SVOLTO DALLE DIRETTIVE ANTICIPATE.
CAPITOLO 3- IL TRATTAMENTO SANITARIO DEL MINORE.
3. SOTTOPOSIZIONE DEL MINORE AL TEST HIV.
Tema di notevole rilevanza, anche nell’ambito dell’analisi della figura del minore, è quello relativo alla possibilità di contrarre l’infezione da Hiv. Si tratta di un’epidemia nata negli anni Ottanta del secolo scorso, inizialmente legata a particolari comportamenti a rischio (tossicodipendenza per droghe iniettive, rapporti omosessuali maschili), che, col passare degli anni si è estesa a tutta la popolazione, trasmettendosi anche per rapporti sessuali eterosessuali.
Ecco che un gravissimo problema nasce dal fatto che, qualora la donna infetta procrei, si sviluppa un altissimo rischio che il virus si trasmetta al prodotto del concepimento. Ma la trasmissione dell’infezione tra i minori avviene soprattutto a causa di rapporti sessuali non protetti269. Si incentiva, appunto, l’esecuzione di un test, il cosidetto counselling, che permetta una diagnosi preventiva dell’infezione, proprio per prevenire una progressione negativa del virus.
In Italia, però, manca una disciplina peculiare relativamente all’esecuzione del test hiv su una persona minorenne: infatti, la legge 5 giugno 1990, n. 135, “Piano
degli interventi urgenti in materia di prevenzione e lotta all’AIDS, infatti, non
dice nulla di specifico a riguardo. Si trovano solamente riferimenti indiretti, spesso, però, contraddittori, come quello contenuto nell’articolo 5, relativo alla comunicazione della diagnosi, che, ad un primo impatto, sembra attribuire anche al minore il diritto alla riservatezza dei dati. Esso, infatti, afferma che “gli operatori sanitari che, nell’esercizio della loro professione, vengano a conoscenza di un caso di AIDS, ovvero di un caso di infezione da HIV, anche non accompagnato da stato morboso, sono tenuti a prestare la necessaria assistenza adottando tutte le misure occorrenti per la tutela della riservatezza (…) la rilevazione statistica della infezione da HIV deve essere comunque effettuata con modalità che non consentano l’identificazione della persona (…) Nessuno può essere sottoposto, senza il suo consenso, ad analisi tendenti ad accertare l’infezione da HIV se non per motivi di necessità clinica nel suo interesse. Sono
269 Brancatella, Problematiche medico legali legate all’infezione da Hiv per i
minori che si rivolgono ai servizi pubblici, in Minorigiustizia, n. 2-‐2009, p. 170
consentite analisi di accertamento di infezione da HIV, nell’ambito di programmi epidemiologici, soltanto quando i campioni da analizzare siano stati resi anonimi con assoluta impossibilità di pervenire all’identificazione delle persone interessate”. Continua poi dicendo che “la comunicazione di risultati di accertamenti diagnostici diretti o indiretti per infezione da HIV può essere data esclusivamente alla persona cui tali esami sono riferiti”, perciò anche il minore ha un diritto esclusivo in tal senso, unito, appunto, al diritto alla riservatezza sui propri dati. Sembra che i genitori possano accedere a tali informazioni a seguito di una loro richiesta personale, come spesso avviene da parte di genitori entrambi sieropositivi270.
Fulcro centrale dell’analisi resta comunque quello di determinare se il minore possa chiedere personalmente l’esecuzione del test di accertamento dell’infezione hiv senza l’autorizzazione dei genitori. Partiamo, perciò, dal principio generale in materia di trattamenti sanitari, secondo cui è necessario il consenso preventivo della persona interessata. Ma, secondo i sostenitori della tesi che considera il minorenne come soggetto incapace d’agire, ad autorizzare l’intervento medico che riguardi lo stesso dev’essere il genitore esercente la responsabilità genitoriale o il tutore, in quanto responsabili della cura della persona del minore.
