L’ITALIA E I BALCANI OCCIDENTAL
2.1 CENNI STORICI SUI RAPPORTI TRA ITALIA E BALCANI OCCIDENTALI
Il primo dopoguerra
Al tavolo della conferenza di pace di pace di Parigi del 1919 il Regno dei serbi, croati e sloveni avanzò le proprie richieste territoriali. Una parte di tali richieste però coincideva con quelle del Regno d’Italia, il quale, dopo la firma del Patto di Londra, rivendicava i territori di Trieste, Fiume e l’intera costa dalmata fino alla frontiera col Montenegro. Entrambi i Paesi, nelle loro rivendicazioni territoriali, facevano riferimento sia al principio di nazionalità, considerando quindi tutte le terre abitate dai propri connazionali anche se in minoranza, sia a quello delle frontiere naturali, e in particolar modo l’Italia si rifaceva alla storica presenza della Repubblica di Venezia sulla costa dalmata. Si trattava quindi da un lato di un vero e proprio contenzioso italo-jugoslavo, dall’altro della difficile convivenza nelle regioni di confine tra italiani, sloveni e croati.
La posizione italiana fu difesa al tavolo di pace da Sonnino, il quale sosteneva che qualsiasi trattativa doveva avere come base i presupposti del Patto di Londra, in modo che anche gli alleati si sarebbero dovuti trovare d’accordo. Ma questa posizione si scontrò immediatamente con quella del Presidente americano Wilson, il quale si mostrò subito favorevole alla creazione di uno stato jugoslavo nella regione balcanica, facendo così sfumare i sogni italiani. Venne definito un confine che assegnava alla neonata Jugoslavia gran parte dell’Istria, la Dalmazia e il riconoscimento di Fiume come città autonoma nell’ambito doganale jugoslavo.
Un primo tentativo di rinegoziazione della questione si ebbe sotto il governo di Giolitti nel 1920. L’allora ministro degli Esteri, Carlo Sforza, riuscì ad ottenere la firma del Trattato di Rapallo: l’Italia si rimpossessò così dell’Istria e Zara, rinunciando però alla Dalmazia, e chiedendo l’eventuale riconoscimento di Fiume
75 I contenuti storici del paragrafo sono tratti da:
• Romano P. Coppini, Rolando Nieri, Alessandro Volpi, Storia contemporanea, Pisa, Pacini editore, 2005;
• Mario Luciolli, Mussolini e l’Europa. La politica estera fascista, Firenze, Le Lettere, 2009; • Tito Favaretto, Ettore Greco, Il Confine Riscoperto. Beni degli esuli, minoranze e
cooperazione economica nei rapporti dell’Italia con Slovenia e Croazia, Franco Angeli,
come città “indipendente e italiana” con la gestione del porto attraverso un consorzio italo-jugoslavo.
La posizione italiana dei primi anni Venti fu dunque particolare: Sforza era dell’idea che la diplomazia italiana dovesse far leva su Versailles e soprattutto sulla Società delle Nazioni, mostrandole tutto il sostegno dell’Italia in modo da ottenere eventuali benefici e risultati importanti proprio sulla questione territoriale. Tutto questo mentre i nazionalisti e i fascisti cominciavano a criticare le decisioni prese a Versailles e a parlare di “vittoria mutilata”.
