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Studio di correlazione tra polimorfismi a singolo nucleotide dei geni DPYD e UGT e tossicità dal trattamento chemioterapico con regime FOLFOXIRI in pazienti con carcinoma del pancreas.

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Academic year: 2021

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(1)

U

NIVERSITÀ DI

P

ISA

DIPARTIMENTO DI RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE

TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea Magistrale

“Studio di correlazione tra polimorfismi a singolo nucleotide dei

geni DPYD e UGT e tossicità dal trattamento chemioterapico con

regime FOLFOXIRI in pazienti con carcinoma del pancreas.”

RELATORE

Chiar.mo Prof. Alfredo Falcone

CANDIDATO

Federica Santangelo

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2

INDICE

ABSTRACT

... pag. 4

CAPITOLO 1.

Inquadramento diagnostico-terapeutico del carcinoma del pancreas

1.1. Epidemiologia ... pag. 8 1.2. Fattori di rischio ... pag. 9 1.3. Presentazione clinica ... pag. 10 1.4. Diagnosi ... pag. 13 1.5. Stadiazione ... pag. 16 1.6. Terapia ... pag. 19 1.6.1. Terapia del tumore resecabile ... pag. 19 1.6.2. Terapia del tumore borderline-resectable ... pag. 25 1.6.3. Terapia del tumore localmente avanzato ... pag. 28 1.6.4. Trattamento del tumore metastatico ... pag. 32

CAPITOLO 2.

Dati farmacologici e farmacogenetici di 5-fluorouracile e irinotecano

2.1. Cenni di farmacologia di 5-fluorouracile e irinotecano ... pag. 38 2.1.1. 5-fluorouracile... pag. 38 2.1.2. Irinotecano ... pag. 40 2.2. Ruolo degli SNPs del gene DPYD nel trattamento con fluoropirimidine. pag. 43 2.3. Ruolo degli SNPs del gene UGT nel trattamento con irinotecano ... pag. 45

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3

CAPITOLO 3.

Studio di correlazione tra SNPs dei geni DPYD ed UGT e tossicità dal trattamento chemioterapico con regime FOLFOXIRI in pazienti con carcinoma del pancreas

3.1. Razionale ed obiettivi dello studio ... pag. 48 3.2. Materiali e metodi ... pag. 50 3.2.1. Selezione dei pazienti ... pag. 50 3.2.2. Analisi farmacogenetiche ... pag. 51 3.2.3. Analisi statistiche ... pag. 51 3.3. Risultati ... pag. 52 3.3.1. Caratteristiche dei pazienti ... pag. 52 3.2.2. Attività ed efficacia del trattamento ... pag. 53 3.3.3. Tossicità del trattamento ... pag. 54 3.3.4. Correlazione fra profilo genetico e tossicità ... pag. 56 3.4. Discussione ... pag. 57

BIBLIOGRAFIA

... pag. 64

TABELLE

... pag

.

81

FIGURE

... pag. 92

(5)

4

ABSTRACT

Il carcinoma del pancreas è fra i dieci tumori più frequenti nella popolazione e rappresenta la quarta causa di morte per neoplasia. Questa neoplasia ha un tasso di sopravvivenza a 5 anni estremamente basso (<6%) e si stima che entro il 2030 il tumore pancreatico possa diventare la seconda causa di morte per neoplasia. La chirurgia è l’unica opzione curativa ma solo un quinto dei pazienti alla diagnosi è eleggibile per questa strategia terapeutica1. Il 25-35% dei pazienti alla diagnosi ha invece un tumore localmente avanzato con una sopravvivenza media che raramente supera i 24 mesi anche nelle casistiche più recenti e il 45-55% ha un tumore avanzato inoperabile o metastatico con una prognosi (sopravvivenza mediana) inferiore ai 12 mesi2.

L’opzione di trattamento standard per il carcinoma pancreatico non operabile o metastatico è la chemioterapia, il cui scopo è quello di migliorare la sopravvivenza, senza determinare un impatto negativo sulla qualità di vita. Per questo motivo, bilanciare correttamente l’efficacia e la tossicità dei trattamenti nei singoli pazienti è oggi uno degli obiettivi dell’oncologo in questo setting.

In pazienti che possono tollerare una polichemioterapia, uno degli schemi oggi disponibili è il regime FOLFIRINOX (combinazione di 5-fluorouracile/leucovorin, oxaliplatino ed irinotecano). Alternativa valida a questo regime è la schedula FOLFOXIRI: recenti casistiche pubblicate suggeriscono che tale schedula sia equivalente al FOLFIRINOX in termini di efficacia e attività, ma sia associata ad un miglior profilo di tollerabilità3.

Entrambi questi regimi sono infatti connessi a diversi effetti avversi che talvolta possono essere così severi da determinare una riduzione dei dosaggi dei farmaci o una sospensione (temporanea o definitiva) della terapia. Tossicità più frequenti del 5-fluorouracile sono leucopenia, piastrinopenia, anemia, diarrea, vomito e “sindrome mani-piedi”; irinotecano

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5

può invece determinare neutropenia, sindrome colinergica con diarrea acuta, diarrea tardiva, nausea e vomito; oxaliplatino si associa, infine, ad una caratteristica neuropatia sensitiva periferica.

Condizioni di alterato metabolismo di 5-fluorouracile e irinotecano possono accentuare tutte queste tossicità. Polimorfismi a singolo nucleotide (single nucleotide

polymorphisms, SNPs) a livello dei geni che codificano per enzimi fondamentali nei processi

catabolici di questi farmaci possono infatti determinare un aumento dell’esposizione a queste sostanze e quindi un aumento del tasso di incidenza e del grado di severità delle tossicità. I geni analizzati nel nostro studio sono: 1) DPYD, che codifica per l’enzima diidropirimidina deidrogenasi (DPD), fondamentale nel catabolismo di 5-FU; 2) UGT, che codifica invece per UGT1A1, enzima coinvolto nel processo di eliminazione di irinotecano. Polimorfismi a carico di DPYD e UGT possono determinare alterazioni nell’attività enzimatica dei prodotti genici e, in ultimo, un aumento delle tossicità causate rispettivamente da fluoropirimidine e irinotecano.

Il nostro studio ha analizzato l’associazione tra SNPs dei geni DPYD ed UGT e tossicità del trattamento con regime FOLFOXIRI (graduata secondo i criteri CTCAE v.4.0) in pazienti con carcinoma del pancreas in un campione di 104 pazienti con diagnosi confermata di tumore pancreatico avanzato sottoposti a trattamento con regime FOLFOXIRI. Sono stati valutati i seguenti SNPs: 1) DPYD c.1679T>G; 2) DPYD IVS14+1G>A; 3) DPYD c.2194G>A; 4) DPYD c.2846A>T; 5) UGT1A1*28, tramite analisi farmacogenetiche di sequenziamento automatico effettuate su campioni di sangue intero dei pazienti arruolati nello studio.

L’analisi di correlazione dei genotipi DPYD c.1679T>G e c.2846A>T con la tossicità non è stata effettuata dal momento che tutta la popolazione studiata è risultata omozigote wild

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6

omozigoti wild type (GG) ed è stato riscontrato solo un caso eterozigote (GA). L’analisi statistica di questo polimorfismo non è stata eseguita a causa della bassa frequenza di tale allele, anche se è importante notare che il paziente portatore di questa mutazione ha riportato neutropenia G4 con febbre, piastrinopenia G4, anemia G2, stomatite G3 dopo il primo ciclo di terapia. In merito allo studio del genotipo DPYD c.2194G>A, 96 pazienti sono risultati omozigoti wild type (GG), 8 invece eterozigoti (GA). Analizzando le tossicità sviluppate da questi pazienti e mettendole a confronto con quelle riscontrate negli omozigoti, non si sono registrati risultati statisticamente significativi, si è tuttavia evidenziato un trend non significativo (p=0.07) verso una maggiore incidenza di piastrinopenia di ogni grado (G1-G4) negli eterozigoti GA.

Per quanto riguarda il genotipo UGT1A1*28, il 38% dei pazienti è risultato essere eterozigote (TA 6/7) ed il 18% omozigote recessivo (TA 7/7). E’ stata riscontrata un’associazione significativa (p<0.05) per piastrinopenia di ogni grado (G1-G4) (con rischio aumentato nei genotipi eterozigote e omozigote recessivo) e vomito di ogni grado (G1-G4) (con rischio aumentato nel genotipo omozigote recessivo).

