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Ce ne informa P.M sulla «Gazzetta del popolo»: «Doveva chiamarsi Teatro li-

bero, ma poi – siccome da molte parti giungevano agli iniziatori delle osservazioni, delle pudiche, troppo pudiche riserve, di persone che, scandalizzate, domandava- no se proprio Teatro libero fosse sinonimo di teatro licenzioso – si pensò di rinunciare al primo nome, per adottarne un altro che non potesse, neanche lontanamente, destare alcun sospetto nelle più timorate coscienze, le quali hanno diritto al mas- simo rispetto»: P.M., Teatro d’Arte cit.

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a una pratica teatrale basata su un’astratta imposizione da parte di figure esterne alla scena di tutto ciò che la tradizione del teatro italiano aveva considerato di per sé secondario per l’arte, e cioè – limitandosi agli esempi più significativi – un rispetto debolmente «letterario» del testo drammatico, la centralità posticcia dell’apparato scenografico, l’attenzione prioritaria alla concertazione dei movimenti in scena. A que- sti elementi se ne aggiungeva poi un altro – più in sintonia con ciò che accadeva nel resto dei teatri d’Europa e anche più legato all’effettiva esperienza della scena italiana – e cioè il tentativo di accordare la recitazione degli attori a partire da un tono medio di naturalezza espressiva. Da tutto ciò sca- turisce un teatro incapace, almeno in questi primi tentativi, di un autentico rapporto con la concretezza della scena e perciò di interagire davvero con il linguaggio che su quella scena viene espresso; un teatro che inizia a scoprire la figura del «regista» nella sua accezione più negativa, così come la conoscerà un certo teatro italiano qualche decennio più tar- di, molto distante da un concetto e una pratica della scena che da Modena a Bene – ci si passi la parziale forzatura – cer- cherà invece, attraverso un’idea complessiva dello spettacolo ben più profonda e articolata, di potenziare e di arricchire l’espressione dell’attore, laddove ovviamente in Modena, dati i tempi, si tratta di una prima intuizione e in Bene si configura invece come un vero e proprio modo ormai ben consapevole e strutturato di guardare al teatro.

Il Teatro d’Arte di Torino inizia la propria attività il 27 febbraio 1898 con una rappresentazione dei Borgia di Pietro Cossa. Dirige la compagnia Domenico Lanza, affiancato da un gruppo di scrittori e intellettuali fra cui Vittorio Bersezio, mentre la «direzione tecnica» è affidata a un attore, Alfredo De Sanctis. In quell’occasione il teatro dove la compagnia ha sede, il Gerbino – ribattezzato «politeama» Gerbino – viene ampliato e restaurato, presentandosi modificato in alcuni particolari tecnici che concorrono alla realizzazione del pro- getto artistico complessivo del Teatro d’Arte. Innanzi tutto si provvede ad alzare il soffitto sopra la scena di tre metri, così da riuscire a manovrare gli scenari con maggiore agilità poten- doli sollevare senza doverli arrotolare82. In secondo luogo il

Il ritorno al teatro di Giacinta Pezzana

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palcoscenico viene modificato per consentire una maggiore «illusione» negli spettatori e facilitare la messa a punto di un linguaggio della scena il più naturalistico possibile; viene così «abolito il cuffione del suggeritore», «abbassata e nascosta la ribalta» e «provvisto bene anche ai giuochi di luce, che tanta importanza hanno per l’illusione scenica»83. Per conferire

infine al teatro quel «carattere signorile»84 che un’iniziativa

del genere non poteva non avere viene sostituito all’«antie- stetico» e «poco simpatico»85 telone réclame posto di fronte al

sipario un semplice telo di peluche rossa.

