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1.6.3 Trattamento del tumore localmente avanzato

CAPITOLO 3. Studio di correlazione tra SNPs dei geni DPYD e UGT e tossicità dal trattamento con regime FOLFOXIRI in pazienti con

3.1. Razionale ed obiettivi dello studio

3.5.4. Correlazione fra profilo genetico e tossicità

Per quanto riguarda lo studio dei polimorfismi di DPYD, i genotipi c.1679T>G e c.2846A>T non sono stati analizzati dal momento che nella popolazione non sono stati evidenziati alleli mutati.

Non è stata inoltre analizzata la correlazione del genotipo IVS14+1G>A con la tossicità dal momento che nella popolazione dello studio è stato individuato solo un paziente eterozigote. È importante notare, però, che questi ha riportato neutropenia G4, piastrinopenia G4, anemia G2, neutropenia febbrile e stomatite G3 dopo il primo ciclo con una dose iniziale di 5-FU pari a 2800 mg/m2.

Ben 8 pazienti su 104 dello studio sono risultati invece eterozigoti per il genotipo

DPYD c.2194G>A. Analizzando le tossicità sviluppate da questi pazienti e mettendole a

confronto con quelle riscontrate nei pazienti omozigoti wild type, non si sono registrati risultati statisticamente significativi, si è tuttavia evidenziato un trend non significativo (p=0.07) verso una maggiore incidenza di piastrinopenia di ogni grado (G1-G4) negli eterozigoti GA. Si può inoltre osservare un trend non significativo (p=0.11) verso una maggiore incidenza della “sindrome mani-piedi”, anche se il numero basso degli eventi (9) limita l’interpretazione dei risultati (Tab. 10).

Dall’analisi farmacogenetica del genotipo UGT1A1*28, 38 pazienti sono risultati eterozigoti (TA 6/7) e 18 omozigoti recessivi (TA 7/7). E’ stata riscontrata un’associazione significativa (p<0.05) per piastrinopenia di ogni grado (G1-G4) (con rischio aumentato nei genotipi eterozigote e omozigote recessivo) e vomito di ogni grado (G1-4) (con rischio aumentato nel genotipo omozigote) (Tab. 11).

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3.6. Discussione

Il carcinoma del pancreas è fra i dieci tumori più frequenti nella popolazione e rappresenta la quarta causa di morte per neoplasia. Questa neoplasia ha un tasso di sopravvivenza a 5 anni estremamente basso, ossia meno del 6%. Si stima inoltre che entro il 2030 il carcinoma pancreatico possa diventare la seconda causa di morte per neoplasia, superando il tumore del colon retto, della mammella e della prostata. Si prevede, infatti, che i tassi di mortalità di questa patologia possano aumentare drammaticamente nei prossimi anni. E’ quindi un tumore complesso da trattare che richiede un approccio multidisciplinare ma, nonostante i progressi, le ricerche e i numerosi studi effettuati a riguardo, i tassi di sopravvivenza di questa patologia rimangono comunque bassi.

La chirurgia è infatti l’unica opzione curativa ma solo un quinto dei pazienti alla diagnosi è eleggibile per questa procedura1. Il tumore pancreatico è di norma asintomatico allo stadio inziale, segni e sintomi tipici come astenia, anoressia, ittero, dolore addominale iniziano a comparire spesso solo quando il tumore è ad uno stadio avanzato o metastatico10. Proprio a causa di questa latenza di sintomi, alla diagnosi solo il 20% dei pazienti presenta una malattia localizzata che può essere sottoposta a chirurgia, e, anche dopo l’intervento con margini R0, la sopravvivenza a 5 anni è comunque solo del 10-25%53 Il 25-35% dei pazienti alla diagnosi ha invece un tumore localmente avanzato con una sopravvivenza media che raramente supera i 24 mesi anche nelle casistiche più recenti e il 45-55% ha un tumore avanzato inoperabile o metastatico con una prognosi inferiore ai 12 mesi2.