I risultati ottenuti in questo studio sono in linea con i dati ripotarti in altri lavori che hanno analizzato l’associazione fra SNPs dei geni DPYD e UGT e le tossicità del trattamento con regimi contenenti irinotecano e fluoropirimidine in pazienti con altre patologie neoplastiche. L’omogeneità del regime utilizzato nella nostra casistica rappresenta sicuramente un punto di forza dello studio. I nostri dati confermano l’importanza della valutazione dello SNP IVS14+1G>A del gene DPYD, la cui associazione con un maggior rischio di tossicità severa per l’allele mutato appare costante nelle diverse casistiche pubblicate e perciò rappresenta (nonostante la bassa prevalenza) un’utile informazione per il clinico. Per i genotipi DPYD c.2194G>A ed UGT1A1*28, i nostri risultati sottolineano l’importanza di ulteriori analisi su campioni sufficientemente numerosi ed omogenei per poter

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validare in modo definitivo il ruolo predittivo di tali SNPs. Questo studio rappresenta quindi un’ulteriore conferma dell’importanza di anticipare l’esecuzione delle indagini farmacogenetiche prima del trattamento così da poter prevedere eventuali tossicità severe e pianificare, quindi, in maniera più adeguata la terapia.

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8

CAPITOLO 1. Inquadramento diagnostico-terapeutico del

carcinoma del pancreas

1.1 . Epidemiologia

Il tumore del pancreas è fra i dieci tumori più frequenti nella popolazione, è infatti la decima neoplasia più comune negli uomini e la nona nelle donne2. Si stima che nel 2017 saranno diagnosticati 53670 casi di carcinoma pancreatico negli Stati Uniti, rappresentando circa il 3% di tutte le diagnosi di tumore e si prevedono, sempre nello stesso paese, 43090 decessi per questa patologia, determinando così il 7% delle morti per neoplasie4 (Fig. 1).

La sua incidenza aumenta con l’età, è un tumore infatti tipico della settima e ottava decade. Circa metà dei pazienti con questa diagnosi ha sviluppato la patologia a partire dai 71 anni e raramente si riscontrano casi prima dei 45, è inoltre più frequente nella popolazione maschile rispetto a quella femminile2. Ha in aggiunta maggiore incidenza e mortalità negli individui di colore, dove risulta essere il quinto tumore più diffuso. Non essendoci prove che sostengano una maggiore esposizione di questi ai fattori di rischio noti, si presume che ci siano degli elementi non ancora studiati che giocano un ruolo importante nella determinazione di questa patologia. Probabilmente è importante considerare anche il diverso livello socioeconomico che comporterebbe un differente accesso alle cure5. La più alta incidenza è riportata fra i Maori in Nuova Zelanda, fra i nativi nelle Hawaii e, appunto, nella popolazione americana di colore, mentre il tasso più basso si ha fra gli abitanti di India e Nigeria6.

Nonostante il tasso di incidenza di questa neoplasia non sia eccessivamente alto, questo tumore è quarto per causa di morte e si pensa che possa diventare il secondo entro il 20202, superando nel il 2030 quello del colon retto, della mammella e della prostata1 (Fig. 2).

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Infatti non solo i tassi di mortalità per questo tumore non sono diminuiti rispetto al passato7, ma addirittura si stima che possano drammaticamente aumentare nei prossimi anni.

Il tumore del pancreas ha il tasso di sopravvivenza a 5 anni più basso fra i vari tumori studiati, ossia del 6%. La chirurgia è infatti l’unica possibilità curativa ma solo meno del 20% dei pazienti è eleggibile per questa procedura1.

Per concludere, possiamo dire che, se il cancro è l’imperatore di tutte le malattie, allora l’adenocarcinoma pancreatico è lo spietato dittatore di tutti i tumori7.

1.2 . Fattori di rischio

Sono molteplici i fattori di rischio studiati per questa patologia, alcuni dei quali modificabili (Tab. 1). Quelli noti e dall’impatto maggiore sono il fumo, il cui peso dipende dalla quantità e dalla durata5, la storia familiare di tumore pancreatico, sindromi familiari come ad esempio HNPCC o Puetz-Jeghers2, l’età avanzata, il sesso maschile, il diabete mellito, l’obesità, soprattutto quella di tipo centrale, il gruppo sanguigno, l’origine afroamericana, una dieta a base di grassi animali, ricca in carne e povera di verdure e folati, un’infezione da HP, le patologie parodontali8, i livelli di vit. D2. Si sta studiando anche il

ruolo dell’insulina come agente causativo. Da valutare anche come fattore che può incidere il livello socioeconomico che influisce su screening e, in generale, qualità delle cure5. L’attività fisica sembra essere un fattore protettivo2, mentre l’introito di caffè non sembra rappresentare un fattore di rischio.

Nonostante quindi il tumore pancreatico abbia una eziopatogenesi complessa e multifattoriale, il fumo e la familiarità sono i fattori di rischio dominanti. Circa il 20% dei

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tumori sono infatti causati dal fumo di sigaretta e inoltre i tumori nei fumatori presentano più mutazioni genetiche che nei non fumatori.

Circa il 7-10% degli affetti da questa patologia, invece, ha una storia familiare positiva8. I fattori di rischio ereditari contribuiscono infatti a circa il 5-10% di tutti gli adenocarcinomi. Sono stati identificate diverse varianti genetiche che rappresentano un fattore di rischio determinante, le più importanti sono BRCA1, BRCA2, ATM, APC, MSH2, MSH6, PMS2, PRSS1 e STK11. Si deve però fare una distinzione fra il tumore pancreatico ereditario e il tumore pancreatico familiare. Si parla di tumore pancreatico ereditario quando si ha una sindrome genetica con una mutazione identificata associata ad un aumentato rischio per questa patologia. Si identifica, invece, il tumore pancreatico familiare come una situazione in cui in una famiglia si riscontra almeno una coppia di parenti di primo grado con un tumore pancreatico senza una sindrome precisa identificabile nella famiglia9.

Considerando l’alto tasso di mortalità, sarebbe opportuno, se vogliamo cambiare questi valori, investire nella ricerca approfondita dei fattori di rischio così da conoscerne meglio le caratteristiche e mettere in atto strategie di prevenzione1.

1.3 . Presentazione clinica

Allo stadio iniziale il tumore pancreatico è di norma asintomatico, quando compaiono sintomi e segni spesso ci troviamo di fronte ad un tumore ormai esteso che ha invaso organi a distanza2. Alla diagnosi, infatti, solo un terzo dei pazienti con tumore pancreatico alla testa è al I stadio, un terzo al IV, mentre nessuno dei tumori del corpo e della coda è al I stadio e oltre l’80% di questi è al IV10. Vediamo infatti che le metastasi sono la più comune causa di morte

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sintomatologia negli stadi iniziali, viene spesso diagnosticato tardivamente, rendendo più difficile e meno efficace la terapia. Una analisi dell’evoluzione genetica del tumore pancreatico indica almeno una decade fra l’insorgenza della prima mutazione e la nascita del tumore, sono richiesti, poi, almeno cinque anni per l’acquisizione da parte delle cellule neoplastiche della capacità metastatica. È quindi in questa finestra temporale che si dovrebbe riuscire a diagnosticare precocemente il tumore11.

Alla presentazione i sintomi più frequenti sono astenia (86%), anoressia (85%), perdita di peso (85%), dolore addominale (79%), coluria (59%), ittero (51%). L’esame obiettivo può mostrare epatomegalia (39%), massa addominale (15%), segno di Courvoisier positivo (13%), ascite (5%). All’aumentare dello stadio corrisponde un proporzionale aggravarsi della sintomatologia10 (Tab. 2). Il dolore addominale è il più frequente sintomo che può presentarsi, anche in tumori piccoli (<2 cm). È un dolore insidioso di tipo viscerale localizzato soprattutto a livello epigastrico con irradiazione posteriore. Raramente ci può essere una presentazione con un evento di dolore acuto dovuto ad una pancreatite data dall’occlusione del dotto pancreatico. Ognuno dei sintomi citati che insorge in un paziente con un diabete ad insorgenza tardiva pone un sospetto importante per il tumore pancreatico2. I sintomi sono spesso aspecifici e quindi frequentemente sussiste il problema della diagnosi differenziale. Inoltre il valore predittivo positivo dei sintomi più comuni è basso, con l’unica eccezione dell’ittero nei pazienti con età maggiore di 60 anni, in questo caso il valore predittivo arriva ad essere del 22%, a differenza degli altri sintomi che hanno un valore minore del 3%12.

Alcuni sintomi sono associati con la sede del tumore. I sintomi colestatici sono più comuni nei tumori che coinvolgono unicamente la testa, porzione in cui è localizzata la maggior parte dei tumori, in quanto si verifica una ostruzione delle vie biliari. La presenza, invece, di una massa epigastrica associato a dolore addominale è più comune nei tumori di

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corpo e coda10, anche se i tumori in questa sede possono rimanere asintomatici fino allo stadio finale2 (Fig. 3).

