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L’interpretazione dell’art 1423 c.c.

Nel documento La sanabilità delle nullità contrattuali (pagine 109-132)

2. IL CONTRATTO NULLO CONVALIDABILE

2.1 Il dibattito dottrinario sulla convalida del contratto nullo

2.1.1 L’interpretazione dell’art 1423 c.c.

Nell’intraprendere la disamina di alcune significative ipotesi di sanabilità dei contratti, o delle clausole, nulli, è sembrato opportuno partire da quella importante apertura in tal senso, che si trovava già nel testo originario del Codice Civile del 1942.

Il riferimento è, naturalmente, all’art. 1423, che recita: “Il contratto

nullo non può essere convalidato, se la legge non dispone diversamente”. Benché la rubrica della norma si esprima in termini di

“Inammissibilità della convalida”, appare chiaro come la lettera stessa dell’articolo ammetta esplicitamente che il contratto nullo può essere convalidato, nei casi previsti dalla legge.

La disposizione in esame non dice, invece, quali siano questi casi né che cosa sia e, soprattutto, come vada disciplinata la convalida del contratto nullo. In effetti, si tratta di una norma generale, che rinvia, per entrambi gli aspetti, ad ulteriori disposizioni. I casi di convalidabilità dovrebbero essere individuati da altre norme presenti nel sistema, mentre la disciplina della convalida viene fornita dall’art. 1444 c.c., riferito all’annullabilità, ambito in cui l’istituto assume una valenza generale e non limitata a casi speciali. Quelle esposte appaiono, in effetti, come delle ragionevoli scelte redazionali degli autori del Codice.

Se intesa in questi termini, la norma di cui all’art. 1423 non dovrebbe faticare a trovare una propria armonica collocazione nel sistema. Eppure, si tratta di una norma che, a lungo, un certo approccio interpretativo ha sostanzialmente obliterato.

Le ragioni storiche di questo peculiare fenomeno sono state, in parte, già delineate nel capitolo precedente, cui si rinvia. In sintesi, ciò è dipeso, in parte, dall’identificazione fra atto nullo ed atto giuridicamente inesistente, per il quale nessuna sanatoria può essere concepita, ed, in parte, dal collegamento istituito fra nullità ed interesse generale, che rendeva inammissibili forme di disponibilità della relativa tutela a livello privatistico. È chiaro che si tratta di ragionamenti strettamente connessi a quel particolare modo di intendere il fenomeno delle invalidità secondo una logica bipartita, che, come si è visto, ha avuto il suo massimo successo, in Italia, nella prima metà del XX secolo.

Si tratta, comunque, di un approccio che si è protratto sino ai nostri tempi, rendendo ampiamente accettate certe formulazioni, che conducono ad una radicale interpretatio abrogans dell’art. 1423 c.c. Infatti, seguendo tali premesse, sono entrambe le parti della norma a perdere ogni rilevanza. L’affermazione che il contratto nullo non possa essere convalidato appare come l’inutile e pleonastica enunciazione di quanto è già logicamente implicito nella natura stessa della nullità1. Invece, la clausola che apre a possibili casi di convalida risulta insuscettibile di poter mai trovare applicazione concreta2. In altri termini,

1 Sulla base di queste premesse, GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli,

2011, p. 994, vede nell’art. 1423 un “esempio di una certa, inopportuna propensione

del legislatore a divenire egli stesso interprete”.

2 Cfr. MIRABELLI, Dei contratti in generale, in Comm. c.c. UTET, IV, II, Torino,

essa può sembrare quasi un errore del legislatore, un residuo storico dell’irrazionalità del codice abrogato, sfuggito al controllo dei redattori di quello nuovo.

