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L'OCCHIO D E L L A M E D U S A FOTOGRAFIA E GIORNALISMO

pp. 389, €29, Bollati Boringhieri, Torino 2011

D

ietro ogni fotografia si

ce-lano trame di romanzi, scriveva Roland Barthes in La Chambre claire (1980). Scio-gliendo il proprio oggetto dal fascio di relazioni che lo tiene avviluppato al tempo, fissando-ne l'immagifissando-ne in eternità, le fo-tografie alludono costantemente ai passati e ai futuri che restano fuori. L'individuo che vediamo dentro una fotografia, un giorno è passato davanti all'obiettivo: viveva allora, è vissuto ancora. Chi era prima dello scatto? Co-sa gli è successo dopo? Ecco due storie.

Eppure un pregiudizio lungo ormai due secoli insiste nel vede-re fotografia e letteratura lungo sentieri distanti e

in-c o m m e n s u r a b i l i : quante volte abbiamo sentito dire che il pro-liferare delle immagini sottrarrebbe al rac-conto forza di evoca-zione? Baudelaire e Marx consideravano la fotografia con so-spetto. Più di recente, Thomas Bernhard l'ha giudicata una sciagura

irreparabile, addirittura la peg-giore del XX secolo: "L'invento-re dell'arte fotografica è l'inven-tore della più disumana di tutte le arti. A lui dobbiamo la defini-tiva deformazione della natura e dell'uomo che in essa vive, ridot-ti alla smorfia perversa dell'una e dell'altro".

La fotografia, nello stesso tem-po, è però anche una delle co-stanti più ricorrenti dell'immagi-nario letterario contemporaneo. In essa, nei suoi meccanismi, nel modo speciale in cui sa catturare il visibile, scrittori di ogni latitu-dine hanno trovato non soltanto il proprio soggetto, ma nuove metafore mediante cui ripensare la scrittura e le sue regole. Baste-rebbero W ou le souvenir d'en-jànce (1975) di Georges Perec o

Austerlitz (2001) di Winfried G. Sebald per mostrare fino a quale profondità il linguaggio delle im-magini possa interagire con quel-lo verbale: ma esempi anaquel-loghi si incontrano ormai innumerevoli, e sappiamo da tempo che la foto-grafia, come ama dire John Ber-ger, è another way of telling, un altro modo di raccontare.

Nel delineare il percorso stori-co ed estetistori-co di queste stori- contami-nazioni, Remo Ceserani prende in esame una questione fonda-mentale della storia della cultura contemporanea. Pur tralascian-do volutamente alcuni ambiti specifici, come il ruolo della fo-tografia nel reportage di guerra, Cocchio della Medusa è un'enci-clopedia dell'ekphrasis che con-sente di riflettere in maniera nuova sul rapporto tra la moder-nità letteraria e una delle sue os-sessioni più insistenti: il culto ot-tenebrato, perturbante, freneti-co per le immagini.

L'OCCHIO 1)111 A MI.Ot'SA

Ogni fotografo, ha scritto Pi-casso, è un pittore mancato. Raccontare il rapporto tra foto-grafia e letteratura - come certo sapevano Sigfried Kracauer, An-dré Bazin, Jean-Marie Schaeffer e gli altri teorici di cui Ceserani commenta le tesi - significa ri-flettere sulle forme di referenzia-lità non mimetica che possono esercitare entrambe. Generatri-ce di apparenze, la fotografia è arte di messaggi senza codice che imprimono tracce di memo-ria vivente per conservarle. "Le fotografie sono grossi brandelli di tempo che puoi tenere in ma-no", diceva Angela Carter: frut-to di una singolare arte del det-taglio (nel senso di un ininterrot-to taglio e ritaglio del reale), per-mettono infatti di scorgere l'in-visibile che si ha sott'occhi senza vederlo. Forse anche per questo Proust e Nabokov pescarono proprio nel mondo della foto-grafia molte metafore con cui raccontare come la mente giochi

ad aprire e ripiegare il tappeto magico della memoria.

In un brano della Berliner Kindheit (1934), Benjamin

ri-I corda di quanto tor-mento gli desse, quan-ififcL.. • do era bambino, posa-re per una fotografia: intrusione indiscreta di un occhio meccanico che chiede di essere se stessi davanti agli altri e davanti al tempo, perché qualcosa di quel sé possa durare nell'immagine. Grande manipolatrice, la foto-grafia - sembrano dirci gli scrit-tori che più l'hanno praticata, co-me Michel Tournier - deforma non meno di quanto riveli. In moltissime lingue ci si riferisce a questo potere di appropriazione e adulterazione del reale con im-magini di violenza: una fotografia si scatta, si prende, si spara. E "fol-lia nel mirino", per riprendere il titolo di un racconto di Italo Cal-vino, gran maestro di visibilità: gesto capzioso e predatorio che avoca a sé il reale, e silenziosa-mente lo fa proprio.

"Non era forse funzione della Medusa quella di fissare le sue vittime, annientarle con lo sguar-do, pietrificarle"?, domanda Ce-serani. La fotografia è medusea proprio in questa sua intima vici-nanza con la morte: cercando di fissare il flusso della vita nell'atti-mo presente, i suoi scatti attesta-no l'azione di un tempo inesora-bile e dissolvente. "Ogni fotogra-fia è un memento mori", ha scrit-to Susan Sontag, "fare una foscrit-to- foto-grafia significa partecipare della mortalità, della vulnerabilità e della mutabilità di un'altra perso-na". Forse è soltanto illusione, ma l'idea di una partecipazione induce a pensare che in questo uccidere, la fotografia dia luce a qualcosa di diverso: come sull'i-sola dove si rifugia il Morel di Adolfo Bioy Casares, raddoppia-re il raddoppia-reale significa raddoppia-renderlo su-perfluo, ma anche infondergli nuova vita, reinventarlo. •

luigi_marfe@hotmail. i t

L. Marfé è assegnista di ricerca in letterature comparate all'Università di Torino

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