Diabete, iperglicemia e intolleranza al glucosio sono presenti nel 75-80% dei pazienti con il tumore13, il 10 % di questi sono di nuova insorgenza e fino al 20% migliorano o vanno incontro a remissione dopo la resezione del tumore14,15.L’associazione fra diabete e tumore pancreatico è infatti da tempo conosciuta. Il diabete di lunga data rappresenta un importante fattore di rischio, i pazienti con tale patologia hanno infatti un rischio maggiore del 30% di sviluppare il tumore16,17. Il diabete di nuova insorgenza, invece, può essere una manifestazione del tumore. In circa il 47% dei casi di tumore si è riscontrata la presenza di recente diagnosi di diabete18. Soggetti con età maggiore di 50 anni con un diabete di nuova insorgenza sono gli individui con più elevato rischio di tumore pancreatico19. Essendo iperglicemia e diabete identificabili già nella fase presintomatica, si potrebbe pensare di usare un diabete di nuova insorgenza come strumento nello screening per la diagnosi di un tumore allo stadio iniziale. Si deve però riuscire a distinguere un DM2, molto comune nella popolazione, da un diabete connesso ad un tumore pancreatico. Per poterlo fare non ci si può basare sulla clinica, essendo queste due forme indistinguibili da questo punto di vista, ma si devono utilizzare sierologia e biomarker20.

Essendo, quindi, molto aspecifici e tardivi i sintomi di questa neoplasia, si deve considerare che se si vuole diagnosticare precocemente il tumore lo si deve fare in pazienti asintomatici14. Una adeguata attenzione a segni e sintomi, soprattutto a quelli dovuti ad una condizione di colestasi, potrebbe aiutare ad identificare in uno stadio precoce il tumore pancreatico10. Dato, però, che la sua incidenza è bassa, non è possibile eseguire uno screening

generale nella popolazione asintomatica, cosa che andrebbe invece effettuata in quella ad alto rischio20.

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13

1.4 . Diagnosi

Il tumore pancreatico è asintomatico fino a che la malattia non è ad uno stadio avanzato, quindi non è possibile fare un diagnosi affidabile basandosi unicamente su segni e sintomi, ma si deve ricorrere ad altri strumenti21. La resezione chirurgica è l’unico trattamento potenzialmente curativo del tumore, è fondamentale quindi una diagnosi precoce e uno studio accurato delle caratteristiche del tumore così da poter valutare anche i criteri di resecabilità22.

In generale, le modalità che si hanno a disposizione nella diagnosi sono: ecografia transaddominale, TC, PET, RM, ERCP, ecoendoscopia (Fig. 4) e marker sierici tumorali16.

L’ecografia transaddominale è spesso il primo studio che viene eseguito quando un paziente si presenta con un ittero ostruttivo o un dolore addominale non spiegato. È molto sensibile per la dilatazione delle vie biliari e spesso stabilisce il grado di ostruzione ma la visualizzazione del parenchima pancreatico e del dotto pancreatico è meno affidabile23. Il

risultato può essere alterato dall’interposizione di aria, da una condizione di obesità del paziente e dalle capacità di chi esegue la procedura dal momento che è, infatti, un esame operatore-dipendente16. Per questi motivi l’ecografia rimane sostanzialmente un mezzo per un primo approccio al paziente che deve essere seguito da ulteriori indagini23, sebbene secondo alcuni questo esame, se eseguito da operatori esperti, sia equivalente o migliore della TC nella ricerca e stadiazione del tumore pancreatico24,25. La sensibilità e specificità di questo esame è del 75-89% e del 90-99% rispettivamente26 e l’utilizzo di mezzi di contrasto ne aumenta la sensibilità tanto da superare quella della TC multistrato27. Infine, può essere constatato con

una ecografia Doppler il coinvolgimento dei vasi principali, aspetto fondamentale da valutare nella scelta terapeutica28.

La TC multistrato con mezzo di contrasto è abitualmente usata per la diagnosi di lesioni pancreatiche sospette, per la definizione delle resecabilità e dell’invasione vascolare e

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14

per la ricerca di metastasi29. Diversi sono gli elementi che possono aiutare nella diagnosi: ipoattenuazione (sensibilità del 75% e specificità dell’84%), dilatazione del dotto (sensibilità del 50% e specificità del 78%), atrofia distale pancreatica (sensibilità del 45% e specificità del 96%), contorni irregolari del pancreas (sensibilità del 15% e specificità del 92%). Complessivamente la precisione di questa metodica per la diagnosi del tumore è di circa il 90%30 e per la determinazione della resecabilità di 85-95%31.

18F-fluorodesossiglucosio PET (18FDG-PET) è caratterizzata da diverse limitazioni

nella diagnosi del tumore del pancreas. Ci possono infatti essere falsi negativi in iperglicemia e falsi positivi se ci sono masse infiammatorie causate da pancreatiti16. Due meta-analisi hanno mostrato che questa metodica associata alla TC non offre vantaggi nella diagnosi del tumore pancreatico rispetto alle attuali metodiche diagnostiche32,33.

Per quanto riguarda la Risonanza Magnetica (RM), diversi studi hanno dimostrato che la sensibilità e specificità di questo esame con mezzo di contrasto sono simili a quelle della TC multistrato16. La RM può essere utile per caratterizzare piccole lesioni epatiche e per differenziare una massa infiammatoria pancreatica da un adenocarcinoma23. La risonanza magnetica colangiopancreatografica (MRCP) permette di delineare in modo non invasivo i dotti pancreatici e biliari. Questa tecnica potrebbe sostituire la metodica più invasiva ERCP, con lo svantaggio che però non permette di eseguire un prelievo bioptico34.

La colangiopancreatografia endoscopica retrograda (ERCP) è una metodica caratterizzata da alta sensibilità per la visualizzazione delle vie biliari e del dotto pancreatico. Permette inoltre di eseguire un prelievo di tessuto tramite una biopsia o una citologia su brush16, anche se EUS-FNA, ossia un’agoaspirazione eseguita sotto guida ecografica, risulta

essere più sensibile35. Una prima meta-analisi aveva mostrato una sensibilità di questo esame del 92% e una specificità del 96% nella diagnosi del tumore pancreatico36. ERCP viene usata soprattutto come modalità terapeutica in pazienti che si presentano con ittero dovuto

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all’ostruzione delle vie biliari da parte del tumore e consente il posizionamento di stent. Questa metodica ha un rischio pari al 5-10% di complicanze importanti fra cui pancreatiti e perforazione gastrointestinale o della via biliare ed è per questo che viene prevalentemente usato a scopo terapeutico37.

L’ecoendoscopia è un’importante tecnica di studio del pancreas. L’alta risoluzione che si ha del pancreas e delle strutture vicine consente una valutazione di lesioni anche di 2-3 mm e permette di analizzare dettagli delle strutture peripancreatiche38. Uno studio retrospettivo ha

riscontrato una sensibilità del 98% di questa metodica nella diagnosi del tumore pancreatico a confronto con una sensibilità dell’86% per la TC multistrato39.

Sono state comparate le varie metodiche di diagnostica per immagini per valutare sensibilità, specificità e/o accuratezza fra RM, TC, PET e ecoendoscopia e il risultato è che, fatta eccezione per la PET, tutte queste modalità si equivalgono essendo nello stesso intervallo di confidenza per la diagnosi40.

Un ruolo importante nella diagnosi è svolto poi dai marcatori tumorali. Sono stati studiati molti biomarcatori ottenuti da siero, tessuti, bile, saliva e feci ma il più largamente usato è CA 19-9 che è al momento l’unico valido e diffusamente valutato nella pratica clinica. Quando usato in pazienti in cui c’è un sospetto di tumore pancreatico fondato su dati clinici e diagnostici, ha una sensibilità e specificità del 79-81% e 82-90% rispettivamente. CA 19-9 non ha ruolo nello screening della popolazione asintomatica a causa del suo basso valore predittivo positivo. Valutare il livello di CA 19-9 prima dell’intervento offre utili informazioni prognostiche come che pazienti con un livello di CA 19-9 normale (<37U/ml) hanno una sopravvivenza media più lunga dei pazienti con un livello sierico elevato (>37 U/ml). Inoltre livelli preoperatori >100 U/ml sembra siano indice di una malattia localmente avanzata o metastatica, mentre concentrazioni minori di 100U/ml suggeriscono la presenza di un tumore resecabile. Una normalizzazione o riduzione dei livelli sierici di CA 19-9 dopo

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l’intervento si associa ad una prognosi migliore. Quindi il livello di questo marcatore offre informazioni riguardo prognosi, sopravvivenza, risposta alla chirurgia e alla chemioterapia. L’utilizzo di questo dato nel management del tumore pancreatico è però limitato dal fatto che viene espresso in altre malattie benigne e maligne, dalla possibilità di falsi positivi nei genotipi negativi Lewis e di falsi positivi in caso di ittero ostruttivo41.

