1.6.3 Trattamento del tumore localmente avanzato
CAPITOLO 2. Dati farmacologici e farmacogenetici di 5 fluorouracile e irinotecano
2.1. Cenni di farmacologia di 5-fluorouracile e irinotecano
2.1.1. 5-fluorouracile
Meccanismo d’azione È un analogo fluorinato monosostituito dell’uracile. Il suo
meccanismo d’azione dipende dalla conversione nei composti attivi 5- fluorodesossiuridilmonofosfato (5-FdUMP) e 5-fluorouridintrifosfato (5-FUTP) (Fig. 10). Il meccanismo di azione principale del 5-FU è generalmente attribuito al legame del suo metabolita 5-FdUMP all’enzima timidilato sintasi (TS), che viene così bloccato con arresto della sintesi di timidina e quindi di DNA. Affinché possa avvenire questo legame è necessaria la presenza di tetraidrofolato e questo aspetto rende ragione della somministrazione di acido folinico insieme al 5-FU. È molto probabile che l’azione del farmaco dipenda anche dalla formazione di 5-FUTP, che agisce da substrato per la RNA polimerasi alterando la funzione della molecola di RNA. L’esposizione a 5-FU comporta infatti sia un blocco precoce in fase S, sia un’impossibilità a completare la fase G1 delle cellule, effetto che si associa a inibizione della sintesi proteica ed è imputabile al sovvertimento della struttura del RNA. Infine, il 5-FU può essere incorporato nel DNA sotto forma di FdUTP inducendo alterazioni della stabilità del DNA. Per quanto riguarda la resistenza al fluorouracile, sono stati identificati diversi meccanismi che coinvolgono alterazioni quantitative e/o qualitative soprattutto dei sistemi enzimatici responsabili dell’attivazione dell’antimetabolita.
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Farmacologia clinica L’assorbimento da parte del tratto gastroenterico del farmaco è
imprevedibile ed è per questo che viene generalmente somministrato per via endovenosa. Diffonde facilmente nelle cellule e si distribuisce rapidamente nell’acqua totale corporea. Da ricordare che entra facilmente anche nelle raccolte pleuriche e ascitiche da dove viene rilasciato lentamente condizionando la persistenza degli effetti tossici. Il metabolismo del farmaco, che avviene diffusamente nei tessuti periferici, è estremamente rapido ed è in larga misura responsabile dell’emivita molto breve di questo antimetabolita nel sangue (circa 10 minuti). Il catabolismo del 5-FU avviene in tutti i tessuti ma principalmente nel fegato ad opera dell’enzima diidropirimidina deidrogenasi (DPD) (Fig. 11). Alcuni rari casi di grave e inattesa tossicità sono stati messi in relazione ad un deficit congenito di DPD. Il deficit enzimatico, trasmesso come carattere autosomico recessivo, comporta la persistenza in circolo di concentrazioni di 5-FU elevate e tossiche. Nonostante il ruolo predominante del fegato nel suo catabolismo, l’ubiquità dell’enzima spiega perché la presenza di disfunzioni epatiche non comporti la necessità di ridurre la dose del farmaco.
Impiego clinico Il 5-FU è incluso in schemi di terapia nel trattamento del carcinoma
della mammella, del tratto gastrointestinale, del distretto cervico-facciale e dell’esofago, sia in trattamenti ad intento adiuvante che palliativo. Gli schemi di dosaggio sono innumerevoli. È comunemente somministrato per via endovenosa a 500-650 mg/m2 a intervalli settimanali oppure 300-400 mg/m2/die per 5 giorni ogni 4 settimane. Il dosaggio va modificato in base alla funzionalità epatica, renale, midollare. In caso di metastasi epatiche, esiste la possibilità di infusione nell’arteria epatica così da esporre a concentrazioni più elevate le cellule neoplastiche. Può essere anche somministrato intraperitoneo a dosi elevate. Infine, considerando il meccanismo d’azione del 5-FU e la brevità della sua permanenza in circolo, è sempre più diffuso l’uso di somministrare il farmaco ev per infusioni prolungate per 24 ore.
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Tossicità Leucopenia, piastrinopenia e anemia sono gli effetti tossici che più
comunemente determinano una riduzione della dose. Il nadir dei leucociti interviene tra il settimo e il quattordicesimo giorno della somministrazione. Le manifestazioni più comuni sono però a livello gastroenterico con nausea, vomito, anoressia, stomatite e diarrea. Può indurre inoltre tossicità dermatologica, congiuntivite, dolore precordiale, segni neurotossici acuti. Con lo schema di infusione continua ci può essere l’insorgenza di eritrodisestesia palmo-plantare (“sindrome mani-piedi”) che può rappresentare una tossicità dose-limitante.
Interazioni farmacologiche Le interazioni farmacologiche del 5-FU riguardano la
possibilità di modulare i suoi effetti citotossici o tossici da parte di diverse sostanze. Per quanto riguarda la modulazione degli effetti antitumorali, la più importante associazione è quella con leucovorin, ossia acido folinico, associazione che determina però una maggiore incidenza di gastroenteriti per una maggiore tossicità a carico dell’epitelio intestinale. Altro farmaco comunemente associato al 5-FU è il levamisolo, usato per le sue proprietà immunostimolante e immunomodulante. Un ambito di sicura rilevanza clinica è quello del sinergismo di combinazione di 5-FU e cisplatino e soprattutto 5-FU/leucovorin e oxaliplatino (FOLFOX) o irinotecano (FOLFIRI). Da ricordare infine l’impiego di 5-FU con finalità di radiopotenziamento119.