Con il profondo mutamento che, negli ultimi anni, ha subito tutta la materia delle invalidità contrattuali, anche queste formulazioni sembrano, però, destinate ad un complessiva revisione3. Infatti, i presupposti, sui quali esse si fondavano, appaiono, ormai, come idoli infranti. Come abbiamo visto, la disciplina delle nullità consiste, oggi, in una serie di diversificati statuti di certe contrattazioni, comunque giuridicamente rilevanti, cui si applicano determinati trattamenti, ora demolitori ed ora conformativi, finalizzati alla tutela, in non pochi casi, di interessi particolari. Appare evidente che ci troviamo agli antipodi rispetto al paradigma su cui era stata basata l’interpretatio abrogans dell’art. 14234.

In questo nuovo contesto, non stupisce, quindi, che siano state proposte letture innovative, anche con riguardo alla norma in esame, la quale viene, così, a trovarsi al centro di un interessante dibattito. Emerge, infatti, con maggior chiarezza, che l’art. 1423 non esprime un principio logico di insanabilità, derivante dall’ontologia della nullità, ma fornisce

contratto. Dell’annullabilità del contratto, a cura di Galgano, Peccenini, Franzoni e

Cavallo Borgia, in Comm. c.c., a cura di Scialoja e Branca, Bologna – Roma, 1998, p. 200.

3 Cfr. GALLO, Trattato del contratto, III, Torino, 2010, p. 1969.

4 PASSAGNOLI, op. cit., pp. 189 e segg., pur essendo contrario ad ammettere la

convalida delle nullità relative, afferma chiaramente che tale conclusione non può più farsi derivare, pregiudizialmente, dai dogmi sopra ricordati.

una regola giuridica di prevalenza dei casi di insanabilità su quelli, comunque ammessi, di sanabilità5.

Peraltro, i casi di sanabilità non devono essere necessariamente sanciti da disposizioni ad hoc, ma possono anche ricavarsi ex interpretatione, sulla base della funzione e della ratio di norme ulteriori6. Quest’ultimo approdo può sembrare particolarmente dirompente, ma, in effetti, una volta rimossi i vincoli dogmatici cui si faceva prima riferimento, esso, a ben vedere, non rappresenta altro se non il normale funzionamento dell’ermeneutica giuridica. Anche in subiecta materia, infatti, come in ogni parte del diritto civile, i “casi previsti dalla legge” possono essere tali in maniera testuale e palese, oppure emergere per effetto dell’opera dell’interprete7.

5 Si veda PAGLIANTINI, Autonomia privata e divieto di convalida dl contratto

nullo, cit., passim, ma soprattutto p. 127 e pp. 195 e segg.

6 PAGLIANTINI, op. cit., p. 86, definisce queste ipotesi come casi di “convalida

inespressa”. Infatti, come chiarisce efficacemente G. PERLINGIERI, op. cit., p. 90,

il rinvio dell’art. 1423 ai casi previsti dalla legge può essere inteso sia come riferimento ad espresse disposizioni legali, sia come richiamo ai casi in cui la convalida si presenti come “conseguenza dell’ordinamento”, dato che “il diritto ed il

sistema non coincidono con la legge”.

Già P. PERLINGIERI, op. loc. ultt. citt., avanzava l’ipotesi che la previsione legale richiesta dall’art. 1423 potesse essere anche implicita o desumibile dai valori dell’ordinamento.

7 Lo stesso vale, ad esempio, per le ipotesi di esclusione della nullità in forza della

clausola di salvezza di cui all’art. 1418, comma 1, c.c.: non occorre, infatti, una espressa previsione normativa che neghi la ricorrenza della nullità, ma è sufficiente che l’ordinamento regoli il negozio illecito in maniera incompatibile con tale sanzione. Sulla questione, cui in questa sede si può solo accennare, cfr. BARBA, op.

