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<Fisica guardati dalla metafisica> La critica hegeliana alla filosofia naturale di Newton

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Academic year: 2021

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(1)

U

NIVERSITÀ DI

P

ISA

Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

Corso di Laurea in Filosofia e Forme del Sapere

Tesi di laurea

«Fisica guardati dalla metafisica»

La critica hegeliana alla filosofia naturale di Newton

Relatore:

Candidato:

Prof. Alfredo Ferrarin

Niccolò Sbolci

(2)

τὴν γὰρ ἀγαπωμένην ταύτην καὶ περιβόητον ὀργανικὴν ἤρξαντο μὲν κινεῖν οἱ περὶ Εὔδοξον καὶ Ἀρχύταν, ποικίλλοντες τῷ γλαφυρῷ γεωμετρίαν, καὶ λογικῆς καὶ γραμμικῆς ἀποδείξεως οὐκ εὐποροῦντα προβλήματα δι᾽ αἰσθητῶν καὶ ὀργανικῶν παραδειγμάτων ὑπερείδοντες […] ἐπεὶ δὲ Πλάτων ἠγανάκτησε καὶ διετείνατο πρὸς αὐτούς ὡς ἀπολλύντας καὶ διαφθείροντας τὸ γεωμετρίας ἀγαθόν, ἀπὸ τῶν ἀσωμάτων καὶ νοητῶν ἀποδιδρασκούσης ἐπὶ τὰ αἰσθητά, καὶ προσχρωμένης αὖθις αὖ σώμασι πολλῆς καὶ φορτικῆς βαναυσουργίας δεομένοις, οὕτω διεκρίθη γεωμετρίας ἐκπεσοῦσα μηχανική, καὶ περιορωμένη πολὺν χρόνον ὑπὸ φιλοσοφίας μία τῶν στρατιωτίδων τεχνῶν ἐγεγόνει. (Plutarchus, Vita Marcelli, 14.5-6)

(3)

i

Indice

Sigle ... iii

Introduzione ... 1

Parte I. La filosofia sperimentale di Newton. Il problema di una considerazione speculativa della natura ... 8

1. L’indagine newtoniana della natura ... 10

1.1. In lotta per la certezza ... 13

1.2. Analisi e sintesi ... 19

1.2.1. Guardare alla natura more geometrico: le Definitiones, gli Axiomata, il metodo dei rapporti primi e ultimi e le quantità evanescenti ... 24

1.3. L’indagine speculativa newtoniana della natura ... 29

1.3.1. Il problema dello statuto ontologico dei moti e delle forze: lo scolio sulle quantità assolute ... 30

1.3.2. Disciplinare la filosofia della natura: le Regulae philosophandi ... 36

1.3.3. I limiti della filosofia naturale newtoniana: leggi, fenomeni, esperimenti ... 40

1.3.4. Lo stile newtoniano: un bilancio ... 46

2. Problemi e difficoltà di una filosofia della natura more geometrico demonstrata ... 50

2.1. Matematica e natura tra analogia e asimmetria epistemologica ... 52

2.1.1. Il problema dell’attrazione: Cotes e Leibniz ... 54

Parte II. La critica hegeliana a Newton ... 60

3. La confutazione della meccanica newtoniana ... 62

3.1. Un caso notevole: la critica alla dimostrazione newtoniana della legge delle aree (Principia, lib. I, Sez. II, Prop. I, Theor. I) ... 74

3.2. Forza e materia ... 83

(4)

ii

4. Quale posto per la meccanica in una filosofia della natura vera? ... 94

4.1. La miseria dello sperimentare ... 94

4.2. Pensare la legge della forza ... 96

(5)

iii

Sigle

K-C Isaac Newton’s Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, the Third

Edition (1726) with Variant Readings Assembled and Edited by Alexandre Koyré and I. Bernard Cohen with the assistance of Anne Whitman, 2 vols., Harvard University Press, 1972

AT The “Principia”. Mathematical Principles of Natural Philosophy. The

Authoritative Translation by I. Bernard Cohen and Anne Whitman assisted by

Julia Budenz, Oakland, University of California Press, 1999

Comm. Ep. “An account of the book entituled Commercium Epistolicum Collinii & aliorum, De Analysi promota; published by order of the Royal-Society, in

relation to the Dispute between Mr. Leibnitz and Dr. Keill, about the Right of Invention of the Method of Fluxions, by some call'd the Differential Method”,

Philosophical Transactions (1683-1775), Vol. 29 (1714 - 1716) : 173-224 Differenz Differenz des Ficht´schen und Schelling´schen Systems der Philosophie in

Gesammelte Werke, Bd. 4, hrsg. von Hartmut Buchner und Otto Pöggler,

Hamburg, Felix Meiner Verlag, 1968 (trad. it. in G.W.F. Hegel, Primi scritti

critici, introduzione, traduzione e note a cura di Remo Bodei, Milano, Mursia,

1971 : 1-120)

DOP Dissertatio philosophica de orbitis planetarum in Gesammelte Werke, Bd. 5, Schriften und Entwürfen (1799-1808), hrsg. von M. Baum und K.R. Meist,

unter Mitarbeit von T. Ebert, Hamburg, Felix Meiner Verlag, 1998 (trad. it. Le

orbite dei pianeti a cura di Antimo Negri, Roma-Bari, Laterza, 1984)

ENZ Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften in Grundrisse (1830) hrsg.

von Friehelm Nicolin und Otto Pöggeler, Hamburg, Felix Meiner Verlag, 1991 (trad. it. Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, con le aggiunte a

cura di Leopold von Henning, Karl Ludwig Michelet e Ludwig Boumann : Parte prima: La scienza della logica, a cura di Valerio Verra, Torino, UTET,

1981; Parte seconda: Filosofia della Natura, a cura di Valerio Verra, Torino, UTET, 2002; Parte terza: Filosofia dello Spirito, a cura di Alberto Bosi, Torino, UTET, 2000)

KrV Kritik der reinen Vernunft, (trad. it. Critica della ragion pura, a cura di Pietro

Chiodi, UTET, 1967).

MAdN Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft, mit einer Einleitung

hrsg. von Konstantin Pollock, Hamburg, Felix Meiner Verlag, 1997 (tr. it.,

Primi principi metafisici della scienza della natura, a cura di Silvestro

Marcucci, Pisa, Giardini, 2003)

P&L Isaac Newton’s Papers & Letters on Natural Philosophy and related documents, edited, with a general introduction, by I. Bernard Cohen assisted by

Robert E. Schonfeld, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1958

Prol. Prolegomena zu einer jeden künftigen Metaphysik, die als Wissenschaft wird auftreten können (trad. it. Prolegomeni ad ogni metafisica futura che vorrà presentarsi come scienza, a cura di Pietro Martinetti e Massimo Roncoroni,

Milano, Rusconi, 1995)

PhG Phänomenologie des Geistes in Gesammelte Werke, Bd. 9, hrsg. von Wolfgang

(6)

iv

La Fenomenologia dello Spirito, a cura di Enrico De Negri, 2 voll. Roma,

Edizioni di Storia e Letteratura, 2012)

MCOE G.W.F. Hegel, Zum Mechanismus, Chemismus, Organismus und Erkennen in

GW, Bd. 12, Wissenschaft der Logik, zweiter Band, Die subjektive Logik

(1816), hrsg. von F. Hogemann und W. Jaeschke, Hamburg 1981, pp. 259-298 (tr. it. Sul meccanismo, il chimismo, l’organismo e il conoscere, a cura di Luca Illetterati, Quaderni di Verifiche 7, Trento 1996)

WL Wissenschaft der Logik, in Werke in 20 Bänden, Red. Eva Moldenhauer und

Karl Markus Michel, Bdd. 5-6, Frankfurt a.M., Suhrkamp, 1969 (trad. it. La

scienza della logica, a cura di Arturo Moni, rev. di Claudio Cesa, 2 voll.

