• Non ci sono risultati.

Il diritto francese

Rispetto all’itinerario sin qui descritto, il percorso del diritto francese appare decisamente in controtendenza. Anche in questo caso, però, all’origine del problema delle invalidità contrattuali sta un dualismo fra

Cfr. REINHART, Das Verhaltnis von Formnichtigkeit und Heilung des

Formmangels im burgerlichen Recht, Heidelberg, 1969.

65 Cfr. LARENZ e WOLF, op. cit., p. 827.

66 LARENZ e WOLF, op. cit., p. 835, fanno riferimento ai casi in cui fosse carente

una qualche autorizzazione o approvazione, che fungerà, quindi, da presupposto di efficacia (Wirksamerfordernis).

ordinamenti concorrenti, come si è visto per il diritto romano, e come si potrebbe sostenere anche per il diritto anglosassone67.

Nella Francia medievale, la contrapposizione era fra i diritti consuetudinari locali (coutumes)68 e lo ius commune di derivazione romanistica. Nel resto dell’Europa continentale, questo genere di conflitti si era risolto con una tendenziale prevalenza del diritto romano, la cui applicazione sussidiaria risultava indispensabile per la regolamentazione della vita sociale. I diritti particolari erano, infatti, ordinamenti abbastanza primitivi e semplici, per cui nessuno di essi sarebbe bastato a se stesso, se non avesse potuto fare rinvio ai diritti universali ed, in particolare, a quello romano69.

67 In Inghilterra, infatti, l’ordinamento della equity considerava invalidi contratti

perfettamente validi per quello della common law. Si pensi all’annullabilità per

undue influence, cioè per violenza morale, che fu elaborata dall’equity a fianco

dell’annullamento per duress, cioè per violenza fisica, l’unico in origine conosciuto dalla common law. Cfr. ALPA, Il contratto nel common law inglese, Padova, 2005, pp. 158 e segg., ed ivi ulteriori riferimenti.

68 Le consuetudini della Francia meridionale derivavano dal diritto romano di epoca

tardo-antica, passato attraverso le compilazioni dei primi sovrani barbarici, quali la

Lex romana Wisigothorum o la Lex romana Burgundiorum. Invece, quelle della

Francia settentrionale derivavano dal diritto germanico, portatovi dai Franchi e dagli popoli che vi si stabilirono nei primi secoli del Medioevo. Tra le Coutumes settentrionali assunse un ruolo centrale quella di Parigi, in forza del ruolo di capitale del Regno ricoperto della città. La conseguenza di tale situazione fu, che, paradossalmente, l’antico diritto germanico lasciò maggiori tracce di sé in Francia che in Germania, dove, con la recezione dello ius commune, esso cadde sostanzialmente in oblio.

69 Cfr. BALDO DEGLI UBALDI, In primam partem Digesti Veteris commentaria,

De iustitia et iure, 1. omnes populi [D., 1, 1, 9], Venezia, 1571, “omnes populi possunt sibi facere statuta et ubi cessat statutum habet locum ius civile”.

In Francia, invece, l’esito fu in parte diverso. Infatti, già nel Basso Medioevo, la vita giuridica francese iniziò ad essere caratterizzata da un notevole attivismo della monarchia, volto a difendere il diritto nazionale ed, entro certi limiti, a riorganizzarlo, in senso unitario, attorno alla

Coutume di Parigi. Naturalmente, tutto ciò era collegato alla situazione

politica, caratterizzata, almeno a partire dal XIII secolo, dall’emersione di un processo di accentramento del potere, che, in un certo senso, anticipava sviluppi, che altrove si sarebbero avuti solo molto più tardi. In tale contesto, i sovrani erano motivati ad occuparsi del diritto civile, cosa per l’epoca assai anomala70, dall’ostilità nei confronti del diritto romano, percepito come potenziale strumento della politica del Sacro Romano Impero e, quindi, minaccioso nei confronti della stessa indipendenza del Regno. Beninteso, il diritto francese non aveva un livello di elaborazione tale da consentirgli di sottrarsi completamente all’influsso del diritto romano, come negli stessi secoli era riuscito al

common law inglese. Ciò non toglie che questo indirizzo politico abbia

avuto un significativo impatto sull’assetto del diritto privato, anche per quanto riguarda la materia delle invalidità negoziali.