Su queste basi, anche le nullità sanabili potranno essere considerate, secondo la tendenza già pienamente affermatasi per altre nullità anomale, come delle ipotesi speciali, ma non eccezionali, né, tantomeno, logicamente inammissibili8. Naturalmente, buona parte di questi casi di sanatoria, testuali o meno, si ritroveranno nell’ambito delle nuove nullità di protezione. Qui, infatti, come si è già messo in evidenza, la stessa legittimazione relativa conferisce al soggetto protetto un sostanziale potere di far salvo il contratto. Anche il ragionamento in termini di vera e propria convalida potrà apparire, quindi, coerente con quella valorizzazione della volontà di tale soggetto, che appartiene certamente alla ratio delle normative in questione.

D’altra parte, ciò non significa che sia impossibile ravvisare ipotesi di sanabilità anche al di fuori di questo campo9. Del resto, la clausola di salvezza dell’art. 1423 c.c., proprio per la sua collocazione, assume

8 Cfr. GIROLAMI, op. cit., pp. 454-455, sulla necessità di “superare la dimensione

meramente eccezionale riservata finora alla convalida dei negozi nulli”, alla luce

dell’attuale evoluzione del sistema.

Contra, PASSAGNOLI, op. cit., p. 196, il quale sembra ritenere che debba

considerarsi eccezionale ogni ipotesi di convalida del negozio giuridico, anche al di fuori del campo delle nullità. Infatti, la convalida implica l’attribuzione ad un soggetto del potere di incidere unilateralmente sulla posizione di altri interessati, il che, nell’impostazione dell’autore, imporrebbe un approccio restrittivo.

Non ci sembra, però, che quest’ultima posizione possa essere sostenuta in termini assoluti, dato che, almeno per quanto riguarda l’annullabilità, la previsione del potere unilaterale di convalida assume chiaramente un carattere di generalità, ai sensi dell’art. 1444 c.c. (cfr., ex multis, FRANZONI, op. cit., p. 186).

9 Per PAGLIANTINI, op. cit., pp. 148-149: “il problema dei limiti a disporre di un

effetto dirimente non è proprio ed esclusiva pertinenza delle nullità nuove”, in

quanto esso “accomuna trasversalmente più fattispecie, ordinarie (leggi di ius

evidentemente una portata generale e non limitabile, a priori, all’ambito consumeristico.

La nuova dottrina cui abbiamo già fatto riferimento, ricollega, infatti, alla norma in questione anche tutta una serie di forme surrettizie di sanatoria, che la giurisprudenza ha elaborato con riguardo a vari istituti, antichi e recenti. Si tratta di una serie di interessanti fattispecie, in cui, senza mai smentire apertamente il principio dell’insanabilità, la Cassazione ha, di fatto, consentito alle parti di salvare il contratto nullo. A seconda dei casi, ciò è avvenuto valorizzando, ad esempio, l’esigenza di evitare ingiustificati arricchimenti di uno dei contraenti10, oppure

10 Così, nell’ipotesi in cui l’appalto risulti nullo per mancanza della concessione

edilizia, ma intervenga, poi, un condono, si consente all’appaltatore di ottenere, ex art. 2041 c.c., un indennizzo equivalente, nel quantum, a ciò che avrebbe dovuto ottenere come corrispettivo per la propria opera, se l’appalto fosse stato valido (Cass., 22 agosto 2003, n. 12347, in Guida al dir., 2003, 39, pp. 51 e segg.). Lo stesso meccanismo viene applicato ai contratti delle società di engineering, nulli per violazione delle norme sulle attività riservate ai professionisti intellettuali (Cass., 1 ottobre 1999, n. 10872, in Mass. Giust. civ., 1999, p. 2052).

In materia di locazioni, si può ricordare l’orientamento in base al quale, una volta dichiarato nullo il contratto, il conduttore non può chiedere la restituzione dei canoni pagati, qualora abbia effettivamente goduto dell’immobile, dato che ciò comporterebbe un suo inammissibile arricchimento senza causa in danno del locatore (Cass., 3 maggio 1991, n. 4849, in Giur. it., 1991, p. 1314).

