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Il caso Pannon e le sue implicazion

Nel documento La sanabilità delle nullità contrattuali (pagine 182-200)

2. IL CONTRATTO NULLO CONVALIDABILE

2.2 La convalida nella giurisprudenza europea sulla rilevabilità d’ufficio delle nullità

2.2.3 Il caso Pannon e le sue implicazion

La prima153 delle sentenze in esame è, probabilmente, ai nostri fini, la più significativa, ma non si deve ritenere che essa si sia posta su una linea di rottura rispetto ai precedenti appena ricordati. Al contrario, essa si colloca in una posizione di continuità con essi e ne ribadisce il principio, favorevole alla rilevabilità ufficiosa delle nullità protettive, con riferimento ad un caso postosi dinanzi ai giudici nazionali di uno Stato entrato da poco nell’Unione154.

Ciò che rende la decisione interessante, anche per gli ordinamenti in cui tali principi erano già penetrati, per effetto delle pronunzie precedenti, è un’ulteriore puntualizzazione, che i giudici europei svolgono in questa occasione. Infatti, nel descrivere il meccanismo del rilievo ufficioso, la

153 CGCE, 4 giugno 2009, sulla causa C-243/08, caso Pannon, in Contratti, 2009, pp.

1115 e segg., con nota di MONTICELLI, La rilevabilità d’ufficio condizionata: il

nuovo atto della Corte di Giustizia.

154 Il caso nasce, infatti, in Ungheria, uno Stato che è membro dell’Unione solo dal 1

Corte chiarisce che il giudice nazionale non potrà procedere in tal senso qualora il consumatore vi si opponga.

Viene, quindi, precisato il procedimento che il giudicante deve seguire, di fronte ad una clausola che egli ritenga abusiva. Egli, come più volte affermato nelle sentenze precedenti, ha l’obbligo di esaminare d’ufficio la questione, anche se nessuna delle parti l’ha sollevata. Dovrà, però, necessariamente interpellare il consumatore, per informarlo della natura e delle conseguenze del giudizio di abusività, e rimettere a lui la decisione finale sul punto. Infatti, solo se questi non si oppone, il giudice potrà pronunciare la nullità della rilevata clausola abusiva.

Ci sembra che, in questo modo, si sia finalmente chiarito che cosa debba intendersi per rilevabilità ufficiosa “condizionata” all’interesse del consumatore “in concreto”. Infatti, quella che poteva apparire come una formulazione un po’ vaga e compromissoria, si specifica ora in un ragionevole meccanismo procedimentale, volto a contemperare il doveroso intervento del magistrato con il rispetto della volontà del contraente protetto. In sostanza, il problematico “accertamento in concreto dell’interesse del consumatore” consisterà, semplicemente, nell’interrogazione della volontà del consumatore stesso.

Ad alcuni è parso che il dictum in esame sia privo di ogni rilevanza pratica, dato che il consumatore non potrebbe avere mai interesse ad opporsi al rilievo della nullità, propostogli dal giudice in sede di interpello155. Al contrario, riteniamo che sia possibile individuare varie ipotesi in cui un tale interesse, con ogni probabilità, sussiste.

155 Cfr. PAISANT, L’obligation de relever d’office du juge national, in Sem. jur.,

2009, 42, p. 36: “on immagine … assez mal le consommateur, dument informè de

Un caso concreto, ad esempio, emerge dall’esame della nostra giurisprudenza interna, anche precedente al caso Pannon.

Si è posto, infatti, il problema della rilevabilità ufficiosa della nullità di una clausola compromissoria, abusiva ex art. 33, comma 2, lettera t, cod. cons. In sostanza, è accaduto che fosse il consumatore convenuto ad invocare l’applicazione della clausola compromissoria, per far dichiarare improcedibili le domande avanzate dal professionista, fattosi attore dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria. In un caso del genere, non può certamente essere il professionista a far valere la nullità della clausola, trattandosi di un’invalidità relativa, ma potrebbe essere il giudice a rilevarla d’ufficio. Ebbene, di fronte ad una chiara manifestazione della volontà del consumatore di avvalersi della clausola compromissoria, un giudice di merito ha ritenuto precluso il proprio potere di rilevo ufficioso156.

Può essere interessante osservare che l’argomentazione della decisione si è basata sulla ratio di alcune delle decisioni europee già ricordate157. In tal modo, il magistrato ha sostanzialmente anticipato le conseguenze che, dalla medesima ratio, avrebbero poi tratto gli stessi giudici comunitari.

