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e Cecilia Rostagni, pp.700,€45,

Fondazione Corriere della Sera-Rizzoli, Milano 2011

C

he posto occupa l'architet-tura nella stampa generali-sta? A chi è affidato il compito di documentare una materia che riguarda chiunque, dal momen-to che l'architettura è ovunque, scena onnipresente della nostra vita quotidiana? Due sono i luo-ghi convenzionalmente destinati a ospitare quell'insieme eteroge-neo di saperi sintetizzato dall'e-spressione inglese built environ-ment nei giornali: la pagina cul-turale e la cronaca locale, riflessi di culture e linguaggi radical-mente diversi e per certi versi complementari tra loro.

D'altro canto sono quasi sempre gli archi-tetti, professionisti di comprovata fama o af-fermati critici di me-stiere, a prendere la parola sui giornali ita-liani ogni qual volta si tratti di commentare una grande trasforma-zione urbana immi-nente o l'approvazio-ne di qualche progetto

controverso, alimentando un conflitto d'interessi che non gio-va di certo all'obiettività dell'in-formazione.

Un rischio, tuttavia che la pro-lifica produzione giornalistica di Giò Ponti, autore, tra l'aprile 1930 e l'agosto 1963, di cento-trenta articoli per 0 "Corriere della Sera", non sembra correre. Si tratta di un aspetto meno noto del percorso professionale del poliedrico architetto, designer, docente universitario, fondatore e direttore di riviste milanese, su cui fa luce una recente antologia, ma che tuttavia non è un caso iso-lato nel nostro paese. Prima e do-po Ponti, almeno tre altre figure centrali della scena professionale italiana ricoprono, seppur in mo-di e con frequenze mo-diverse, analo-ghi incarichi, Marcello Piacenti-ni, Bruno Zevi e Vittorio Gregot-ti: il primo, collaboratore fisso di quotidiani e periodici quali "La Tribuna", "Il Tempo", "Il Matti-no d'Italia", "Il Popolo RomaMatti-no" e "Il Globo"; il secondo, titolare, dal 1954 fino alla morte, della ru-brica di architettura del settima-nale "Cronache", poi ribattezza-to in "L'Espresso"; il terzo, auribattezza-to- auto-re, dal gennaio 1984 a oggi, di poco più di un centinaio di arti-coli destinati in massima parte al-la pagina culturale del quotidiano "la Repubblica".

A chiarire i limiti entro cui si sarebbe mossa l'attività giornali-stica di Ponti al "Corriere" sono le prime tre righe di Architettura per noi, uscito il 10 febbraio 1935:

"Qui non si vuol parlare di archi-tettura dal punto di vista artistico, cioè di tutte quelle questioni del-l'architettura moderna che sono state e sono tuttora oggetto di fie-rissime polemiche, di adesioni

appassionate e di riluttanze colle-riche". Una dichiarazione che dà l'esatta misura del registro espres-sivo caratteristico degli articoli, tutti appositamente preparati e inedid, firmati da Ponti per il quotidiano più diffuso d'Italia nell'arco di oltre un trentennio. Del resto la raccomandazione ri-voltagli dal direttore Aldo Borelli nel settembre 1933 di "tenersi su un tono espositivo evitando inter-ferenze con la critica artistica", stabiliva con esattezza la cornice entro cui era consentito muoversi a Ponti nell'esercizio di questo suo nuovo incarico presso il gior-nale: due articoli al mese aventi per oggetto "la casa e tutti i pro-blemi ad essa attinenti". Lo di-mostrano i titoli dei suoi primi contributi: Distribuzione e pro-porzioni degli ambienti, I colori

nell'arredamento, Divagazione sulle terrazze, Casa per famiglie numerose, L'arredamento sempli-ce, Comperando un appartamento, Lubicazione della casa, Le porte,

Pavimenti e tappeti, Ca-se comode per gente or-dinata... Titoli che identificano temi estra-nei non solo alla critica d'arte, tradizionalmen-te riservata nello stradizionalmen-tesso giornale alla penna del fiorentino Ugo Ojetti, ma anche ai codici espressivi della specu-lazione accademica o della teoria, temi del tutto alieni a Ponti che di sé avrebbe scritto: "La mia mente non ha predisposizione per le im-postazioni di principi, per archi-tettare teorie, per una razionalità ab imis di termini e d'inquadra-mento di pensieri".