1.5 . Stadiazione

Una accurata stadiazione è il passo principale per stabilire l’approccio terapeutico adeguato per il paziente. Per aiutare a superare le difficoltà riscontrate nel definire le caratteristiche che rendono un tumore resecabile o meno, sono stati standardizzati i risultati ottenuti dalla diagnostica per immagini così da poter semplificare e rendere più universale la stadiazione42. La TC trifasica è la metodica migliore per la stadiazione del tumore pancreatico, offrendo una precisione dell’80% nella definizione dei criteri di resecabilità8, permette infatti di valutare non solo le caratteristiche del tumore, ma anche l’interessamento dei vasi e le eventuali metastasi, principalmente a livello di fegato e polmoni43. È raccomandato quindi anche uno studio del torace, sia con radiografia che con TC. La PET TC non rientra negli esami eseguiti nelle norma, può invece essere di aiuto per studiare meglio le lesioni nella malattia metastatica8. Può essere utile ai fini della stadiazione eseguire una laparoscopia per valutare il coinvolgimento del peritoneo, della capsula, delle sierose o del fegato44. Controversa è invece la necessità di una diagnosi istologica prima della resezione. Si ritiene che sia obbligatoria una biopsia per coloro che sono candidati ad una terapia neoadiuvante, mentre può non essere eseguita in quei pazienti che verranno sottoposti ad una resezione chirurgica43. Se, infatti, viene eseguito un intervento, dal pezzo operatorio si

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possono ottenere informazioni per definire meglio T e N, se invece non viene eseguito, allora ci si deve basare unicamente sulla diagnostica per immagni45.

Il primo obiettivo della stadiazione è capire se una lesione è resecabile o meno43. Lo studio tramite le immagini deve dare informazioni infatti riguardo: caratteristiche del tumore, interessamento vascolare, descrizione dei linfonodi, coinvolgimento strutture extraepatiche. Questi dati permettono di classificare il tumore in resecabile, borderline-resectable, localmente avanzato e metastatico46.

Il tumore pancreatico è stadiato in accordo con la più recente edizione del sistema di classificazione sviluppato dall’American Joint Committee on Cancer (Tab. 3). I tumori T1, T2 e T3 sono potenzialmente resecabili, mentre i tumori T4, in cui c’è un coinvolgimento dell’arteria mesenterica superiore e del tripode celiaco, no. Un tumore che coinvolga la vena mesenterica superiora, la vena porta o la vena splenica viene classificato come T32.

L’altro sistema principale di stadiazione è quello che segue le linee guida del National

Comprehensive Cancer Network (NCCN) che, basandosi sui riscontri avuti dallo studio per

immagini, suddivide il tumore del pancreas in resecabile, borderline-resectable, localmente avanzato/non resecabile e metastatico in base a dei precisi criteri (Tab. 4):

- resecabile: assenza di malattia extraepatica, senza coinvolgimento dell’arteria mesenterica superiore o del tripode celiaco, vene mesenterica superiore e porta libere; - borderline-resectable: assenza di malattia extraepatica, infiltrazione dell’arteria

mesenterica superiore >180° della sua circonferenza, coinvolgimento delle vene mesenterica superiore/porta, occlusione di un breve segmento della vena mesenterica superiore, infiltrazione del tripode celiaco >180°, incarceramento/infiltrazione dell’arteria epatica;

- localmente avanzato (non resecabile): assenza di malattia extraepatica, infiltrazione dell’arteria mesenterica superiore >180°, occlusione delle vene mesenterica

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superiore/porta non restaurabile, incarceramento o infiltrazione del tripode celiaco >180°, invasione dell’aorta, metastasi linfonodali oltre il campo di resezione;

- metastatico47.

I tumori localizzati sono caratterizzati quindi da un continuum che va dal resecabile al localmente avanzato in base al coinvolgimento dei vasi48 (Fig. 5).

Il concetto di tumore borderline-resectable si è evoluto nel tempo. Inizialmente si faceva riferimento ad un tumore localizzato caratterizzato da un alto rischio di margini positivi di resezione e fallimento della terapia se trattato direttamente con la chirurgia ed era quindi una condizione in cui era consigliata una terapia neoadiuvante49. Il punto centrale nella definizione di un tumore borderline-resectable è sempre rimasto l’anatomia del tumore, in particolare il rapporto fra questo e il sistema vascolare (Fig. 6). I criteri anatomici dovrebbero essere valutati con uno studio TC multistrato e discussi poi in un team multidisciplinare. Si è inoltre visto che un fattore limitante la resecabilità in questa condizione potrebbe essere la possibilità di riscostruire le vene50. Il radiologo deve valutare accuratamente la vascolarizzazione arteriosa degli organi vitali vicino al pancreas e riportare qualsiasi variante che possa compromettere questi organi se non riconosciuta durante la chirurgia51. Talvolta viene suddiviso in tre tipi, andando a considerare come fattori limitanti non solo gli aspetti anatomici: (a) tumore definito borderline-resectable in base a criteri anatomici, (b) situazione in cui si ha un forte sospetto clinico di presenza di metastasi ma non si hanno riscontri diagnostici e infine (c) quando si hanno pazienti che a causa della loro età o della presenza di comorbilità non sono candidati ottimali alla chirurgia52.

Purtroppo solo il 10-20% dei pazienti può essere sottoposto ad una chirurgia al momento della diagnosi, e, anche dopo l’intervento con margini R0, la sopravvivenza a 5 anni è comunque solo del 10-25% con una sopravvivenza media di 15-19 mesi53. Uno stadio localmente avanzato si ha nel 25-35% dei pazienti ed è associato ad una sopravvivenza media

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19

di 6-10 mesi e la maggior parte di questi sviluppa metastasi entro un anno. Alla presentazione il 45-55% sono allo stadio avanzato o metastatico e la loro prognosi è inferiore ai 6 mesi2.

1.6 . Terapia

I pazienti con tumore pancreatico dovrebbero essere seguiti da un team multidisciplinare che includa oncologi, chirurghi, radiologi, gastroenterologi, radioterapisti, anatomi patologi, esperti della gestione del dolore, nutrizionisti e, se necessario, esperti delle cure palliative. Il tumore pancreatico è eterogeno dal punto di vista molecolare, istologico e clinico. La risposta al trattamento dipende quindi da molti fattori fra cui biologia del tumore, performance status (PS) del paziente e aggressività della malattia54.

Il trattamento include chirurgia, chemioterapia, radioterapia e cure palliative e la scelta dell’approccio migliore viene fatta in base alle caratteristiche del tumore stesso e del paziente16 (Fig. 7).

1.6.1. Trattamento del tumore resecabile

Se il tumore, in seguito allo studio per immagini, viene definito resecabile, la chirurgia rimane il trattamento di scelta55. La resezione chirurgica è ritenuta infatti l’unico approccio terapeutico curativo ed è caratterizzata da una sopravvivenza significativamente maggiore rispetto a tutte le altre opzioni terapeutiche16.

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20

In base alla localizzazione del tumore vengono scelte procedure chirurgiche diverse, può essere infatti fatta una pancreaticoduodenectomia, ossia la procedura Whipple, oppure una pancreasectomia, distale o totale2.

La pancreaticoduodenectomia è indicata per rimuovere tumori a livello della testa del pancreas. Non sono state riscontrate differenze in termini di outcome fra le possibili varianti di questa procedura che includono la conservazione del piloro, la conservazione subtotale dello stomaco o tecniche mini-invasive. Inoltre una chirurgia estensiva con linfoadenectomia ampia o resezione arteriosa in blocco non sembra migliorare la prognosi56.

I tumori del corpo/coda del pancreas sono rimossi invece di norma con una pancreasectomia distale che quasi sempre include anche una splenectomia. Sempre più spesso i tumori distali sono rimossi in laparoscopia57. Infatti per selezionati casi di resezione di tumori a livello della coda del pancreas, può trovare indicazione la laparoscopia58, inoltre si

può utilizzare l’endoscopia per localizzare piccole lesioni prima di effettuare una resezione per via mini-invasiva59.

La chirurgia è composta anche da una resezione estesa dei linfonodi che devono essere rimossi almeno nel numero di 12-15 con l’obiettivo di realizzare una resezione con margini negativi R0.