Roma-Bari, Laterza, 2011)

Petry Hegel’s Philosophy of Nature, edited and transl. with introduction and

explanatory notes by M. J. Petry, 3 voll., London, Routledge, 1970

VGPh Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, Bd. 3, in Sämtliche Werke, Jubiläumsausgabe in zwanzig Bänden, Bd.19, hrsg. von Hermann Glockner,

Stuttgart, Fromanns Verlag, 1959 (trad. it. Lezioni sulla storia della filosofia, vol. III,2 a cura di Ernesto Codignola e Giovanni Sanna, Firenze, La Nuova Italia, 1945)

Verz. Verzeichniß der von dem Professor Herrn Dr. Hegel und dem Dr. Herrn Seebeck hinterlassenen Bücher-Sammlungen, Sectio I, Berlin, Müller, 1832.

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1

Introduzione

Sono oramai celebri le parole che, negli anni di Tübingen, la mano di Hegel scrisse riportando su carta i pensieri di tre teste in quello che è noto come Il più antico

programma di sistema dell’idealismo tedesco:

«Vorrei una buona volta ridare ali alla nostra lenta fisica che procede a fatica tra gli esperimenti. Così se la filosofia dà idee, e l'esperienza i fatti, potremo finalmente ottenere quella fisica in grande che io mi aspetto da epoche avanzate. Non sembra che la fisica d'oggi possa soddisfare lo spirito creatore quale il nostro è o deve essere»1.

Queste frasi, intrise di passione giovanile, sono la chiara testimonianza di come per Hegel, sin dai più timidi e incerti inizi della sua riflessione, la natura abbia sempre costituito un polo ineludibile per l’attività filosofica.

Eppure nessun’altra parte della filosofia hegeliana ha mai ricevuto un’accoglienza tanto acre quanto quella che è stata riservata alla filosofia della natura. Caduta presto in disgrazia, è su di essa che già lo Schelling più maturo batteva per mostrare l’infondatezza dell’intero progetto filosofico hegeliano. Né si possono dimenticare le parole di Benedetto Croce che nel suo Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di

Hegel definì la filosofia della natura hegeliana nient’altro che una fallace idea il cui solo

significato era di aver fornito «la riprova che la tesi di Hegel è falsa»2. Neppure il rinnovato interesse per la filosofia hegeliana (specie quella “giovanile” culminata nella

Fenomenologia) che ebbe inizio negli anni ’30 del secolo scorso in Francia sull’onda

delle lezioni che Alexandre Kojève tenne presso l’École des Haute Études di Parigi sembrò riportare in auge l’attenzione che Hegel aveva mostrato per la natura come oggetto della considerazione speculativa3.

1 G.W.F. Hegel (?), F.W.J. Schelling (?), F. Hölderlin (?), Il più antico programma dell’idealismo tedesco: 21.

2 Benedetto Croce, Ciò che è vivo e ciò che è morto : 166.

3 L’introduzione alle due figure la cui trattazione occupa il capitolo IV della Fenomenologia (signoria e

servitù; scetticismo e coscienza infelice) è dedicata quasi per intero a una profonda visione d’insieme della natura come terreno d’origine di quella coscienza il cui porsi come verità di se stessa ci porta, nelle parole di Hegel, «nel regno della verità». Eppure per queste pagine non viene spesa neppure una parola nelle lezioni che compongono l’Introduzione alla lettura di Hegel.

(8)

2

Si sono dovuti aspettare gli anni ’70 perché l’edizione della filosofia della natura enciclopedica curata da Michael John Petry permettesse al lettore moderno di approcciarsi a un testo finalmente considerato nella sua complessità speculativa4. Non più il parto di una fantasia estrosa o, peggio, un errore tout court, la Filosofia della

Natura veniva ora considerata il frutto prettamente filosofico di un pensiero che aveva

avuto la forza di andare a misurarsi con i testi fondamentali della scienza moderna e con i suoi risultati. Ma una vera e propria rivalutazione dovette aspettare ancora almeno un decennio e anche più. Certo, già nel 1974 la Hegel Society of America assieme al Centro per la Filosofia e la Storia della Scienza dell’Università di Boston organizzava un simposio dedicato al tema “Hegel and the Sciences”5 e cinque anni più tardi, nel 1979, veniva pubblicata l’edizione della Dissertatio philosophica de orbitis planetarum a cura di François de Gandt. Ma sarà soltanto a partire dalla metà degli anni ’80 che l’attività pubblicistica e accademica si farà più intensa producendo nell’arco di quindici anni ben cinque volumi interamente dedicati al rapporto della filosofia di Hegel con la natura e le scienze naturali6 nonché tre traduzioni della Dissertatio (in italiano, tedesco e inglese7) e un commento analitico alla confutazione della fisica newtoniana che ne costituisce la prima parte8.

4 A tal proposito L. Illetterati, citando D. v. Engelhardt, nota a titolo d’esempio come tra il 1945 e il 1970

dei 15.500 corsi di filosofia tenuti nelle università dell’allora Repubblica Federale Tedesca soltanto 2 fossero esplicitamente dedicati alla filosofia della natura hegeliana (L. Illetterati, Natura e Ragione : 6).

5 R.S. Cohen & M.W. Wartofsky, “Preface” a Hegel and the Sciences : vii.

6 Hegel and the Sciences, a cura di R.S. Cohen e M.W. Wartofsky (Dordrecht, Riedel, 1984); Hegels Philosophie der Natur: Beziehungen zwischen empirischer und spekulativer Naturerkenntniss, a cura di

R.-P. Horstmann e M.J. Petry (Stuttgart, Klett-Cotta, 1986); (a cura di) Hegel und die

Naturwissenschaften (Stuttgart, Frommann-Holzbog, 1987) e Hegel and Newtonianism (Dordrecht,

Kluwer, 1993) entrambi a cura di M. J. Petry; Hegel and the Philosophy of Nature, a cura di Stephen Houlgate (SUNY Press, 1998).

7 Le orbite dei pianeti, a cura di Antimo Negri, Roma-Bari, Laterza, 1984; Dissertatio Philosophica de Orbitis Planetarum. Philosophische Erörterung über die Planetenbahn, a cura di W. Neuser, Weinheim,

Acta humaniora VCH, 1986; Philosophical Dissertation on the Orbits of Planets (1801) Preceded by the

12 Thesis Defended on August 27, 1801. Translated, with Foreword and Notes, by Pierre Adler, Graduate Faculty Philosophy Journal, 12:1-2, 1987 : 269-309.

8 Ferrini, Guida la «De orbitis planetarum» di Hegel ed alle sue edizioni e traduzioni. La “pars destruens”: confutazione dei fondamenti della meccanica celeste di Newton e dei suoi presupposti filosofici, Bern-Stuttgart-Wien, Haupt, 1995.

(9)

3

Nel panorama di questo grande revival degli studi sulla filosofia della natura hegeliana il tema del rapporto tra Hegel e la fisica newtoniana non è passato affatto inosservato. Al contrario esso ha attirato grande attenzione ponendosi come una prospettiva stimolante per intraprendere una comprensione della filosofia della natura hegeliana e della struttura concettuale sulla quale si basa. Eppure, al netto di questa attenzione, lo studio del significato prettamente filosofico dei temi e degli argomenti che costituiscono la critica di Hegel al progetto di una filosofia naturale contenuta nei Principia

mathematica philosophiae naturalis di Newton è rimasto quasi perennemente in ombra,

come se per questi argomenti continuasse a valere l’antico stigma.

La cosa è senza dubbio singolare. La presenza, negli scritti hegeliani, di una critica articolata e puntuale all’elaborazione newtoniana delle metodologie da adottarsi per uno studio scientifico e veritiero della natura e alla proposta filosofica in cui queste riflessioni si articolano non è infatti ascrivibile a un solo momento particolare. Essa sembra piuttosto accompagnarsi alla stessa riflessione di Hegel sulla natura e costituirsi come una sua parte imprescindibile. Anzi, a partire dalla sua prima compiuta formulazione contenuta nella Dissertatio philosophica, essa non solo non verrà mai abbandonata ma non conoscerà neppure mutamenti o modifiche sostanziali. Ciononostante, tranne rari casi, il contenuto di queste critiche non è mai riuscito a redimersi dal peso di un giudizio più che negativo. Già nel 1979 François De Gandt bollava la trattazione apertamente anti-newtoniana della Dissertatio come la partie

honteuse dell’intera opera hegeliana per la quale l’oblio era stato certo un beneficio

maggiore di quanto sarebbe potuto essere il ricordo. E ancora in anni più recenti, c’è stato chi trascurando i notevoli progressi compiuti nello studio delle fonti e dell’utilizzo che Hegel ne aveva fatto per la composizione della sua filosofia della natura, ha continuato a negare che Hegel avesse in ogni caso letto il testo di Newton oppure che avesse avuto l’intenzione, la disposizione o perfino le capacità per comprenderlo9. Generalmente la critica a Newton è stata perciò interpretata come il tentativo hegeliano di affossare con la forza bruta di argomenti capziosi e incomprensibili l’innegabile legittimità di un discorso il cui valore riposava, ancor prima che sulla sua scientificità, sulla razionalità delle sue affermazioni. Ecco, allora, il fiorire di una moltitudine di analisi e congetture a giustificazione di un comportamento apparentemente inspiegabile

9 Mi riferisco in particolare ai due saggi di Shea e F. van Lunteren contenuti nel volume Hegels Philosophie der Natur: Beziehungen zwischen empirischer und spekulativer Naturerkenntniss.