Nella familiarità di contenuti e di tono narrativo, queste prime pagine di Ponti per il "Corriere" appaiono piuttosto come altret-tanti capitoli di un maneggevole prontuario a uso domestico, che ben si presta a essere consultato dal lettore comune. La lunga collaborazione del maestro mila-nese al giornale di via Solferino intreccia tre decenni della storia d'Italia, di cui costituisce il calei-doscopico riflesso: gli anni cen-trali del regime fascista, la guer-ra, la fase costituente della Re-pubblica, la ricostruzione, il mi-racolo economico italiano. "Creare i fondamenti di un'opi-nione pubblica in materia di ar-chitettura e suscitare una natura-le propensione alla modernità", non solo tra gli specialisti, ma tra la gente comune, è l'obiettivo fondamentale dell'appassionata predicazione di Ponti sulle pagi-ne del quotidiano milapagi-nese. Un lavoro che si snoda lungo alme-no quattro diverse stagioni, cia-scuna delle quali è l'esito di un complicato intreccio tra vicissi-tudini della storia nazionale, parabola professionale dell'ar-chitetto e cambiamenti ai vertici del quotidiano milanese.

La prima di queste dura all'in-circa quattro anni, dal 1933 al 1937, e ha come protagonista as-soluto la casa, terreno elettivo di quel complessivo progetto di di-vulgazione della cultura dell'abi-tare e dell'architettura moderne che Ponti persegue ormai da

qualche anno e di cui sono an-che espressione, in quegli stessi anni, seppur in chiavi diverse, la rivista "Domus", da lui fondata e diretta, e i progetti di "case ti-piche" per Milano. Dalla prima-vera del 1937, accanto all'abitare moderno, l'architettura e l'urba-nistica del capoluogo lombardo diventano il fulcro di una rifles-sione inedita e occarifles-sione di nuo-vi contributi: nella serie "Avve-nire di Milano", non più in terza pagina, ma nella cronaca milane-se, gli scritti di Ponti, dal 1935 coinvolto nelle commissioni edi-lizie comunali, registrano pun-tualmente tutti i nodi urbanistici milanesi di maggiore attualità, dal concorso per piazza del Duomo allo Scalo Sempione, dal nuovo auditorium al tracciato definitivo di piazza San Babila. I drammatici anni della guerra, con l'inizio della nuova avventu-ra editoriale di "Stile", fondata nel 1941, vedono diversificarsi ulteriormente la gamma dei temi affrontati: agli articoli sull'arte per la casa, lo stile e il gusto del-l'abitare, l'artigianato e la cera-mica si affiancano quelli su ma-teriali e autarchia, la "casa per tutti", la ricostruzione dei mo-numenti danneggiati dalle incur-sioni alleate. Temi che Ponti ri-prenderà e svilupperà dopo la guerra declinandoli secondo le impellenti necessità dettate dalla ricostruzione e dal Piano Fanfa-ni. In quella che è forse la sta-gione progettuale più libera e prolifica del maestro milanese, accanto alla casa, ancora e sem-pre al centro della sua scrittura, Ponti si muoverà estemporanea-mente e con inedita leggerezza tra una moltitudine di interessi: dalla formazione di una nuova generazione di architetti alle vi-cende della cronaca architettoni-ca e urbanistiarchitettoni-ca milanese, dalle sorti della Triennale alle celebra-zioni di "Italia 61", dalla con-temporanea scena edilizia new-yorkese alla rivisitazione del mi-to dei grandi maestri della mo-dernità architettonica.

A completare il ritratto di una figura per molti versi ancora og-getto di un superficiale ostraci-smo critico sono anche le due prefazioni a quest'antologia. La prima, firmata da Luca Molina-ri, consente di seguire in paral-lelo le vicende del Ponti pole-mista e quelle del Ponti archi-tetto, designer, fondatore e di-rettore di riviste, tratteggiando il profilo di una biografia intel-lettuale distintasi per poliedrici-tà e prodigalipoliedrici-tà; la seconda, fir-mata da Cecilia Rostagni, nella fitta rete di rapporti che lega Ponti alle cinque figure di diret-tori, rende tangibili i limiti en-tro cui è costretta a muoversi un'attività editoriale durata trentatré anni pressoché inin-terrottamente ma non sempre aliena da tensioni e scontento. Una nota biografica, il carteg-gio tra Ponti e la redazione, una raccolta di scritti su di lui, pub-blicati nello stesso quotidiano e firmati da Bazzani, Ojetti e Ma-rio Perazzi, contribuiscono infi-ne a restituire una tessera finora mancante della sfaccettata per-sonalità di questo indiscusso maestro del XX secolo. •

m i c h e l a . r o s s o ® p o l ì t o . i t

M. Rosso insegna storia dell'architettura al Politecnico diTorino

L A C A S A LE FORME DELLO STARE

a cura di Antonio Monestiroli

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