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IL DIRITTO AL LAVORO

Nel documento Diritti dell uomo e società democratica (pagine 27-30)

Savino Pezzotta

Ultimamente ci sono state numerose manifestazioni per celebrare il settantesimo anniversario della emanazione da parte delle Nazioni Unite della Dichiarazione universale dei diritti umani. Ne abbiamo parlato in molti e si è fatta anche tanta retorica. Questo sicuramente ha avuto un impatto educativo, soprattutto in una situazione politica e sociale in cui nuove forme di discriminazione, di xenofobia, di razzismo fanno quotidianamente capolino, senza che vi siano reazioni, anzi una parte della politica ha assunto una posizione di neutralità, quando, esibendo certi comportamenti, pensieri e linguaggi, incoraggia certi atteggiamenti.

Dovremmo però mettere in evidenza come i diritti sono violati in tanti Paesi del mondo con i quali l’Italia mantiene relazioni cordiali e fa affari.

È chiaro che con la Dichiarazione universale dei diritti umani le Nazioni Unite hanno provocato una pacifica rivoluzione politica e culturale. I diritti non sono praticati ovunque in quanto gli abusi, l’arbitrio, il disprezzo per i più deboli sono esercitati di nascosto e ormai una moltitudine di persone li conosce e questo dà vita a processi di mobilitazione su una piattaforma che è a livello internazionale ed è riconosciuta da tutti.

La Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo non ha statuto giuridico, non è una legge “internazionale” e pertanto non ha carattere prescrittivo e non crea norme vincolanti per gli stati e gli individui. Ha

una grande forza morale e politica. Eppure, è molto importante, poiché prima della sua promulgazione non esisteva a livello internazionale un documento ufficiale che stabilisse i diritti spettanti a ogni essere umano, indipendentemente da etnia, nazione, religione, posizione sociale e dimensione culturale.

Per la prima volta nella storia dell’umanità si realizzò un accordo tra Stati politicamente e ideologicamente diversi su una serie di obiettivi e principi e soprattutto si affermò che tutti erano tenuti a rispettare e valorizzare i valori essenziali della persona.

Il non essere una norma legislativa e obbligante non ha inibito che si producessero prima e si producano oggi effetti significativi sulla comunità internazionale e ha prodotto una tensione umana e determinato il formarsi di un nuovo sentire a livello popolare che ha consentito lo sviluppo dei processi di decolonizzazione, di condanna di ogni razzismo, di superamento della fascinazione goduta dell’autoritarismo politico.

Da ex sindacalista sono sensibilmente attratto dall’art. 23 dove si dichiara:

1. Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro e alla protezione contro la disoccupazione.

2. Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro.

3. Ogni individuo che lavora ha diritto ad una remunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia una esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, da altri mezzi di protezione sociale.

4. Ogni individuo ha diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi.

Il contenuto di questo articolo è stato successivamente precisato con gli articoli 6,7 e 8 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966.

A settant’anni di distanza possiamo ribadire l’attualità di questa Dichiarazione? Ci sono dei limiti storici che vanno superati e la genericità di alcune affermazioni che rispondono alla realtà e alla cultura di allora.

Ma fatte queste osservazioni possiamo tranquillamente affermare che essa mantiene un valore orientativo, anche se andrà adeguata alle grandi trasformazioni che hanno investito la dimensione del lavoro.

Se per diversi decenni abbiamo vissuto in una tensione verso il

"progresso sociale" con la conseguente crescita dei diritti, delle libertà e delle condizioni materiali per le persone al lavoro, oggi avvertiamo che le cose stanno cambiando: aumenta la disoccupazione, il 40% dei lavoratori nel mondo non ha un contratto di lavoro, decine di milioni di bambini sono costretti a lavorare. Circa 1,5 miliardi di persone vive con meno di 4,50 euro al giorno, il 70% della popolazione mondiale non ha un sistema di protezione sociale, il diritto di sciopero e la libertà di associazione sono lontani da quanto proclamato dalla Dichiarazione.

In Italia, i diritti sociali vengono spesso presentati come "privilegi" di un'altra epoca. La versione neoliberista della globalizzazione ha reso la competizione un assoluto che si è diffuso in tutto il pianeta; l’economia, il profitto hanno conquistato una centralità che finisce per negare il valore e la dignità del lavoro umano. Il danno umano di questa trasformazione di prospettiva è enorme.

Inoltre, non possiamo ignorare che la cosiddetta quarta rivoluzione industriale sta avanzando e già sta modificando la nostra vita, le forme del lavoro e delle relazioni sociali e individuali. Produce trasformazioni nella politica, nell’istruzione, nell’assistenza sanitaria e nel commercio, incrina il rapporto di fiducia verso le organizzazioni sindacali.

Ci troviamo innanzi a una metamorfosi che cambierà le nostre relazioni, muterà le nostre opportunità e inciderà sulle nostre identità e

attraverso le biotecnologie, la nuova medicina, le nanotecnologie inciderà sui nostri corpi modificandoli. I progressi nelle scienze biomediche, come già registriamo, possono creare le condizioni per una vita più sana e più lunga possono generare innovazioni nelle neuroscienze e tendere a collegare il cervello umano ai computer per migliorare l'intelligenza o sperimentare un mondo virtuale.

La battaglia per la tutela e la valorizzazione del lavoro umano dovrà spostarsi dalla logica puramente economica a quella dell'istruzione, alla creazione e formazione e acquisizioni permanenti di sempre maggiori competenze, alla possibilità di un sempre maggiore accesso alle informazioni e tutto ciò può migliorare la vita, il lavoro, il vivere insieme e ampliare il nostro orizzonte relazionale.

Queste innovazioni possono trasformare la globalizzazione delle interdipendenze, regolate dagli interessai economici, a un nuovo sistema di relazioni internazionali e a un di intreccio aperto tra civiltà, culture e religioni, portando miliardi di persone, di paesi, civiltà, religioni, etnie a definire un modo pluralista di relazioni e di convivenze.

Pertanto, la quarta rivoluzione industriale, non cambierà solo l’organizzazione del lavoro e della produzione, ma influirà profondamente sulla nostra identità, sulle relazioni sociali e personali, sulle nozioni di proprietà e di consumo e riarticolerà il tempo di lavoro e il tempo libero.

La tecnologia digitale potrebbe contribuire a liberare i lavoratori dai compiti automatizzati, creando spazi per concentrarsi sulle attività di cura (bambini, anziani) di tutela ambientale e sui problemi aziendali, conquistando più autonomia e partecipare ai processi decisionali.

Nel documento Diritti dell uomo e società democratica (pagine 27-30)