Si vedano PAGLIANTINI, op. cit., pp. 42-45; POLIDORI, Discipline della nullità e

interessi protetti, cit., pp. 174-178. Cfr. anche SAVATIER, Thèorie des obligations (vision juridique et èconomique), Paris, 1967, n. 235, E: “quando l’esecuzione di un contratto nullo è, in sé, irreversibile dal lato di una delle parti, l’altra non deve arricchirsi ingiustamente, riprendendo, essa sola, la sua prestazione… la nullità di un contratto è una tecnica non rigida, che la legge e la giurisprudenza modellano secondo le circostanze, a proposito della ripetizione di indebito”.

riconoscendo un particolare valore giuridico alla avvenuta esecuzione del contratto11, o a successive manifestazioni di volontà delle parti12. Il

11 In tal modo, può essere recuperato un rapporto locatizio derivante da un contratto

nullo, per destinazione dell’immobile ad usi incompatibili con i vigenti strumenti urbanistici. Infatti, qualora il conduttore destini, invece, l’immobile ad un uso consentito ed il locatore accetti, comunque, il pagamento dei canoni, si è ritenuto che questi comportamenti esecutivi diano luogo alla formazione di un nuovo valido contratto locatizio (Cass., 26 maggio 1999, n. 5103, in Contratti, 2000, I, p. 19). In tema di mandato all’acquisto di immobili, si è riconosciuta la piena validità dell’atto formale di ritrasferimento, anche se posto in essere in esecuzione di un mandato nullo per difetto della forma scritta (Cass., 18 aprile 1980, n. 2551, in Rep.

Foro it., 1980, voce “Mandato”, n. 6).

Su entrambe le casistiche si veda PAGLIANTINI, op. cit., pp. 173-176. Sull’ambivalente rapporto fra esecuzione e sanatoria cfr. SACCO e DE NOVA, op.

cit., p. 581, i quali evidenziano come, a volte, sia problematica la distinzione fra

contratti nulli, sanati con l’esecuzione, e contratti validi, che si perfezionano solo quando, al momento consensuale, ne segue uno esecutivo.

12 Può essere il caso di un accordo transattivo, che comporti la rinunzia alle

reciproche pretese restitutorie, che deriverebbero dalla nullità del contratto (Cass., 26 gennaio 1988, n. 644, in Rep. Foro it., 1988, voce “Arbitrato”, n. 27), oppure faccia sorgere in capo alle parti l’obbligo di considerare pienamente efficace un contratto sospettato di nullità (Cass., 27 agosto 1994, n. 7553, in Giur. it., 1995, I, pp. 1248 e segg.). Cfr. PAGLIANTINI, op. cit., pp. 177, e 186-188.

Quest’ultimo aspetto è più problematico: infatti, come è noto, in dottrina si discute da tempo sull’estensione della portata dell’art. 1972 c.c., in tema di transazione su titolo nullo. Ferma restando la nullità della transazione relativa a contratto illecito, il comma 2 di detto articolo prevede, però, che negli altri casi di nullità del titolo, la transazione sia solo annullabile, ad istanza di chi ignorava la causa di nullità, o, addirittura, valida ed efficace, se entrambe le parti erano consapevoli dell’invalidtà del titolo. Secondo un certo orientamento, tale comma farebbe riferimento soltanto all’eventualità della cd. transazione novativa, che comporti, quindi, la rinnovazione del titolo nullo, senza, dunque, porsi minimamente in contrasto con il dogma

discorso, certamente stimolante, si allarga, peraltro, anche ad ulteriori ipotesi che si collocano probabilmente al di fuori di una sanatoria giuridica del contratto nullo13.