Per quanto concerne l’esercizio della responsabilità genitoriale, occorre riprodurre la distinzione tra atti di straordinaria amministrazione, che necessitano del consenso di entrambi i genitori, e atti di ordinaria amministrazione, dove basta il consenso di uno solo, e in cui sembra rientrare appunto anche l’accertamento dell’HIV271.
270 Esistono però delle eccezioni, come la legge 25 luglio 1956, n. 837, in tema di malattie veneree, adottata quando ancora la maggiore età era identificata in ventuno anni, la quale, all’articolo 4, distingue il caso del minore di diciotto anni da quello relativo a un soggetto che li abbia superati. Nella prima ipotesi, il medico deve avvertire immediatamente la persona che cura il malato; nella seconda, invece, è facoltà del medico decidere se avvertire o meno il soggetto curante. Inoltre, è prevista la possibilità per chiunque di accedere a protocolli di diagnosi e di cura delle malattie veneree, segno che viene già riconosciuto uno spazio di libertà/autonomia del minore.
271 Mastrangelo, Sellaroli, Trattamento medico e lesioni dell’integrità fisica del
Secondo questa tesi, inoltre, qualora il genitore rifiuti di consentire o vi siano giustificate ragioni che inducano il figlio e il personale sanitario a non coinvolgere il genitore, sia il minorenne stesso sia il personale sanitario possono segnalare la situazione al Tribunale per i Minorenni, affinchè valuti se richiedere al Tribunale un provvedimento limitativo della responsabilità genitoriale, autorizzando il trattamento anche senza il consenso dei genitori.
Qualora, invece, sia il minore a non volere il coinvolgimento dei genitori, egli viene sentito dagli operatori sanitari i quali, in base a quanto da lui detto, decideranno se consultare il Tribunale per i minorenni272.
Tale tesi, perciò, si presta a delle obiezioni, in quanto, qualora il minore richieda l’accertamento perché, ad esempio, sa di aver consumato un rapporto sessuale occasionale non protetto, ma esso venga negato dai genitori, solitamente interviene una limitazione della responsabilità genitoriale, in quanto, altrimenti, verrebbe compromesso il diritto alla salute del minore, che, in virtù di un bilanciamento tra i valori e i beni in gioco, ossia, da un lato, il limitato sacrificio richiesto, costituito dall’esercizio del test senza il consenso del minore, a fronte del vantaggio ottenibile, ossia una terapia idonea per curare il minore, e dall’altro, la gravità del danno potenzialmente minacciato, consistente nella malattia e nella morte precoce del minore, si ritiene prevalente nel nostro ordinamento, anche in presenza di un rischio minimo273. Inoltre, se si ammette la necessaria autorizzazione dei genitori, si contrasta con l’articolo 5 prima citato, che richiede che le comunicazioni relative ai risultati di accertamenti diagnostici vengano fatte esclusivamente al diretto interessato.
272 Brancatella, Problematiche medico legali legate all’infezione da Hiv per i
minori che si rivolgono ai servizi pubblici, in Minorigiustizia, n. 2-‐2009, p. 170
ss.
273 Come affermato in Funghi, Giunta, Medicina, bioetica e diritto, varia
casistica, Pisa, 2005, a riguardo del caso n. 13, “Genitori rifiutano il consenso al test per l’hiv per il figlio appena nato”, che tratta di Gianna, una giovane
infermiera operante presso il reparto di ostetricia di un ospedale lombardo, che spesso si trova di fronte a rifiuti, da parte di genitori sieropositivi , al consenso per il test hiv sui propri figli. Un giorno ella viene a conoscenza del fatto che, in Gran Bretagna, la High Court di Londra ha emesso una sentenza che impone il test hiv sul bambino appena nato, qualora il padre sia sieropositivo, anche in assenza del consenso dei genitori, e ritiene, così, che sia necessaria una rivistazione della normativa italiana.
Ecco perché appare più plausibile la tesi per cui anche il minore può accedere al test, senza la presenza dei genitori. Ciò può avvenire attribuendo allo stesso una limitata capacità d’agire per l’esercizio dei diritti personalissimi, tra cui vi rientra anche quello alla salute274. A tal riguardo, la dottrina sostiene che la capacità d’agire non sia indispensabile per il compimento di atti che comportano solo esiti favorevoli per il soggetto preso in considerazione, e in ciò vi rientra proprio il test hiv, perché volto alla prevenzione o comunque alla cura di un virus.
