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E Zabel, Zur Modernen Dramaturgie Studien und Kritiken über das ausländische

Attori e scena nel teatro italiano di fine Ottocento Armando Petrini

l’effetto in certo qual modo straniante della sua recitazione va anche ricordato quel «lieve senso di fastidio» che ancora Roberto Bracco indicava nel 1899 come cifra stilistica del «ve- rismo» di Emanuel:

Che lo studio del vero […] sia il midollo del classicismo scenico di Giovanni Emanuel è innegabile se si consideri che nessuna delle sue maggiori interpretazioni ha per solo fine un fascino irresistibile di forma. Al contrario, qualche volta Giovanni Emanuel, quando non sia riuscito ad armo- nizzare l’intransigenza dello studioso e dello psicologo con le esigenze della scena, produce nello spettatore un lieve senso di fastidio. Del resto, benché egli abbia voluto rispet- tare la imponenza classica del repertorio shakespeariano, nella genesi dell’arte sua ha mostrato che la sua indole è eminentemente verista22.

Dove, nel suo caratterizzare una poetica definita «veri- sta» – considerata in parte alternativa a uno stile fatto di «im- ponenza classica» – il «fastidio» registrato da Bracco, oltre a richiamare la discontinuità della recitazione di Emanuel, assume i tratti di una vera e propria cifra stilistica. Quella di

22. R. Bracco, Giovanni Emanuel al Mercadante, in «Corriere di Napoli», n. 301, 29

ottobre 1899.

Tavola 16

Caricatura del Lear di Emanuel eseguita da Ruggero Ruggeri

L’ultimo Emanuel

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Emanuel non è una recitazione calda e partecipata ma, pur continuando a manifestarsi nel segno di una fondamentale semplicità espressiva, si presenta ora prevalentemente fred- da e distaccata, consapevolmente portatrice di una poetica che accanto ad alcuni dei tratti tipici del naturalismo sin qui evidenziati ne presenta altri maggiormente partecipi di un sentire algido e disarmonico ovviamente più distante da una concezione naturalistica della recitazione. È probabilmen- te in questo senso – e a riassumere queste peculiarità del suo stile – che Alessandro d’Amico, discutendo il rapporto fra «teatro verista» e «grande attore», ha definito Emanuel «uno dei rari casi di attore “diderottiano” in epoca di diffuso emozionalismo»23.

In accordo con i mutamenti nel suo linguaggio della sce- na, Emanuel cambia anche in questo periodo la concezione di alcuni dei suoi personaggi più significativi. Amleto, per esempio, perde quel tratto insistitamente e anche un po’ gre- vemente naturalistico che abbiamo visto caratterizzare la ma- turità artistica dell’attore mantenendosi ora a distanza da un eccesso di psicologismo e da una troppo minuta intenzione mimetica nei confronti della realtà. Il recensore del quotidia- no «Il mattino» di Napoli scrive nel 1899: «Egli non cercò di modernizzare Amleto con metodi di realismo-zoliano o con lambiccature di psicologia trascendentale, falsando il tipo, riducendolo a troppo umili e basse proporzioni» e al con- trario «sentì tutta la dignità del capolavoro, tutta l’immensa estensione umana del personaggio»24. E in un’altra cronaca

napoletana di quello stesso 1899 si legge: «L’arte dell’Ema- nuel è una cosa diversa da quella degli altri quattro o cinque eminenti attori nostri. C’è qualche cosa di grande, di antico, di immanente in quell’arte: c’è la sublime falsità per la quale l’artista abbandona i poveri sentieri del “reale” per entrare nel “vero”, nel grande “vero” che sta al di sopra della vita a punto per abbracciarla e comprenderla»25. E lasciando pure

da parte la mancata distinzione fra «falso» e «finto» – dal momento che è chiaro qui come il cronista scriva «falso» per

23. A. d’Amico, Il teatro verista e il «grande attore», in A. Tinterri, a cura di, Il teatro

italiano dal naturalismo a Pirandello, Bologna, il Mulino, 1990, p. 36.

24. r.f., Al Mercadante, in «Il mattino», n. 311, 8-9 novembre 1899.

25. m., Emanuel al Mercadante, in «don Marzio», n. 301, 29-30 ottobre 1899. La

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significare «finto» – si tratta di una testimonianza preziosa, perché ci aiuta a capire quanto ormai Emanuel fosse distante da una concezione semplicemente «naturalistica» del teatro e come fosse nel frattempo cambiato il suo modo di affron- tare il personaggio e di restituirne la figura sulla scena.

Lo stile di Emanuel acquista d’altra parte una maggiore ricchezza e una più sottile profondità anche nella caratteriz- zazione complessiva di alcuni fra i suoi personaggi più im- portanti. Per esempio ancora Amleto sembra perdere ora il tratto cinico di cui abbiamo discusso nel capitolo precedente, evidenziando piuttosto la sofferenza e il dolore che ne se- gnano la figura complessiva; Amleto è sì caratterizzato per il «profondo scetticismo» e la «caustica e divina amarezza» ma egli, leggiamo in una recensione del 1899, «geme dolore ad ogni strale, riga di sangue, quando fustiga la scelleratezza, e fornisce la misura della sua ambascia, quando non risparmia neppure la bellezza e la bontà»26. E sono numerose in questi

anni le cronache che sembrano alludere a un Emanuel-Amle- to più contraddittorio e complesso, in cui i diversi aspetti del carattere e i differenti stati d’animo si mescolano continua- mente fra loro impedendo quella nota come di cinica ironia che connotava invece l’Amleto della maturità. «L’Emanuel fu sommo ieri sera», scrive il cronista del quotidiano «Roma» di Napoli ancora nel 1899,

nel rendere i moti di quella complicata natura: quel riso che sembra pianto, quel singhiozzo che sembra scatto di gioia, quello sdegno che sembra paura, quella viltà che sembra coraggio, quell’impeto che sembra indugio, quella follia che sembra ragione, quella logica che sembra smarrimento, quell’apparente sciempiaggine che è filosofia profonda27.

Persino la pazzia di Amleto, che sin dalle prime recite di Emanuel era stata sempre resa come perfettamente consa- pevole – in contrapposizione, lo si ricorderà, al «delirante» Amleto di Rossi – diventa ora più sfumata, probabilmente anche in considerazione del fatto che viene a mancare pro- prio il termine di contraddizione, Ernesto Rossi, morto nel 1896:

26. p.c.dario, Emanuel-Amleto, in «Il pungolo parlamentare», n. 310, 8-9 novembre

1899.

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Di fronte all’interpretazione di Emmanuel [sic], la figura gigante di Amleto ci lascia ancora più impressionati e più perplessi, e ci domandiamo dove comincia e dove finisce la sua follia, e se la simulazione non lo trascini oltre i confini che egli aveva prestabilito. L’Emanuel rende così evidente, palpabile quasi, il più complicato fenomeno di autosugge- stione, per cui la finzione di una follia involge nelle sue spire un cervello umano, e lo attacca di quel male che doveva essere soltanto simulato28.