Dopo un accurato studio delle caratteristiche anatomiche del tumore e dei suoi rapporti con il sistema vascolare arterioso e venoso, il tumore viene classificato in resecabile,

borderline-resectable, localmente avanzato e metastatico47. Il paziente con tumore resecabile viene sottoposto ad una resezione chirurgica seguita poi da una chemioterapia adiuvante a base di GEM o 5-FU. Il trattamento del tumore borderline-resectable è ancora in corso di

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definizione, l’approccio generale è quello di una chemioterapia neoadiuvante, (a base di GEM, 5-FU, FOLFIRINOX o altre combinazioni) eventualmente abbinata alla RT, seguita da una resezione chirurgica se il tumore viene ritenuto a quel punto resecabile.

Per quanto riguarda il trattamento del tumore avanzato o metastatico la sola opzione che rimane a disposizione è la chemioterapia, la chirurgia infatti non viene più considerata attuabile se non per scopi palliativi. In questi pazienti viene meno l’intento curativo del trattamento e la terapia ha il solo scopo di migliorare la sopravvivenza media, che, nonostante i notevoli progressi, rimane comunque non maggiore di 12 mesi, e la sopravvivenza libera da progressione cercando di apportare un beneficio anche alla qualità della vita del paziente posticipandone il più possibile il deterioramento definitivo, a cui comunque andrà poi incontro. Bilanciare quindi correttamente efficacia e tossicità dei trattamenti nei singoli pazienti è oggi uno degli obiettivi dell’oncologo in questo ambito.

Uno degli schemi oggi disponibili nel trattamento del tumore pancreatico avanzato e metastatico, in pazienti che possono tollerare una polichemioterapia, è il regime FOLFIRINOX (oxaliplatino 85 mg/m2, irinotecano 180 mg/m2, bolo di leucovorin 400 mg/m2 e fluorouracile 400 mg/m2 seguito da 5-FU 2400 mg/m2 in infusione per 46 ore ogni 2 settimane) i cui benefici in termini di miglioramento di sopravvivenza media e sopravvivenza libera da progressione sono stati valutati nello studio PRODIGE-4/ACCORD-11136. Alternativa valida a questo schema è il regime FOLFOXIRI (irinotecano 165 mg/m2 in 90 minuti, seguito da oxaliplatino 85 mg/m2 e leucovorin 200 mg/m2 concomitante per 2 ore al giorno 1, seguito da 5-FU 3200 mg/m2 in infusione continua di 48 ore iniziata al giorno 1), recenti casistiche pubblicate suggeriscono che tale schedula sia equivalente al FOLFIRINOX in termini di efficacia e attività, ma sia associato ad un miglior profilo di tollerabilità, riducendo soprattutto i tassi di incidenza e severità della diarrea3.

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Sia il regime FOLFOXIRI che FOLFIRINOX sono infatti associati a diversi effetti avversi che talvolta possono essere così importanti e severi da determinare una riduzione o sospensione (temporanea o definitiva) della terapia e da mettere a rischio la vita del paziente. Tossicità più frequentemente date da 5-FU sono leucopenia, piastrinopenia, anemia, diarrea, vomito e la “sindrome mani-piedi”; irinotecano può invece determinare neutropenia (questa rappresenta la tossicità dose-limitante), sindrome colinergica con diarrea acuta, diarrea tardiva che compare da 5 a 11 giorni dopo la somministrazione, nausea e vomito; infine oxaliplatino si associa ad una tipica neuropatia sensitiva periferica.

