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Parte II. La critica hegeliana a Newton

3. La confutazione della meccanica newtoniana

3.2. Forza e materia

Alla radice della critica che abbiamo visto insistere sui caratteri filosoficamente problematici della metodologia impiegata dalla filosofia sperimentale di Newton e dei newtoniani non c’è però il mero rifiuto di un procedimento, quello della costruzione dell’oggetto naturale a partire dai suoi elementi determinati come dati. Questo procedimento trova infatti la giustificazione della sua efficacia non tanto dalla sola determinazione di rapporti matematici nel corpo materiale della natura ma, piuttosto, in quanto filosofia naturale, dalle realtà naturali e, in fondo, dai concetti di forza e di

217 Si veda ad esempio la trattazione enciclopedica del luogo come momento del passaggio dalla idealità

astratta di spazio e tempo all’esistenza reale e concreta, un passaggio che «per l’intelletto è inconcepibile e gli appare come qualcosa di estrinseco e come un dato» (ENZ § 261).

218 Cfr. ENZ § 246 Z «La filosofia attuale viene chiamata filosofia dell’identità; sarebbe molto più giusto

attribuire tale nome a questa fisica che semplicemente lascia cadere le determinatezze […] Il difetto di questa fisica sta nel situarsi troppo nell’identico, giacché l’identità è la categoria fondamentale dell’intelletto». E ancora ENZ § 265 Z «tuttavia possiamo fare a meno di questo regno di forze, poiché i teoremi della meccanica in merito sono grandemente tautologici».

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materia cui tali rapporti vengono riferiti. È dunque la determinazione di tali concetti di forza e di materia su cui si fonda l’edificio dei Principia ciò che ne giustifica la trattazione e le permette di proporsi come discorso speculativo riguardo l’elemento naturale219. Ma nella scienza meccanica, scrive Hegel

«poiché essa resta estranea alla vita della natura, non può esserci altra nozione primitiva della materia se non la morte, che chiamiamo forza di inerzia, cioè indifferenza verso la quiete e il movimento. Questa materia non è altro che la nozione più astratta dell’oggetto, cioè dell’assolutamente opposto. Allora, si prende dall’esterno, aggiungendola ad essa, tutta la varietà che si scopre nella materia, anche quella che si conosce dal movimento; e si riconosce, attraverso l’esperienza e per induzione, che la gravità è una qualità della materia universale»220.

È infatti solamente sulla base di questo concetto della materia come inerte, provvista di una forza interna che si rivela però priva di qualsiasi effetto221, che la meccanica newtoniana può procedere alla realizzazione del suo edificio fondato sui due pilastri dei moti e delle forze che li causano agendo sui corpi222. Per analizzare al meglio questo punto converrà però partire dall’approdo cui giunge Hegel e, da qui, risalire ai fondamenti sui quali articola il suo discorso.

Per Hegel la gravitazione è «il concetto vero e determinato della corporeità materiale, che si è realizzato come idea»223 e solo in esso si può dire di essere giunti alla verità del fenomeno planetario e della natura che esso ci mostra. È innegabile che nell’elaborare questo concetto, Hegel avesse subito una forte influenza da quella nozione profonda che è la gravitazione universale di Newton. Ma qual è la differenza tra la gravitazione filosofica di Hegel e la gravitazione universale della meccanica di Newton?

219 Come K.-N. Ihmig ha correttamente osservato (“Hegel’s Rejection” : 401), la critica hegeliana alla

fisica meccanica si appunta sul modo in cui Newton ha definito e applicato il concetto di forza, articolandosi secondo tre direttrici critiche: la ricostruzione newtoniana dei moti planetari sulla base del parallelogramma delle forze; la mancanza di chiarezza sul significato effettivo di una spiegazione

matematica della forza; le implicazioni della derivazione del concetto di forza da un concetto di materia

considerata, allo stesso tempo, come inerte e quantificabile.

220 DOP : 246.36-247.4 [39-41].

221 È lo stato inerziale, definito dalla vis insita nel corpo, come stato di moto o quiete. 222 ENZ § 264.

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Nella nota al paragrafo 269 dell’Enciclopedia Hegel scrive che:

«La gravitazione universale deve essere riconosciuta per sé come una nozione profonda, sebbene abbia già suscitato attenzione e fiducia principalmente per la determinazione quantitativa ad essa connessa e la sua prova sia stata riposta nell’esperienza seguita dall’alto del sistema solare fino al basso costituito dal fenomeno dei capillari; perciò essendo colta nella sfera della riflessione, ha anche soltanto il significato dell’astrazione in generale e, più concretamente, soltanto quello della gravità nella determinazione quantitativa della caduta, e non il significato dell’idea indicata nella sua realtà»224.