Si può ipotizzare un’ulteriore variante della stessa ipotesi. Basti pensare al caso in cui il lodo, pronunciato all’esito di un procedimento arbitrale, attivato in esecuzione di una clausola compromissoria abusiva, sia stato favorevole al consumatore. Quest’ultimo, quindi, potrebbe avere tutto l’interesse a che la nullità non venga dichiarata, e resti ferma l’efficacia

156 Trib. Terni, 22 gennaio 2007, in Giur. it., 2007, pp. 2746 e segg.

157 Nella motivazione della sentenza umbra si fa espresso riferimento alla citata

della decisione arbitrale. Naturalmente, il professionista soccombente non può impugnare il lodo facendo valere la nullità della clausola abusiva, sempre in considerazione della relatività dell’invalidità in questione. Può, però, accadere che sia il consumatore a dover adire le vie giudiziali, per chiedere l’esecuzione del lodo ex art. 825 c.p.c., e che, in questa sede, il magistrato ravvisi l’abusività della clausola e, quindi, la potenziale invalidità dell’intero procedimento arbitrale. Parrebbe, dunque, necessario, anche, in tal caso, condizionare il rilievo ufficioso alla manifestazione di volontà del consumatore, in modo da evitare che la normativa di protezione possa condurre ad esiti totalmente antitetici rispetto alla sua stessa ratio158.

In termini non dissimili andrebbe impostato il problema di una clausola derogatoria della competenza159, abusiva ex art. 33, comma 2, lettera u, cod. cons. In tal caso, la questione potrebbe sorgere, qualora sia lo stesso consumatore ad adire il giudice indicato dalla clausola. Il magistrato potrebbe, quindi, ravvisare i presupposti per dichiarare la propria incompetenza territoriale, alla luce della consolidata giurisprudenza sul cd. foro esclusivo del consumatore160. In un caso del genere, appare

158 Cfr. D’AMICO, op. cit., pp. 24-25, nt. 54.

159 Si può osservare che era stata una clausola di questo genere a dare occasione alla

sentenza Pannon. Se proprio in questa circostanza i giudici europei hanno ritenuto di esprimere il principio in esame, si può ipotizzare che anch’essi abbiano ritenuto che, in tali fattispecie, potrebbero certamente ricorrere ipotesi in cui sia nell’interesse del consumatore opporsi al rilevo ufficioso della nullità.

160 Infatti, la previsione legislativa in punto di abusività della clausola derogatoria

viene intesa dalla giurisprudenza come istitutiva di una competenza territoriale esclusiva per il giudice del luogo dove il consumatore ha la residenza o il domicilio elettivo: cfr. Cass., Sez. Un., 1 ottobre 2003, n. 14669, in Giur. it., 2004, p. 729. Dopo questo intervento delle Sezioni Unite, a tale interpretazione si è uniformato un

evidente l’importanza della funzione che può svolgere l’interpello del consumatore.

Potrebbe, infatti, accadere che egli abbia adito il giudice incompetente per mera inconsapevolezza dei propri diritti, o per effetto di un errore tecnico del difensore. In tal caso, non si opporrà certamente al rilievo ufficioso, dato che esso gli consentirà di riavviare il processo in una sede per lui più agevole e meno costosa161.

Però, potrebbe anche darsi il caso di una scelta consapevole, dovuta alla specifica situazione di detto soggetto. Una vicenda di questo genere è già arrivata all’attenzione della nostra giurisprudenza di legittimità. In particolare, è accaduto che dei consumatori avessero adito il Tribunale indicato in una clausola derogatoria della competenza, presente, nella medesima formulazione, nei contratti di cui erano parti, invece di quei Tribunali, tutti diversi fra loro, che sarebbero stati competenti, in applicazione della regola del foro del consumatore162. Ciò era accaduto per effetto di una precisa scelta di tali soggetti, mirante ad unificare le controversie, data la loro natura seriale, così da garantire l’uniformità del giudicato e, soprattutto, il contenimento dei costi ed una maggiore

compatto orientamento giurisprudenziale: si veda, ex multis, Cass., 26 aprile 2010, n. 9922, in Assicurazioni, 2010, p. 576.