Studi dimostrano che l’esito della resezione venosa seguita da una ricostruzione vascolare in pazienti con un coinvolgimento dei vasi limitato alle vene mesenterica superiore e porta è simile a quello in pazienti che non presentano coinvolgimento venoso60. Infatti la resezione e ricostruzione di queste vene sono procedure appropriate quando queste consentono di ottenere una resezione con margini R0 senza però determinare un aumento del rischio di mortalità operatoria61.

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21

Importante è poi la valutazione patologica del pezzo operatorio che offre utili informazioni prognostiche. Il patologo deve valutare i margini di resezione, che possono essere negativi (R0), microscopicamente positivi (R1) o positivi dal punto di vista macroscopico (R2). La valutazione patologica include inoltre la classificazione delle varianti istologiche del tumore8.

Complicanze post-operatorie possono essere rappresentate dalla deiscenza dell’anastomosi pancreatica o dal rallentamento dello svuotamento gastrico. Si è cercato di individuare la procedura che minimizzasse maggiormente le complicanze post-operatorie ma non si è riscontrata una sostanziale differenza fra le varie tecniche61.

La mortalità operatoria è bassa nella maggior parte dei centri di alto livello62. Diversi studi hanno infatti mostrato che la mortalità per pancreaticoduodenectomia è considerevolmente minore nei centri ad alto-volume rispetto a quelli a basso-volume. Per questo sarebbe opportuno che questi tipi di interventi venissero eseguiti in centri che contano almeno 15-20 operazioni del genere all’anno63.

Essendo la resezione pancreatica associata ad un alto rischio di morbilità e mortalità, devono essere utilizzati degli score preoperatori così da poter prevedere il rischio dei pazienti di incorrere in queste complicanze. Gli strumenti normalmente utilizzati come APACHE e ASA non sono in grado di predire adeguatamente questo aspetto64. È stato quindi formulato uno score specifico per la pancreaticoduodenectomia da eseguire prima dell’intervento che include otto variabili: 1) pressione arteriosa, 2) frequenza cardiaca, 3) emoglobina, 4) albumina, 5) ASA, 6) procedura chirurgica scelta, 7) chirurgia elettiva, 8) patologia di origine pancreatica. Questo consente di identificare tre classi di rischio con una probabilità crescente di complicanze maggiori che va dal 7 al 36%. Queste informazioni sono utili per modulare la pianificazione del trattamento e ottimizzare la chirurgia pancreatica65.

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22

Nonostante la chirurgia sia l’unica opzione curativa, per pazienti che hanno subito una resezione di un adenocarcinoma la sopravvivenza a 5 anni è circa del 20-25%. La presenza di margini di resezione positivi, un tumore scarsamente differenziato (G3), dimensioni ampie della neoplasia, metastasi linfonodali, alti livelli sierici di CA 19-9 che rimangono elevati anche dopo l’intervento sono tutti fattori prognostici negativi. La resezione con margini negativi ha un tasso di sopravvivenza maggiore di quella con margini R1-R2, il cui tasso secondo alcuni è addirittura simile a quello dei pazienti con un tumore localmente avanzato che non sono sottoposti a chirurgia48. Sono poi associati ad un outcome peggiore anche altri marker come la perdita di SMAD466 o l’espressione di SPARC nei fibroblasti67.

Il tasso di sopravvivenza che, nonostante la resezione chirurgica, rimane basso, motiva la necessità di un trattamento adiuvante postoperatorio52. Il ruolo della chemioterapia è stato a lungo valutato e si basa su una terapia sistemica che riduce il rischio di metastasi e di recidive locoregionali68. I pazienti sottoposti ad una chirurgia hanno una sopravvivenza media bassa, circa 23 mesi69. Si può infatti avere in seguito alla resezione una recidiva locale (>20%) o un

coinvolgimento sistemico (>70%)70 con metastasi le cui sedi più frequenti di localizzazione sono fegato (43-62%) e peritoneo (27-43%)71.

La terapia adiuvante è raccomandata per individui che sono stati sottoposti ad una resezione pancreatica con intento curativo e viene somministrata dopo che sono trascorsi circa 1-2 mesi dall’operazione72. I pazienti che maggiormente possono beneficiare di questo approccio sono quelli con margini di resezione negativi. Molti individui con una resezione R1 hanno infatti comunque una sopravvivenza minore degli altri70. La terapia viene quindi raccomandata in pazienti con R0/R1, T1-4/N0-169.

Prima di iniziare la chemioterapia sarebbe opportuno eseguire una valutazione del paziente. Si dovrebbero studiare conta eritrocitaria, parametri di funzionalità renale e epatica, LDH, albumina e CA 19-973 e cosa importante sarebbe inoltre avere la conferma dell’assenza

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di precoci recidive o di metastasi prima di iniziare la terapia. Per questo obiettivo la TC spirale rimane la tecnica migliore42.

I benefici di una terapia adiuvante sono stati valutati in diversi studi che mettevano a confronto i vari approcci terapeutici e consideravano il miglioramento della sopravvivenza

(Tab. 5). Nello studio GITSG, 5-FU è risultato offrire una sopravvivenza migliore rispetto

alla sola osservazione72.

Il trial RTOG-9704 ha messo a confronto una terapia a base di gemcitabina (GEM) con 5-FU e poi chemioradioterapia. Entrambi i bracci ricevevano 5-FU e radiazioni ma uno riceveva prima e dopo la radiazione una infusione continua di 5-FU mentre l’altro riceveva GEM. I risultati dei trattamenti non sembravano differire molto, mostrando solo un lieve vantaggio del trattamento con GEM53,74.

Lo studio CONKO-001 si basava su 368 pazienti che sono stati suddivisi fra quelli sottoposti a GEM (1g/m2 ai giorni 1,8,15 ogni 4 settimane) per 6 mesi e un gruppo di osservazione. Dopo 136 mesi di follow up, la sopravvivenza media era di 13.4 mesi nel braccio con GEM e di 6.7 in quello di osservazione. Questo studio ha conferma quindi il beneficio di una terapia adiuvante con GEM75.

Il trial ESPAC-1 includeva 289 pazienti e comparava 4 bracci di trattamento: chemioterapia con 5-FU più radioterapia; concomitante chemioterapia e radioterapia seguita da sola chemioterapia; chemioterapia da sola; osservazione. I pazienti che hanno ricevuto solo chemioterapia 5-FU/LV sono stati i soggetti che hanno ottenuto i benefici maggiori con una sopravvivenza di 21,6 mesi53.

Lo studio ESPAC-3 consisteva di 1088 pazienti che sono stati divisi casualmente in un braccio con 5-FU + LV (LV 20 mg/m2, bolo ev seguito da 5-FU, 425 mg/m2, bolo ev al giorno 1-5 ogni 28 giorni) e un braccio con GEM (1000 mg/m2 al giorno 1,8 e 15 ogni 4

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settimane) durante i 6 mesi. La sopravvivenza media era di 23 mesi per il primo braccio e di 23.6 per quelli del secondo. Non è stata dimostrata quindi differenza in termini di sopravvivenza benché GEM sia stata meglio tollerata con solo il 7% di tossicità severe rispetto al 14% riscontrata nei pazienti trattati con 5-FU76.

Lo studio ESPAC-4 si basava su 732 pazienti suddivisi dopo la chirurgia in due bracci di trattamento: monoterapia con GEM o un trattamento combinato con GEM e capecitabina. Il risultato ha mostrato un significativo miglioramento nella sopravvivenza nel trattamento combinato (28 versus 25.2 mesi)53.

Il trial JASPAC-01 comparava GEM con la fluoropirimidina orale S-1 che è stata sviluppata in Giappone e che contiene il profarmaco di 5-FU. Il tasso di sopravvivenza a 5 anni era del 24.4% nel braccio con GEM e del 44.1% in quello con S-1. Dal momento però che il metabolismo di 5-FU è differente fra la popolazione asiatica e caucasica, è necessario approfondire il corrispettivo di questi dati nella popolazione non asiatica77.

Sono in corso studi che valutano altri regime terapeutici. Ad esempio si è visto che la combinazione di IFN alfa-2b, cisplatino e infusione continua di 5-FU unita ad una irradiazione esterna ha una serie di severi effetti tossici che ne limitano l’utilizzo78.