Il periodo fascista
La politica di Sforza, moderata e di sostegno alla Società delle Nazioni, lasciò però spazio al crescente nazionalismo intransigente di Mussolini e dei fascisti della prima ora. Fallito l’incontro italo-jugoslavo di Abbazia nel 1923, Mussolini propose a questo punto una sorta di scambio: l’Italia avrebbe ristabilito la sua autorità su Fiume e si sarebbe “accontentata” di un semplice corridoio fra l’Istria e la città, alla Jugoslavia sarebbe andata la zona di Porto Baross e il Delta, un bacino portuale costruito a fine Ottocento, e avrebbe inoltre goduto di privilegi commerciali particolari nella stessa città di Fiume. Belgrado cercò di includere nell’accordo anche Zara e Lagosta, ma Mussolini mise alle strette i negoziatori jugoslavi e si arrivò alla firma dell’accordo. Un accordo che di fatto fu accolto con positività dal re di Jugoslavia Alessandro I, il quale intendeva così aprire una nuova e positiva fase nei rapporti tra i due Paesi e soprattutto ridurre il peso che la Francia, dopo la creazione della Piccola Intesa76, aveva sul territorio balcanico. Conseguenza diretta di questo accordo fu la firma del Patto di Roma il 27 gennaio 1924.77
L’avviata intesa italo-jugoslava fu però subito messa in difficoltà dal particolare e ambiguo atteggiamento di Mussolini nei confronti del nazionalismo croato. L’idea jugoslava che emerse nelle trattative per il Patto di Roma era quella di una mutua assistenza, politica e diplomatica, tra i due Regni nel caso in cui una delle
76 La creazione della Piccola Intesa è diretta conseguenza della “politica della sicurezza” avviata negli
anni Venti dalla Francia, con l’intenzione di isolare la Germania e concludere alleanze con nuovi alleati. Fu istituita nel 1920 con l’accordo tra Francia, Cecoslovacchia, Romania e Jugoslavia.
77Fonte:
http://www.coordinamentoadriatico.it/index.php?option=com_content&task=view&id=265&Itemid=4 2.
due parti si fosse trovata minacciata da movimenti sovversivi e violenti; da parte jugoslava vi era quindi la speranza che l’Italia avesse fornito il suo sostegno contro eventuali movimenti estremisti croati. Ma i negoziatori fascisti, affermando di non volersi ritrovare immischiati nelle questioni interne della Jugoslavia, si impegnarono solo per una reciproca assistenza nel caso di attacchi e minacce provenienti dall’esterno.
La politica fascista verso la Jugoslavia, dopo questi episodi, comincia dunque all’insegna dell’ambiguità, e così proseguirà anche per gli anni successivi. Un graduale miglioramento si ebbe solo nel corso degli anni Trenta col ministro degli Esteri Galeazzo Ciano, il quale cercò di attuare una politica molto simile a quella tenuta da Sforza e basata su collaborazione e conciliazione. Ma l’ambiguo atteggiamento italiano terminò definitivamente quando i tedeschi bombardarono Belgrado nell’aprile del 1941; in quell’occasione il governo italiano approfittò della situazione e richiamò le sue rivendicazioni nazionaliste, spartendo con la Germania il territorio jugoslavo. L’Italia ottenne una parte della Slovenia, una parte del Montenegro e una sorta di influenza su Dalmazia e Croazia, anche se quest’ultima rimase molto più legata alla Germania, considerata una potenza molto più stabile e sicura, soprattutto economicamente, rispetto ai vicini italiani.
“Insieme al Duce prepariamo il decreto per l’annessione di Lubiana: una provincia italiana con larghe autonomie amministrative, culturali e fiscali. Il nostro trattamento liberale, confrontato a quello inumano dei tedeschi, dovrebbe attirarci la simpatia dei croati.”78
In questa situazione l’Italia era quindi preoccupata dell’eventuale posizione di minoranza che avrebbe avuto nei confronti della Germania nel caso in cui i tedeschi fossero usciti vincitori dalla guerra. Tale situazione però di fatto non durò a lungo. Dopo l’8 settembre 1943 i tedeschi estesero la propria autorità su tutte le zone italiane in Jugoslavia, ripristinando l’unità amministrativa vigente all’epoca dell’impero austro-ungarico e comprendente le zone di Trieste, Istria, Gradisca e
78 Gaelazzo Ciano, Diario 1937-1943, Milano, Rizzoli, 1946, undicesima edizione, 2010, 26 aprile
Gorizia. Infine, circa due anni dopo, Tito ricostituì lo stato jugoslavo definendone i confini occidentali sulla base delle rivendicazioni presentate dal Regno dei serbi, croati e sloveni al tavolo di pace di Versailles del 1919.
