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4. Altre direzioni: Ruiz Aguilera prologa Campoamor

2.2. Cercando la Rima

In questo paragrafo vorrei soffermarmi su una serie di autori che intorno al 1870 pubblicano dei volumi in cui sembra perduta la lucidità del decennio precedente nella ricerca di nuove forme di espressione che avevano caratterizzato i lavori sia dei poeti “popolari” che di quelli “sentimentali” o ancora degli appartenenti al gruppo Sivigliano. Nonostante si possa ravvisare un indiscusso interesse per la novità delle Rimas di Bécquer, questi poeti non riescono a concentrarsi sul perfezionamento di quella tipologia poetica e si cimentano in una varietà spasmodica di generi diversi, spesso con risultati scadenti, non sempre taciuti da chi ne scrive la prefazione. Data la caratteristica miscellanea di questi volumi278, anche i prologhi sono vari, spesso generalizzano, talvolta criticano ma raramente apportano opinioni rilevanti intorno alla poetica. In definitiva, le prefazioni dei testi contemporanei all’edizione delle Rimas sono lontanissimi dall’interpretazione critica di Correa e, soprattutto, non individuano una linea evolutiva, pur presente, nei testi che introducono.

In particolare, mi occuperò del doppio prologo che introduce Olas del mar di Ernesto García Ladevese279; della prefazione di Biepma de Alarcón a Hojas Secas di Benito Mas y Prat280 e, infine, della “Carta-prólogo” che José Amador de los Ríos antepone al volume di Antonio Alcalde y Valladares, Flores del Guadalquivir281 Ernesto García Ladevese282 pubblicò quattro volumi di poesie tra il 1867 e il 1870, quando lasciò la poesia per dedicarsi alla carriera politica. Cossío, nei

278

La varietà è una delle caratteristiche già riscontrata anche in precedenza nelle raccolte di poesia. E’ raro, infatti, trovare un volume con uniformità tematica, come si era riscontrato nel caso delle prime pubblicazioni di Selgas o nelle raccolte di cantares di Trueba e Ferrán, in cui l’unità veniva data proprio dal genere prescelto.

279

GARCÍA LADEVESE, E., Olas del mar, Madrid, Imprenta de T. Nuñez Amor, 1870 280 MAS Y PRAT, B., Hojas secas, Sevilla, Imprenta de Gironés y Orduña, 1872.

281 ALCALDE Y VALLADARES, A., Flores del Guadalquivir. Poesías y leyendas, Madrid, Adolfo Rodríguez, 1872.

282

Ernesto García Ladevese (1850-1914). Scrisse poesia solo in gioventù, poiché in seguito si dedicò all’attività politica, come fervente repubblicano. Pubblicò le seguenti raccolte di poesie: Baladas y cantares (1867), Fuego y cenizas (1868), Meditaciones (1869), Olas del mar (1870).

paragrafi che gli dedica, commenta che “los pocos críticos que de él se ocuparon le incluyen en la órbita de los imitadores de Bécquer”283, ma non cita le sue fonti. Neanche i prologhi che precedono Olas del mar sono chiari nel precisare la poetica dell’autore, però richiama l’attenzione proprio la manifesta esigenza di García Ladevese di aggiungere un testo autografo a quello allografo commissionato a Manuel Ibo Alfaro284. Il poeta stesso poteva rendersi conto che le tre pagine scarse redatte dallo studioso non apportavano alcuna informazione al lettore285; inoltre, voleva rispondere ad alcune critiche che gli erano state mosse in seguito alla pubblicazione del suo volume precedente, Meditaciones. Il prologo di García Ladevese è stato dunque scritto con questa duplice funzione, precisare alcuni dati sorvolati dal primo testo inerenti alle poesie appena pubblicate e fungere da prologo ulteriore per quelle già date alle stampe. L’incipit del testo riporta un topos collaudato; colpisce, tuttavia, il fatto che durante vent’anni continui ad essere attuale deprecare la carenza poetica del periodo e fa sorridere l’accusa alla politica, che sarà poi la strada seguita dal poeta stesso:

Hoy la aparición de un libro de esta índole es una cosa estraña: la política absorbe la imaginación de todos; los corazones se han cerrado a la poesía; la indiferencia los cubre; si algún sentimiento les conmueve, es la ambición o el desdén.