Si affermò, infatti, una radicale differenziazione fra il trattamento delle ipotesi di invalidità previste dal diritto nazionale e quelle derivanti, invece, dall’applicazione del diritto romano. Le prime constavano di un numero abbastanza limitato di fattispecie, regolate da antiche usanze o da nuove ordonnances regie71. Le seconde, come si è visto,

70 Sulla tendenziale assenza del potere politico nella produzione del diritto in epoca

medievale cfr. GROSSI, op. cit., pp. 130 e segg.

71 GIROLAMI, op. cit., p. 92, nt. 113 ricorda le nullità dei contratti usurari, di quelli

comprendevano, invece, una varietà di ipotesi, oggetto di una ricca elaborazione da parte dello ius commune.

Ai nostri fini, può essere molto interessante osservare come, a quanto pare, questa seconda categoria di invalidità fosse molto malvista dai francesi, poiché esse apparivano “straniere” e, soprattutto, pericolose per la stabilità dei rapporti giuridici. Infatti, la loro molteplicità e complessità, rispetto ai semplici schemi del diritto locale, le faceva sembrare gravemente perturbatrici dell’ordine costituito72. Pertanto, si diffuse la prassi di inserire nei rogiti notarili delle clausole di

renonciation, con cui, appunto, si rinunziava “à tous les bènèfices ou exceptions” che potrebbe derivare dall’invocazione di tali invalidità73. Parrebbe trattarsi, quindi, di alcuni dei più antichi atti di convalida elaborati dall’autonomia privata nel corso della storia giuridica.

Dovette, dunque, risultare piuttosto popolare la decisione dei Re di proibire, per i sopra ricordati motivi politici, che i contratti francesi

ecclesiastici, se poste in essere senza ottemperare alle specifiche norme che le regolavano.

72 Questo senso di smarrimento e di preoccupazione dell’operatore giuridico

nazionale, di fronte alla “invasione” delle nullità provenienti da un ordinamento sovranazionale, potrebbe richiamare alla mente il clima attuale, in cui lo statuto interno delle invalidità contrattuali è stato sconvolto dall’impatto con le nullità del diritto comunitario.

73 Cfr. MEYNIAL, Des renonciations au Moyen-age et dans notre Ancien droit, in

Rev. hist. dr. fr. et ètr., 1900, pp. 108 e segg.; OURLIAC e DE MALAFOSSE, Histoire du droit privè, Paris, 1969, pp. 100 e segg.; CUMYN, La validitè du contrat suivant le droit strict ou l’èquitè: ètude historique et comparèe des nullitès contractuelle, Paris, 2002, pp. 110-117.

potessero essere invalidati dalle nullità di diritto romano . I negozi affetti da questo genere di vizi dovevano, quindi, considerarsi pienamente efficaci e veniva riservata allo stesso sovrano la possibilità di concedere, in via eccezionale e con un atto eminentemente politico, che le invalidità di ius commune potessero operare. In tal modo, si poteva sostenere che il diritto imperiale non avesse vigore, in quanto tale, in Francia, ma che fosse il monarca a poterne permettere l’applicazione nel caso specifico, con un suo atto altamente discrezionale.

Pertanto, chi avesse avuto interesse a liberarsi da un vincolo contrattuale invalido secondo il diritto romano, doveva ottenere dal Re uno speciale provvedimento, la lettre de rescission, che consentiva al giudice di applicare il diritto “straniero” nella valutazione della fattispecie concreta75. Solo in seguito, il magistrato avrebbe potuto rimuovere l’efficacia, fino ad allora piena ed indiscutibile, del negozio in questione. Peraltro, chi volesse intraprendere questo genere di procedura andava incontro a costi fiscali assai significativi, connessi al rilascio delle lettres

royaux de rescission, e doveva muoversi nel rispetto di termini di

prescrizione abbastanza brevi76.

74 Il principio era espresso dalla nota massima: “Voies de nullitè n’ont pas lieu en

France”.

75 Secondo un’impostazione nettamente minoritaria (CUMYN, op. cit., pp. 119-126),

le lettres de rescission non sarebbero nate dal problematico rapporto fra diritto nazionale e diritto romano, ma si sarebbero sviluppato come strumento di intervento equitativo dei monarchi, in deroga alle regole giuridiche ordinarie.

76 La materia venne regolata dalle ordonnances di vari sovrani fra il Trecento ed il

Cinquecento: si possono ricordare Filippo IV, Carlo VI, Carlo VII, Luigi XII e Francesco I. Non a caso, si tratta dei monarchi che furono più attivi nella lotta per il rafforzamento dello Stato centrale.