161 Si pensi ai costi ed agli incomodi, che possono sorgere dalla necessità di recarsi

presso un Tribunale lontano dalla propria residenza, nonché all’incremento presumibile delle spese legali, connesso alla nomina di un domiciliatario. Come osservano, i giudici europei è possibile che tutto ciò induca il consumatore a rinunciare alla tutela legale, specie nei casi in cui, come è frequentissimo nei rapporti di consumo, la posta in gioco, dal punto di vista economico, sia piuttosto bassa.

162 Nel caso di specie, trattandosi di contratti a distanza, era applicabile anche l’art.

63 cod. cons. che positivizza espressamente la regola di inderogabilità del foro del consumatore.

rapidità processuale. Il giudice ha, però, ritenuto di declinare la propria competenza, rilevando la nullità della clausola derogatoria. Tale decisione è stata, quindi, impugnata ex art. 42 c.p.c. e la Suprema Corte ha accolto il ricorso, affermando che non si ravvisa un fondamento logico e razionale, che consenta al giudice di impedire al consumatore di avvalersi della clausola derogatoria, qualora lo ritenga più rispondente al proprio interesse163.

Come ognun vede, si tratta di una casistica tutt’altro che infrequente nell’ambito del contenzioso consumeristico, che spesso assume caratteri seriali, se non di massa. La decisione della Cassazione, pienamente coerente ai principi derivabili dalla giurisprudenza comunitaria, si lascia, quindi, apprezzare per la ragionevolezza del risultato cui perviene. Diversamente opinando, la normativa sulle clausole abusive si trasformerebbe, paradossalmente, in un significativo ostacolo alla tutela processuale dei diritti dei consumatori. D’altra parte, ci sembra che il risultato in questione si raggiunga più agevolmente col richiamo al meccanismo dell’interpello, descritto in sede europea, piuttosto che con invocazioni all’accertamento dell’interesse in concreto, che possono, per la genericità del criterio proposto, sempre prestarsi ad utilizzi inappropriati164.

163 Cass., 8 febbraio 2012, n. 1875, in Contratti, 2012, con nota di PAGLIETTI.

Cfr. anche Cass., 16 aprile 2012, n. 5974, in Giur. it., 2012, pp. 990-991.

164 Nel caso che si è appena riferito, sembra improbabile che il giudice del Tribunale

di Milano non si fosse reso conto che i consumatori avevano un interesse a radicare la causa nella sua giurisdizione, ma possono aver avuto la meglio altre considerazioni, attinenti alla mera opportunità di non sovraccaricare l’ufficio con tutta la mole dei procedimenti in questione. Il meccanismo di interpello del

Del resto, anche in una causa promossa da un singolo consumatore, può accadere che risulti più conveniente avvalersi della clausola derogatoria. Si può, ad esempio, ipotizzare che egli, pur avendo ancora la residenza o il domicilio nell’ambito territoriale di quello che sarebbe il foro del consumatore, dimori, però, effettivamente, o svolga, comunque, una parte significativa delle proprie attività, nel territorio del diverso foro indicato dalla clausola abusiva. Pertanto, egli troverà più facile agire giudizialmente in tale sede e potrebbe anche darsi che abbia maggior fiducia nei professionisti legali del luogo. In questo caso, o in altri similari, il consumatore non ha nessun interesse a che sia dichiarata l’incompetenza del giudice adito, che comporterebbe per lui solo un rinvio temporale della decisione e, probabilmente, anche una condanna al pagamento delle spese processuali per la lite da lui instaurata dinanzi al giudice incompetente.

Peraltro, non si può escludere che, anche qualora si sia semplicemente verificato un errore tecnico, al consumatore possa, comunque, convenire che la causa prosegua là dove è stata instaurata. Infatti, il ritardo nella decisione, e la eventuale condanna alle spese, potrebbero costituire uno svantaggio più grave di quelli che gli derivano dal fatto che il foro non è quello che sarebbe dovuto essere. Ciò vale, in particolar modo, nel caso in cui il foro, indicato dalla clausola abusiva, non sia particolarmente disagevole, sul piano geografico, per il consumatore stesso, in considerazione della relativa vicinanza e dello stato delle comunicazioni. Di conseguenza, sembra ragionevole che, in tutti i casi di questo genere, il consumatore possa esplicitare, in sede di interpello, la propria volontà

consumatore, riducendo gli spazi di discrezionalità del magistrato, ne impedisce questi usi poco appropriati.

che la nullità della clausola abusiva derogatoria della competenza non venga pronunziata, in modo da vincolare il giudice adito a non dichiararsi incompetente165.

