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CINQUE A N N I C H E P A I O N O SECOLI

ANTONIO GRAMSCI DAL SOCIALISMO AL COMUNISMO

(1914-1919) pp. 421, €28, Carocci, Roma 2011

N

ell'ambito del rinnovato

interesse degli studiosi verso la formazione del giovane Gramsci, il presente volume si segnala sia per l'impostazione, sia per l'impianto interpretati-vo. E infatti al centro della ri-cerca vi è una accurata rivisita-zione degli scritti giovanili di Gramsci.

Essa era divenuta ormai ine-ludibile ai fini di una ricostru-zione dell'intero pensiero gramsciano che potesse avva-lersi degli enormi progressi de-gli studi intervenuti recente-mente. Ma vi è di più: il punto di vista prescelto è

che, "se si vuol capire Gramsci per ciò che realmente fu", è ne-cessario non già "mi-surarne la maggiore o minore distanza da un punto fermo de-terminato a priori", bensì ricostruire "ii processo genetico delle sue riflessioni" a partire

dall'indivi-duazione e dalla contestualiz-zazione delle sue fonti ispira-trici e dal carattere processuale della sua riflessione teorica e politica.

E qui chiaramente tracciata la prospettiva più adatta per misurarsi con un nodo cruciale del primo laboratorio gram-sciano: e cioè il procedere met-tendo "al servizio della pro-spettiva socialista moduli cultu-rali, regole di vita, imperativi etici tratti da contesti intellet-tuali esterni all'alveo del socia-lismo, a seconda dei casi im-mettendovi un diverso conte-nuto esistenziale", oppure "mutandone la logica interna (...) o ponendone in risalto l'apporto tanto alla vecchia quanto alla futura organizza-zione sociale".

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i tratta di un processo che, a partire dalla realtà quoti-diana di Torino in guerra, si al-largherà a una visione più ge-nerale dei rapporti tra azione politica e vita morale, investen-do via via le principali questio-ni della scena nazionale e inter-nazionale.

Anzitutto, i nodi irrisolti del-la storia dell'Italia liberale, l'assenza di una borghesia e di un ceto politico dirigente capa-ci di assolvere al compito di promuovere un moderno svi-luppo capitalistico e di fondare istituzioni improntate ai prin-cipi liberali, così come era av-venuto in Inghilterra, con tutte le ricadute sulla mancata cre-scita della società civile e con tutti gli aspetti degenerativi sul piano dei dispotico-trasformi-stici metodi di governo e degli stessi comportamenti, costumi

e modi di pensare del popolo italiano.

Nota giustamente Rapone come, nella polemica contro la "mancanza di carattere" della borghesia italiana e contro il giolittismo, ma anche nell'insi-stenza sull'arretratezza cultu-rale, la subalternità e le chiu-sure particolaristiche delle classi popolari, Gramsci non solo fosse largamente tributa-rio nei confronti delle avan-guardie letterarie del primo Novecento, dell'impostazione critica della "Voce" e della battaglia salveminiana, ma per più di un aspetto riecheggiasse l'insegnamento di De Santis e di Bertrando Spaventa e non si sottraesse al confronto con gli stessi Mosca e Pareto; oppure, come nella contrapposizione tra protezionismo e liberismo e nell'assunzione di quest'ulti-mo a fattore non solo di pro-gresso economico ma anche politico e a paradigma di una

nuova moralità socia-le, egli risentisse pro-fondamente della le-zione di Luigi Einau-di e Einau-di Edoardo Gi-retti.

E tuttavia, sulla ba-se di un'approfondi-ta disamina delle fon-ti, il volume dimostra l'inconsistenza delle tesi sia di quegli au-tori che hanno sbri-gativamente assimilato Gram-sci alle correnti del pensiero antidemocratico di quegli an-ni, sia alle interpretazioni che, alla luce dei prestiti liberali e liberisti presenti negli scritti giovanili, hanno contestato al-le radici il marxismo di Gram-sci.

La critica del sistema parla-mentare, infatti, non approderà mai in lui alla contrapposizione di principio tra governanti e go-vernati, bensì, all'opposto, alla prefigurazione del suo supera-mento, mentre l'antigiolittismo ha in questi anni come punto di riferimento non già l'antiparla-mentarismo e l'antiegualitari-smo, bensì l'affermazione di un "completo e integrale liberali-smo" che in Italia era sempre mancato.