(10)

4

in cui di volta in volta si è letto (o voluto leggere) la risposta di un patriottismo offeso che avrebbe portato Hegel a cercare di affossare con ogni mezzo la fortuna di cui godeva l’opera newtoniana pur di difendere l’ideale romantico di una via tedesca alla speculazione; una profonda ignoranza della scienza, dei suoi risultati e dei suoi fondamenti o perfino un disprezzo per la scienza moderna, frutto di una sensibilità pervicacemente attaccata a modelli di conoscenza oramai definitivamente tramontati.

In opposizione a questa lettura profondamente radicata nell’immagine che ci è stata consegnata della fisica newtoniana, come della chiave di volta della scienza moderna che ha portato a compimento gli sforzi della rivoluzione scientifica aprendo le porte a una conoscenza finalmente libera e vera, il presente lavoro è stato inteso come il tentativo di approcciare il tema della critica hegeliana alla fisica meccanica di Newton al fine di inquadrarne il contenuto in un orizzonte prettamente filosofico. Basandosi sui pochi contributi che hanno sottolineato il valore speculativo di questa critica hegeliana si è quindi cercato di individuare per prima cosa il bersaglio critico contro cui Hegel si dirige.

La prima parte di questa tesi è stata perciò dedicata a un’estesa analisi del progetto filosofico che muove e motiva la trattazione dei Principia. È infatti un caso quantomeno singolare che proprio negli anni in cui si iniziava a prestare nuovamente attenzione alla filosofia naturale di Hegel, sia iniziato un percorso di studio parallelo e indipendente dedicato all’opera newtoniana. Nel 1972 I. B. Cohen e A. Koyré pubblicavano l’edizione critica dei Principia mathematica philosophiae naturalis, frutto di un enorme lavoro storico e filologico che aveva portato i due studiosi a confrontarsi per la prima volta con il testo newtoniano evidenziandone il valore e la struttura fortemente speculative. Da allora questo grande trattato10 ha conosciuto una nuova giovinezza i cui frutti ci permettono oggi di apprezzarne il contenuto non solo nel suo valore scientifico ma anche e soprattutto come monumento della speculazione moderna sulla natura. In particolare la pubblicazione dei lavori scientifici di Newton rimasti inediti o non più pubblicati a opera di A. Rupert Hall e Marie Boas Hall e di Derek T. Whiteside e i lavori storici di Cohen e di Koyré hanno sottolineato più volte, da punti di vista differenti come i Principia newtoniani non possano e non debbano essere ridotti a ciò che ancora oggi è valido in essi per la fisica contemporanea ma debbano essere

(11)

5

considerati, invece, come il tentativo di elaborare una considerazione speculativa della natura la cui trattazione matematica non avrebbe valore alcuno se non fosse inserita nella prospettiva filosofica che, sola, le dona il significato e la pregnanza che Newton riconosceva al proprio lavoro.

A partire da una lettura diretta del testo sono stati dunque enucleati i capisaldi dell’esposizione dei Principia e il significato filosofico che li sottende sia dal punto di vista epistemologico che dal punto di vista di una filosofia della natura o, se si preferisce, di una fisica.

In base a questa analisi e ai risultati cui essa ha condotto, la seconda parte della tesi è stata dunque dedicata all’analisi della critica di Hegel alla fisica meccanica di Newton. Prendendo come punti di riferimento i due testi nei quali, agli estremi della riflessione sistematica hegeliana, questa critica riceve le sue formulazioni più compiute (la

Dissertatio philosophica de orbitis planetarum e la prima parte della Filosofia della natura contenuta nella terza edizione dell’Enciclopedia delle scienze filosofiche) si è

dunque proceduto a individuarne il fondamento filosofico evidenziando tanto l’effettiva conoscenza dei Principia newtoniani da parte di Hegel, quanto i motivi speculativi sui quali si fonda.

Se infatti volessimo sciogliere la doppia definizione di pertinenza alla realtà naturale implicita nelle diciture ‘scienza naturale’ e ‘filosofia della natura’, potremmo dire che da un punto di vista hegeliano quel ‘naturale’ che accompagna la scienza nasconde in sé un genitivo che è sempre e soltanto oggettivo. Le scienze naturali sono cioè scienze solo e soltanto nella misura in cui il loro discorso si articoli a partire da un oggetto posto come dato, come presupposto in tanti modi quante sono le diverse scienze. Certo nei

Principia Newton non produce un discorso semplicemente metodologico. Egli piuttosto

va a riflettere sui rapporti tra le varie parti del metodo matematico di indagine sulla natura ridefinendoli in maniera originale e innovativa e proponendo una prospettiva, per così dire, meta-metodologica che garantisca alla trattazione matematica una realtà non soltanto astratta e ideale ma concreta, reale, fisica. Con questo però né Newton né, per Hegel, qualsiasi altra scienza naturale può ritenere di essere veramente andata ad aggredire il dato di partenza come tale (nel caso dei Principia i fenomeni dei moti e delle forze che li generano) mettendo in discussione ciò che si poneva come dato e fornendone un’esposizione concettuale, speculativa. Questo è piuttosto compito della filosofia, la sola disciplina per la quale quel genitivo sarà al contempo tanto oggettivo quanto soggettivo e cioè tale da porsi non come dato, bensì come tolto e quindi

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6

collocato nella fluidità del concetto dalla quale intravedervi in filigrana la struttura che innerva l’intero reale11.

Di questo significato profondamente filosofico ho, infine, cercato di rendere conto negli ultimi paragrafi di questo lavoro, enucleando alcuni punti di tangenza tra la critica alla fisica meccanica e parti autonome della produzione hegeliana in cui, in contesti forse non sospetti, questo significato riemerge proponendosi ora come oggetto privilegiato ora come sfondo della trattazione hegeliana.

11 Hegel esprime nella maniera più profonda questa equivalenza speculativa delle parti del suo sistema nei

tre sillogismi che chiudono l’esposizione dell’Enciclopedia (ENZ §§ 575-577) mostrando come la struttura articolata negli ordini e nei gradi della natura sia esattamente la medesima struttura articolata nelle altre due parti del sistema hegeliano: la Logica e la Filosofia dello spirito.

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7

A conclusione di questi sette lunghi anni di studio, indecisioni e ripensamenti il mio pensiero va immediatamente alla mia famiglia che mi ha sempre sostenuto con grazia, pazienza e una comprensione per le quali difficilmente potrò mai considerarmi sdebitato appieno.

I miei più sentiti ringraziamenti vanno ai proff. Ferrarin e Garelli ai quali debbo il mio ingresso e la mia permanenza nel mondo della filosofia hegeliana. È infatti in seguito al corso di storia dell’estetica tenuto nel 2013 dal prof. Garelli presso l’Università degli Studi di Firenze che ho iniziato a interessarmi al pensiero di Hegel ed è sempre grazie a lui che tre anni fa mi sono laureato con una tesi sulla lettura kojéviana della figura fenomenologica di signoria e servitù. È del resto per merito della competenza, della gentilezza e della pazienza che il prof. Ferrarin ha sempre mostrato nei miei confronti che, continuando a interessarmi della filosofia hegeliana, ho scoperto temi e prospettive in cui non avrei mai creduto di imbattermi e, non ultimo, sono riuscito con grande intempestività a portare a compimento questa tesi. Ringrazio anche Danilo Manca, per la gentilezza che ha mostrato nell’accettare di leggere questa tesi in tempi molto stretti.

