felix ingenium kepleriano a scapito della magnificazione corrente dell’opera newtoniana è necessario fare un passo indietro e ripercorrere brevemente la storia di queste leggi a partire dalla loro prima apparizione nell’Astronomia Nova di Keplero.

In questo libro, complesso quanto fondamentale per il pensiero scientifico moderno, Keplero registra passo dopo passo il suo percorso di elaborazione, a partire dall’enorme mole di dati osservativi lasciati da Tycho Brahe, di un’astronomia che dimostrasse la teoria copernicana e ne fornisse una spiegazione fisica all’altezza della sua novità235.

233 Mancando di individuare con precisione il tema sotteso alla contrapposizione tra Keplero e Newton

anche uno studioso attento e competente come De Gandt ha finito per contraddirsi apertamente. Da una parte infatti egli contesta la Naturphilosophie romantica (dal cui variegato panorama emerge anche la riflessione hegeliana) definendola un carnevale del pensiero speculativo in cui «la validation par l’expérience devient, aux yeux de certains, une question mineure […] comme si toute une génération avait perdu le gout du réel, ne souhaitait plus se risquer à la confrontation avec les faits» (Les orbites : 49). A questo regresso del pensiero scientifico si sarebbe opposta, dall’altra parte, la teoria newtoniana che in Laplace troverà la vetta più alta della combinazione tra osservazioni e teoria. Una teoria, osserva però De Gandt, riguardo la quale sarebbe «trop simple de dire que les faits ont confirmé la théorie : c’est la théorie elle-même qui a rendu possible l’examen des phénomènes» (ivi : 56).

234 ENZ § 270 Z.

235 Come ricorda Koyré, Keplero concepiva l’astronomia come una scienza del reale, che deve rivelare

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Per realizzare questo progetto Keplero si era basato sui dati più completi e accurati, che si riferivano al moto di Marte; ed è basandosi su questi che egli riuscirà non solo a dimostrare la perfetta equivalenza matematica dei sistemai tolemaico, brahiano e copernicano ma, soprattutto, a stabilire l’ellitticità delle traiettorie planetarie (prima legge di Keplero) e la legge delle aree, secondo la quale il segmento che unisce il centro del moto (il Sole) al centro del pianeta spazza aree uguali in tempi uguali236. Questa seconda legge in particolare era il frutto di un incessante lavoro di raffronto e modifica della teoria con i dati osservativi che lo avevano portato a negare la tradizionale circolarità delle orbite planetarie e ad affermare che, in accordo con l’assioma fondamentale della cosmologia copernicana (che Keplero adottò sin dalla sua prima opera, il Mysterium cosmographicum237) secondo il quale i pianeti sono tanto più veloci quanto più sono vicini al Sole e viceversa238, e considerando l’orbita ellittica, descritta da Marte in conformità ai dati, come inscritta in un cerchio (muovendosi sul quale il pianeta manterrebbe velocità costante) cui essa è tangente in due punti che siano anche gli estremi di un diametro di questo cerchio, in corrispondenza dei punti di tangenza239 gli archi dell’ellisse si “contraggono” rendendo le distanze che uniscono tali archi al fuoco dell’ellisse “più dense” mentre nelle parti medie sono “più rare”240 e dunque che la distanza che unisce Marte al Sole spazza aree uguali in tempi uguali.

È proprio l’origine empirica della teoria astronomica di Keplero, le cui elaborazioni matematiche si erano basate solamente sulle evidenze dei dati di osservazione, che

spiegazione che non faccia appello che alle forze naturali […] escludendo, per quanto è possibile, l’azione di fattori puramente spirituali» (Koyré, La rivoluzione astronomica : 216). Per un’analisi puntuale dell’astronomia kepleriana corredata di un ricchissimo apparato di testi, si veda Koyré, La rivoluzione

astronomica : 97-391.