2.1.2. Irinotecano
Meccanismo d’azione L’irinotecano (CPT-11) è un analogo della campotecina, una
molecola isolata dalla pianta Campototheca acuminata, che ha la capacità di legarsi alla topoisomerasi I. La funzione biologica di questo enzima è quella di allentare la torsione della doppia elica di DNA, evento indispensabile per la corretta lettura e trascrizione del codice genetico. Per ottenere questo risultato l’enzima si lega alla molecola di DNA superavvolta e
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ne taglia un filamento permettendo ad esso di svolgersi intorno all’asse del filamento rimasto integro; quando il superavvolgimento si rilascia, l’enzima si stacca dal DNA e ricostituisce l’integrità del filamento interrotto. L’irinotecano si lega al complesso DNA-topoisomerasi I impedendo il distacco dell’enzima e la ricongiunzione delle estremità del filamento tagliato. Il danno cellulare si realizza quando il complesso enzimatico responsabile della replicazione del DNA incontra il complesso DNA-topoisomerasi-irinotecano, con conseguente frammentazione completa della doppia elica. L’accumulo di complessi stabili DNA- topoisomerasi-irinotecano dovrebbe tradursi in lesione della doppia elica non appena la cellula esce dalla fase di quiescenza. Ancora non è noto il meccanismo esatto con cui l’irinotecano determina la morte cellulare, si pensa che il danno al DNA abbia come conseguenza l’apoptosi della cellula attraverso una serie di processi quali alterazione del ciclo cellulare e difetti dei meccanismi di riparazione.
Farmacologia clinica L’irinotecano è un profarmaco che viene attivato dalla
carbossilesterasi-2 a metabolita attivo SN-38 (Fig. 12), un inibitore della topoisomerasi I mille volte più potente rispetto al profarmaco. L’irinotecano viene ossidato anche dal CYP3A4, dando origine a due metaboliti inattivi, a loro volta idrolizzati a SN-38. Questo metabolita esiste in forma lattonica attiva e in forma carbossilata ad anello aperto, meno attiva. L’SN-38 viene glucuronato dall’enzima epatico UGT1A1 ed escreto poi con la bile. Delle β-glicuronidasi batteriche presenti nell’intestino possono idrolizzare il glucuronide a SN-38, con ricircolo enteroepatico del metabolita attivo. I livelli plasmatici di SN-38 sono quindi il risultato di diversi e complessi processi metabolici e della presenza di un circolo enteroepatico, responsabile in parte delle variabilità interindividuali dei parametri farmacocinetici. I livelli plasmatici di SN-38 aumentano fino a 1,5-3 ore dall’inizio dell’infusione per poi diminuire. L’emivita di SN-38 è di 47 ±7,9 ore, più lunga di quella di irinotecano. L’escrezione urinaria ammonta al 28% della dose, la via principale di eliminazione è quella biliare. Il coinvolgimento di molti sistemi enzimatici, a loro volta
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sottoposti a processi di attivazione/inibizione e alcuni dei quali con polimorfismo genetico, spiega le difficoltà incontrate nel definire il profilo farmacocinetico di SN-38 e l’importanza del rapporto fra SN-38 coniugato e non, dal momento che il secondo è connesso alla comparsa di tossicità ematologica e diarrea.
Impiego clinico Attualmente è approvato per il trattamento del carcinoma colo-rettale
e in generale dei tumori dell’apparato gastroenterico, sia in prima che in seconda linea. Il farmaco viene generalmente somministrato alla dose settimanale di 125 mg/m2 ev in 30-90
minuti per 4 settimane consecutive ogni 6 settimane, oppure alla dose di 350 mg/m2 ev ogni 3 settimane. Esistono poi schemi di combinazione con 5-FU e leucovorin.
Tossicità La tossicità dose-limitante dell’irinotecano è rappresentata da neutropenia
reversibile e non cumulativa: una neutropenia di grado III-IV si verifica nel 40-50% dei pazienti, con un nadir intorno all’ottavo giorno. La somministrazione è associata alla comparsa durante o immediatamente dopo di una sindrome colinergica acuta con sudorazione, diarrea acuta, flushing e dolori addominali crampiformi. Questi disturbi sono in genere di modesta entità e di breve durata e possono essere prevenuti con la somministrazione di anticolinergici. Ci può poi essere anche una diarrea tardiva che compare da 5 a 11 giorni dopo la somministrazione, dura di norma 5 giorni e nella maggior parte dei casi può essere controllata con loperamide. L’incidenza di diarrea grave è correlata a quella di neutropenia grave, è quindi consigliata una profilassi antibiotica orale in caso di diarrea e neutropenia concomitanti. I pazienti più a rischio per queste tossicità sono quelli anziani, con comorbilità, con moderata insufficienza epatica, sindrome di Gilbert e altre alterazioni della glucuronidazione della bilirubina: in questi pazienti andrebbe iniziata la terapia a dose ridotta e andrebbe effettuato un monitoraggio degli effetti tossici. L’irinotecano può inoltre causare alopecia, nausea, vomito, astenia. È in generale raccomandata una premedicazione con steroidi e 5-HT3 antagonisti 30 minuti prima dell’infusione del farmaco.
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Interazioni farmacologiche L’assunzione concomitante di fenitoina, carbamazepina
e fenobarbital, induttori del sistema microsomiale CYP3A4, può determinare una riduzione dell’esposizione sistemica a SN-38119.