Niente di tutto ciò era, invece, necessario qualora si volessero invocare le patologie negoziali di diritto nazionale, che non richiedevano speciali e costose autorizzazioni regie, ma erano azionabili direttamente, peraltro in termini di prescrizione molto più lunghi. Occorre precisare che una così profonda differenza di regime dipendeva esclusivamente dalla provenienza della norma invalidante dall’uno o dall’altro ordinamento, senza avere alcun nesso con le caratteristiche sostanziali delle varie fattispecie77.

In questo contesto, si formò la terminologia francese per le invalidità. Di regola, infatti, il termine nullitè veniva utilizzato per quelle di diritto nazionale, mentre, per quelle di diritto romano, si utilizzavano espressioni come annullabilitè o rescission. Come è evidente, si trattava di espressioni che mettevano in rilievo come, in questi casi, l’efficacia dell’atto venisse a cadere solo in un momento successivo, in seguito all’intervento del monarca. In tal modo, all’interno della annullabilitè andavano a confluire fattispecie che, per lo ius commune, erano state diversissime fra di loro. Diventava, infatti, del tutto indifferente, per il diritto francese, che si fosse trattato, in termini romanistici, di casi di

nullitas ipso iure, con o senza querela nullitatis, oppure di annullatio per viam restitutionis78.

Nel complesso, la riferita impostazione spiega già, a nostro avviso, perché si sia rivelato, poi, sostanzialmente impossibile, per il diritto francese, pervenire ad una sistemazione tendenzialmente limpida e

77 Si pensi, ad esempio, che i contratti del minore, non assistito dal curatore, erano

colpiti da un’invalidità di diritto romano, quindi soggetta al sistema delle lettres de

rescission, mentre quelli della donna sposata, non autorizzata dal marito, erano affetti

da una nullità di diritto nazionale, quindi direttamente azionabile.

razionale del tema delle invalidità, come quella che abbiamo, invece, visto affermarsi in Germania. Peraltro, i successivi sviluppi non portarono certo verso un chiarimento dei rapporti fra i diversi istituti. Col passare del tempo, i contrasti politici, cui si è accennato, si attenuarono sino a scomparire. Infatti, il progressivo rafforzamento della monarchia francese, ed il parallelo declino del Sacro Romano Impero, resero inattuali le preoccupazioni in origine connesse alla diffusione del diritto romano79.

Nel frattempo, l’accresciuta complessità della società francese rendeva più accettabile la necessità di servirsi anche di ipotesi di invalidità ulteriori rispetto a quelle conosciute dalle Coutumes. Queste ultime, peraltro, avevano finito per recepire taluni istituti originariamente romanistici. Si consideri, inoltre, che alcuni casi di annullabilitè, come i vizi del consenso, avevano assunto un’importanza centrale nella visione giusnaturalistica e volontaristica del diritto civile, che si affermò, anche in Francia, nel secolo dei Lumi80.

Così, la lettre de rescission perse il suo originario carattere politico e mantenne solo quello fiscale, aspetto, questo, sempre più importante, viste le difficili condizioni finanziarie del Regno. In sostanza, era diventato naturale che potessero trovare applicazione in Francia anche le invalidità di diritto romano. I relativi processi, però, si dovevano aprire

79 Come è noto, i sovrani francesi si riconciliarono col diritto romano grazie

all’affermazione della massima “Le Roi est empereur en son Royaume”, che consentiva loro di avvalersi della scienza giuridica romanistica, senza con ciò implicare una qualche forma di sottomissione nei confronti dell’imperatore germanico.

con il pagamento di una tassa piuttosto gravosa, per ottenere, dalla cancelleria del Re, la lettre de rescission, vista ormai solo come una delle tante imposizioni di una fiscalità sempre più opprimente81.

Non stupisce, dunque, che la Rivoluzione abbia voluto, quasi subito, eliminare quello che appariva come un balzello, giustificabile solo come residuo storico, ma ormai privo di fondamento razionale. L’abrogazione delle lettres de rescission intervenne, infatti, agli inizi del periodo rivoluzionario82, mentre per la risistemazione complessiva della materia, come è noto, si dovette attendere l’opera del Bonaparte. Nel periodo rivoluzionario sopravvisse, dunque, una distinzione fra le nullità nazionali e quelle romane, in quanto continuavano ad essere sensibilmente diversi i termini di prescrizione delle relative azioni83. Con il codice napoleonico, invece, si sancì l’abrogazione di tutti gli ordinamenti giuridici previgenti e si puntò alla riconduzione nella nuova fonte, che si poneva come esclusiva, di tutto il diritto84. Pertanto, anche in Francia, si pose il problema della riconfigurazione delle invalidità contrattuali, sino ad allora segnate da un dualismo ordinamentale, nel nuovo contesto di un ordinamento saldamente riunificato.