Rivolgo infine i miei più sinceri ringraziamenti a quella parte qui necessariamente silenziosa composta dalle amicizie, le vecchie come le nuove. Ringrazio perciò Ismail, Lorenzo M. e Lorenzo S., Marvin e Sara per gli incoraggiamenti che da loro ho ricevuto e per i bei momenti passati insieme. Ma soprattutto ringrazio di cuore Emanuele per le indomite discussioni condotte per ogni dove e ad ogni ora; Andrea per l’amicizia fraterna e l’impegno dimostrato nel cercare di vincere il mio indomabile senso del ritardo e della trascuratezza; Giorgio per aver sempre testimoniato con l’esempio che la filosofia è importante ma non è la sola cosa alla quale dedicare la nostra attenzione.

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8

Parte I

La filosofia naturale di Newton

Il problema di una considerazione speculativa della natura

A trecentotrenta anni dalla loro prima edizione e nonostante gli innumerevoli sviluppi che in questi anni si sono succeduti, i Principia mathematica philosophiae naturalis sono un’opera che continua a imporsi come fondamentale per il pensiero.

Il lavoro che Newton vi portò a compimento nell’arco dei quaranta anni che separano i primi scritti preparatori dall’ultima edizione dell’opera pubblicata vivente l’autore12 riunì infatti, per la prima volta all’interno di un quadro unitario e sistematico, tutti i risultati raggiunti nello sforzo di sviluppare un approccio all’oggetto naturale che si ponesse come alternativo alla fisica tradizionale di ispirazione aristotelica, sanando le contraddizioni sorte a cavallo dei secoli XVI e XVII, via via che gli sviluppi concettuali nello studio della natura si facevano sempre più numerosi e teoreticamente impegnativi13. In questo quadro unitario e sistematico trovano perciò compimento non soltanto gli strumenti e le metodologie elaborate a partire da Galileo per lo studio dei moti ma anche i presupposti teorici e filosofici di una indagine della natura che superasse la tradizionale immagine del cosmo ripartito in un mondo sub-lunare e in uno sovra-lunare, riunificando la terra e i cieli in una realtà fisica che fosse unica e pertanto indagabile con gli stessi strumenti14.

La rilevanza filosofica dei Principia consiste proprio in questa struttura essenzialmente sistematica. Grazie ad essa Newton è riuscito a fornire un orizzonte teorico che, al netto di tutti gli inevitabili aggiustamenti, continuerà a proporsi come generalmente valido per i successivi due secoli ponendosi, per ampiezza e fecondità, in diretta corrispondenza

12 Per un’analisi dettagliata e ricca di rimandi ai testi circa la genesi e la storia delle edizioni dei Principia vd. Cohen, Introduction to Isaac Newton’s ‘Principia’.

13 Quello astronomico è stato uno dei campi d’elezione per lo sviluppo dei concetti e delle strutture

teoriche che hanno costituito la rivoluzione scientifica. Cfr. di A. Koyré La rivoluzione astronomica (: 13 ss.) e Dal mondo chiuso all’universo infinito.

14 Per il significato di questa tendenza teorica che inizia con Copernico ma trova uno dei suoi più forti

(15)

9

con il De revolutionibus orbium caelestium di Copernico15. Ma proprio questa capacità di proporre risultati matematici come realizzazione di una considerazione speculativa della natura esporrà l’opera tanto all’accettazione, anche entusiastica, quanto alla critica – del resto, il fatto che a più di un secolo dalla loro prima edizione i Principia riescano ancora a catalizzare l’attenzione e le capacità critiche delle filosofie della natura romantiche, di Schelling e di Hegel dimostrano una volta di più la fecondità e l’importanza della proposta newtoniana.

In questo primo capitolo affronteremo dunque il progetto scientifico realizzato nei

Principia considerandone in prima istanza le motivazioni generali, gli strumenti

approntati in vista di un’indagine sicura ed esaustiva della natura e quindi le modalità con cui questi strumenti vengono applicati alla realtà naturale. Quindi illustreremo l’approccio newtoniano alla natura con l’esempio significativo fornitoci dalla teoria matematica delle forze centrali e dall’uso che ne viene fatto nel libro III dei Principia per dedurne la gravità universale. Infine considereremo le difficoltà che la filosofia naturale di Newton presenta e, in particolar modo, il problema del passaggio dal discorso matematico a quello fisico.

15 È difatti con Copernico e con la sua pretesa di conferire un significato cosmologico all’astronomia che

si indica l’inizio di quel processo di ridefinizione degli strumenti teorici di indagine della natura che costituisce il cuore della rivoluzione scientifica. Un processo di cui i Principia si attestano indubbiamente come il punto di arrivo.

(16)

10

1. L’indagine newtoniana della natura

«Poiché gli antichi (come sostiene Pappo) stimarono la meccanica della più grande importanza nell’indagine della natura, e i moderni, abbandonate le forme sostanziali e le qualità occulte, iniziarono a ridurre i fenomeni naturali a leggi matematiche, è sembrato opportuno in questo trattato sviluppare la matematica, per ciò che concerne la filosofia […] E per questo presentiamo questo nostro lavoro come principi matematici della filosofia naturale. Sembra infatti che tutta la difficoltà della filosofia consista nell’indagare le forze della natura dai fenomeni dei moti e quindi nel dimostrare i restanti fenomeni da queste forze […] Se solo fosse possibile derivare gli altri fenomeni naturali da principi meccanici con lo stesso genere di argomentazione! Infatti molte cose mi spingono a sospettare piuttosto che possano dipendere tutti da certe forze per le quali le particelle dei corpi, per cause non ancora conosciute, o si spingono a vicenda le une verso le altre e si uniscono secondo figure regolari, o al contrario si respingono e si allontanano. E dal momento che queste forze <rimangono> sconosciute, i filosofi fino a questo punto hanno tentato inutilmente di indagare la natura. Spero tuttavia che i principi qui posti porteranno una qualche luce a questo modo di filosofare o a un altro più vero»16.

In questi passi, tratti dalla Prefazione scritta per la prima edizione dei Principia17, Newton espone per intero i presupposti, gli strumenti e le finalità del suo progetto di indagine della natura: la sua filosofia naturale18.

16 «Cum veteres mechanicam (uti auctor est Pappus) in rerum naturalium investigatione maximi fecerint;

et recentiores, missis formis substatialibus et qualitatibus occultis, pahenomena naturae ad leges mathematicam revocare aggressi sint: Visum est in hoc tractatu mathesin excolere, quatenus ea ad

philosophiam spectat […] Et ea propter, haec nostra tanquam philosophiae principia mathematica

proponimus. Omnis enim philosophiae difficultas in eo versari videtur, ut a phaenomenis motuum investigemus vires naturae, deinde ab his viribus demonstremus phaenomena reliqua […] Utinam caetera naturae phaenomena ex principiis mechanicis edoem argumentandi genere derivare liceret. Nam multa me movent, ut nonnihil suspicer ea omnia ex viribus quibusdam pendere posse, quibus corporum particulae per causas nondum cognitas vel in se mutuo impelluntur et secundum figuras regulares cohaerent, vel ab invicem fugantur et recedunt: quibus viribus ignotis, philosophi hactenus naturam frustra tentarunt. Spero autem quod vel huic philosophandi modo, vel veriori alicui, principia hic posita lucem aliqua praebebunt» K-C : 15-16 (la traduzione di questo e dei successivi testi newtoniani proposti in questi capitoli nonché dei brani tratti dalla corrispondenza tra Newton e Roger Cotes è mia, salvo diversa indicazione).

17 È la Auctoris Praefatio ad lectorem (K-C : 15-17) – da qui in poi semplicemente Prefazione.

18 A scanso di equivoci l’Authoritative Translation di Cohen e Whitman (da qui innanzi.AT) chiarisce che

(17)

11

È stata ripetutamente sottolineata19 l’estrema scarsità di pronunciamenti metodologici presenti nelle opere pubblicate da Newton. Una scarsità che appare ancora più gravosa se si considera l’importanza che questo testo ha rivestito nella storia del pensiero non solamente scientifico. Se si esclude la Prefazione, infatti, in tutti i tre libri che compongono i Principia si ritrovano soltanto altri tre passi di contenuto espressamente metodologico, nessuno dei quali ne raggiunge però la forza né la rilevanza programmatica.