Tutte queste tossicità possono essere enfatizzate da condizioni di alterato metabolismo di 5-FU e irinotecano. Polimorfismi a singolo nucleotide a livello dei geni che codificano per enzimi fondamentali nei processi catabolici di entrambi i farmaci possono infatti determinare un aumento del tasso di incidenza e del grado di severità delle tossicità. Gli enzimi in questione sono DPD, ossia diidropirimidina deidrogenasi, fondamentale nel catabolismo di 5- FU che avviene principalmente a livello epatico, e UGT1A1, che consente la reazione di glucuronidazione del metabolita attivo di irinotecano, SN-38, determinandone così l’eliminazione attraverso la via biliare119. Polimorfismi quindi a carico di DPYD, gene che

codifica per l’enzima DPD, e a carico del gene UGT, che codifica per l’enzima UGT1A1, determinano un accumulo della sostanza in circolo aumentando quindi le tossicità causate da fluoropirimidine e irinotecano rispettivamente. Il nostro studio analizza quindi i polimorfismi di questi geni.

In realtà, sono pochi i dati attualmente disponibili sull’ associazione fra SNPs dei geni

DPYD e UGT e le tossicità del trattamento con regime FOLFOXIRI in pazienti con carcinoma

del pancreas.

Questo studio ha analizzato quindi l’associazione tra SNPs dei geni DPYD ed UGT e tossicità del trattamento con regime FOLFOXIRI (graduata secondo i criteri CTCAE v.4.0) in

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un campione di 104 pazienti con diagnosi confermata di tumore pancreatico e che sono stati sottoposti a trattamento con FOLFOXIRI. Sono stati valutati i seguenti SNPs: 1) DPYD c.1679T>G; 2) DPYD IVS14+1G>A; 3) DPYD c.2194G>A; 4) DPYD c.2846A>T; 5) UGT1A1*28 tramite analisi farmacogenetiche di sequenziamento automatico effettuate su campioni di sangue intero dei pazienti arruolati nello studio.

Dall’analisi farmacogenetica effettuata sul campione di sangue dei pazienti ottenuto prima del trattamento, tutta la popolazione studiata è risultata omozigote wild type per i genotipi DPYD c.1679T>G (GG) e c.2846A>T (AA). L’analisi di correlazione di questi genotipi con la tossicità non è stata quindi effettuata dal momento che nella popolazione non sono stati evidenziati alleli mutati.

Per quanto riguarda il genotipo DPYD IVS14+1G>A, 103 pazienti sono risultati omozigoti wild type (GG) ed è stato riscontrato solo un caso eterozigote (GA). L’analisi statistica di questo polimorfismo non è stata quindi eseguita a causa della bassa frequenza di tale allele (0.96%), importante però notare che il paziente portatore di questa mutazione ha riportato una neutropenia G4, piastrinopenia G4, anemia G2, neutropenia febbrile e stomatite G3 dopo il primo ciclo con una dose iniziale di 5-FU pari a 2800 mg/m2.

Il 92.3% dei pazienti è risultato omozigote wild type (GG) per il genotipo DPYD c.2194G>A, mentre 8 pazienti, quindi 7.7% del totale dello studio, sono risultati eterozigoti (GA) per questo stesso genotipo. Analizzando le tossicità sviluppate da questi pazienti e mettendole a confronto con quelle riscontrate negli omozigoti, non si sono registrati risultati statisticamente significativi, si è tuttavia evidenziato un trend non significativo (p=0.07) verso una maggiore incidenza di piastrinopenia di ogni grado (G1-G4) negli eterozigoti GA. E’ stato inoltre osservato un trend non significativo (p=0.11) verso una maggiore incidenza della “sindrome mani-piedi”, anche se il numero basso degli eventi (9) limita l’interpretazione dei risultati.

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Per quanto riguarda il genotipo UGT1A1*28, il 47% dei pazienti è risultato essere omozigote wild type (TA 6/6), il 38% era invece eterozigote (TA 6/7) ed il 18% omozigote recessivo (TA 7/7). E’ stata riscontrata un’associazione significativa (p<0.05) per piastrinopenia di ogni grado (G1-G4) (con rischio aumentato nei genotipi eterozigote e omozigote recessivo) e vomito di ogni grado (G1-G4) (con rischio aumentato nel genotipo omozigote recessivo).