Si potrebbe anche ipotizzare il caso, un po’ anomalo, in cui il professionista convenga il consumatore dinanzi al foro esclusivo e sia il consumatore stesso a richiedere l’applicazione della clausola derogatoria della competenza. Come si vede, il caso assomiglia molto a quello già indicato per la clausola compromissoria, e andrebbe, quindi, risolto alla stessa maniera.

In dottrina, è stata, poi, individuata un’ipotesi ulteriore, in cui può ravvisarsi un interesse del consumatore al mantenimento della clausola abusiva. Si pensi ad una clausola attributiva di un diritto di recesso senza preavviso, in favore del professionista, e quindi abusiva ex art. 33, comma 2, lettera h, cod. cons. Può accadere che, in seguito all’esercizio di tale diritto, il consumatore trovi sul mercato un’offerta di gran lunga migliore di quella del primo professionista. Si tratta di un’evenienza non così improbabile, specie con riguardo a mercati in cui l’evoluzione tecnologica, o l’incremento della concorrenza, possono mutare rapidamente le condizioni economiche dei vari soggetti. In tal caso, il consumatore avrà tutto l’interesse a restare svincolato dal primo contratto, senza correre il rischio che un’eventuale declaratoria di abusività della clausola travolga anche l’efficacia dell’atto di recesso, posto in essere dalla controparte, e faccia, quindi, risorgere la piena vincolatività del precedente rapporto contrattuale166. Anche in questa

165 Cfr. D’AMICO, op. loc. ultt. citt.

fattispecie, dunque, il meccanismo sopra descritto potrà svolgere efficacemente la sua funzione.

Naturalmente, si potrebbero trovare altri casi particolari in cui si presentino le medesime ragioni di tutela. Più in generale, però, ci sembra che l’utilità del procedimento in questione emerga ancora di più con riguardo ai casi di abusività che non si riconnettono a specifiche disposizioni normative, come quelle degli esempi appena riferiti. Bisogna, infatti, prendere in considerazione anche e soprattutto quelle ipotesi in cui l’abusività viene ravvisata dal giudicante in applicazione di clausole generali, come il significativo squilibrio o l’abuso di dipendenza economica.

Può, dunque, accadere, nel corso delle più varie liti in materia contrattuale, che un giudice consideri “squilibrata” una pattuizione che al contraente protetto non sembra affatto tale. Probabilmente, non è possibile ridurre la discrezionalità giudiziaria, che è insita nell’uso di queste clausole, necessarie per contrastare un fenomeno, multiforme ed in continua evoluzione, quale è l’abuso della autonomia contrattuale. Però, è certamente opportuno consentire al contrante protetto di far valere, in maniera vincolante per il giudice, la propria diversa valutazione dell’accordo in esame. In casi del genere, a nostro avviso, emerge in primo piano il valore di riequilibrio sistematico che hanno queste forme di sanatoria.

Nel complesso, dunque, il dictum dei giudici comunitari sembra meritare un pieno apprezzamento. Vi sono, però, ulteriori aspetti del problema, che il sintetico periodare della sentenza in discorso non affronta, ma che devono essere, comunque, necessariamente precisati, per offrire un quadro più completo della questione.

Innanzitutto, non è detto che l’interpello possa funzionare sempre. Infatti, non è certamente possibile interpellare il consumatore in un procedimento che si svolga senza contraddittorio con tale soggetto167, o nel caso in cui egli sia comunque rimasto contumace. Del resto, può anche accadere che il consumatore, costituitosi in giudizio, non si pronunci sull’interrogativo, pur rivoltogli dal magistrato. In tali casi, com’è stato opportunamente puntualizzato in dottrina, il potere di rilievo ufficioso dovrà essere esercitato in maniera incondizionata, guardando, quindi, solo all’astratta abusività della clausola, come emerge ex actis, senza che si possa interpretare in alcun modo un’ipotetica volontà del consumatore, che non si è manifestata affatto168.