Newton è riuscito a individuare un elemento importante per lo studio scientifico della natura. Allo stesso tempo, nel sottometterlo alla metodologia matematica, egli lo ha però svuotato della sua pregnanza speculativa, privandolo di quello spessore che agli occhi di Hegel lo rende lo sviluppo realizzato della natura in tutte le sue determinazioni individuabili nella materia bruta. Due infatti sono i presupposti sui quali si basa la determinazione quantitativa225 (e quindi riflessiva) della gravitazione universale: la riducibilità della forza a quantità e la possibilità di comprendere la gravitazione nei termini di una gravità generalizzata.

Riguardo quest’ultimo punto è opportuno sottolineare come Hegel faccia un uso tutt’altro che promiscuo ma, al contrario, consapevole e distinto delle due nozioni di gravità (Schwere) e gravitazione (Gravitation). Come appare chiaramente dai termini tedeschi la gravità, per Hegel, è intesa nel senso proprio del termine latino ‘gravitas’: la proprietà di ciò che è grave e, come tale, ha un peso. Essa infatti è

«la riduzione della particolarità essente reciprocamente estrinseca, e al tempo stesso continua, a unità come relazione negativa a sé, alla singolarità, alla soggettività una (tuttavia ancora interamente astratta»226.

224 ibidem.

225 Accanto a questa determinazione quantitativa, che esprime la proporzionalità della forza di gravità

all’inverso del quadrato delle distanze, esiste anche una formulazione qualitativa della stessa forza che la definisce proporzionale alla quantità di materia che ogni corpo contiene. Sembra però che questa seconda formulazione non abbia mai goduto della fortuna incontrata dalla prima (Ihmig, “Hegel’s Treatment : 367-368).

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Nella dimensione della gravità non abbiamo ancora un grado della natura che si sia realizzato come la materia effettivamente universale e perciò concreta. Certo, qui la natura si manifesta già nella forma distinta e particolare delle masse corporee (ENZ § 263) ma allo stesso tempo non appare essere altro che queste masse, prive di ogni ulteriore caratterizzazione. La gravità inerisce dunque a una materia distinta soltanto quantitativamente che, di conseguenza, giace in sé indifferente e inerte rispetto a quanto ha di esterno. E la meccanica fisica riesce nel suo tentativo di elaborare un discorso sulla natura in quanto ridotta a sole quantità basandosi soltanto su questa nozione parziale e astratta di una materia morta, comprendendone la tensione, che essa possiede in quanto relazione negativa a sé, a porre fuori da se stessa un proprio centro di gravità (ENZ § 266) nei termini astratti di una causa esterna rispetto alla quale essa rimane perennemente estranea.

Certo, per Hegel, ogni prospettiva è necessaria ma, presa come singola, essa è soltanto unilaterale227. L’effetto naturale considerato come operato soltanto dall’esterno è perciò puramente contingente e per quanto si fondi su una reale determinazione della materia, esso non mostra la necessità che si richiede a un discorso speculativo sulla natura. È per questo che la fisica meccanica, basando la propria formulazione della legge di gravitazione sulla legge d’inerzia, dimostra di non comprendere propriamente né l’una né l’altra. Col chiudersi nella rete dei rapporti stabiliti tra le quantità di nozioni astratte, l’intelletto che opera in essa ha disconosciuto «l’identità e inscindibilità razionale dei momenti» nei quali si articola la gravità come realtà concreta ed effettiva. Piuttosto essa li rappresenta come indipendenti nelle due forze centripeta e centrifuga (di cui la gravità è invece l’unità228) ed impedisce alla ragione e al concetto di penetrare la realtà dei fenomeni, impegnandosi invece nella produzione di una grande quantità di forze che la stessa natura ignora229. Ma così si è prodotto solamente una massa di determinazioni intellettive, che nella loro astrattezza e generalità non costituiscono un vero discorso filosofico sulla natura ma soltanto un’ingombrante metafisica che nell’assoluto dogmatismo dei suoi principi non dimostra altro che questi. Il newtonianismo ha dunque inteso la grande meccanica celeste solo in un senso esteriore come meccanismo causale che non vive di vita propria ma ha sempre necessità di un agente esterno che in ogni

227 ENZ § 269 Z. 228 ENZ § 262.

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momento ne garantisca la realtà effettiva e solo in questo modo essa ha potuto ritenere di considerare adeguatamente l’oggetto naturale.