Segue la spiegazione del motivo del libro, pubblicato in seguito alle molteplici richieste e insistenze degli amici, ma anche come tributo alla sua terra natale,

283

COSSÍO, Op.cit., p. 987

284 Manuel Ibo Alfaro (Cervera del río Alhama, Logroño, 1828-Logroño, 1885). Storico e romanziere. Tra i suoi romanzi, Malditas sean las mujeres (1850), La mora encantada (1859), El tulipán florido (1860).

285

Ibo Alfaro si limita a commentare che ha letto “con sumo placer” il volume; che non si propone “dirigir una loa a su autor”, ma che ha seguito la sua carriera e vede con piacere che “su genio va creciéndose, y que si en las composiciones que forman este libro existen algúnas con pequeños lunares, aparecen otras con bellezas de primer órden”. D’altra parte, l’autore dichiara che “no me atrevo a entrar en un examen detenido de las poesías que han motivado estas líneas por no hacerme demasiado molesto al lector; pero no puede callar mi entusiasmo la grata sensacion que al leerlas he sentido.”

Castro Urdiales286. Fornisce, poi, alcuni dati per interpretare la sua poesia, benché si tratti di accenni. Egli commenta che “el autor […] abandona la época de los sentimientos soñados, y entra en la época de los sentimientos sentidos.” Infatti la sua è

Poesía que se encuentra en el seno de la realidad; poesía que tiene por base el corazón humano; poesía que se ve y se siente: eso es lo que hallaréis en este libro. Por seco que tenga el corazón quien lea estos versos, no encontrará sus pensamientos exagerados, ni sus imágenes inconcebibles: podrán estas páginas no brillar por su belleza; pero de seguro brillarán por su verdad.

Il richiamo alla verità come elemento portante delle poesie che sono nate “en el seno de la realidad” e la precisazione del tono semplice, contrario all’esagerazione e all’immagine incredibile, ma anche l’accenno al fatto che si tratta di una poesia che “se ve y se siente”, portano García Ladevese vicino ai concetti espressi da Correa. D’altra parte, si percepisce la presenza sempre più importante della “corrente” realista, difesa e portata avanti con imponente base teorica da Campoamor.

Un altro poeta considerato Bécqueriano è Benito Mas y Prat287 che pubblicò nel 1875 un volume, Nocturnos, chiaramente influito dalle Rimas. Hojas secas, pubblicato nel 1872 ma contenente diversi testi scritti negli anni precedenti, è un esempio illustrativo della ricerca spasmodica di uno stile o di un genere che, in questo caso, portarono all’assunzione del modello di Bécquer.

Il prologo di Biepma de Alarcón è molto esteso grazie anche al fatto che l’autore cita innumerevoli frammenti delle poesie del volume, senza, in realtà, commentarli criticamente, ma solo per metterli in mostra come si trattasse di una vetrina. Probabilmente si tratta di uno stratagemma che il prologhista escogita per

286 “La publicación de este libro era una deuda que su autor había contraído con su país natal.” 287

Benito Mas y Prat (Écija, 1846-1892). Scrisse alcuni romanzi, come La redoma de homúnculus (1880) e La dama blanca (1885), ma fu in primo luogo poeta. Pubblicò le raccolte Hojas secas (1872), Nocturnos (1875), in cui si avverte l’influenza di Bécquer, Idea de Dios (1879).

cercare di illustrare in qualche modo la materia varia che si trova a commentare; d’altra parte, si ha l’impressione che l’autore della prefazione non prenda molto seriamente il suo impegno, come denota un tono perennemente entusiasta e positivo e l’impiego di alcune formule canoniche, come per esempio l’immancabile metafora dei fiori:

A no estar seguro de robar a mis lectores sus impresiones más gratas, extractaría algúnas de sus muchas bellezas; pero no quieto espigar el campo, creería una profanación cortar las flores para presentarlas en mi vaso, pudiendo mostrarlas lozanas y olorosas en el tallo que las vio nacer.

