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Analizzando la disciplina processuale civilistica, si può agevolmente constatare come l’esigenza primaria di un sistema di responsabilità civile del medico, come quello delineato nel nostro ordinamento, sia quella di garantire il risarcimento dell’eventuale danno derivante dall’attività sanitaria, a favore del paziente, creditore della prestazione. A riguardo di tale tipo di responsabilità, sembra doversi condividere l’opinione di quella parte della dottrina che la considera non rientrante all’interno della summa divisio tra responsabilità precontrattuale e contrattuale70, ma come un’ipotesi “atipica”, frutto di interscambio tra regole delittuali e regole di responsabilità contrattuale, dando vita a regole comuni in termini di casualità, di danno e di imputabilità oggettiva.

Assume una valenza centrale il complesso rapporto tra lesione dell’autodeterminazione e salute, al cui riguardo, in passato, si riteneva che all’autonomia del principio espresso nella prima non corrispondeva un’autonoma risarcibilità dello stesso se non vi fosse stata anche la lesione della seconda. A tal riguardo, nasce un orientamento giurisprudenziale che sostiene la possibilità di risarcimento in caso di lesione del diritto all’autodeterminazione solo qualora all’intervento praticato sul malato fosse conseguito un deterioramento delle condizioni di salute dello stesso: ecco che la responsabilità del sanitario per violazione del consenso informato è frutto del suo mancato adempimento dell’obbligo d’informazione nei confronti del paziente, con un conseguente aggravamento delle condizioni di salute dello stesso71. Successivamente, si afferma e sembra imporsi per la maggiore, dato che viene condivisa dalla giurisprudenza e da un’ampia parte della dottrina, la convinzione per cui anche la sola violazione del diritto all’autodeterminazione è fonte di risarcimento. Infatti, si                                                                                                                

70  Rossi,  Il  consenso  informato,  estratto  da  Digesto  delle  discipline  privatistiche,   Sezione  Civile,  Torino,  2010,  p.  212.  

71  Sempre   Rossi,   Il   consenso   informato,   estratto   da   Digesto   delle   discipline  

afferma che la mancanza di consenso può assumere rilievo ai fini risarcitori, anche se non vi sia lesione del diritto alla salute, tutte le volte in cui si riscontrino violazioni del diritto fondamentale all’autodeterminazione.

Per quanto concerne l’onere della prova, si assiste ad un superamento dell’impostazione tradizionale, per cui, per poter agire in giudizio, il curato doveva dimostrare: la difettosa o inadeguata esecuzione della prestazione professionale, l’esistenza del danno psicofisico patito, il nesso di casualità tra quest’ultimo e la condotta del medico. Attualmente, infatti, viene affermata una vera e propria presunzione di responsabilità a carico del medico, in caso di insuccesso della terapia72. Come affermato da una recentissima sentenza della Corte di Cassazione73, “nelle cause di responsabilità professionale del medico, il paziente che agisce in giudizio deducendo l’inesatto adempimento dell’obbligazione sanitaria deve soltanto provare il contratto e allegare l’adempimento del sanitario”. A riguardo di quest’ultimo, deve trattarsi di un inadempimento qualificato, ossia astrattamente idoneo a realizzare il danno, restando a carico del debitore l’onere di provare l’esatto adempimento. Con particolare riferimento alla vera e propria vicenda, essa riguarda una donna che, dopo essersi sottoposta volontariamente a intervento di sterilizzazione chirurgica per la legatura delle tube uterine, concepiva una coppia di gemelli, in esito a una gestazione difficile e dolorosa. Ricorrendo in Cassazione, i coniugi lamentano una errata applicazione della regola della distribuzione dell’onere probatorio nella disciplina della colpa sanitaria e un’errata valutazione dei criteri di assolvimento di tale onere. Siamo in un caso di assoluta inefficacia dell’intervento, in cui la posizione del medico risulta aggravata, in quanto l’inadempimento consiste nell’aver tenuto un comportamento non conforme alla diligenza richiesta, avendo riguardo alla corretta esecuzione della prestazione. Conseguentemente, il paziente ricorrente deve provare in giudizio il contatto con la struttura sanitaria o il singolo professionista, e quest’ultimo, figurante come convenuto, deve provare la mancanza di nesso causale tra il danno lamentato e il proprio operato. Sul piano della prescrizione del diritto al risarcimento del danno, il dies a quo per la                                                                                                                

72  Fresa,  La  colpa  professionale  in  ambito  sanitario,  Torino,  2008,  p.  141.   73  Corte   Cass.,   Sez.   Civ.   III,   10   luglio-­‐   24   ottobre   2013,   n.   24109,   in   www.guidaaldiritto.ilsole24ore.com  (Area  Civile).  

decorrenza della stessa è quello in cui il paziente abbia evidenza oggettiva del danno, perciò esso può essere fatto valere anche dopo molti anni dal verificarsi dell’errore medico. Fondamentale, in questo contesto, è la funzione di consulenza, riconosciuta tra i compiti essenziali del medico stesso, e dovuta al suo obbligo d’informazione, che caratterizza l’intera relazione terapeutica, costituente obbligazione accessoria e autonoma rispetto all’adempimento della prestazione in sé considerata, basata sul principio di buona fede74 sia nella formazione che nell’esecuzione del contratto.