Sembra, comunque, necessario precisare che non tutti i casi di ipotizzabile sanatoria del contratto nullo possono essere ricondotti alla convalida14. Come si vedrà meglio più avanti, altre forme di sanabilità esistono, ma hanno una struttura ed una funzione differenti. Con il riferimento alla convalida, infatti, si intende qui alludere al rinvio che l’art. 1423 fa alla disciplina di cui all’art. 1444. Pertanto, il meccanismo in questione sembra applicabile soltanto alle ipotesi, vecchie e nuove, in cui la nullità è caratterizzata da finalità di protezione di una parte.

dell’insanabilità (cfr. SANTORO PASSARELLI, La transazione, Napoli, 1975; PASSAGNOLI, op. cit., pp. 198-201). Secondo un diverso indirizzo, invece, la portata del comma sarebbe più ampia e riferibile anche alla transazione modificativa (cfr. GIORGIANNI, In tema di transazione sul “titolo” nullo, ora in Scritti minori, Napoli, 1988, pp. 99 e segg.), per cui si aprirebbe uno spiraglio a delle forme di sanatoria del contratto nullo (così per PAGLIANTINI, op. cit., pp. 90-94).

13 PAGLIANTINI, op. cit., pp. 152 e segg., fa presente che il principio di

irrecuperabilità del contratto nullo sarebbe, nella sostanza, disatteso, ogni qual volta le parti, percependo le proprie intese illecite come molto più vincolanti della legge, diano ad esse piena esecuzione, senza mai neanche porsi il problema di farne eventualmente valere i vizi di nullità.

Si tratta indubbiamente di un fenomeno molto diffuso (cfr. SCHLESINGER,

L’autonomia privata e i suoi limiti, in Giur. it., 1999, p. 229), ma, in sé e per sé

considerata, la constatazione della giuridicità dei contratti nulli per ordinamenti diversi da quello statuale, non ne comporta un recupero alla validità dal punto di vista di quest’ultimo.

14 Cfr. PAGLIANTINI, op. cit., pp. 196-197, e G. PERLINGIERI, op. cit., p. 10,

secondo i quali la sanatoria è un genus, all’interno del quale si colloca la species della convalida.

In tali casi, la convalidabilità consisterà nel potere di detta parte di rinunziare a far valere la nullità del contratto, o della clausola, in questione. Come precisato dall’art. 1444, ciò potrà avvenire per effetto di una dichiarazione espressa o di un comportamento tacito, posto in essere, però, nella piena consapevolezza del vizio che colpisce il contratto. Pertanto, sul piano temporale, la convalida dovrà, necessariamente, essere successiva all’atto convalidato15.

Altri aspetti della disciplina sono, invece, molto meno chiari, in quanto, a volte, può non bastare una semplice estensione di quanto disposto con riferimento alla convalida del contratto annullabile. In particolare, bisogna considerare che, in quest’ambito, per aversi una valida sanatoria, occorre che il soggetto protetto non versi più nella condizione, di incapacità o di vizio del volere, che aveva dato causa all’annullabilità. Non è facile, però, stabilire che cosa debba corrispondere a tale requisito nell’ipotesi di convalida applicata ad una nullità di protezione16. Certamente, il soggetto protetto non potrà cessare di essere consumatore, o cliente o subfornitore. Il problema, dunque, sta tutto nello stabilire che cosa dovrà essere mutato, rispetto al momento della stipula del contratto, perché divenga ammissibile che possa acquistare validità ciò che prima non la aveva.

Proprio la considerazione che non può mutare lo status soggettivo dei contraenti, ha costituito, in dottrina, un argomento per respingere l’idea della convalidabilità delle nullità di protezione. Secondo questa impostazione, quindi, non si tratta più di ribadire i vecchi dogmi, ma di fondare la medesima conclusione negativa proprio sulla ratio delle

15 GIROLAMI, op. cit., pp. 455-456.

nuove norme di tutela. Così, si è sostenuto che l’atto di convalida sarebbe frutto di una pressione economica identica a quella che aveva portato alla stipula del negozio viziato17. Pertanto, un’apertura in tal senso si risolverebbe, tendenzialmente, in uno svantaggio per il contraente debole, ed in una definitiva frustrazione dello scopo del legislatore18.