Non sembra, invece, ammissibile che si pretenda di ricavare la volontà dell’ipotetico consumatore silente da altre sue attività processuali più equivoche. Ad esempio, il fatto che egli abbia radicato la lite presso il foro indicato dalla clausola abusiva, non significa necessariamente che ciò sia avvenuto in maniera del tutto consapevole e tale da escludere l’utilità del rilievo officioso. Anzi, pare ragionevole sostenere che, nella maggior parte dei casi, ove non emerga, in seguito all’interpello, la sussistenza di ragioni peculiari, come quelle degli esempi di cui sopra,

167 CGUE, 14 giugno 2012, sulla causa C-618/10, in Giur. it., 2012, p. 1497, ha

precisato che il giudice interno, qualora disponga di tutti i necessari elementi di fatto e di diritto, deve rilevare d’ufficio la nullità di una clausola abusiva, anche in occasione della verifica sulla sussistenza dei presupposti per l’emanazione di un decreto ingiuntivo richiesto dal professionista, dunque in un momento procedimentale in cui non si è, ovviamente, ancora potuto realizzare alcun contraddittorio col consumatore.

168 Cfr. MONTICELLI, La rilevabilità d’ufficio condizionata, cit., pp. 1122-1123;

l’insaturazione erronea del giudizio sarà dipesa semplicemente dalla negligenza del difensore169.

Si può porre, poi, il problema della violazione, da parte del magistrato, del più volte ricordato obbligo di interpello del consumatore. Non sembra di dover dubitare del fatto che ciò si possa tradurre in un motivo di impugnazione della sentenza, in considerazione della violazione del diritto comunitario, ma anche del principio di cui al nuovo art. 101, comma 2, c.p.c. Detta norma, infatti, come si già accennato, impone, comunque, al giudice, a pena di nullità della sentenza, di interpellare le parti private prima di decidere la lite in base ad una questione rilevata d’ufficio.

Si potrebbe, quindi, sostenere che l’interpello, in quanto tale, fosse già obbligatorio nel diritto interno. Ciò che il diritto comunitario aggiunge, e non è poco, è l’effetto vincolante della volontà del consumatore nei confronti del magistrato. Non si tratta più, dunque, solo di un obbligo procedurale, volto all’instaurazione del contraddittorio, ma di uno specifico riconoscimento dell’efficacia giuridica di tale manifestazione di volontà, che condizionerà necessariamente la decisione finale.

Un’altra questione di fondamentale importanza attiene ai confini dell’ambito applicativo del meccanismo indicato dai giudici europei. Indubbiamente, esso si applicherà con riguardo alle nullità introdotte in attuazione della direttiva 93/13 sulle clausole abusive nei contratti dei consumatori. A questo ambito, infatti, facevano espresso riferimento i giudici comunitari nella sentenza che si è esaminata.

D’altra parte, nel quadro più ampio delle nuove nullità speciali, parrebbe ragionevole ipotizzarne un’applicazione anche negli altri campi in cui si possono ravvisare le medesime esigenze di tutela. Infatti, a tale conclusione sembrano essere giunti i giudici europei, in una loro successiva decisione170, cui si è già fatto cenno, proprio con riferimento al problema della sussistenza di un’eventuale categoria unitaria delle nullità protettive.

Senza riaprire adesso la questione, che, come si è visto, non si presta ad una risposta semplicistica171, si può, comunque, concordare sul fatto che il procedimento sopra descritto sembra effettivamente poter trovare applicazione in un campo molto più vasto di quello in cui è stato enucleato. Infatti, le medesime rationes, che lo sorreggono con riferimento alle clausole abusive, possono, indubbiamente, ravvisarsi anche con riguardo ad ulteriori nullità consumeristiche, ed anche rispetto a nullità protettive operanti in favore di soggetti non consumatori.

Pertanto, anche se in linea generale ci siamo pronunciati in modo dubitativo riguardo all’unificazione degli statuti di tutte le nuove nullità, troviamo, però, ragionevole ed opportuna l’estensione, in via analogica o interpretativa, del campo di applicazione dello specifico meccanismo in esame. Appare, dunque, condivisibile la posizione di quella dottrina che considera la rilevabilità condizionata, modellata su quanto statuito dalle

170 CGCE, 17 dicembre 2009, sulla causa C-227/08, caso Martìn Martìn, in Giur.

comm. 2010, 5, II, p. 794, con nota di MILANESI.

In precedenza, un episodio di applicazione dei principi elaborati dai giudici europei con riguardo alla direttiva 93/13 anche oltre i confini del suo ambito applicativo si già era avuto con CGCE, 4 ottobre 2007, sulla causa C-429/05, caso Rampion, in

Foro it., 2007, IV, p. 589.

citate pronunzie europee, come una “costante integrativa”, da applicare

Nel documento La sanabilità delle nullità contrattuali (pagine 182-200)