Peraltro, il Code Napoleon, improntato, com’è noto, alla massima valorizzazione dell’autonomia privata, sembrava, in un certo senso, voler osteggiare un istituto, come l’invalidità, che tale autonomia

81 L’abolizione delle lettres de rescission venne domandata già in occasione della

riunione degli Stati Generali del 1560 ad Orlèans, ma, naturalmente, i Re non si sono mai voluti privare di una così cospicua fonte di introiti.

82 Il riferimento è alla legge del 7 settembre 1790.

83 La prescrizione era decennale per le nullità di diritto romano e trentennale per

quelle di diritto nazionale.

necessariamente limita. Infatti, ad essa sono dedicate poche e scarne disposizioni, che hanno, in definitiva, accresciuto le difficoltà, incontrate dalla dottrina francese nei suoi tentativi di inquadramento sistematico, piuttosto che aiutarla a risolvere tali problematiche.

In primo luogo, viene in rilievo, come si diceva, il deciso superamento del dualismo che aveva caratterizzato l’epoca precedente. Così, il Code utilizza l’espressione “action en nullitè ou en rescission”85 come una sorta di endiadi, volta ad indicare una realtà sostanzialmente unitaria86. L’utilizzo di due termini, invece che di uno solo, potrebbe, quindi, apparire solo come un retaggio storico dell’Ancien Regime87.

D’altra parte, il legislatore francese sembra fare riferimento anche ad ipotesi di atti qualificati come nulli “de plein droit”, senza, però, specificare quali sarebbero88. Pertanto, parte della dottrina ha ricollegato tali ipotesi alla mancanza delle condizioni prescritte per quella che il

85 Si considerino l’art. 1117 “La convention contractèe par erreur, violence ou dol …

donne seulement lieu à une action en nullitè ou en rescission”, nonché l’art. 1304

“Dans tout le cas où l’action en nullitè ou en rescission n’est pas limitèe à un

moindre temps par une loi particulière, cette action dure dix ans”. Quest’ultimo

termine è stato, poi, ridotto a cinque anni dalla legge n. 68-5 del 3 gennaio 1968.

86 Cfr. MARCADE, Explication thèorique et pratique du Code Napoleon, Paris,

1859, p. 675: “ces deux actions se trouvent reunies et confondues en une seule …

l’art. 1117 repete, en donnant cumulativament les deux noms à la meme action, …”.

87 Cfr. PAGNI, op. cit., p. 100.

88 Si allude all’art. 1117, nella parte in cui esclude che i contratti viziati da errore,

violenza o dolo siano nulli “de plein droit”. Si ammette, così, l’esistenza nel sistema di questa ulteriore categoria di nullità, di cui, però, nessuna norma precisa i contorni.

Code ha chiamato “validitè d’une convention”, in una norma che,

peraltro, non ne precisa il rapporto con la “nullitè” o la “rescission” 89. Di conseguenza, secondo questa prima impostazione, tutti gli atti carenti di tali condizioni sarebbero colpiti da una “nullità di pieno diritto”, che, per operare, non avrebbe bisogno di alcuna azione giudiziale, essendo qualificabile come una forma di inesistenza90. A tali ipotesi andrebbero, invece, contrapposte le altre, qualificabili come casi di mera annullabilità, in cui è la legge stessa a richiedere l’esperimento di un’azione “en nullitè ou en rescission”.

Si arriva, così, in questi autori, ad una sostanziale bipartizione del campo delle invalidità91. La differenza rispetto alla sistemazione tedesca emerge, però, se si considera che in Germania, come si è accennato, il contratto nullo è, tendenzialmente, inteso come qualcosa di distinto rispetto a quello inesistente, mentre questo particolare indirizzo finisce per arrivare ad una totale sovrapposizione dei due concetti.

89 Il riferimento è all’art. 1108, che indica quattro condizioni di validità: il consenso,

la capacità, l’oggetto e la causa. Come si è detto nel testo, il Code non chiarisce mai come debba intendersi il rapporto fra questo concetto di validità e quelli di nullità o rescissione, cui fanno riferimento le altre norme citate.

90 Pare opportuno precisare che, come ha dimostrato, attraverso un’attenta analisi

delle fonti, VENOSTA, Le nullità contrattuali nell’evoluzione del sistema – I.