La scelta dei Borgia per l’inaugurazione non è ovviamente casuale. Come avverrà anche nel caso della Drammatica com- pagnia di Roma – in quella circostanza si tratterà del Giulio Cesare di Shakespeare – viene proposto un testo «classico», «poderoso»86, «uno dei più forti e dei più ignorati» fra i lavori

di Cossa87 – così come il Giulio Cesare sarà presentato come

uno dei più forti e ignorati di Shakespeare –, ribadendo così l’obiettivo primo della compagnia, la centralità del reper- torio a discapito di ogni altra considerazione in merito alle ragioni del linguaggio della scena e alle consuetudini teatra- li. Recensendo quello spettacolo il cronista della «Gazzetta del popolo» lamenta proprio l’infelice scelta del testo: «Dire che la scelta […] sia stata felicissima, non si può. I Borgia appartengono a quel genere di lavori che disgraziatamente non sono più nella pratica, nel repertorio, nelle tradizioni dei comici»88. E se non sembrano emergere con particolare

rilievo in questo spettacolo i valori d’attore – l’importanza del- la recitazione rimanendo qui un po’ in secondo piano – le cronache registrano invece il rilievo assunto nella circostanza dalle componenti più spettacolari dell’apparato scenografi- co – scenografi della compagnia sono Fontana e Rovescalli, costumista Caramba – e dei movimenti delle comparse:

Quello che emerse specialmente dalla rappresentazione di ieri sera fu la cura speciale, lo studio vivissimo dato a tutto

83. S.i.a., Politeama Gerbino, in «Gazzetta del popolo», n. 59, 28 febbraio 1898 . 84. P.M., Il Teatro d’Arte, in «Gazzetta del popolo», n. 67, 8 marzo 1898.

85. D.l. [D. Lanza], L’inaugurazione del Teatro d’Arte, in «La Stampa», n. 59, 28 feb-

braio 1898.

86. S.i.a., Il politeama Gerbino, in «La Stampa», n. 55, 24 febbraio 1898. 87. S.i.a., Il Teatro d’Arte, in «Gazzetta di Torino», n. 56, 25-26 febbraio 1898. 88. S.i.a., Politeama Gerbino, in «Gazzetta del popolo», n. 59, 28 febbraio 1898.

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ciò che riguarda la messa in scena. Meravigliosi i costumi, anche quelli delle comparse, comparse intelligenti, fra le qua- li alcuni assai noti nel mondo artistico. Bellissimo l’arredo scenico. Nuovissime tutte le scene, sebbene non tutte forse siano ugualmente inappuntabili89.

I commenti alla recitazione di Giacinta Pezzana pubblicati sui giornali sembrano il frutto di un’attenzione e di un inte- resse più di circostanza che di sostanza. D’altra parte la sua figura doveva essere risultata da subito un po’ fuori posto all’interno della compagnia, come testimonia fra l’altro il fatto che dopo I Borgia, a differenza del primo attore Alfredo De Sanctis, Giacinta Pezzana non prende parte ad alcuni fra gli spettacoli più importanti delle settimane successive, come Tristi amori, Casa di bambola, Il povero Piero, La scuola delle mogli.

Vittorio Bersezio descrive Giacinta Pezzana a pochi giorni dall’inaugurazione del Teatro d’Arte in un’appendice della «Stampa» come un’attrice fortemente «diseguale» e dotata di una propria particolarissima «mobilità sensitiva»:

Si sarebbe detto che essa recitasse bene per contentare se medesima; dietro ragioni particolari, intime, fors’anco a lei inavvertite, ella si sentiva animata o svogliata, forte o fiacca, ispirata od ottusa. Anche a teatro vuoto, se un interno senso spirava, ella saliva alle più sublimi altezze della sua arte; se qualche cosa avvenisse che le spiacesse, anche innanzi a un affollato uditorio la si lasciava cogliere dalla noncuranza e dal malumore. Avvenne che incominciasse con gran zelo ed efficacia, poi a un tratto decadesse, languisse; ed altre volte, invece, cominciato di maltalento, subitamente quindi si riscuotesse e trascinasse il pubblico già imbronciato all’en- tusiasmo90.

Non può stupire che un’attrice di questo tipo, scritturata forse più per la necessità di attirare il pubblico che per la convinzione dell’importanza di un suo apporto artistico, si trovasse a mal partito in una compagnia come quella del Te- atro d’Arte che puntava sull’«insieme ben equilibrato» piut-