Se quindi è diffuso il consenso riguardo l’utilità di una chemioterapia adiuvante, controverso è invece il ruolo della radioterapia dopo la chirugia68. Nel trial ESPAC-1 la chemioradioterapia non solo non riusciva ad aumentare la sopravvivenza media, ma sembrava essere anche più nociva79. Una meta-analisi includeva trials con 5-FU, GEM, chemioterapia-radioterapia e chemioterapia-chemioterapia-radioterapia con 5-FU o GEM e stabiliva un confronto in termini di sopravvivenza e tossicità. Questa analisi sosteneva che la chemioterapia da sola riduceva la mortalità dopo la chirurgia di un terzo e che chemioradioterapia con chemioterapia era meno efficiente in termini di sopravvivenza e più tossica della chemioterapia da sola80. Talvolta si

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posticipa la radioterapia dopo un adeguato ciclo di chemioterapia, i pazienti quindi liberi da malattia dopo 4-6 mesi di una terapia sistemica ricevono radioterapia, come valutato nello studio EORTC70.

Per concludere, al momento attuale una terapia adiuvante di 6 mesi con GEM (in associazione o meno a capecitabina) o 5-FU con acido folinico è raccomandata nei pazienti sottoposti ad una resezione di un tumore pancreatico a meno che non ci siano controindicazioni mediche o chirurgiche. È invece controverso un trattamento di chemioradioterapia che potrebbe essere preso in considerazione in pazienti con margini di resezione R1 dopo 4-6 cicli di terapia adiuvante sistemica81.

1.6.2. Trattamento del tumore borderline-resectable

Solo il 20% dei pazienti presenta alla diagnosi una malattia localizzata del pancreas e circa il 70% una malattia avanzata o metastatica. Negli ultimi anni è stato descritto un nuovo sottogruppo che rappresenta il 5-10% dei pazienti con tumore pancreatico definiti con malattia borderline-resectable che hanno una malattia troppo avanzata per poter essere sottoposti direttamente a chirurgia ma che possono potenzialmente ottenere margini negativi di resezione dopo una chemioterapia neoadiuvante. In realtà, gli oggettivi benefici di questo approccio sono ancora in corso di studio e definizione82. I pazienti con tumore

borderline-resectable sono caratterizzati da un rischio elevato di margini positivi dopo la resezione o

fallimento del trattamento dopo un primo approccio chirurgico per recidiva locale della malattia o malattia metastatica83. La prognosi di un tumore borderline-resectable sembra essere comunque superiore rispetto ai pazienti con tumore localmente avanzato e malattia metastatica, ma peggiore rispetto ai pazienti che hanno una malattia immediatamente resecabile84. Una stadiazione preoperatoria accurata individua chi può essere sottoposto

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direttamente ad una resezione chirurgica e chi invece può trarre beneficio da una terapia neoadiuvante54.

Il razionale di usare una chemioterapia sistemica neoadiuvante, generalmente a base di GEM o 5-FU, è quello di trattare metastasi precoci, ottenere un downstaging del tumore e, quindi, una migliore risposta alla terpaia85. L’ordine, la durata, la tipologia della terapia neoadiuvante per questo gruppo di pazienti non è però stabilità in modo univoco dal momento che mancano studi di fase III che rappresentano il modo migliore e più affidabile per determinare i benefici oggettivi di un trattamento. Non esistono inoltre trial che mettano a confronto i risultati ottenuti in una popolazione sottoposta direttamente ad una resezione chirurgica e una sottoposta prima ad una terapia neoadiuvante, ma diversi studi di fase I/II sono in corso e potrebbero offrire utili informazioni51. Nonostante ciò, le linee guida raccomandano un approccio multimodale a questi pazienti che include una chemioterapia sistemica con uno stretto monitoraggio delle tossicità, seguita eventualmente poi da chemioradioterapia e, infine, da resezione radicale50.

La chemioterapia prevede vari schemi. Uno dei più diffusi è quello a base di FOLFIRINOX (oxaliplatino, irinotecano e 5-FU/acido folinico) che è il trattamento di scelta in pazienti con malattia borderline-resectable non metastatica e con adeguato PS. È stato infatti registrato un netto aumento del tasso di sopravvivenza (dal 10 al 32.5%) fra la somministrazione di GEM in monoterapia e il trattamento a base di FOLFIRINOX85. Uno studio condotto da 20 centri ha concluso che la resezione dopo una terapia di induzione con FOLFIRINOX è caratterizzata da tassi di mortalità a 30 giorni, complicanze maggiori e fistola pancreatica sintomatica minori rispetto a quelli registrati in pazienti sottoposti direttamente a chirurgia86.

Sono stati riscontrati tassi di resezione e margini R0 del 51 e 96% rispettivamente e una sopravvivenza media di 19.2 mesi in pazienti con tumore borderline-resectable che hanno

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ricevuto una terapia combinata a base di GEM, docetaxel e capecitabina seguita poi da radioterapia (RT) stereotassica in 5 frazioni con 40 Gy87. L’aggiunta di nab-paclitaxel alla

GEM ha mostrato risultati interessanti nel tumore metastatico e sono quindi in corso studi sull’utilizzo di questa associazione nella terapia di induzione. Per adesso i risultati sembrano essere migliori di quelli ottenuti con FOLFIRINOX ma il tasso di tossicità severe risulta maggiore88.

Una valutazione radiologica accurata dovrebbe essere fatta sia prima che dopo la chemioterapia neoadiuvante. Dopo la terapia, il radiologo dovrebbe prima di tutto focalizzarsi sulla valutazione di elementi che possano indicare un eventuale peggioramento della malattia, come ad esempio la presenza di metastasi o un ulteriore interessamento dei vasi, dal momento che questi riscontri potrebbero precludere il ruolo della chirurgia89. Comunque c’è sempre una maggiore consapevolezza che la risposta clinica alla terapia neoadiuvante potrebbe non risultare allo studio per immagini in una visibile regressione dell’estensione dello stroma del tumore fibroso dell’adenocarcinoma pancreatico e quindi, se anche non raggiunti i criteri di resecabilità, si possono ottenere comunque buoni risultati dalla chirurgia90.

Infatti, in uno studio condotto su 122 pazienti con tumore borderline-resectable trattati con varie strategie neoadiuvanti, 15 pazienti hanno mostrato una risposta parziale, 84 una malattia stabile e 23 una progressione della malattia. Solo un paziente aveva ottenuto una riduzione tale della malattia da rientrare nei criteri di resecabilità, ma comunque 81 degli 85 che sono stati sottoposti ad una pancreasectomia dopo la terapia neoadiuvante hanno ottenuto margini negativi di resezione91. In un altro studio, 40 pazienti con tumore localmente avanzato o borderline hanno ricevuto FOLFIRINOX e 87 non hanno invece ricevuto alcuna terapia neoadiuvante. Nonostante lo studio per immagini dopo FOLFIRINOX classificasse ancora 19 pazienti come localmente avanzati e 9 come borderline, alla fine il 92% ha ottenuto una resezione R092.

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Il razionale, invece, della RT in fase preoperatoria è quello di potenziare il trattamento della malattia microscopica nei linfonodi regionali e di sterilizzare la periferia del tumore così da aumentare la possibilità di ottenere margini negativi dopo la resezione93. Viene usata di norma una dose di 50,4 Gy di RT in 28 frazioni o 30 Gy in 10 frazioni con la contemporanea somministrazione di 5-FU o capecitabina. Oltre al tumore primitivo, devono essere inclusi nei margini del campo di irradiazione anche l’arteria mesenterica superiore e il tripode celiaco94.

Se dopo il completamento della chemioterapia, abbinata o meno alla RT, non si ha progressione della malattia o peggioramento del PS, allora i pazienti sono portati in sala operatoria per eseguire la resezione del tumore e la linfoadenectomia loco regionale, unica vera opzione curativa del tumore95. Nonostante però la chemioterapia neoadiuvante, i chirurghi devono considerare la necessità della resezione e ricostruzione vascolare durante la pancreasectomia. Quando adeguatamente pianificate ed eseguite, queste procedure non influiscono sulla sopravvievnza60.

Benché, infine, il beneficio di una terapia adiuvante dopo la resezione de novo sia largamente accettata, il significato di una terapia postoperatoria in pazienti già sottoposti ad una terapia prima della resezione ancora non è chiaro. Sembra per adesso che una terapia adiuvante posso apportare beneficio in pazienti che necessitano anche di resezioni venose96.

1.6.3. Trattamento del tumore localmente avanzato

La diagnosi di tumore pancreatico localmente avanzato (LAPC) richiede la conferma, attraverso lo studio tramite la diagnostica per immagini, dell’impossibilità di ottenere una resezione chirurgica completa e dell’assenza di metastasi. Gli obiettivi della terapia da apportare in questo stadio sono il miglioramento in termini di sopravvivenza, adeguato

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controllo della sintomatologia con un’accettabile qualità della vita e un rallentamento nella progressione della malattia posticipando la comparsa di metastasi.