Dal primo di questi passi, posto in calce alla spiegazione della Definizione VIII20, si apprende che nel prosieguo dell’opera21 i termini ‘attrazione’, ‘impulso’ o propensione di qualcosa verso un centro saranno utilizzate in modo promiscuo, dal momento che queste forze sono considerate non fisicamente ma matematicamente e cioè senza l’intenzione di «definire una specie o un modo d’azione o una causa o una ragione fisica»22.

Il secondo passo, che chiude lo scolio finale della sezione XI del libro I23, richiamandosi esplicitamente alle definizioni sottolinea ulteriormente come i termini ‘impulso’ e ‘attrazione’ siano stati assunti nello stesso senso generale soltanto nell’ambito di una

which contemplates the Powers of Nature, the Properties of Natural Bodies, and their mutual Action one upon another» p. 439, nota ad locum.

19 Si veda, ad esempio, Smith ‘The methodology of the Principia’.

20 «Definitio VIII. Vis centripetae quantitas motrix est ipsius mensura proportionalis motui, quem dato tempore generat» K-C : 44.1 ss. Smith (“The methodology of the Principia”: 187) definisce il passo «a cryptic remark at the end of the opening discussion of space and time» ma è chiaro che qui egli confonda

il testo che argomenta l’affermazione della definizione con lo scolio che la segue.

21 Le Definitiones con gli Axiomata, sive leges motus che le seguono costituiscono una sorta di preambolo

tecnico-teorico alla trattazione vera e propria del moto dei corpi (Principia, libb. I-II) e del ‘Sistema del mondo’ (Principia, lib. III) – per il significato di una tale strutturazione della trattazione si veda sotto cap. 1.2.

22 «Voces autem attractionis, impulsus, vel propensionis cuiuscunque in centrum, indifferenter et pro se

mutuo promiscuo usurpo; has vires non physice sed mathematice tantum considerando. Unde caveat lector, ne per huiusmodi voces cogitet me speciem vel modum actionis causamve aut rationem physicam alicubi definire, vel centris (quae sunt puncta mathematica) vires vere et physice tribuere; si forte aut centra trahere, aut vires centrorum esse dixero» K-C : 46.

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trattazione che considera «non la specie delle forze e le qualità fisiche ma le quantità e le proporzioni matematiche»24. Infatti, continua Newton

«In matematica vanno investigate le quantità delle forze e i loro rapporti che seguono da qualsiasi condizione posta; ma quando si discenda alla fisica, queste proporzioni devono essere confrontate con i fenomeni, perché si conosca quali condizioni delle forze convengano a ogni genere di corpi attrattivi. Allora soltanto sarà permesso discutere più sicuramente intorno alle specie, alle cause e alle ragioni fisiche delle forze»25.

L’ultimo (e più celebre) pronunciamento metodologico dei Principia è, infine, quello contenuto nello Scholium generale posto a chiusura dell’intera opera a partire dalla sua seconda edizione26 dove, subito il laconico hypotheses non fingo leggiamo:

«Infatti qualsiasi cosa non sia dedotta dai fenomeni, deve essere chiamata ipotesi; e nella

filosofia sperimentale non hanno posto ipotesi siano esse metafisiche, fisiche, di qualità

occulte27 o meccaniche. In questa filosofia le proposizioni sono dedotte dai fenomeni, e

sono rese generali per induzione. Così divennero note l’impenetrabilità, la mobilità, e l’impulso dei corpi e le leggi dei moti e la gravità. E basta che la gravità esista realmente, e agisca secondo le leggi che abbiamo esposto, e che sia sufficiente <a spiegare> il moto dei corpi celesti e del nostro mare»28.

24 «Eodem sensu generali usurpo vocem impulsus, non speciem virium et qualitates physicas, sed

quantitates et proportiones mathematicas» ibidem 18-20

25 «In mathesi investigandae sunt virium quantitates et rationes illae, quae ex condtionibus quibuscunque

positis consequentur: deinde, ubi in physicam descenditur, conferendae sunt hae rationes cum phaenomenis; ut innotescat quaenam virium conditiones singulis corporum attractivorum generibus competant. Et tum demum de virium speciebus, causis et rationibus physicis tutius dipsutare licebit»

ibidem 20-26.

26 Philosophiae naturalis principia mathematica. Auctore Isacco Newtono, Equite Aurato. Editio Secunda

Auctior et Emendatior, Cantabrigiae, MDCCXIII.

27 AT traduce con «or based on occult qualities» (: 589).

28 «Quicquid enim ex phaenomenis non deducitur, hypothesis vocanda est ; et hypotheses seu

metaphysicae, seu physicae, seu qualitatum occultarum, seu mechanicae, in philosophia experimentali locum non habent. In hac philosophia propositiones deducuntur ex phaenomenis, et redduntur generals per inductionem. Sic impenetrabilitas, mobilitas, et impetus corporum et leges motuum et gravitates innotuerunt. Et satis est quod gravitas revera existat, et agat secundum leges a nobis expositas, et ad corporum caelestium et maris nostri motus omnes sufficiat» K-C : 764.

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Nonostante questa estrema parsimonia da parte di Newton nell’esporre in maniera ampia e articolata i presupposti della sua filosofia naturale emergono però alcuni punti molto chiari che sostanziano e articolano la sua trattazione. Anzitutto l’affermazione delle difficoltà in cui secondo l’autore versa la filosofia naturale. Infatti, nonostante l’insegnamento degli antichi e l’emancipazione dei moderni dalla fisica aristotelica, la filosofia naturale appare a Newton ancora incapace di mettere a frutto i propri strumenti e i risultati raggiunti, condannando pertanto i filosofi a indagare inutilmente la natura. A questa consapevolezza fa seguito la proposta di circoscrivere il campo di indagine della filosofia naturale a due elementi particolari: i moti determinabili con l’osservazione e le forze che li generano, intendendo gli uni come effetti delle seconde e ridefinendo la filosofia naturale nei termini della meccanica29. Infine il proposito di raggiungere una maggiore sicurezza per mezzo di una trattazione matematica dei moti e delle forze. Certamente questi punti focali attorno ai quali si svolge sia il progetto scientifico newtoniano che la trattazione dei Principia trovano almeno in parte la loro origine nella sensibilità che Newton mostrò verso determinati temi e problematiche. Non bisogna tuttavia sottovalutare l’importanza dell’influenza esercitata su questa personalità dagli ambienti che Newton frequentò (in particolare l’università di Cambridge e la Royal Society a Londra) e dagli indirizzi di ricerca che vi erano più praticati: dall’inveterato aristotelismo che ancora permeava i corsi di studio universitari al baconismo preponderante tra i membri della Royal Society che univa il meccanicismo cartesiano alla convinzione di non poter elaborare nessuna conoscenza scientifica della natura che non fosse probabile e quindi non definitiva.