I risultati ottenuti in questo studio sono interessanti in quanto sono in linea con i dati ripotarti in altri lavori che hanno analizzato l’associazione fra SNPs dei geni DPYD e UGT e le tossicità del trattamento con regimi contenenti irinotecano e fluoropirimidine in pazienti con altre patologie neoplastiche. Questo aspetto conferma le basi farmacologiche dello studio, mostrando che gli SNPs influenzano il metabolismo del farmaco indipendentemente dallo specifico tumore che si è sviluppato, essendo infatti mutazioni genetiche presenti a prescindere dall’insorgenza del tumore.

Altro aspetto di rilievo di questo studio è la numerosità del campione di pazienti analizzato, soprattutto in relazione alla bassa incidenza nella popolazione generale sia di questi SNPs sia della patologia neoplastica pancreatica. Nonostante questo, però, sarebbe opportuno effettuare altri studi su popolazioni più ampie per poter confermare i risultati ottenuti.

Ulteriore punto di forza dello studio è l’omogeneità del regime di trattamento chemioterapico utilizzato nella nostra casistica.

Per quanto interessante, questo studio ha però alcuni limiti. Un limite è il numero dei pazienti arruolati, che, benché sia di rilievo in relazione all’incidenza dei polimorfismi e del tumore pancreatico, dovrebbe essere comunque più ampio per permettere una definitiva validazione del ruolo predittivo di tossicità degli SNPs analizzati. Si tratta poi di uno studio

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retrospettivo che, rispetto ad uno prospettico, soffre della possibile influenza di fattori di confondimento che determinano una minore affidabilità dei risultati.

Si deve inoltre ricordare che nello schema terapeutico FOLFOXIRI, oltre a irinotecano e 5-FU, è presente anche oxaliplatino (somministrato al dosaggio di 85 mg/m2 al giorno 1). Le tossicità di questo farmaco non sono state correlate agli SNPs (che interessano vie metaboliche non coinvolte nella farmacocinetica-famracodinamica del platino) e non si può discriminare l’influenza di tale agente nel determinare alcune tossicità riportate nella nostra casistica (come ad esempio la tossicità ematologica).

Infine, altro limite è che non è stata valutata l’associazione fra la presenza di questi polimorfismi e l’outcome dei pazienti. Alterazioni del catabolismo del farmaco determinano infatti maggior permanenza di questo in circolo comportando un aumento delle tossicità, ma non è stato studiato se ciò possa influire anche sull’efficacia e attività della terapia, dal momento che queste alterazioni potrebbero comportare anche una maggiore esposizione delle cellule tumorali al farmaco e aumentarne quindi l’effetto citotossico.

Per concludere, il nostro lavoro conferma l’importanza dello studio del polimorfismo del gene DPYD IVS14+1G>A, nonostante infatti la bassa prevalenza di tale allele mutato, la sua associazione con un maggior rischio di tossicità severe appare costante nelle diverse casistiche pubblicate. Per quanto riguarda DPYD c.2194G>A e UGT1A1*28 i nostri dati sottolineano che sarebbe opportuno effettuare ulteriori analisi, utilizzando campioni di popolazione più ampi ed omogenei e cercando di superare i limiti precedentemente esposti così da poter validare in maniere definitiva il ruolo predittivo di tali SNPs. Questo studio rappresenta quindi un’ulteriore conferma dell’importanza di eseguire le indagini farmacogenetiche prima del trattamento così da poter prevedere eventuali tossicità severe e pianificare, quindi, in maniera più adeguata la terapia. In questo modo si potrebbe ottimizzare

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l’indice terapeutico dei farmaci citotossici impiegati, con un impatto significativo sulla qualità di vita di pazienti la cui prognosi comunque rimane, purtroppo, infausta.

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