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LA CENA IN CASA DI SIMONE DEL CONVENTO BENEDETTINO DI VERONA

Prospettive architettoniche nei teleri a parete dei refettori

2.1.1. LA CENA IN CASA DI SIMONE DEL CONVENTO BENEDETTINO DI VERONA

La Cena in casa di Simone (fig. 2.2) fu commissionata, tra il 1555 e il 1556, dal priore Mauro Vercelli dei monaci dei Santi Nazaro e Celso di Verona. Nel 1650 il dipinto venne sostituito con una copia perché l’originale fu venduto al collezionista ge-novese Filippo Spinola, che lo cedette poi a Gerolamo Durazzo. Giunto nel 1816 alla Real Casa di Genova fu assegnato, ventuno anni più tardi, alle raccolte reali da dove pervenne alla sua attuale sede, la Galleria Sabauda di Torino.

Originariamente il telero era collocato nel refettorio adiacente il secondo chiostro del cenobio benedettino (figg. 2.3 e 2.4), un ampio vano rettangolare a doppia altezza, illuminato solo sul lato destro da quattro grandi finestre e fornito

di un accesso aperto nella parete opposta a quella destinata ad accogliere l’opera2.

Come riporta il Ridolfi3, la Cena era compresa in una cornice di

architettu-re illusorie eseguita probabilmente ad affarchitettu-resco dallo stesso Veronese, che andò perduta.

Il telero del monastero cassinese è il più antico della serie di banchetti sacri che resero celebre il Caliari. Le numerose richieste di conviti trasformarono in-fatti questo tema evangelico, in una specialità della sua bottega.

Il soggetto del dipinto, considerato uno dei più grandi capolavori del pittore veronese, riassume un episodio narrato dai quattro vangeli con versioni diver-se: l’unzione di Cristo da parte di una donna durante una cena in Betania. Le dif-ferenze sono riconducibili all’identità di due soggetti, l’ospite (identificato come un lebbroso o un fariseo di nome Simone, o ancora Lazzaro) e la donna ai piedi di Gesù (riconosciuta solo nel vangelo di Giovanni come la sorella di Marta, Maria Maddalena).

Il rito della mensa qui si svolge in un contesto perimetrato da architetture monumentali di ispirazione palladiana, mentre il decentramento della figura del Cristo, equilibra la singolare soluzione dello sfondo.

In particolare, la scena risulta scissa in tre parti proporzionate dall’intelaia-tura prospettica. A destra il Figlio di Dio, con ai piedi Maddalena è circondato da Marta, da Simone e da alcuni commensali intenti ad osservare l’avvenimento.

Figura 2.4. Particolare planimetrico del complesso disegnato da Alvise Francesco Duodo: la sala contrassegnata dal numero 23 è il refettorio Figura 2.3. Riproduzione assonometrica di Alvise Francesco Duodo (datata 1771), rappresentante la chiesa dei Santi Nazaro e Celso e l’annesso monastero

Sopra questo gruppo, sporge il profilo di un volto formalmente estraneo all’epi-sodio che si presume ritragga il priore committente.

Al centro, sotto il porticato corinzio Giuda esprime il suo dissenso con una magniloquente gestualità, ma la sua devozione è ingannevole come la facciata senza edificio dipinta sullo sfondo. Sopra l’Iscariota, da una balconata un uomo dagli abiti sfarzosi indica il Cristo a due donne. A sinistra mendicanti e servitori in livrea completano la rappresentazione.

Probabilmente il particolare dell’incrinatura aperta dal chiodo conficcato nella colonna di sinistra sigla in modo figurativo l’opera ricordando le origini di “spezapreda” del pittore.

Otto anni dopo aver dipinto questa cena, divenuta subito famosa, il Caliari ottenne l’incarico di dipingerne un’altra, il telero per il refettorio palladiano dei monaci cassinesi di San Giorgio Maggiore a Venezia.

Nel 2008 il dipinto è stato sottoposto ad una serie di indagini diagnostiche finalizzate ad acquisire informazioni dettagliate riguardanti la tecnica esecuti-va dell’opera, la presenza di eventuali disegni preparatori o pentimenti e notizie relative a precedenti restauri. Oltre ad alcuni ripensamenti, l’indagine all’infra-rosso ha rivelato la presenza di una fitta trama di linee di costruzione e di fuga prospettica tracciata per definire i particolari degli edifici sullo sfondo. L’analisi agli ultravioletti oltre ad aver rilevato la presenza di ridipinture, soprattutto in

corrispondenza delle cuciture delle tele, ha evidenziato la diversità delle due zone triangolari poste alle due estremità superiori, riconducibili ad un

amplia-mento non originale4 (fig. 2.5).

