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RELAZIONE ALLA CAPACITA’ DI DISCERNIMENTO Il problema di fondo che domina da tempo i dibattiti attorno alla tematica del

2. IL DIRITTO ALL’ASCOLTO E ALL’INFORMAZIONE DEL MINORE.

L’evoluzione culturale e giuridica che ha attraversato i tempi recenti ha determinato un cambiamento notevole anche nella visione della posizione del paziente: da soggetto completamente incosciente, in esclusiva balia del sapere scientifico, e in assoluta dipendenza dalle decisioni dei sanitari, egli cambia ruolo, e diventa anche lui soggetto che contribuisce in maniera determinante e attiva alle decisioni sanitarie. Ecco che si delinea il diritto all’ascolto del paziente stesso, esteso anche al minore, a seguito della riconosciuta sempre maggiore capacità di autodeterminazione.

Vari studi, infatti, hanno dimostrato l’importanza di comunicare al paziente, sin dalla tenera età, alcuni aspetti della malattia e della relativa cura, primo tra tutti il codice di deontologia medica del 1998, che prevedeva “l’obbligo di informare il minore e di tener conto della sua volontà, compatibilmente con l’età e con la capacità di comprensione, fermo restando il rispetto dei diritti del legale rappresentante”. Esso fu poi seguito dal codice deontologico degli infermieri del 1999, anch’esso esprimente la necessità di considerare l’opinione del minore per l’adozione di scelte terapeutiche358.

Il diritto all’informazione del paziente minorenne è stato riconosciuto a livello giurisprudenziale, come è agevolmente dimostrabile prendendo a riferimento il decreto del Tribunale Ministeriale di Brescia del 30 agosto 1999, già citato nel corso del capitolo precedente relativo ad una quattordicenne, affetta da linfoma e non informata della grave malattia, il cui padre decide di sottoporla ad una terapia alternativa, diversa da quella normalmente praticabile, ossia la terapia Di Bella. Nel contesto di tale provvedimento, viene, insolitamente, invitato il padre a informare la minore “con le dovute cautele e con l’ausilio di uno psicologo circa l’entità della sua malattia, le terapie praticabili e le loro caratteristiche, anche rispetto agli esiti noti. Si ritiene, così, che la diretta interessata non possa rimanere estranea a tale situazione , e che l’obbligo informativo gravi sia sui medici che sui genitori.

                                                                                                               

358  Piccinni,   Il   consenso   al   trattamento   medico   del   minore,   Padova,   2007,   p.   307  ss.  

Alla luce della prescrizione normativa contenuta nell’articolo 12 della Convenzione di New York359, l’ascolto del minore è diventato un mezzo indispensabile per valutare la capacità dello stesso, ma anche il fondamento del diritto all’autodeterminazione: il minore assume la veste di soggetto in grado di esprimere la propria opinione, di esternare la propria volontà, che diventerà, così, determinante, ai fini della decisione finale360.

Vari studi hanno dimostrato che il piccolo paziente è consapevole dell’eventuale alterazione del proprio stato di salute sin dal primo manifestarsi della malattia, che può essere vista come evento aggressivo esterno, minaccioso per la propria incolumità, o come situazione di perdita rispetto alla propria identità e integrità, scaturente un forte timore di solitudine, di incomunicabilità e di esclusione. La malattia in sé, oltre a rappresentare per i minori stessi un ostacolo alla loro crescita, comporta uno sconvolgimento emotivo anche nei genitori, paragonabile ad un percorso composto da tre fasi: lo shock, che determina uno sconvolgimento totale, tale da renderli incapaci di affrontare qualunque situazione della vita quotidiana; la negazione, ossia il tentativo di affermare che il problema non esiste o che è facilmente e sicuramente risolvibile; l’accettazione, dove si inizia a considerare realisticamente la situazione e ad esprimere la propria sofferenza361. Il minore ammalato, essendo consapevole della propria situazione, sviluppa una sensibilità e una maturità maggiori di quelle di un ragazzo non affetto da alcun tipo di patologia: il paternalismo medico-giuridico, che lo vedeva come soggetto totalmente incapace di decidere per sé, cade in declino, e lo stesso comincia ad essere considerato come il vero destinatario dell’informazione data dal medico                                                                                                                

359  “Gli  Stati  parti  garantiscono  al  fanciullo  capace  di  discernimento  il  diritto   di  esprimere  liberamente  la  sua  opinione  su  ogni  questione  che  lo  interessa,   le   opinioni   del   fanciullo   essendo   debitamente   prese   in   considerazione   tenendo  conto  della  sua  età  e  del  suo  grado  di  maturità.  A  tal  fine  si  darà  in   particolare   al   fanciullo   la   possibilità   di   essere   ascoltato   in   ogni   procedura   giudiziaria  o  amministrativa  che  lo  concerne,  sia  direttamente,  sia  tramite  un   rappresentante   o   un   organo   appropriato,   in   maniera   compatibile   con   le   regole  di  procedura  della  legislazione  nazionale”.  

360  Turri,   Autodeterminazione,   trattamenti   sanitari   e   minorenni,   in   Questione  

Giustizia,  n.  6,  2000,  p.  1114.  

361  Bertolotti,   Massaglia,   La   comunicazione   nel   percorso   terapeutico   del  

sulla natura e la durata delle cure, la natura e la gravità della malattia, e la prognosi, adeguata all’età ed alle concrete conoscenze del bambino. Ed è proprio per questa ragione che si inizia ad affermare la tesi per cui è il minore a dover esprimere il proprio consenso informato al trattamento sanitario, in quanto non avrebbe senso che l’informazione venga data a lui stesso, e la volontà venga espressa da un soggetto di lui rappresentante. Ciò è suffragato anche dal riconoscimento in capo al minore dei diritti inviolabili riconosciuti costituzionalmente all’individuo in genere362.

In codesto contesto, è importante considerare il fatto che, quando si parla di “informazione” e “comunicazione”, non si allude a due termini che sono sinonimi: con il primo si considera un trasferimento di dati da una persona che ne è a conoscenza ad una che li ignora, generante un rapporto unidirezionale; con il secondo, invece, si instaura un rapporto bidirezionale, in cui entrambi i partecipanti al dialogo ascoltano e possono esprimersi. Ecco che occorre instaurare il rapporto con il bambino in termini di comunicazione, adattando il proprio linguaggio e il modo di espressione alla capacità di comprensione dello stesso, e facendo si che egli si senta libero di esprimere il proprio pensiero, le proprie preoccupazioni e i suoi dubbi, in funzione della volontà di creare un vero e proprio rapporto di fiducia tra l’equipe medica e il paziente, in un clima di forte collaborazione, orientato esclusivamente alla cura della salute del minore stesso sottoposto al trattamento363 .

                                                                                                               

362  Sellaroli,   Autodeterminazione,   libertà   di   cura,   libertà   di   coscienza   e  

consenso  informato,  in  Minori  e  giustizia,  n.  2/2005,  p.  148.  

363  Ancora   Bertolotti,   Massaglia,   La   comunicazione   nel   percorso   terapeutico  

3. IL RUOLO DEI GENITORI E L’INTERVENTO DEL