1.1. In lotta per la certezza

Quella della certezza è un’esigenza che Newton maturò sin dai primissimi anni della sua formazione30. Del resto la stessa situazione politica e universitaria sembrava ispirare un simile bisogno. Newton entrò al Trinity College nel 1661, l’anno seguente la restaurazione di Carlo II Stuart sul trono d’Inghilterra. Cambridge, all’epoca un

29 Su questa meccanica, che Newton definisce razionale (rationalis), si veda il capitolo 1.2.

30 Questo e i successivi paragrafi dedicati al problema della certezza e del metodo in Newton si basa

estesamente sui testi di N. Guicciardini “A brief introduction to the mathematical work of Isaac Newton”, “Analysis and synthesis in Newton’s mathematical work” e Isaac Newton on Mathematical Certainty and

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ricettacolo di simpatizzanti puritani, si trovava sotto la pressione del reinsediamento del monarca il quale, nonostante avesse optato per una politica cauta, specie nei confronti del Parlamento e delle personalità maggiormente coinvolte con l’esperienza del Protettorato, era sostenuto da un Parlamento dai forti sentimenti anglicani e realisti. Nel campo della filosofia il discredito in cui era caduta la filosofia aristotelica, ancora insegnata a Cambridge, aveva lasciato spazio a varie filosofie (da Bacone a Descartes a Hobbes) le cui implicazioni teologiche ne rendevano però problematica l’accettazione. In questo ambiente, nonostante sia stato inevitabilmente introdotto alle problematiche della filosofia attraverso il sistema aristotelico31, Newton si accosta in breve allo studio della matematica e della filosofia meccanica che, proprio in quegl’anni, riceveva le sue maggiori formulazioni con i Principia philosophiae di Descartes e il Syntagma

Philosophicum di Gassendi32. La lista dei libri, sceltissimi, che Newton studia in questi anni universitari33 comprende testi di John Wallis, van Schooten, François Viète e la

Geometria di Descartes34. A questi si aggiungono le altre letture che Newton fece in questo periodo35: Gassendi36, Galileo (di cui lesse sicuramente il Dialogo sopra i due

massimi sistemi e forse anche i Discorsi e dimostrazioni matematiche), Boyle, Hobbes e

More tra gli altri. Nel frattempo, nel 1663, veniva nominato Professore Lucasiano di matematica Isaac Barrow, che diverrà il principale referente di Newton a Cambridge e i cui studi matematici avranno un’importanza fondamentale per il pensiero matematico di Newton37. Ma la sanzione definitiva per Newton della necessità di uno strumento che

31 R.S. Westfall “The Foundations of Newton’s Philosophy of Nature” : 182.

32 Richard Westfall (“The Foundations” : 182) ha anzi suggerito che proprio queste letture abbiano in

breve tempo convertito il giovane Newton al principio fondamentale di una considerazione quantitativa piuttosto che qualitativa della natura e all’implicita concezione atomista di una natura i cui fenomeni sono prodotti da particelle di materia i cui moti si producono in accordo con le leggi meccaniche.

33 Una lista di questi libri stilata da Newton negli anni ’60 è riportata in Niccolò Guicciardini “A brief

introduction” : 384 (Table 9.1).

34 Van Schooten era stato l’editore olandese della Geometria di Cartesio alla quale aveva scritto anche un

commento.

35 R. Westfall, “The Foundations” : 172.

36 Se non lesse i testi originali, Newton ne consultò sicuramente l’epitome inglese edita da Walter

Charleton con il titolo di Physiologia (cfr. R.Westfall “The Foundations” : 172).

37 Guicciardini “A brief introduction” : 390 ss. – non si dimentichi peraltro che sarà proprio in favore di

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possa conferire certezza alle affermazioni circa la natura arriverà quasi un decennio dopo, al tempo del suo ingresso nella Royal Society.

La Royal Society si era costituita ufficialmente nel 1662 con l’esplicito intento di incoraggiare lo sviluppo della filosofia (in particolare la filosofia naturale) attraverso l’esame «di tutti i sistemi, le teorie, i principi, le ipotesi, gli elementi, le indagini, e gli esperimenti delle cose naturali, matematiche, e meccaniche»38. Gli interessi principali dei suoi membri, che spesso furono geniali cultori della ricerca naturalistica esterni rispetto agli ambienti della ricerca universitaria, si inscrivevano nell’ambito dello sperimentalismo di ispirazione baconiana concentrandosi in particolar modo nell’elaborazione di esperimenti e di strumenti scientifici. Alla base di questa linea di indagine era un approccio moderatamente scettico e probabilistico che aveva spinto al rifiuto (anche in funzione politica) di ogni posizione che si dichiarasse definitiva e delle personalità che avrebbero potuto farsene fautori39.

Quando Newton vi venne ammesso come membro nel 1672, in seguito alla presentazione del progetto per un telescopio a riflessione, era già professore lucasiano di matematica da tre anni e le sue posizioni in materia di filosofia naturale non potevano essere più distanti da quelle care ai soci della Royal Society. Nelle lezioni che Newton dovette obbligatoriamente depositare in quanto professore lucasiano si possono leggere pronunciamenti molto netti al proposito:

«Così, sebbene i colori appartengono alla fisica, tuttavia la loro scienza deve essere considerata matematica, nella misura i cui sono trattati col ragionamento matematico. Certo, dal momento che sembra che la loro scienza sia tra le più difficili <tra quelle> che il filosofo ricerca, spero di mostrare, per così dire, con l’esempio quanto valga la matematica

38 De Gandt, Force and Geometry : 3. Qui De Gandt cita lo statuto della Philosophical Society of Oxford,

primo nucleo della futura Royal Society. Gli atti fondativi concessi dal monarca Carlo II nel 1662 (Charta prima) e nel 1663 (Charta secunda - una terza Charta sarà emanata nel 1669 per garantire alla Royal Society alcuni privilegi) riportano come finalità dell'associazione la promozione delle arti e delle scienze e, in particolare di quegli studi filosofici «che con solidi esperimenti tentino o di formare una nuova filosofia o di perfezionare l'antica». Il testo originale (che non subisce variazioni tra la prima e la seconda stesura) recita: «Diu multùmque apud nos statuimus [...] artes atque scientias ipsas promovere. Favemus itaque omnibus disciplinis; particulari autem gratia indulgemus philosophicis studiis, praesertim iis quae solidis experimentis conatur aut novam extundere philosophiam, aut expolire veterem», The Record of

The Royal Society of London: 48, 69.

39 Guicciardini (“A brief introduction” : 396) nota al proposito che l’ammissione alla società non era

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nella filosofia naturale; e quindi esorto i geometri ad intraprendere un esame della natura più rigoroso e gli avidi di scienza naturale a imparare per prima la geometria; che i primi non consumino del tutto il loro tempo in speculazioni in nessun modo destinate ad essere di giovamento per la vita umana e i secondi, lavorando con diligenza sempre con un metodo inverso40, non siano continuamente delusi nella loro speranza; ma che grazie a geometri che

praticano la filosofia e filosofi che esercitano la geometria, invece delle congetture e delle <argomentazioni> probabili che sono fatte valere ovunque, raggiungiamo una scienza della natura finalmente confermata dalla più grande chiarezza»41.

È probabile che con ‘metodo inverso’ Newton alludesse ai testi più rappresentativi dell’approccio probabilista della Royal Society quali la Micrographia di Hooke o la

Scepsi scientifica di Glanvill. Quello che è certo è che a quest’altezza Newton

concepisce ormai la matematica come l’unica modalità di ragionamento capace di conferire certezza al discorso della filosofia naturale. Perciò quando Newton comunicò la sua New Theory about Light and Colors42, dove riferiva il celebre experimentum

crucis in base al quale sosteneva di poter affermare con certezza che i colori nei quali

era scomponibile la luce bianca derivavano dal grado di rifrangibilità, matematicamente misurabile, dei diversi raggi che componevano il fascio iniziale, nella Royal Society scoppiò il caso. La disputa con Hooke, strenuo difensore dell’approccio probabilista, fu aspra e incrinò irrimediabilmente i rapporti tra i due. Per Newton la vicenda fu ancora più frustrante43 e, si è pensato, che sia stato proprio questo l’evento alla base della ritrosia per la divulgazione e la pubblicazione delle scoperte che caratterizzerà tutta la

40 Il testo latino definisce questo metodo «praeposterus ordo» un sintagma attestato anche in Lucrezio (De re. nat. III, 621). La cosa, che di per sé parrebbe poco significativa, assume un significato diverso alla

luce dello studio compiuto da I. Bernard Cohen (“Quantum in se est”) che ha individuato in Lucrezio e nei temi lucreziani presenti nei Principia philosophiae di Descartes la fonte d’ispirazione della clausola “quantum in se est” diffusamente utilizzata da Newton nella redazione degli Axiomata sive leges motus.

41 Citato in Guicciardini, Isaac Newton on Mathematical Certainty : 19-20

42 “A Letter of Mr. Isaac Newton, Mathematick Professor in the University of Cambridge; containing his

New Theory about Light and Colors: sent by the Author to the Publisher from Cambridge, Febr. 6. 167271;

in order to be communicated to the R. Society” in P&L : 47-59.