Il secondo dopoguerra
Il trattato di pace del 1947, oltre a ratificare le occupazioni jugoslave, come ad esempio l’Istria e parte della provincia di Gorizia, previde la costituzione del Territorio Libero di Trieste (TLT). Fu stabilito che l’integrità e la sicurezza del Territorio fossero garantite dal Consiglio di Sicurezza ONU, che il suo governatore fosse nominato dal Consiglio dopo un accordo tra Italia e Jugoslavia, e che le sue lingue ufficiali fossero l’italiano e lo sloveno. Il TLT si componeva quindi di due zone, A e B, la prima occupata dagli Alleati e la seconda dagli jugoslavi. Nei mesi successivi però l’ONU non si riuscì ad accordare sulla nomina del governatore e di conseguenza la zona dove sarebbe dovuto sorgere il TLT rimase di fatto divisa in due zone d’occupazione.
Tra il 1945 e il 1947 si assistette inoltre ad un vero e proprio esodo degli italiani d’Istria a causa del dramma delle Foibe, che verrà purtroppo scoperto e portato alla luce solamente molti decenni dopo. Nel marzo del 1948, pochi mesi prima delle elezioni italiane, gli Alleati decisero di archiviare la creazione del Territorio Libero
di Trieste e di assecondare le rivendicazioni italiane. Fu proposto all’allora Presidente del Consiglio De Gasperi di scegliere tra due opzioni: la restituzione della zona B (che di fatto consisteva nell’ottenere subito Trieste) o una solenne dichiarazione sulla necessità di restituire all’Italia l’intero territorio istriano. Di fronte a queste due opzioni, De Gasperi non se la sentì di scegliere la prima, egli era fiducioso che gli Alleati sarebbero successivamente riusciti a convincere gli jugoslavi sulla restituzione del territorio, e inoltre non voleva essere ricordato come il Presidente che aveva di fatto accettato e ratificato la vittoria mutilata del 1918.
Le cose non andarono però come De Gasperi si immaginò. Fu così che nel 1954 il Presidente del Consiglio Mario Scelba decise di accettare la prima opzione che gli Alleati avevano offerto nel 1948. Italia e Jugoslavia si incontrarono a Londra dove, tramite la mediazione alleata, venne firmato, il 5 ottobre 1954, il “Memorandum d’Intesa”. Poco dopo la firma del documento le truppe italiane rientrarono a Trieste.
Il Memorandum del 1954 non chiuse immediatamente il contenzioso territoriale, per il quale si rece necessario un ulteriore incontro tra le parti, che si riuscì però a raggiungere molti anni dopo con la firma degli Accordi di Osimo del 1975. Oltre a ratificare l’intesa del 1954, l’accordo apparve come il tardivo riconoscimento degli equilibri politico-territoriali conseguenti alla fine della seconda guerra mondiale. Il Trattato di Osimo rappresenta dunque per l’Italia un passaggio importante, con il quale Roma accantonò definitivamente le proprie storiche richieste anche perché la situazione internazionale, dopo l’Atto Finale di Helsinki, scoraggiava qualsiasi tipo di rivendicazione territoriale.79 Tale decisione rappresentava dunque per l’Italia la miglior scelta possibile.80
Il Trattato di Osimo guardava anche al rispetto degli interessi locali e aprì eventuali prospettive future per la cooperazione economica e commerciale della Venezia Giulia con le zone jugoslave di confine e per la tutela dell’identità nazionale
79 L’Atto di Helsinki è il documento di chiusura della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione
europea, svoltasi tra il luglio 1973 e il luglio 1975. Gli incontri si sono svolti tra Ginevra e Helsinki con la partecipazione, oltre che degli Stati europei e delle due Germanie, anche di URSS, Stati Uniti e Canada. Tra i principali contenuti si sottolineano: il riconoscimento e l’inviolabilità delle frontiere al 1945, una cooperazione economica condivisa da entrambi i blocchi, il rispetto e la tutela dei diritti umani. L’Atto di Helsinki è la base per la successiva creazione dell’OSCE.
80 Tito Favaretto, Ettore Greco, Il Confine Riscoperto. Beni degli esuli, minoranze e cooperazione
degli italiani dell’Istria e di Fiume, anche se nel corso di questi anni il loro numero era diminuito sempre di più.
2.2 ASPETTI GIURIDICI DELLE RELAZIONI TRA ITALIA E BALCANI