Il fatto che il suo proposito sia assolutamente tradito dà la misura della formularità del concetto.

Il contenuto del libro, come ho anticipato, presenta una mescolanza acritica di generi e toni, tra cui spiccano romances, baladas, cantares, orientales, anacreontiche, Odi e una favola mitologica, oltre ad un breve poema intitolato “El mundo de los espíritus”che prende di mira la “secta espiritista” e una leyenda sulla falsariga di Lamartine. Il prologhista non riesce a presentare un quadro ordinato del contenuto, si limita a notarne la varietà, con alcune considerazioni generali che, talvolta, colgono gli elementi più significativi del volume:

Dos cosas le distinguen de esa pléyade de rimadores adocenados; la variedad de entonación en los distintos géneros, y el tinte melancólico que los envuelve. Sus concepciones no son un día de sol en la región abrasada de los trópicos, sino una tarde apacible en la templada zona del mediodía; no deslumbran por soberbios conceptos, sino por imágenes delicadas.

Mas y Prat, nato a Écija, trascorse la maggior parte della sua vita a Siviglia. La sua patria è evidentemente responsabile di alcune sue scelte stilistiche, soprattutto della prolissità delle sue composizioni288, ma è indubbio che i toni che predilige

288 Nel generale entusiasmo, proprio la prolissità delle poesie è l’unico difetto che Biepma de Alarcón vuole segnalare: “[…]si algún defecto puede notarse en algúna de las bellas poesías

sono quelli smorzati e vaghi che lo portarono poi sulla strada tracciata da Bécquer. Non è un caso che tra le poesie più riuscite ci siano quelle che intitola Cantares, in cui la tradizionale brevità del genere lo costringe entro poche strofe289. Si trovano nel volume anche alcune poesie che sperimentano la metrica introdotta da Sanz e fatta propria da Bécquer e nelle quali l’atmosfera e il tono tendono allo sviluppo successivo; non è un caso che si tratti di componimenti che si accolgono sotto la dicitura “Nocturnos”, che sarà poi il titolo della raccolta successiva.

Nulla di tutto questo traspare dal prologo; solo un commento estemporaneo, tra un frammento e un altro, in cui si afferma che “distingue principalmente a esta poesía la espontaneidad que revela; el corazón del poeta se siente palpitar en sus estrofas”, poiché “la inspiración lo ha hecho todo, el arte apenas ha concertado los trazos.” Oppure la seguente considerazione sulla semplicità dello stile a proposito della leyenda:

líricas […] es sin duda la ampliación, defecto común en los vates de nuestra patria, debido más a exuberancia de ideas que a falta de gusto poético.”

289 Cantares

Lloro cuando no me ves, y cuando me ves sonrío; ya que sufro yo por ti, que no sufras tú conmigo. [...]

La golondrina que vuelve halla a la vuelta su casa; yo también hallé mi nido, pero no encuentro mi alma. Cantares

Mientras que pude llorar me consolaron mis lágrimas, hoy ya no tengo consuelo porque hasta el llanto me falta. [...]

Niña, el que asesina a otro tiene en la cárcel el premio; tú me matas y me prendes ¡explícame cómo es eso!

la facilidad, la sencillez y la pureza de dicción campean en esta leyenda; bien es verdad que el Sr. Mas y Prat no usa jamás transposiciones culteranas, ni abusa de las licencias del lenguaje trópico, vicio común en las letras españolas desde que el capricho de Góngora y el romántico francés Hugo inocularon sus nocivas excentricidades. No dejaré de conceder que así como lo sublime está cerca de lo ridículo, lo sencillo suele perderse en lo grosero; mas el genio que sabe evitar los escollos, brillará mejor con el atavío de la naturalidad que con el oropel romántico o el anfibológico culteranismo.