Il trattamento di questi pazienti è controverso perché molti studi condotti non sono specifici unicamente per pazienti con LAPC ma valutano insieme anche i pazienti con tumore metastatico. La chemioterapia è il principale trattamento per questi pazienti che devono però avere un adeguato PS. La raccomandazione delle linee guida è infatti quello di eseguire come approccio iniziale la chemioterapia nei pazienti candidati a riceverla8,97, anche se non ci sono

trials specifici che stabiliscano precisi schemi terapeutici98. Si deve comunque considerare che i risultati del trattamento del tumore localmente avanzato sono limitati fortemente da un controllo sistemico inadeguato e da bassi tassi di responsività e che molti tumori non rispondono alla GEM, uno dei farmaci standard 99.

In pazienti con tumore localmente avanzato deve essere fatta una valutazione iniziale che comprenda stato nutrizionale, PS, sintomi, comorbilità attive e potenziali influenze di queste sul trattamento, condizione del tratto biliare. In base a questo i pazienti vengono classificati in:

- adatti alla chemioterapia senza limitazioni: PS (ECOG) di 0-1, età ≤ 75 anni, funzione epatica normale, stato nutrizionale buono;

- adatti alla chemioterapia con limitazioni: PS (ECOG) di 2, età ≥ 75 anni, alterata funzione epatica, comorbilità limitate che non influiscono sulla chemioterapia, malnutrizione;

- non adatti alla chemioterapia: PS (ECOG) ≥ 3, comorbilità severe97.

Come dimostrato infatti in vari studi, la differenza del PS influisce sulla scelta del trattamento. Quelli con un buon PS possono trarre beneficio da una terapia di combinazione, mentre quelli con ECOG di 2 possono ricevere solo GEM100.

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In pazienti adatti alla chemioterapia è quindi raccomandato un trattamento polichemioterapico. Storicamente era stata confrontata la sopravvivenza in pazienti sottoposti ad una terapia a base di GEM e a base di 5-FU. Era stato visto un vantaggio nel trattamento con la GEM e questi dati resero questo farmaco quello di prima scelta per molto tempo101. GEM è infatti lo standard in pazienti con LAPC, dal momento che può indurre una parziale risposta e riduzione dei sintomi. Sono stati individuati anche dei marker per predire l’efficacia della GEM e 5-FU, ma non sono comunque sufficientemente attendibili per incidere sulla decisione della terapia8.

Varie meta-analisi sono state condotte su studi in cui si valutano le possibili combinazioni di GEM. I risultati di una di queste sottolineavano il fatto che circa un quarto dei pazienti che riceveva una combinazione, qualsiasi essa fosse, traeva un significativo beneficio rispetto alla monoterapia100. Un’altra valutava la variazione dei tassi di

sopravvivenza in pazienti sottoposti alla combinazione di GEM e un farmaco appartenente ad altre categoria stabilite in base ai diversi meccanismi d’azione e tutti gli studi mostravano un miglioramento in termini di sopravvivenza, soprattutto GEM e 5-FU o capecitabina2.

Il regime indicato nei pazienti adatti alla chemioterapia è quindi polichemioterapico, in particolar modo con FOLFIRINOX o con combinazione di GEM e nab-paclitaxel. Questi schemi sono stati infatti valutati negli studi PRODIGE-4/ACCORD-11 e MPACT rispettivamente e hanno mostrato un significativo miglioramento della sopravvivenza rispetto alla sola GEM nel trattamento della malattia metastatica e gli studi per valutare la loro efficacia anche nel tumore localmente avanzato hanno dato risultati simili a quelli ottenuti nella malattia metastatica. La tossicità però connessa ad entrambi gli schemi è superiore a quella riscontrata nel trattamento con sola GEM98,102.

Nei pazienti adatti alla chemioterapia ma con limitazioni è raccomandata la somministrazione di GEM in monoterapia o combinata con nab-paclitaxel. La combinazione

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di GEM e Erlotinib non ha mostrato benefici nel sottogruppo dei pazienti con LAPC rispetto al trattamento con sola GEM in uno studio di fase III che includeva sia pazienti con LAPC che con malattia metastatica. Se c’è una controindicazione per la GEM è consigliato il trattamento con fluoropirimidine.

La durata del trattamento non è stata stabilita e dipende dalla tollerabilità e dalla risposta alla terapia che vengono valutate ogni tre mesi con la TC. È quindi raccomandato continuare il trattamento finché la malattia progredisce in assenza di tossicità e con una buona tollerabilità97.

Nei pazienti con LAPC è stato intensamente studiato anche il ruolo della chemioradioterapia. Ci sono ampli database sui benefici di questo approccio103. Come per il tumore resecabile, però, l’utilizzo della RT come componente del trattamento del tumore LAPC è controverso a causa dei risultati contrastanti dei vari studi104.

La chemioterapia usata come radiosensibilizzante aumenta la tossicità della RT sulle cellule tumorali e rende quindi la chemioradioterapia una delle opzioni valide nel trattamento del tumore localmente avanzato105. Ma la combinazione di 5-FU e radioterapia o GEM o capecitabina rispetto alla RT da sola ha dato risultati contrastanti106. Due meta analisi hanno comparato chemioradioterapia e chemioterapia da sola e non è stato riscontrato un beneficio nel trattamento combinato ma è stato visto un aumento delle tossicità107.

Il trial ECOG E4201 comparava la chemioradioterapia con la chemioterapia in pazienti con tumore LAPC e la sopravvivenza media era maggiore nei pazienti trattati con chemioradioterapia. Il numero dei pazienti nello studio era però troppo esiguo per permettere di tracciare conclusioni definitive103.

Lo studio LAP07 analizza il ruolo della RT e Erlotinib nel trattamento di LAPC. Un totale di 442 pazienti è stato diviso in un gruppo che veniva sottoposto ad una chemioterapia

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di induzione con GEM e uno con GEM ed Erlotinib. Entrambi i bracci venivano poi suddivisi a loro volta in due sottogruppi, uno che proseguiva con lo stesso schema di chemioterapia e uno che veniva sottoposto a chemioradioterapia con capecitabina. Alla fine dello studio non sono state riscontrate sostanziali differenze in termini di sopravvivenza fra i due gruppi. La chemioradioterapia era associata con una diminuzione del tasso di progressione locale (32 vs 46%) ed una sopravvivenza libera da progressione più lunga (9.9 mesi vs 8.4)108.

L’uso di chemioradioterapia non è raccomandato come trattamento inziale. Il suo utilizzo dovrebbe essere riservato a casi selezionati di pazienti con una progressione locale ma senza metastasi dopo aver ricevuto chemioterapia97. Il trattamento con chemioterapia permette infatti di individuare chi potrebbe trarre beneficio dalla chemioradioterapia dato che vengono esclusi quelli che sviluppano metastasi. In alcuni pazienti è stato quindi visto che la chemioterapia eseguita prima della chemioradioterapia aumenta il tasso di sopravvivenza109.

Uno studio retrospettivo ha infatti mostrato una sopravvivenza maggiore nei pazienti sottoposti prima ad una chemioterapia di induzione e poi chemioradioterapia rispetto al braccio con la sola chemioterapia110. Un altro studio di fase II ha comparato la chemioradioterapia con GEM e la chemioradioterapia con capecitabina come consolidamento del trattamento dopo tre cicli di induzione chemioterapica a base di GEM e capecitabina. Il braccio con chemioradioterapia con capecitabina ha ottenuto una sopravvivenza migliore106.

1.6.4. Trattamento del tumore metastatico

I pazienti con tumore metastatico hanno spesso una sintomatologia considerevole ed è quindi importante, e critica, la scelta di una terapia di supporto integrata per cercare di aiutare i pazienti a stare bene il più a lungo possibile. La chemioterapia rimane il trattamento di scelta principale.

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Storicamente, si era visto che una chemioterapia a base di 5-FU, comparata alla sola terapia di supporto, migliorava la sopravvivenza di circa 3 mesi. Nel 1996 uno studio ha confrontato un trattamento a base di GEM e uno con 5-FU dimostrando la superiorità del primo rispetto al secondo in termini di prolungamento della sopravvivenza, rendendo così per i successivi 10 anni questa la terapia standard di prima linea101. Negli anni successivi sono

stati fatti diversi studi per confrontare la monoterapia a base di GEM con terapie di combinazione ma senza mostrare sostanziali miglioramenti. L’unica eccezione era l’aggiunta di Erlotinib che portava ad un lieve miglioramento della sopravvivenza media. Ma a causa dei benefici limitati e delle tossicità aumentate, l’adozione di questo regime non ha preso campo111.