Ed è l’inappropriatezza concettuale di questa metafisica totalmente estranea alla natura che permette a Newton, pur riposando sui soli fenomeni, di staccarsi dalla loro parzialità ed elaborare un discorso che pur valendo solo per quelle realtà parziali ambisce a una validità assoluta. Nella misura in cui si basa su una determinazione vera per quanto parziale della materia, Newton ha individuato infatti una proprietà vera della materia. Ma nel farlo attraverso la riflessione che rifugge la fluidità del concetto, egli si è consegnato alla mancanza di pensiero della rappresentazione e dell’intelletto230. In altre parole il valore delle leggi che Newton pretende di aver scoperto nella natura può essere compreso soltanto invertendo l’intero processo attraverso il quale essi si sono formati231 e tornare dalla legge matematica allo stesso fenomeno naturale dal quale essa è sorta. I rapporti evidenziati da Newton, per quanto caratteristici di una materia astratta, valgono in effetti nella realtà naturale, ma soltanto per i corpi terrestri che Hegel definisce privi di ipseità232. Solo essi possono realmente cadere e verificare così la legge newtoniana della gravità come attrazione tra i corpi. Nell’elaborare la propria teoria e nel darne dimostrazione, Newton ha dunque presupposto quanto doveva invece dimostrare. La gravitazione universale di Newton piuttosto che la legge della natura per la quale i corpi, nella loro determinazione universale, gravitano in un sistema, è invece soltanto la generalizzazione impropria della legge della caduta di Galilei. Se infatti nel sistema formato da più corpi nessuno di essi cade realmente su un altro ma tutti hanno allo stesso tempo un centro in sé (il punto rispetto al quale essi ruotano e si costituiscono come singolarità concrete: come pianeti) e un centro fuori di sé (il centro del sistema, rispetto al quale nessuno dei corpi celesti è indifferente ma gli orbita attorno secondo il rapporto scoperto da Keplero), ciò è esattamente la negazione dei presupposti e delle condizioni che rendono possibile il fenomeno della caduta (la pesantezza – Schwere – e la mancanza di un centro proprio, la sostanziale inerzia che essa manifesta) e con essa la validità della fisica meccanica.

230 ENZ § 261 A. 231 ibidem.

232 ENZ § 264 A. Si veda al riguardo anche il paragrafo con cui si apre la Dissertatio «A eccezione di

quelli celesti, tutti i corpi che la natura crea, pur esprimendo – perfetti nel loro genere – la figura dell’universo, per ciò che riguarda la prima forza della natura, che è la gravità, non bastano a se stessi e periscono oppressi dalla forza del tutto» (DOP : 237.1-3 [3]).

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Pertanto, anche la netta distinzione che Hegel traccia tra mondo terrestre e mondo celeste, andrà considerata non tanto come l’atto di fede nella fisica aristotelica che gli è stato sempre rimproverato né una ulteriore prova del suo caparbio rifiuto della scienza moderna. Al contrario, nell’aver sottolineato come la fisica meccanica possa realmente valere soltanto come generalizzazione del particolare e non invece, come elevazione del particolare all’universale, come scoperta dell’universale che si cela nel particolare, Hegel chiede di fare attenzione. Il discorso matematico, in quanto totalmente altro dalla natura, può benissimo fare a meno di prestare attenzione al concetto e al suo realizzarsi nella natura e confondere così il peso con la gravitazione, la caduta con l’orbitare. Ma la fisica come tale non potrebbe altrettanto: seguendo le orme di Newton essa si condanna a un destino privo di pensiero in cui ogni suo elemento è assimilato agli altri e nessuna distinzione reale è possibile. Tutto nella natura è materia ma non per questo tutto è la stessa materia. E come un pensiero buono ed uno cattivo sono entrambi pensieri ma non per questo l’uno è identico all’altro, per il fatto di essere pensieri, così certamente tutti fenomeni che possiamo sperimentare in maniera diretta sono soltanto terrestri ma questo non significa che tutti i fenomeni naturali, per il fatto stesso di essere fenomeni, riguardino realtà identiche a quella terrestre.

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