43 Di fronte al crescere della polemica (alla quale intanto iniziavano a dare il proprio contributo altre

personalità del mondo scientifico quali Pardies, Linus e Huygens) Newton si rifiutò di recedere dalle proprie posizioni e nonostante i tentativi di conciliazione da parte di Hooke, non cercò mai di ripristinare un rapporto amichevole.

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sua produzione scientifica44. Certo è che Newton non presentò in maniera articolata questa profonda esigenza di chiarezza e di certezza cui la matematica era chiamata a rispondere neppure nei Principia. I riferimenti diretti che vi vengono fatti alla matematica, attraverso l’uso del termine mathesis e dei suoi derivati, sono infatti decisamente pochi e le informazioni più significative possono essere tratte, di nuovo, solo da accenni sparsi. È in particolare il paragrafo introduttivo al terzo libro dei

Principia a fornirci però qualche informazione in più.

Qui Newton informa il lettore che del tema del terzo libro egli aveva precedentemente prodotto una esposizione methodo populari ma che, prevedendo le dispute che una comprensione incompleta dei principi esposti nei primi due libri avrebbe causato, aveva trasferito l’essenziale di quel libro in proposizioni more mathematico «così che siano lette solamente da coloro che abbiano prima meditato i principi»45.

L’immagine della matematica che immediatamente emerge da queste righe è quella di una “misura cautelativa” che Newton aveva deciso di opporre a chi, indifferente all’indagine svolta, avesse intenzione di attaccare l’opera in maniera pretestuosa46. Ovviamente questa immagine sottintende una caratterizzazione più profonda del mezzo matematico. La forza “cautelativa" del metodo matematico si fonda infatti non soltanto, o meglio, non tanto sull’esclusione dei non competenti in materia ma, piuttosto, sulla sua capacità di fornire a chi è competente un metodo i cui risultati siano garantiti e, di conseguenza, una solida base sulla quale impostare un discorso47 che non offra il fianco a fraintendimenti più o meno interessati.

44 Newton pubblicò poco in vita e spesso solo dietro insistenze. Persino i Principia furono dovuti più alle

pressioni e alle garbate insistenze di Halley (che ne fu poi nominato editore per la prima edizione) piuttosto che alla volontà di Newton.

45 «ut ab iis solis legantur qui principia prius evolverint» ibidem 19-20.

46 È curioso notare (ma non è possibile sapere se sia soltanto un caso) che già Copernico aveva nutrito lo

stesso scrupolo quando, nella Prefazione al suo De revolutionibus orbium caelestium, scriveva: «Se per caso vi saranno ματαιολόγοι [ciarloni], che pur ignorando del tutto le matematiche, tuttavia si arrogano il giudizio su di esse, e in base a qualche passo della Scrittura, malamente distorto a loro comodo, ardiranno biasimare e diffamare questa impresa, non mi curo affatto di loro, in quanto disprezzo il loro steso giudizio come temerario […] La matematica si scrive per i matematici» Copernico, De revolutionibus, p. 23.

47 Abbiamo una testimonianza indiretta della assoluta solidità che Newton doveva attribuire alla

matematica dalla Prefazione di Roger Cotes alla seconda edizione (Editoris Praefatio in editionem

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Infatti quando parla dei principi soltanto matematici, presentati nei libri I e II come fondamento della trattazione filosofica (cioè le leggi e le condizioni dei moti e delle forze), Newton si riferisce a questi principi come a «quelli che riguardano maggiormente la filosofia»48. Qui è evidente che ciò che rende questi principi tanto adatti alla filosofia è il loro carattere matematico ovvero l’assoluta generalità (o l’universalità) che esso garantisce. Perché se è il carattere matematico a far sì che un principio riguardi in modo particolare la filosofia, e questa sembra almeno fondata su argomenti generali, allora ciò che il metodo matematico garantisce è proprio la generalità o l’universalità delle proprie affermazioni. Nella Prefazione Newton scriveva che nei Principia l’uso della matematica era stato limitato ai soli fini della filosofia, per dimostrare le proposizioni generali dei primi due libri. Questa determinazione epistemologica del mezzo matematico è sottolineata con forza ancora maggiore nello scolio alle definizioni49 in cui vengono trattati i termini (voces) ‘tempo’, ‘spazio’, ‘luogo’ e ‘moto’. Qui Newton distingue le quantità che questi termini indicano (quantità di tempo, spazio, luogo e moto) a seconda che siano considerate in relazione alle cose sensibili (quantità relative, apparenti, volgari) oppure in se stesse (assolute, vere,

matematiche): le prime sono soltanto le misure sensibili comunemente utilizzate al

posto delle quantità assolute e come tali sono soggette all’errore mentre le seconde sono i caratteri essenziali rispettivamente del tempo, dello spazio, del luogo e del moto stessi. Di fronte al problema della trattazione di queste proprietà e della relazione fra determinazioni assolute e relative, la cui confusione contaminerebbe la filosofia e la matematica rendendone i discorsi incomprensibili, Newton conclude dunque che essa dovrà svolgersi secondo una maniera di esprimersi insolita e puramente matematica (sermo…insolens et pure mathematicus). E questo perché soltanto la matematica, riducendo i fenomeni naturali (i moti e le forze che li causano) a quantità e ai rapporti tra quantità, permette dunque una trattazione chiara ed esatta, assicurando che il linguaggio dell’indagine naturalistica possa riferirsi con la massima certezza (in maniera assoluta e vera) alla realtà naturale e riferendo quanto ci è immediatamente percepibile attraverso i sensi alla struttura assoluta e vera dell’universo reale.

sempre indice di certezza e affidabilità assolute. Si noti, al proposito, che i termini che appartengono al campo semantico della matematica vi sono sempre accompagnati da verbi quali ‘demonstrare’, ‘consequi’, ‘combrobare’, che sottolineano la solidità inoppugnabile del ragionamento che essa permette.

48 «quae ad philosophiam maxime spectant» K-C : 549.8.

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Il probabilismo di matrice baconiana della Royal Society, contro il quale abbiamo visto attestarsi con tutta la sua forza il matematismo di Newton, non fu tuttavia l’unico obiettivo polemico della filosofia naturale newtoniana e della formulazione datane nei

Principia. La matematica del XVII secolo stava attraversando processi e sviluppi

radicali: la nascita dell’algebra simbolica a opera di Viéte, lo studio sul grande problema del calcolo delle aree delle curve piane (la cosiddetta quadratura delle curve) ma soprattutto la geometria cartesiana, stavano delineando una varietà di approcci le cui implicazioni, anche filosofiche, non potevano essere ignorate da Newton.

1.2. Analisi e sintesi

Abbiamo visto che la Prefazione ai Principia informa i lettori di come vi fosse sembrato opportuno «sviluppare la matematica, per ciò che concerne la filosofia». A questo riguardo non è un caso che nelle righe precedenti l’unico nome che compare sia quello di Pappo.

Pappo di Alessandria, geometra greco del III secolo d.C., era divenuto un punto di riferimento per i matematici sin dal 1588 quando erano state pubblicate per la prima volta le sue Collectiones geometricae, un’opera in otto volumi in cui Pappo riassumeva le elaborazioni geometriche dell’antichità. In particolare, nell’introduzione al settimo volume Pappo accennava a un metodo di analisi che la geometria greca avrebbe utilizzato per fare quelle scoperte che poi aveva divulgato secondo il metodo sintetico. In breve Pappo riferiva50 l’esistenza di un dominio dell’analisi elaborato per chi volesse risolvere i problemi che si presentavano alla geometria. L’analisi vi viene definita come il metodo in cui quanto viene cercato è posto come già ottenuto e, partire da questo, si cercano le cose che ne conseguono e quelle che lo precedono fino a che, procedendo a ritroso per questa via, si arrivi a qualcosa di già noto o che sia un principio primo. Opposta a questo metodo, la sintesi assume invece ciò che è già noto o è un principio primo secondo l’ordine naturale (cioè il risultato della via analitica) e, per mezzo della posizione e della composizione di questi elementi, giunge infine alla costruzione di ciò che era cercato. Oltre a ciò Pappo distingueva poi un’analisi teorematica e un’analisi

problematica, due procedimenti inversi all’analisi ed esposti a produrre risultati falsi o

impossibili.