236 Questa formulazione non è, ovviamente, quella originale che Keplero fornisce nel capitolo LIX

dell’Astronomia nova, dedicato alla dimostrazione che l’orbita di Marte è un’ellisse perfetta (Caput LIX.

Demonstratio, quod orbita Martis, librati in diametro epicycli, fiar perfecta ellipsis: et quod area circuli metiatur summam distantiarum, ellipticae circumferentiae punctorum)

237 Mysterium cosmographicum, de admirabili proportione orbium coelestium, deque causis coelorum numeri, magnitudinis, motuumque periodicorum genuinis & proprijs, demonstratum, per quinque regularia corpora Geometrica a M. Ioanne Keplero, Vvirtembergico, Illustrium Styriae provincialium Mathematico, Tubinga, MDXCVI. L’edizione moderna, curata da Max Caspar, è contenuta nel vol. I

della Johannes Kepler Gesammelte Werke (München, 1938).

238 Koyré, La rivoluzione astronomica : 151. 239 Gli absidi di un’orbita.

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dissuase l’astronomia successiva dall’accettare apertamente il contenuto delle leggi che aveva formulato241. Non suscita dunque meraviglia il fatto che la teoria matematica newtoniana dei corpi centrali fosse stata salutata come la definitiva dimostrazione delle leggi di Keplero e, di conseguenza, che i Principia si fossero affermati come la prova dell’effettiva valenza fisica di quelle leggi.

Per rendere pienamente giustizia al valore e al significato profondo del metodo utilizzato da Keplero, la cui elaborazione della legge delle aree è stata qui solamente accennata nei suoi elementi strutturali e più caratteristici, gioverà però riportare un’osservazione di Alexandre Koyré al riguardo:

«C’è, nel pensiero kepleriano, una dualità profonda, in cui il geometra non ragiona affatto come il fisico. Quando fa della geometria pura, beninteso, Keplero pensa da geometra: allora i suoi punti sono punti, le rette e le curve sono “vere” rette e “vere” curve. Ma la situazione cambia quando si occupa di fisica o di astronomia: i punti sono allora punti “fisici”, le rette diventano linee di forza che, come i raggi di luce, non sono a una sola dimensione. Quando poi arriviamo al movimento, la situazione cambia ancora di più, perché il movimento implica spostamento e tempo […] Il fatto è che, almeno nell’Astronomia nova, Keplero […] <pensa> sempre alla velocità di un corpo su un elemento della sua traiettoria o, meglio ancora, al tempo impiegato da un corpo a percorrere tale elemento. Così Keplero si riferisce sempre al tempo che un corpo impiega a percorrere un arco dato – piccolo o grande – o al tempo durante il quale il corpo “rimane” al punto situato a una distanza data dal punto eccentrico del cerchio o dell’ellisse […] per lui l’intervallo temporale, come pure l’intervallo spaziale, non sarà mai nullo. Poiché il “punto” di cui si tratta non è un punto, ma un elemento di durata o di spazio […] È per questo, senza dubbio, che le “distanze” kepleriane non sono linee geometriche che uniscono il punto d’origine ai punti della traiettoria […]; esse sono, in primo luogo “distanze” tra il punto d’origine e gli estremi di un percorso, o di un elemento di un percorso. È anche per questo che, quasi sempre, vanno a coppie: perché anche quando Keplero ritrasforma la situazione partendo non più dalle “distanze” ma dalla traiettoria, è dagli estremi degli archi uguali o disuguali – in cui divide le curve che confronta – che egli conduce le sue “distanze”. Questi archi possono essere di numero finito o infinito: questo non cambia nulla. È chiaro che, anche se sono di numero infinito, questi archi rimangono archi, infinitamente

241 Ancora nella seconda metà del XVII secolo, soltanto la prima delle tre leggi formulate da Keplero era

oramai ampiamente accettata, seppure la si ritenesse impossibile da verificare direttamente. Delle altre due la seconda, in quanto dimostrata soltanto per i moti Marte, era considerata empiricamente attendibile ma teoricamente debole mentre alla terza veniva negata dignità fisica in quanto non direttamente inferibile dalle osservazioni astronomiche. Cfr. C. Wilson, “Newton and Some Philosophers on Kepler’s ‘Laws’”.