In effetti, i due angolari non vengono riprodotti nella copia ad acquaforte realizzata da Giuseppe Maria Mitelli (fig. 2.6). La stampa, datata 24 febbraio 1660 riproduce il telero del Caliari giacché riporta, nell’iscrizione in basso a sinistra,

il nome di Paolo Caliari quale autore dell’opera copiata5. Tuttavia, a differenza

del dipinto, il Mitelli conclude i settori laterali superiori con due coppie di archi di circonferenza, probabilmente per migliorare l’aspetto estetico dell’incisione. In un’altra copia a stampa di Giacomo Barri, collocata cronologicamente nel 1667, la Cena del Veronese appare più estesa, compresa tra due colonne corinzie supplementari, e soprattutto completa nella parte superiore (fig. 2.7). La

dida-scalia trascritta in corrispondenza del margine inferiore dell’incisione6

dichia-ra che si tdichia-ratta della riproduzione del dipinto del Caliari, e non della copia che lo

Figura. 2.7 Giacomo Barri,

Cena in casa di Simone il fariseo, 1667,

Accademia di Belle Arti Tadini, Lovere Figura 2.6

Giuseppe Maria Mitelli,

La Maddalena lava i piedi di Gesù durante la cena presso Simone il fariseo,

sostituì al convento. Pertanto all’epoca, l’ampliamento individuato dal recente esame agli ultravioletti, era già stato realizzato.

Con queste premesse è stata intrapresa l’interpretazione geometrico-figura-tiva e l’analisi prospettica dell’opera.

La Cena in casa di Simone è un olio su tela compreso in una superficie 13 x 9 piedi e un’oncia (4,51 x 3,15 metri). Si osserva che sovrapponendo all’immagi-ne del dipinto una griglia modulare rappresentante la suddetta partizioall’immagi-ne in piedi del campo pittorico, alcuni elementi appartenenti all’orditura verticale di questa rete tracciano il limite degli edifici in ombra sulla destra, racchiudono la colonna con il chiodo e l’estensione della balaustra. Inoltre, la colonna posta in secondo piano nella zona centrale del telero, risulta compresa nello spazio delimitato da due verticali, una appartenente alla trama di cui sopra, l’altra alla mediana del dipinto.

Il gruppo di personaggi che affollano la scena occupano la metà inferiore del-la tedel-la, e in particodel-lare le pose di Giuda, deldel-la Maddalena e dei cani sono confi-nate nella porzione centrale limitata dalle due diagonali della graticola (fig. 2.8).

Gli elementi compositivi dell’apparecchiatura architettonica sono disposti parallelamente e ortogonalmente all’osservatore, ad eccezione dell’ultimo

cio situato nella zona d’ombra di destra, il cui differente assetto è indicato dall’o-rientamento assunto dal profilo aggettante della sua copertura.

Nella Cena in casa di Simone, il prolungamento di tutti gli elementi presunti perpendicolari al piano di rappresentazione converge verso un unico centro di proiezione. In questo dispositivo prospettico monofocale, il punto principale è situato sull’asse mediano verticale del dipinto e in corrispondenza della li-nea che divide la prima dalla seconda fila di maglie del reticolo dimensionale (fig. 2.9).

La posizione del punto di vista è invece determinata da un’osservazione rela-tiva alla geometria della pavimentazione.

La tarsia dell’impiantito disegna una sequenza di ampi riquadri inseriti in una doppia cornice che comprende agli angoli dei campi più piccoli.

Essendo costante lo spessore dell’orditura verticale di questa intelaiatura è lecito supporre che tale condizione venga rispettata anche nella partitura oriz-zontale. Pertanto, nelle intersezioni tracciate dal binario decorativo, si genera-no delle superfici orizzontali assimilabili a dei quadrati, le cui diagonali, estese fino alla retta di orizzonte specificano la posizione dei due punti di distanza e di conseguenza, la dimensione della distanza principale (figg. 2.10 e 2.11).

Figura 2.10 Determinazione dei punti di distanza

Figura 2.11 Schema spaziale del sistema di riferimento interno

Il punto di vista del dispositivo prospettico di questa Cena è situato precisamente a sette piedi (2,43 metri) dalla superficie della tela. Considerando lo sviluppo planimetrico del refettorio destinato ad accogliere l’opera, la postazione riservata all’osservatore dal pittore si localizzava di fronte al posto in cui sedeva l’abate. Rapportata alle dimensioni del dipinto, tale distanza risulta piuttosto esigua e implica problemi di deformazione prospettica ad un simile impianto prospettico. Veronese risolve la questione dissimulando le zone critiche del primo piano con la presenza dei personaggi e oscurando con pesanti ombreggiature gli elementi architettonici prossimi al quadro, ma periferici rispetto al centro prospettico. Rimane in luce, invece l’architettura non compromessa dall’inevitabile deformazione prospettica, ovvero le colonne del vicino portico corinzio con l’adiacente balconata e la lontana finta facciata visibile dello sfondo.

L’attenzione del Caliari per le caratteristiche dello spazio refettoriale si riflet-te nel quadro anche nella direzione assegnata alla sorgenriflet-te luminosa che diffon-de chiarore alla scena diffon-del banchetto: provenendo da diffon-destra, come ci indicano le ombre portate, si conforma alla luce filtrata dalle quattro finestre aperte nella parete della sala adibita a mensa.

2.1.2. LE NOZZE DI CANA DEL CONVENTO DI SAN GIORGIO MAGGIORE