17 Cfr. G. PERLINGIERI, op. cit., pp. 40-41, e ALBANESE, op. cit., pp. 305-307,

nonché GENTILI, Le invalidità, in I contratti in generale, a cura di E. Gabrielli, II, Torino, 2006, pp. 1542 e 1593, il quale sembra, però, aver rivisto le sue conclusioni in La “nullità di protezione”, cit., pp. 116-117.

Più articolata è la posizione di SACCO e DE NOVA, op. cit., p. 582. Infatti, anche gli autori citati segnalano che qui, a differenza che nel caso dell’annullabilità, “è in

gioco una condizione statica e permanente”, per cui una convalida “puramente potestativa proveniente dal contraente debole non potrebbe essere efficace perché sarebbe viziata da quella stessa peculiarità del contenuto o da quella stessa incapacità che viziano l’atto (relativamente) nullo”. La conclusione, però, non

sembra affatto una chiusura totale: “Dopo una prima riflessione, verrebbe da dire

che la nullità relativa in questione non ammette sanatoria. Ma con il tempo potrebbero emergere situazioni casistiche, argomentazioni, procedimenti capaci di smentire questa conclusione di prima istanza”.

In questo studio, si vorrebbero mettere in evidenza proprio alcuni di questi elementi che possono indurre a rivedere la posizione in discorso.

18 Secondo PASSAGNOLI, op. cit., p. 201, all’ammissibilità della convalida si

contrapporrebbe anche l’interesse degli altri soggetti, appartenenti alla stessa categoria tutelata dalle norme di protezione, a far sì che negozi in contrasto con i loro interessi collettivi non vengano mai sanati.

Si deve, però, osservare che se l’ordinamento avesse voluto tutelare anche questa posizione, avrebbe dovuto configurare come assolute le nullità in questione, rendendole, così, invocabili da qualunque terzo interessato, eventualmente escludendo solo la controparte del soggetto protetto. Infatti, anche qualora non si voglia ammettere la sanabilità, il medesimo effetto, lesivo dell’interesse di categoria,

Non si potrebbe nemmeno invocare in senso contrario la legittimazione relativa, dal momento che essa conferirebbe al contraente protetto solo il potere di scegliere se azionare la nullità, ma non quello di rinunziare a questa possibilità, come può avvenire per effetto della convalida19. Peraltro, come si vedrà fra breve, la stessa relatività della legittimazione viene, secondo questa ricostruzione, fortemente compromessa da un’interpretazione in senso estensivo dei poteri ufficiosi del giudice. Comunque, anche una parte della dottrina in esame non perviene ad una chiusura totale nei confronti della convalida. Al contrario, basandosi sulla condivisibile premessa che la materia delle nullità oggi non tollera soluzioni generalizzanti, essa propone una distinzione fra diverse categorie di fattispecie, fondata sulla valutazione concreta degli interessi20. Le nullità protettive vengono, così, ripartite in due insiemi: quelle suscettibili di convalida e quelle refrattarie all’applicazione di tale istituto.

Secondo tale impostazione, la convalida sarebbe ammissibile solo per quelle ipotesi in cui la violazione delle norme, da cui scaturisce la comminatoria di nullità, non si è, però, tradotta in nessun concreto pregiudizio per il soggetto tutelato. In tali casi, dunque, la norma

si può produrre per conseguenza del normale operare della relatività, che impedisce sempre ai terzi interessati di far valere una nullità, qualora l’unico soggetto legittimato abbia scelto di non farla valere.

19 Cfr. G. PERLINGIERI, op. cit., p. 38. Considerazioni simili si possono leggere in

PASSAGNOLI, op. cit., p. 202; BIANCA, op. cit., pp. 624-625; VENOSTA, Tre

studi sul contratto, cit., pp. 217-218; SCALISI, op. cit., p. 752.

protettiva avrebbe pienamente raggiunto il suo scopo, per cui la nullità potrebbe essere sanata senza danni per nessuno21.

In questa prima sottocategoria si fanno, così, rientrare le ipotesi in cui il

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