Nullità e inesistenza del contratto, Milano 2004, pp. 44-54, sia i lavori preparatori

del Code, sia la dottrina e la giurisprudenza francesi del primo Ottocento, conoscevano già l’idea di “act inexistant”, e che non è, dunque, esatta la corrente opinione, secondo cui tale concetto sarebbe stato “inventato” dallo Zachariae solo verso la metà del secolo, con specifico riferimento alla materia matrimoniale.

91 Cfr. GIROLAMI, op. cit., p. 104, nt. 142, per ampli riferimenti agli autori che

L’orientamento prevalente tende, invece, a sottovalutare l’importanza di espressioni come “de plein droit”, o simili92, e riferisce la categoria della inesistenza, indipendente da ogni dichiarazione giudiziale, a pochi casi di scuola. Anche in Francia, si arriva, così, ad un sostanziale superamento dell’antica identificazione fra nullità ed inesistenza93.

La nullità francese appare, dunque, come una categoria unitaria, caratterizzata dalla necessità, in ogni caso, dell’intervento del giudice. Occorrerà, quindi, esperire un’azione volta a provocare tale intervento94,

92 Cfr. ZACHARIAE, Corso di diritto civile francese, rielaborato da AUBRY e

RAU, tradotto in italiano da FULVIO, Napoli, 1868, pp. 22 e segg. Secondo gli autori francesi, il fatto che, a volte, la legge conceda un’azione en nullitè, ed, altre volte, si limiti a dichiarare un atto nullo, aggiungendo o meno espressioni come “di diritto” o “di pieno diritto”, non esprimerebbe alcuna differenza giuridica sostanziale fra le diverse fattispecie.

In particolare, queste locuzioni non esprimono l’idea di una nullità che non è necessario far pronunciare dal giudice, come dimostrano, del resto, alcune norme, le quali comminano nullità di pieno diritto ed, al tempo stesso, indicano l’organo competente per la pronuncia della nullità dell’atto in questione (cfr. art. 41 del decreto 1 marzo 1808; art. 28 della legge 21 marzo 1831; artt. 23 e 24 della legge 5 maggio 1855).

93 Si può ricordare la posizione di SALEILLES, De la dèclaration de volontè, Paris,

1929, pp. 325-329, secondo il quale la nullità presuppone un atto che abbia tutti i suoi elementi materiali, ma al quale la legge rifiuta il riconoscimento giuridico. Si vedano anche COHENDY, Des intèrèts de la distinction entre l’inexistence et la

nullitè d’ordre public, in Rev. tr. dr. civ., 1914, pp. 33-67, nonché, nella dottrina più

recente, CUMYN, op. cit., pp. 31 e segg.

94 Questa impostazione si affermò assai precocemente anche nella giurisprudenza

francese: PAGNI, op. cit., p. 86, nt. 184, riferisce in proposito di un leading case costituito dalla pronunzia della Cassazione del 1° fiorile dell’anno XII sul caso

azione che risulterà soggetta ad un determinato termine di prescrizione. Insomma, a prescindere dalla natura delle cause di invalidità, quando si ha un’apparenza di atto valido, dovrà essere sempre il magistrato a rimuoverla95.

La distanza di tale impostazione dalle ricordate costruzioni della dottrina tedesca ci sembra notevole. Del resto, essa pare ricollegarsi intimamente ad alcune caratteristiche tipiche dell’esperienza giuridica francese. Infatti, vi si possono ravvisare sia l’influsso dello statalismo transalpino, che richiede comunque l’intervento dell’apparato giudiziario pubblico, sia quello della diffidenza, assai antica, come si è visto, ma accentuatasi nell’epoca della codificazione, verso la possibilità di invalidare troppo facilmente i contratti, mettendo in crisi la certezza dei rapporti giuridici.

cancellazione delle iscrizioni ipotecarie fondate su atto nullo, ove l’attore non avesse anche domandato, espressamente, la nullità del contratto in questione.

95 Questi concetti sono tuttora fatti propri dalla dottrina francese assolutamente

dominante. Cfr., per tutti, H. e L. MAZEAUD – J. MAZEAUD – CHABAS, Leçons

de droit civil, Paris, 1, II, Obligations – thèorie gènèrale, 1998, p. 300: “La nullitè, qu’elle soit absolue ou relative, doit etre prononcèe par le juge. En effet, sauf cas exceptionels, qui sont des hypotheèses d’ecole … , un contrat, bien que nul, a l’apparence d’un contrat valable. D’où la nècessitè de faire dètruire par le juge cette apparence...”, nonché p. 317, con riferimento alla prescrizione delle azioni di nullità,