Aspetto problematico riguarda l’incerta ripartizione dell’onere di provare se il consenso informato sia stato effettivamente prestato. Il nostro ordinamento vede l’alternarsi dell’impostazione penalistica75, che, vedendo il consenso come scriminante, addossa l’onere della prova in capo al convenuto, e quella civilistica, la quale, attribuendo al consenso natura contrattuale, fa ricadere tale onere sul paziente. In virtù della qualificazione della violazione dell’obbligo d’informazione come inadempimento contrattuale76, dovrebbe essere il creditore a dover dimostrare lo stesso, mentre al debitore toccherebbe giustificare il mancato adempimento. Tale orientamento, però, non risulta condivisibile, in quanto viola l’articolo 2697 c.c., attraverso il riconoscimento in capo al paziente dell’obbligo di provare una circostanza negativa. Nasce, così, recentemente, l’idea secondo cui nell’azione di adempimento, di risoluzione e in quella risarcitoria, il creditore è                                                                                                                

74  Vedi   Cafaggi,   La   responsabilità   del   professionista,   Torino,   1998,   p.   159,   il   quale,   analizzando   l’intero   settore   delle   professioni,   rileva   la   tendenza   a   autonomizzare   e   contrattualizzare   gli   obblighi   d’informazione,   soprattutto   nei  casi  in  cui  essa  sia  volta  a  porre  il  destinatario  nelle  condizioni  di  poter   valutare  se  effettuare  o  meno  una  scelta.    

75  Vedi  in  tal  senso  Nannini,  Il  consenso  al  trattamento  medico,  Milano,  1989,   p.  74.  

76  Trib.   Reggio   Emilia,   20   luglio   2004,   in   Responsabilità  civile,  2004,   p.   904,   con   nota   di   Primiceri,   dove   si   afferma   che   “la   violazione   del   dovere   d’informazione,   in   altri   termini,   qualifica   come   danno   all’integrità   fisica   gli   esiti,   ancorché   inevitabili,   dell’intervento   di   chirurgia   cui   taluno   si   sia   volontariamente  sottoposto  senza,  tuttavia,  essere  stato  informato  degli  esiti   stessi.  E  poiché  il  paziente  fa  valere  la  responsabilità  contrattuale  del  medico,   incombe  a  quest’ultimo  l’onere  di  provare  di  aver  adempiuto  le  obbligazioni   nascenti   dal   contratto   d’opera,   compreso   l’obbligo   d’informazione   che,   derivando  da  una  norma  di  rilevanza  costituzionale  volta  a  tutelare  il  diritto   primario  della  persona,  ha  natura  autonoma  e  non  accessoria  o  strumentale”.      

tenuto a provare solo l’esistenza del titolo, ed è il debitore che deve dimostrare di aver adempiuto77. Perciò, qualora il paziente ravvisi la mancanza di informazione nei suoi confronti, è il medico che deve provare di aver correttamente adempiuto all’obbligo a suo carico, in quanto “più vicino alla prova” e con maggiori possibilità di offrirla. Il primo, infatti, deve dimostrare esclusivamente: l’esistenza e la validità del contratto d’opera professionale; l’esistenza del danno. Il secondo, invece, deve provare: di aver informato il paziente dei rischi e delle modalità dell’operazione; che l’omessa informazione non è dipesa da sua colpa.

Quanto alla valutazione della sussistenza del nesso di causalità, essa risulta determinante, in quanto non risulta condivisibile la tesi per cui l’omessa o lacunosa informazione da parte del sanitario dà automaticamente diritto al paziente di essere sempre ed in ogni caso risarcito del danno derivato dalla cura o dall’intervento chirurgico non consentito. Risulta, così, necessaria un’indagine controfattuale, volta ad accertare quale sarebbe stato il corso degli eventi nel caso in cui fosse stata attuata la condotta che, invece, risulta omessa. In tal caso, per ravvisare un collegamento tra la lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente e le conseguenze dannose dell’intervento, occorre dimostrare che il paziente, se adeguatamente informato, avrebbe impedito la causa materiale del danno78.

L’analisi di tali implicazioni civilistiche porta, così, a sottolineare l’alto livello di tutela che viene predisposto a favore degli utenti del servizio sanitario per privilegiare il valore del bene primario della salute e la funzione di protezione attribuita alla prestazione sanitaria. Si tende, però, ad aggravare la posizione processuale del medico e della struttura sanitaria, come dimostrato dall’attuale situazione di difficoltà del settore assicurativo della responsabilità professionale, che non dispone di strumenti di tutela ad ampio raggio. Nell’ambito della responsabilità civile sanitaria, caratterizzata da un forte incremento del contenzioso giudiziario e da un innalzamento dei premi delle polizze assicurative,                                                                                                                

77  Vedi  Cass.,  sez.  un.,  30  ottobre  2001,  n.  13533,  in  Foro  Italiano,  2002,  I,  p.   769   ss.,   con   nota   di   Laghezza,   Inadempimenti  e  onere  della  prova:  le  sezioni  

unite  e  la  difficile  arte  del  rammendo.    

78  Rossi,   Il   consenso   informato,   estratto   da   Digesto   delle   Discipline  

l’obbligo di coperture assicurative per i medici può risultare pregiudizievole per alcune categorie di professionisti, particolarmente esposte a rischi per la propria attività svolta, come i giovani medici che operano nel sistema emergenza-urgenza, o titolari di specializzazioni più rischiose (ad esempio, nell’ambito della chirurgia, ginecologia, ostetricia, ecc…)79 .

6.

LA POSIZIONE DEGLI INCAPACI E IL RUOLO