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IL CASO DEL SENEGAL

Nel documento Diritti dell uomo e società democratica (pagine 61-67)

Alice Bendotti

A partire dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo (DUDU - 1948) molteplici sono stati gli strumenti internazionali adottati che contengono un riconoscimento formale del diritto all’educazione.

L’articolo 26 della DUDU ne rappresenta senza dubbio il pilastro in quanto l’educazione è concepita come un diritto che deve essere indirizzato al pieno sviluppo della personalità ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali31.

Tutti sono d’accordo sull’affermazione dei diritti ma sulla loro effettività si constatano gravi inadempienze. Se, ad esempio, prendiamo in esame le politiche educative del Senegal, in base ai dati raccolti da Enquête Démographique et de santé ( EDS II) circa il 19 % dei bambini di età compresa tra gli 0 e i 18 anni lavora a pieno ritmo e di questi circa il 38% è impiegato in lavori domestici (bambine) senza alcun rispetto del diritto all’educazione sancito dai trattati internazionali. Importante è anche sottolineare che il tasso di registrazione anagrafica alla nascita vacilla tra il 66 e 89% in base alle zone del Paese; ciò significa che il questo 19% comprende solo la piccola fetta di minori dichiarati allo Stato.

31 http://www.interlex.it/testi/dichuniv.htm

In una situazione di questo tipo è facile immaginare come il diritto all’educazione non sia rispettato: secondo gli ultimi dati raccolti dall’Istituto di Statistica dell’Unesco, nonostante gli sforzi che il Senegal sta compiendo con il PAQUET-EF 2018-2030 (Programma di miglioramento della Qualità, Equità e Trasparenza dell’educazione e della formazione)32, solo il 7% della popolazione riesce ad accedere all’insegnamento superiore (oltre i 18 anni di età). Questo limita quindi la possibilità di formare figure professionali aggiornate e competitive in grado di portare innovazione in ambito educativo, sociale e politico.

Inoltre esiste il grande nodo del problema linguistico: la lingua ufficiale è il francese ma una larga fetta della popolazione comunica in wolof, lingua locale maggioritaria. In gran parte degli istituti di formazione, sia primaria che secondaria, la lingua d’insegnamento è il wolof. Diviene quindi difficoltoso colmare il gap che si crea ad accedere ad una formazione universitaria garantita solo in francese. Molti studenti, oltre al problema di mantenersi a Dakar, capitale del Paese che deve affrontare le urgenze dei problemi sociali ed economici uniti all’aumento delle migrazioni interne e internazionali, sono costretti a fare i conti con le difficoltà di accesso all'alta formazione anche per una questione linguistica. Ci si interroga quindi sull’effettivo rispetto della “identità culturale” definita nell'art 2 della Dichiarazione di Friburgo che afferma:

“l’espressione «identità culturale» è intesa come l’insieme dei riferimenti culturali con il quale una persona, sola o in comune, si definisce, si costituisce, comunica e intende essere riconosciuta nella sua dignità”.33

Per quanto riguarda la mobilità delle persone, il documento “ Projet régional commun d’étude sur les mobilités des enfants et des jeunes en

32 https://www.globalpartnership.org/fr/content/programme-dameliora tion-de-la-qualite-de-lequite-et-de-la-transparence-2018-2030-senegal.

33 Dichiarazione di Friburgo.

Afrique de l’Ouest et du centre”34 la definisce un modo di vivere e una strategia che caratterizza da sempre i paesi dell’Africa dell’ovest e, in particolare, il Senegal. Paese della Teranga (accoglienza in lingua wolof) il Senegal da sempre è terra di esuli, per la maggior parte addetti al commercio ambulante. Tra i giovani il motto diventa “ Partire o morire”

espresso in Senegal con la parola modou modou, termine coniato ad hoc per indicare il migrante che tenta la sorte in Europa. Migrare diviene dunque una sorta di traghettamento all’età adulta. In molte zone del Senegal è considerato un passaggio obbligato che consente di mantenere la propria famiglia in maniera dignitosa.

Quale legame esiste quindi tra la mobilità e la violazione del diritto all’educazione? Come dimostrano i dati dell’EDS II il Senegal, con una popolazione costituita per più del 50% da persone di età inferiore ai 25 anni ha ancora molta strada da fare nell’ambito dell’educazione.

