Capitolo III: RIFLESSI SUL GRADO DI COMPLIANCE AZIENDALE
% PERDITA DI VALORE SU
3.3 La compliance aziendale
3.3.2 Le cause della non compliance
Nel presente lavoro, si è scelto di prendere in esame i gruppi societari italiani di più grandi dimensioni, con l’attesa di riscontrare nei loro bilanci una quasi totale conformità allo IAS 36. Tuttavia, un giudizio completo su questo aspetto non può essere espresso, a causa delle difficoltà incontrate nel raccogliere le informazioni. Infatti, si è appurato che la non- compliance è data principalmente dall’assenza di informazioni complete sugli aspetti richiesti dallo standard.
L’individuazione di possibili cause della non-compliance non è cosa facile, anche a causa del fatto che la letteratura in materia di compliance in Italia è molto scarsa, se non addirittura assente.
Lo stesso, però non si può dire della letteratura in materia di disclosure, aspetto che attualmente riveste un ruolo sempre più importante nell’ambiente societario, basti notare il radicale incremento del numero di siti aziendali con l’apposito link “investor relations”. Negli ultimi anni è cresciuta sempre più la necessità di rendere trasparente la propria situazione economica e patrimoniale, al fine di rendere l’investitore capace di effettuare la scelta migliore per i suoi investimenti.
L’Impairment test è un tema particolarmente nuovo in Italia, in quanto solo a partire dal 2005 le società quotate sono tenute a redigere i bilanci secondo i principi contabili internazionali IAS/IFRS e quindi a svalutare l’avviamento attraverso la stima del suo valore recuperabile.
Il carattere di novità potrebbe quindi rappresentare una prima causa della non-compliance con lo IAS 36. Tuttavia, dalla lettura di precedenti ricerche - quelle riguardanti ad esempio il momento dell’entrata in vigore dello standard oppure quelle relative al confronto tra la disclosure pre e post crisi - si è potuto constatare che, ad oggi, le società sono molto più IAS compliant rispetto al passato.
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Anche la crisi che ha investito le società a livello globale a partire dal 2008 e che ancora non dà tregua, potrebbe rappresentare una causa della non compliance, soprattutto in termini di disclosure, in quanto in questi anni è sicuramente aumentata la probabilità di determinazione di un’Impairment loss. La svalutazione dell’avviamento può contribuire ad un peggioramento dell’immagine della società e per questo motivo potrebbe essere spinta dalla volontà di estromettere alcuni particolari importanti dall’informativa comunicata nel bilancio.
Le società del campione scelto per la presente ricerca empirica rappresentano i gruppi di dimensioni più elevate in Italia, tuttavia, poste sul piano globale, esse si collocano maggiormente verso l’estremità inferiore della lista di società quotate tenute alla redazione del bilancio secondo i principi IAS/IFRS. La dimensione aziendale è sicuramente una determinante della compliance aziendale in quanto le società di più grandi dimensioni hanno maggiori opportunità di acquisire competenze in certe discipline, inclusa la valutazione d’azienda. Dunque, ci si aspetta che le società di maggiori dimensioni presentino minori situazioni di non – compliance rispetto alle società più piccole. La presente ricerca ha rilevato che, negli aspetti comunicati nelle note integrative, le società sono quasi totalmente IAS compliant, ma già con un rapido confronto tra le società facenti parte dei panieri FTSE Mib e FTSE Italia Mid Cap si è potuto notare un cambiamento nella costruzione delle note integrative. Probabilmente, se si andasse ad esaminare i bilanci dei gruppi appartenenti ai panieri FTSE Italia Small Cap e Micro Cap, si noterebbe un’ancora più scarsa compliance con lo standard.
Non tutti i gruppi, al 31 dicembre 2011, riportavano un valore di avviamento tra le immobilizzazioni immateriali, inoltre più della metà di essi presentava un goodwill non significativo (misurato come percentuale del Total Assets). Probabilmente, anche un valore di avviamento non elevato può determinare una più o meno considerevole compliance con lo IAS 36 e soprattutto una minore disclosure. Le società che hanno un goodwill poco significativo probabilmente prestano meno attenzione all’Impairment test dell’avviamento, in quanto le eventuali perdite di valore avrebbero un impatto poco rilevante sul risultato d’esercizio.
Precedenti ricerche empiriche, condotte al di fuori dell’Italia, hanno messo in luce diverse determinanti della non compliance, quali l’assenza di un modello comune, ossia di un
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modello di calcolo per le valutazioni comune a tutte le CGU, il quale probabilmente ridurrebbe il numero di errori nelle stime e quindi i casi di non compliance. Oppure la presenza in società di soggetti con altre esperienze nella disciplina delle valutazioni d’azienda, i quali probabilmente commetterebbero un numero inferiore di errori migliorando la compliance del test di Impairment allo IAS 3681.
Infine, Petersen e Plenborg suggeriscono che le situazioni di non-compliance potrebbero verificarsi con minore probabilità se le procedure di Impairment test venissero rese “sistematiche”, attraverso ad esempio la predisposizione di un manuale, e coinvolgessero soggetti con una considerevole esperienza nel campo delle valorizzazioni.
Nei bilanci delle società quotate italiane finora visti, non sono presenti molte informazioni relative ai soggetti che si occupano dell’effettuazione del test di Impairment, né ad eventuali “schemi” utilizzati per questo specifico scopo. Tuttavia, una considerazione può essere fatta. Alcune società tra quelle oggetto della ricerca, in particolare quelle quotate sul paniere FTSE Italia Mid Cap, hanno fatto riferimento a soggetti esterni all’impresa, dei quali si avvalgono per l’attuazione dell’Impairment test. Questo potrebbe significare che le società italiane tendono a rivolgersi a soggetti qualificati piuttosto che costituire un team interno di esperti, e questo potrebbe essere dovuto sia alle dimensioni “piccole” delle società quotate italiane, sia all’ancora non totale importanza attribuita all’Impairment test dell’avviamento.