Su un altro versante va segna-lata, per lo spessore, la parte del volume dedicata alla genesi del marxismo di Gramsci, a partire dalla funzione essenzia-le di tramite svolta dall'incon-tro con la filosofia neoidealisti-ca. E merito dell'autore aver ri-condotto a un contesto unitario i molteplici ambiti di questo percorso: la centralità dell'ini-ziativa umana contro ogni tra-scendentalismo; l'attenzione ai movimenti reali come "forze motrici" del processo storico e il rifiuto di ogni astratto utopi-smo e ideologiutopi-smo; la difesa del rigore e della serietà della cul-tura come regola di vita morale e di elevazione individuale non solo nel campo della "battaglia delle idee" nel tempo presente, ma anche e soprattutto nella prospettiva della futura società socialista; la polemica antiposi-tivistica e il richiamo alla

di-scendenza del marxismo dalla tradizione filosofica dell'ideali-smo tedesco.

Sono tutti elementi che con-correranno a definire fin dal 1916-17 i tratti originali del mar-xismo di Gramsci e in particola-re la sua avversione contro ogni riduzione del materialismo stori-co a una stori-concezione determini-stica dello sviluppo e a ogni ma-terialismo oggettivistico di stam-po stam-positivista.

E qui riscontrabile un'impo-stazione del rapporto fra neces-sità e soggettività, fra struttura economica e forme della co-scienza in cui è anche possibile leggere in controluce l'influenza dei Saggi di Antonio Labriola (ma su questo punto una più at-tenta considerazione avrebbe forse meritato la figura di Rodol-fo MondolRodol-fo).

Ciò che tuttavia si tende so-prattutto a sottolineare è l'auto-nomia di Gramsci, la sua adesio-ne selettiva ad aspetti del pensie-ro filosofico di Hegel, di Cpensie-roce e di Gentile, la sua utilizzazione politica e, non di rado, il suo ro-vesciamento dell'idealismo in funzione dei temi e delle batta-glie culturali che egli conduceva nell'ambito del socialismo.

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er questi motivi non

sem-bra un esercizio utile di-scettare su un "Gramsci einau-diano", oppure "crociano o gentiliano" e in generale su un Gramsci "liberale". All'oppo-sto, ben più ricco di risultati può essere il metodo di rappor-tarsi a "un Gramsci che nel co-struire la sua concezione del so-cialismo assume e rielabora motivi della cultura del suo tempo, riconvertendoli e ren-dendoli funzionali a una pro-spettiva politica e storica alter-nativa a quella originaria".

In sede conclusiva si può qui solo accennare ad alcuni ulte-riori temi spiccatamente gram-sciani che rendono preziosa la lettura di questo volume: la questione dell'intervento in guerra e il rapporto privilegiato dei giovani socialisti torinesi con il Mussolini socialista; il confronto ravvicinato con Cro-ce sulla "grande guerra", sulla sua evitabilità o inevitabilità, sul superamento degli stati na-zionali all'insegna dell'egemo-nia wilsodell'egemo-niana e della Società delle Nazioni, ma anche l'estra-neità di Gramsci al dibattito sul capitale finanziario e sull'impe-rialismo che nella fase prece-dente e nel corso della guerra aveva impegnato il movimento socialista internazionale; l'in-fluenza di Péguy e Sorel sul te-ma dell'Ordine Nuovo da co-struire fin dalla fase preparato-ria della rivoluzione e sul pre-sente che avrebbe dovuto anti-cipare l'avvenire, il che avrebbe trovato un terreno fondamenta-le di sperimentazione e di veri-fica nel movimento dei Consigli di fabbrica; e infine la Rivolu-zione russa, non solo nella cele-bre accezione di rivoluzione contro il Capitale, ma anche nella sua irrisolta tensione fra autodeterminazione delle mas-se e disciplinamento "dall'alto"

dell'intera società. •

c . n a t o l i @ t i s c a l i . n e t . i t

C. Natoli insegna storia contemporanea all'Università di Cagliari

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