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Queste affermazioni e in particolare l’assenza di un esame esteso del metodo analitico avevano aperto la discussione sull’analisi e la sintesi negli antichi ma soprattutto sulle possibilità che i moderni avevano di poter eguagliare i risultati cui Pappo accennava. In particolare il problema nasceva dal fatto che, all’interno del quadro tracciato da Pappo, l’analisi si configurava solo come uno strumento di lavoro e non il fine della geometria. Infatti i problemi e le loro soluzioni non trovavano posto nella rigorosa esposizione che i geometri antichi articolavano ricorrendo alla dimostrazione sintetica dei teoremi. In più a inizio XVII secolo algebra e geometria continuavano a essere considerate due discipline distinte: l’una diretta allo studio delle quantità continue, l’altra allo studio delle quantità discrete. Quale valore dare quindi ai nuovi strumenti di analisi matematica che proprio in quegli anni cominciavano a fare la loro comparsa? Una soluzione a questo problema sembrò fornirla Descartes che nella sua Geometria aveva unificato le due discipline51 sviluppando un metodo per tradurre un problema geometrico in un’equazione. Questo metodo si basava sulla distinzione data da Pappo tra risoluzione analitica e costruzione sintetica: il primo passo sarebbe stato ridurre il problema a un’equazione polinomiale da determinare riducendola a una sola incognita e quindi da risolvere in modo da trovare la radice reale dell’equazione. A questo scopo potevano essere impiegati i metodi di calcolo per equazioni di grado anche superiore al quarto elaborati già durante il XVI secolo. Il problema si poneva però quando si fosse voluto trasporre questo primo passaggio analitico in un’operazione sintetica: come riuscire a costruire una figura che rappresentasse la soluzione dell’operazione algebrica? Per risolvere questo problema Descartes utilizzava quindi la seconda parte del suo metodo (quella sintetica) denominata “costruzione dell’equazione”: accettata l’idea tradizionale che una simile costruzione dovesse essere prodotta dall’intersezione di due curve, bastava scegliere le curve l’intersezione delle quali avrebbe determinato segmenti la cui lunghezza rappresentava geometricamente la soluzione (e cioè la radice reale) dell’equazione52. A questa costruzione Descartes poneva un’unica condizione: che si utilizzasse qualsiasi curva purché l’equazione corrispondente fosse della minore complessità possibile; e proprio in forza di questa condizione aveva proceduto a escludere dalla sua trattazione alcuni tipi di curve di forma algebrica particolarmente complessa in quanto mancanti di esattezza.

51 Questo programma di unificazione di geometria e algebra fu contemporaneamente portato avanti anche

da Viéte e Fermat.

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Agli occhi di Newton un simile metodo presentava almeno due caratteristiche inaccettabili. Da un lato esso si limitava a quantità finite, utilizzando cioè soltanto equazioni che fossero costituite da un numero finito di termini. Questo approccio era stato comune nell’elaborazione algebrica del primo XVII secolo: non solo Descartes ma anche François Viéte e William Oughtred ne avevano fatto uso. Gli sviluppi più recenti avevano però indicato una strada diversa: in Inghilterra, nell’ambito dello studio delle curve, John Wallis era riuscito a mettere a punto procedure di approssimazione all’infinito (serie e prodotti infiniti) che avevano aperto nuove direttrici di sviluppo per la matematica e Newton, che come altri suoi contemporanei sentiva la necessità di utilizzare quantità infinite o infinitamente piccole per i suoi studi matematici, non mancò di riconoscere le possibilità insite in queste procedure che definì col nome di new

analysis, in contrapposizione alla common analysis di Descartes, Viéte e Oughtred.

Dall’altro lato, subordinando la costruzione della figura alla sua equazione algebrica, il metodo cartesiano riconosceva alla forma simbolica e ai suoi enti discorsivi una realtà maggiore di quella attribuita alla figura stessa. Questo secondo aspetto si inscriveva in una questione particolarmente discussa nella matematica del XVII secolo. Infatti con la diffusione delle prime opere dedicate all’algebra simbolica, questa nuova disciplina aveva in breve tempo acquistato una folta schiera di sostenitori che ne incoraggiavano l’uso in particolare per la sua chiarezza rispetto alla ridondanza delle dimostrazioni sintetiche della geometria classica. Parallelamente a questo entusiasmo si era però diffuso anche un altro atteggiamento, più cauto, che pur apprezzando le qualità dell’algebra simbolica non mancava però di sottolineare l’ambiguità dei suoi mezzi (i nuovi simboli e le formule) e la mancanza di una precisa definizione del loro statuto ontologico. Per Newton, in particolare, i mezzi euristici dell’analisi mancavano il punto fondamentale del rapporto tra matematica e realtà. Se il fine della matematica è rappresentare in maniera chiara e certa i fenomeni esistenti, come si può affermare di dover partire da un’equazione piuttosto che dalla figura tracciata in natura53? Si prendano ad esempio due coniche: il cerchio e l’ellisse. Analizzate secondo il metodo

53 Si noti che il piano puramente matematico non rappresentò per Newton l’unico motivo per rifiutare

questo approccio analitico. Infatti nella subordinazione della figura reale alla formula discorsiva Newton probabilmente ritrovava l’atteggiamento ipotetico su cui si basava la fisica di Descartes che cercava di spiegare i fenomeni naturali introducendo a priori modelli meccanici da cui dedurre la realtà osservata. Conseguenza inevitabile per questa fisica (e inaccettabile per Newton) fu l’impossibilità di rifiutare la medesima capacità esplicativa a modelli meccanici anche inconciliabili.

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cartesiano, queste due figure costruiscono due equazioni equivalenti, ma se si passa a considerare i processi con i quali queste due figure vengono costruite la semplicità nella costruzione del cerchio rispetto alla più complessa costruzione dell’ellisse diviene lampante. L’evidenza di questo esempio portava Newton a concludere che, nella realtà naturale, non fosse l’equazione a produrre la curva, bensì la sua costruzione e cioè la relativa semplicità nel descriverla e, di conseguenza, che nella geometria le curve dovessero essere considerate cinematicamente, in quanto descritte dal moto di un punto – una considerazione per la quale l’efficienza algoritmica dell’equazione finiva per divenire irrilevante. Non solo: a partire da questa posizione (condivisa anche da altri matematici dell’epoca, come Huygens o Barrow) Newton procedeva a delineare un legame tra geometria e pratica meccanica in base al quale la conoscenza delle figure geometriche si realizzava nella conoscenza della loro genesi e per il quale padroneggiare la genesi meccanica delle figure, permettendo la conoscenza della loro natura, assicurava un vantaggio epistemologico sull’algebrista secondo il motto per cui si conosce ciò che si costruisce e non ciò che si calcola.

Questa concezione innerva tutta l’esposizione dei Principia ed è alla base di quella

meccanica razionale che, secondo la Prefazione, costituisce il fondamento di una

filosofia della natura certa, in quanto ne studia matematicamente gli elementi costituitivi: i moti in quanto effetti dell’azione di forze. Nel testo della Prefazione, dopo aver annunciato l’uso della matematica per ciò che concerne la filosofia, Newton continuava caratterizzando questa matematica nei termini di una meccanica razionale:

«In realtà gli antichi costituirono la meccanica come duplice: razionale, che procede accuratamente per dimostrazioni, e pratica. Alla pratica spettano tutte le arti manuali dalle quali in particolar modo la meccanica ha derivato il nome. Ma poiché gli artigiani [artifices] sono soliti lavorare con poca esattezza, l’intera meccanica è stata distinta dalla

geometria, riferendo ciò che è accurato alla geometria, ciò che è meno accurato alla meccanica. Ma tuttavia gli errori non sono dell’arte ma degli artefici [artifices]. Chi lavora

meno accuratamente è un meccanico più imperfetto, e se qualcuno potesse lavorare nella maniera più accurata, questo sarebbe il meccanico più perfetto di tutti. Infatti la descrizione delle linee rette e dei circoli, sui quali la geometria si fonda, appartengono alla meccanica. La geometria non insegna a descrivere queste linee, ma le postula […] descrivere rette e circoli sono problemi, ma non geometrici. Dalla meccanica si postula la loro soluzione, nella geometria si insegna l’uso delle soluzioni […] La geometria si fonda dunque sulla prassi meccanica, e non è altro che quella parte della meccanica universale che propone e

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