Dai primi studi sono stati fatti progressi sostanziali. In particolar modo i risultati positivi di due grandi trials di fase III hanno stabilito le terapie di combinazione per i pazienti con diagnosi di tumore pancreatico metastatico: FOLFIRINOX e GEM più nab-Paclitaxel112.

Il regime FOLFIRINOX è stato originariamente sviluppato da studiosi francesi pensando alle attività antitumorali delle singole componenti da sole e in combinazione, cercando di evitare un sovrapporsi delle tossicità. I risultati promettenti dei primi studi sull’utilizzo di questo trattamento, hanno portato ad iniziare lo studio di fase III

PRODIGE-4/ACCORD-1198. Un totale di 342 pazienti è stato suddiviso fra quelli che ricevevano come prima linea di trattamento GEM da sola (1000 mg/m2 7 volte alla settimana per 8 settimane seguita da una terapia settimanale per 3-4 settimane) e quelli che ricevevano FOLFIRINOX (oxaliplatino 85 mg/m2, irinotecano 180 mg/m2, bolo di leucovorin 400 mg/m2 e fluorouracile 400 mg/m2 seguito da 2400 mg/m2 in infusione per 46 ore ogni 2 settimane). Criteri di

inclusione dei pazienti erano PS (ECOG) di 0-1, età ≤ 75. Questo trial ha mostrato la superiorità di FOLFIRINOX su GEM con un significativo miglioramento nella sopravvivenza media (11.1 mesi versus 6.8, P<0.001) e nella sopravvivenza libera da progressione (6.4

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versus 3.3 mesi, P<0.001) (Fig. 8). È stato inserito nello studio anche uno strumento per valutare la qualità della vita e si è visto che FOLFIRINOX, nonostante gli effetti avversi e le tossicità, riduce l’impoverimento della qualità della vita e posticipa il deterioramento definitivo113. A causa delle elevate tossicità associate alla dose originale, è stata introdotta una nuova versione di FOLFIRINOX con omissione del bolo di 5-FU e riduzione del 25% della dose di partenza di irinotecano. Queste modifiche sembrano offrire la stessa efficacia della terapia tradizionale ma con un miglioramento della tollerabilità114. Comunque, dal momento

che irinotecano viene metabolizzato dal fegato, si dovrebbe iniziare con FOLFOX in pazienti che hanno ittero ostruttivo ed elevati livelli sierici di bilirubina. Infine sarebbe opportuna una terapia profilattica per la neutropenia dato che il 42.5% dei pazienti trattati con FOLFIRINOX richiede poi un supporto con fattori di crescita98.

L’importanza delle tossicità connesse a questo schema terapeutico hanno condotto a studi su alternative combinazioni di questi farmaci. Il regime modificato Gruppo Oncologico Nord Ovest (GONO) FOLFOXIRI è un trattamento efficace nel tumore metastatico colo-rettale che è stato valutato in uno studio anche nei pazienti con tumore pancreatico avanzato. E’ uno schema a base di irinotecano 165 mg/m2 in 90 minuti, seguito da oxaliplatino 85

mg/m2 e leucovorin 200 mg/m2 concomitante per 2 ore al giorno 1, seguito da 5-FU 3200

mg/m2 in infusione continua di 48 ore iniziata al giorno 1. Il trattamento viene somministrato ogni due settimane fino alla progressione della malattia, all’insorgenza di tossicità inaccettabili o fino al rifiuto del paziente. I risultati dello studio mostrano che il regime GONO FOLFOXIRI sembra essere equivalente a FOLFIRINOX in termini di attività ed efficacia ma si associa ad un profilo di tollerabilità più favorevole, in particolar modo per quanto riguarda la diarrea. Si è riscontrata infatti una lieve riduzione del tasso di incidenza di tossicità ematologiche rispetto a quello riscontrate nello studio PRODIGE-4/ACCORD-11, mentre più importante è la riduzione dei tassi inerenti la diarrea. Nel trattamento con GONO FOLFOXIRI è stata infatti registrata una diarrea G3 nell’8% e G4 nello 0% dei pazienti,

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mentre nel trattamento con FOLFIRINOX nel 12.7% e nell’1.8% rispettivamente. Il regime FOLFOXIRI risulta essere quindi utilizzabile anche nel tumore pancreatico avanzato come valida alternativa del FOLFIRINOX3.

Altra opzione valida nel trattamento del tumore metastatico consiste nella combinazione di GEM e nab-Paclitaxel. Lo studio di fase III MPACT (metatstatic pacnreatic

adenocarcinoma clinical trial) valuta proprio questo trattamento. È stato condotto fra 11 paesi

con un totale di 861 pazienti con tumore metastatico e score Karnofsky PS fra 70-100. Sono stati suddivisi fra quelli che ricevevano GEM da sola o GEM/nab-Paclitaxel. La durata media del trattamento era 3,9 mesi per i pazienti assegnati al braccio di combinazione e 2.8 per quelli che ricevevano solo GEM. Questa combinazione ha mostrato un significativo miglioramento della sopravvivenza media rispetto alla sola GEM (8.5 versus 6.7 mesi, P<0.001) (Fig. 9). Altri fattori di outcome come sopravvivenza libera da progressione, diminuzione dei livelli di CA 19-9, tasso di risposta mostrano sempre un beneficio nel braccio di combinazione. L’aggiunta di nab-Paclitaxel è però connessa a maggiori gradi di neutropenia, affaticamento e neuropatia periferica102. È stato infine visto che alti livelli della proteina SPRAC sono connessi con una maggiore responsività e sopravvivenza dal momento che influenzano il metabolismo di nab-Paclitaxel.

Dal momento che GEM/nab-Paclitaxel e FOLFIRINOX non sono mai sati messi direttamente a confronto in uno studio, questi due regimi possono essere sostanzialmente considerati equivalenti opzioni di trattamento di prima linea. Al momento non ci sono biomarker predittivi che permettano di scegliere quale delle due terapie sia migliore. La scelta quindi si dovrà basare su parametri clinici, aspetti logistici ed economici.

È importante inoltre dire che una significativa porzione di pazienti non è candidata né per FOLFIRINOX né per GEM/nab-Paclitaxel. I motivi più comuni sono PS subottimale, funzione epatica compromessa, età avanzata, disfunzione cardiaca112. Per questa categoria di

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pazienti, la terapia più appropriata è quella a base della sola GEM. Questa può essere iniziata allo standard di 3 settimane con una di riposo. Per quei pazienti per cui è preferibile evitare del tutto una terapia ev, si può prendere in considerazione una terapia con la fluoropirimidina orale S-1. Il trial GEST è uno studio a 3 bracci dove i pazienti con tumore localmente avanzato o metastatico sono stati sottoposti a terapia a base di sola GEM, S-1 o a base di una combinazione dei due. S-1 si è mostrata non inferiore alla GEM da sola, rendendo questo farmaco una opzione di monoterapia alternativa nelle aree dove è disponibile115.

Quasi la metà dei pazienti che riceve una terapia di prima linea necessita poi di una terapia addizionale di seconda linea. Nei trials PRODIGE-4/ACCORD-11 e MPACT, ad esempio, rispettivamente il 48 e 40% del campione ha ricevuto un trattamento di seconda linea. Per questi pazienti rimane ancora eleggibile una chemioterapia ma la scelta del trattamento è guidata da un numero relativamente limitato di trials112. Nel trial di fase III

CONKO-003, i pazienti ricevevano un regime chiamato OFF (24 h di infusione di 5-FU a

2000 mg/m2 più acido folinico 200 mg/m2 dato una volta a settimana per 4 settimane con

aggiunta di oxaliplatino a 85 mg/m2 durante le settimane 2 e 4, a cicli di 6 settimane) o 5-FU e acido folinico da solo. I pazienti che hanno ricevuto OFF hanno mostrato un miglioramento in termini di sopravvivenza media e sopravvivenza libera da progressione. I gradi di neurotossicità erano maggiori nel braccio di combinazione ma l’incidenza di effetti avversi era simile nei due gruppi116.

Lo studio PANCREOX condotto su 108 pazienti con un tumore avanzato ha dato risultati in contrasto con quelli del precedente trial. I pazienti di questo studio avevano prima ricevuto una terapia a base di GEM e sono stati poi sottoposti a ricevere mFOLFOX (bolo di 5-FU, leucovorin, oxaliplatino e 5-FU con una infusione continua di 46 ore) o infusione bisettimanale di 5-FU/leucovorin. In termini di sopravvivenza libera da progressione non è stata vista una sostanziale differenza mentre la sopravvivenza media del trattamento con

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