Si ritiene comunque, che il minore sia in grado di assumere tale decisione quando abbia raggiunto almeno i sedici anni, età in cui egli, probabilmente, ha acquisito una sufficiente maturità personale e conduce una propria vita sessuale.
Dando uno sguardo, comunque, alle varie legislazioni nazionali, in generale tutte prevedono l’autorità genitoriale come presupposto autorizzativo per effettuare qualsiasi atto medico, compreso l’esame sierologico dell’hiv, anche se la maggioranza delle associazioni di adolescentologia sostengono che esso possa avvenire anche senza nessuna autorizzazione o consenso genitoriale: negli Stati Uniti, ad esempio, solo 13 Stati consentono il test ai minori senza il consenso dei genitori, e sette, addirittura, non richiedono nemmeno l’autorizzazione. L’età prevista per poter esprimere la propria scelta è identificata nei dodici anni e questa libertà di intervento autonomo del minore ha portato a dei risultati empirici nettamente positivi: nel Connecticut, ad esempio, in cui si è reso libero l’accesso dei minori ai centri per la diagnosi e la prevenzione dell’HIV, si è riscontrato un aumento esponenziale di test e counselling e una maggiore precisione nella
274 Varie leggi relative a trattamenti sanitari hanno propeso per il progressivo riconoscimento del diritto del minore all’autodeterminazione: la legge 194/1978 sull’aborto ha riconosciuto alla minorenne il diritto di abortire con l’autorizzazione del giudice tutelare anche contro o in assenza della volontà dell’esercente la potestà o del tutore; l’articolo 120 del t.u. sugli stupefacenti 309/1990 stabilisce che chiunque fa uso di sostanze stupefacenti o psicotrope può chiedere al servizio pubblico per le tossicodipendenze o ad una struttura privata autorizzata di essere sottoposto ad accertamenti diagnostici e di eseguire un programma terapeutico e socio-‐riabilitativo, specificando che, nel caso del minorenne, la richiesta può esser fatta, oltre che dall’interessato, da coloro che su di lui esercitano l’autorità parentale o la tutela.
conoscenza del fenomeno da parte degli operatori addetti, con un conseguente vantaggio per l’intera collettività.
Nel Regno Unito e in Irlanda, si presume che i giovani di età compresa tra i sedici e i diciotto anni abbiano la capacità di dare il consenso ad un trattamento medico allo stesso modo degli adulti. Il loro rifiuto del trattamento, però, può essere ignorato da colui che su di lui esercita la responsabilità genitoriale. Per quanto concerne il bambino con età inferiore ai sedici anni, egli può prestare autonomamente il proprio consenso qualora abbia le capacità e la maturità necessaria per poter comprendere a pieno le caratteristiche e le conseguenze di una sua possibile sottoposizione a test hiv, ossia qualora egli sia in possesso della cosidetta Gillick competence. Qualora, invece, un bambino non abbia la capacità di acconsentire o meno al trattamento, è sufficiente il consenso di coloro che esercitano la responsabilità genitoriale. Siccome solitamente essi acquisiranno hiv dalla madre, generalmente è lei che esercita tale potere, anche se è comunque necessario un accertamento di ciò275.
Ecco che, anche nel contesto di questo tipo di trattamento, si può evincere un sempre maggior riconoscimento della capacità del minore di rendersi soggetto autonomo nella predisposizione di scelte personalissime, con una conseguente sottolineatura della prevalenza del riconoscimento del sui diritto alla salute sul diritto dei genitori all’esercizio dei propri poteri e doveri sugli stessi.
275 Vedi http://chiva.org.uk/files/guidelines/hiv-‐testing09, in cui sono riprodotte le linee guida inglesi per la sottoposizione al test hiv dei bambini la cui infezione è confermata o sospetta, in quanto nati da genitori sieropositivi.