Esiste inoltre un altro elemento che rappresenta uno degli ostacoli maggiori alla buona riuscita del percorso scolastico dei minori in Senegal ed è costituito dalla diversa rappresentazione del concetto di educazione tra attori istituzionali e comunitari. Per i primi, conformi alla legge, l’unico luogo preposto all’educazione del minore fino ai 16 anni è la scuola; diversa invece è l’opinione dei secondi che pensano esistano metodi più efficaci per un’educazione intesa come capacità di socializzazione, integrazione e sviluppo personale. Le due proposte sono ritenute dai giovani senegalesi non rispondenti ai loro progetti di vita e da qui nasce la scelta della famiglia di investire sul progetto di mobilità uno dei figli minori che rappresenta la via di accesso a maggiori opportunità rispetto a quelle offerte dall’educazione formale e non formale.

Dal 2015 ad oggi in Italia sono sbarcati migliaia di giovani senegalesi di età compresa tra i 16 e i 30 anni. Grazie al mio lavoro all’interno del

34 Projet régional commun d’étude sur les mobilités des enfants et des jeunes en

Afrique de l’Ouest et du Centre, ILO, Genève, 2013

sistema di accoglienza nella città di Bergamo, ho potuto ascoltare ed incontrare centinaia di storie di vita incrociandole con quelle dei minori incontrati l’anno scorso in Senegal, durante l’esperienza di Servizio civile internazionale. Ciò che le accomuna è un reale bisogno di migliorare le proprie possibilità sia in ambito formativo che professionale.

La maggior parte di minori di origine senegalese accolti a Bergamo proviene dalle zone periferiche di Dakar, da quartieri come Pikine o Guedayaye, zone dove il tasso di minori in strada è esorbitante e nessuno può realmente vigilare sui soprusi che vengono loro inflitti. Altri provengono invece da zone più lontane del Paese quali per esempio Tambacunda, all’estremo est, vicino ai confini con il Mali.

La condizione generale delle scuole è comunque ben sotto la soglia ritenuta soddisfacente quindi i minori si allontanano dalle loro famiglie per cercare di meglio altrove. Infine ci sono i giovani che arrivano dal sud del Paese, dalla regione della Casamance che, nonostante le potenzialità a livello naturalistico, riversa nella miseria e nell’incertezza dagli anni ‘80 quando i movimenti indipendentisti la portarono all’instabilità economica e sociale. Il governo non investe a sufficienza e quest’area del Senegal sta ricadendo nella staticità assoluta.

Quando i giovani senegalesi raggiungono i Paesi di accoglienza si rendono conto che il loro percorso di studi non è riconosciuto e devono ricominciare, in alcuni casi, da zero in un contesto culturalmente diverso, sconosciuto e spesso stressante. Per gran parte di loro la formazione in Europa diventa utopia perché troppo schiacciati dai doveri economici nei confronti delle famiglie e cosi subentra la frustrazione di un futuro lontano anni luce dall’immaginario collettivo del Paese d’origine. A questo si somma poi il senso di colpa nei confronti di una comunità d’origine “ abbandonata”: molto spesso i sentimenti dei “rimasti” nei confronti dei

“modou modou” sono di invidia ma soprattutto rabbia per aver, ancora una volta, abbandonato la propria terra al suo destino. La fuga della nuova generazione verso migliori occasioni è il filo rosso che ha legato da

decenni il Senegal con l’Italia, anch’essa terra di esuli fin dai tempi antichi.

Nessun migrante lascia il proprio paese se non costretto da cause di forza maggiore ; cosi come molti italiani emigrati tornerebbero se le condizioni a loro proposte fossero migliori, lo stesso vale per i giovani senegalesi; la differenza sostanziale è che per questi ultimi esiste anche una rabbia nei confronti dei governi che non reagiscono dinanzi ad una politica di rilascio dei visti di espatrio assolutamente sproporzionata rispetto a ciò che viene di norma riservato agli stranieri che vogliono entrare in Senegal.

Resta dunque aperto il problema dell’effettivo legame tra la mobilità e la violazione del diritto all’educazione. La prospettiva che tutti si augurano è che i migranti vengano valorizzati come risorse, come portatori di ricchezze culturali, sociali e religiose e che la mobilità da Nord a sud e da Sud a Nord crei canali di circolazione di persone regolati dalle leggi internazionali e nazionali.

1.4

Nel documento Diritti dell uomo e società democratica (pagine 61-67)