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piccoli, senza dubbio, ma sempre archi. Essi non si trasformano in punti; e quindi potranno essere di grandezze uguali e disuguali»242.

Sebbene qui non si intenda sostenere che Hegel potesse avere la conoscenza così approfondita dell’opera kepleriana243, possiamo nondimeno notare alcune rilevanti analogie tra i caratteri del pensiero di Keplero sottolineati da Koyré e la critica che Hegel muove alla meccanica di Newton. In Keplero infatti possiamo trovare praticamente ovunque proprio ciò che Hegel trovava mancare nell’edificio dei

Principia: una tensione speculativa che unisce la matematica alla fisica senza però

confonderle. Keplero giunge all’ellisse partendo dal cerchio e passando per l’ovale, e nel fare ciò egli tratta sempre realtà geometriche, definite da rapporti matematici. Ma ecco la vera differenza: la determinazione matematica in Keplero non precede mai il fenomeno. Non è la teoria matematica a fornire la rete adamantina sulla quale costruire il fenomeno; piuttosto è il fenomeno che fornisce il materiale a partire dal quale procedere nella scoperta dei rapporti che esso conserva in sé. Il pianeta non descrive un’orbita ellittica perché è l’ellisse la figura che le successive raffinazioni della teoria ci permettono di individuare: il pianeta percorre un’orbita ellittica perché il fenomeno nel quale si dà non permette di individuare un’altra forma altrettanto adeguata. E in ciò le successive ridefinizioni della struttura teorica non sono mai l’accrescimento di un presupposto di partenza, ma al contrario i successivi tentativi attraverso i quali l’intelletto, tenendo fermo il dato fenomenico, empirico, cerca di trovarvi la determinazione più adeguata.

A differenza di Newton, che misconosce i limiti della sua metafisica intellettiva, Keplero persegue esattamente la via speculativa che Hegel traccia all’inizio della sua

242 Koyré, La rivoluzione astronomica : 229-230.

243 È ovvio che gli studi di storia del pensiero scientifico nei quali si colloca l’opera di Koyré

appartengano a un’altra sensibilità, rispetto a quella di Hegel. A questo, però, si aggiunge anche la difficoltà nel ricostruire l’effettiva conoscenza da parte di Hegel dei testi di Keplero. Infatti, nonostante Rosenkranz affermi che Hegel «era stato profondamente colpito dalla Harmonia mundi di Keplero» e che aveva tra le sue carte estratti dagli scritti di meccanica e di astronomia, tra gli altri, proprio di Keplero (Vita di Hegel: 383); e sebbene Petry includa l’Astronomia Nova e l’Harmonices mundi tra le fonti principali direttamente menzionate da Hegel nel testo della Filosofia della Natura (Petry : 128 ss.), il

Verz. non riporta alcuna opera di Keplero tra quelle censite nella biblioteca personale di Hegel. Certo,

questo fatto non è una prova; nondimeno esso testimonia la difficoltà di uno studio delle reali conoscenze da parte di Hegel del pensiero di Keplero.

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Filosofia della natura come propria della considerazione della natura teoretica e precisamente pensante

«che da un lato non muove da determinazioni esterne alla natura […] e dall’altro è diretta conoscenza dell’universale [….] contenuto questo che, inoltre, non deve essere neppure un semplice aggregato, ma, articolato […] configurarsi come un organismo»244.

Keplero ha tratto il suo materiale dall’esperienza e trattandolo sempre a contatto con essa è riuscito a trarvi l’universale intellettivo, la legge della natura che così correttamente individuata può ora essere offerta in tutta la sua verità alla vera filosofia della natura affinché essa la trasferisca nella totalità, necessaria in se stessa, del concetto245.

244 ENZ § 246. 245 ibidem.

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