L’accenno alla storia letteraria, con il rifiuto del romanticismo o del culteranismo, non porta comunque l’autore a fare considerazioni sull’assai più pertinente Scuola di Siviglia, cui il poeta rende un evidente tributo. Invece, verso la fine, introduce una lamentela che illustra l’incapacità critica di chi scrive:

Con pesar voy a concluir este prolijo análisis, haciendo notar una caprichosa particularidad que resalta en este libro: la carencia de sonetos.

Non soddisfatto con la presenza dei più svariati generi, egli deplora la mancanza del sonetto e “no disculpa su capricho”, poiché “por sus dotes está obligado a no despreciar el ornamento más clásico de nuestra literatura”.

Il prologo di José Amador de los Ríos290 si distingue dai precedenti non solo per la forma epistolare in cui si presenta291, ma anche per il giudizio non certo positivo che esprime nei confronti delle poesie del volume.

La “carta-prólogo” non è diretta al poeta Alcalde y Valladares292, bensì al suo “mecenate”, Manuel Cabeza de Vaca y Morales, che ha mandato il tomo al critico

290 José Amador de los Ríos (Baena, Cordoba, 1818- Siviglia, 1878). Fu poeta influito dal classicismo sivigliano e dal romanticismo del Duque de Rivas, ma, in primo luogo, fu uno storico e le sue opere fondamentali sono Historia social, política y religiosa de los judíos en España y Portugal (1875-1876) e la Historia crítica de la Literatura española (1861-1865). Curò anche l’edizione delle opere del Marqués de Santillana.

291

Tra i prologhi analizzati solamente altri due presentano tale struttura, quello di José Selgas per le Poesías di Antonio F. Grilo (1869) e quello di Carlos Cano per Auroras di Rafael M. Fernández Neda (1865).

pregandolo di darne un giudizio. Allo stesso illustre personaggio, l’autore dell’opera dedica il libro con una breve premessa, in cui dice qualcosa intorno alle sue poesie che, come si vedrà, contrasta con le successive affermazioni del suo critico:

Mis versos no son en manera algúna hijos del arte, ni están sujetos a las rigurosas reglas de la estética; son puramente destellos del corazón, unas veces expresados por medio del sentimiento religioso, y otros por la ternura y el dolor, compañeros inseparables de mi alma.

José Amador de los Ríos compone un prologo ordinato e coerente in cui si prefigge proprio il fine richiesto dal “mecenate”, ossia dare un giudizio dell’opera del giovane poeta. Dopo un preambolo elogiativo rivolto al solito Cabeza de Vaca, si accinge a presentare il volume:

Presenta divididas el Sr. Alcalde y Valladares sus composiciones poéticas en tres grandes grupos. Compréndense en el primero las poesías religiosas; abarca el segundo las que en algúna manera tienen significación histórica; y encierra el tercero cuantos reciben vida del sentimiento, en sus multiplicadas esferas, bien que dominando [...] las que obedecen a la inspiración amorosa [...] su musa es esencialmente lírica.

Il problema fondamentale del signor Alcalde è la forma, come illustra l’autore del prologo:

Pagado de las grandes imágenes, sojuzgado por el brillo de las formas exteriores, cuyo fausto y grandeza le encubren y velan en ciertos momentos la delicada percepción de la verdadera belleza poética, déjase llevar al deseo de ostentar cierta exuberante grandilocuencia [...]. Su lenguaje [...] si revela con frecuencia aquella espontaneidad que brota de la fuente misma de la inspiración, no abunda en aquella propiedad y corrección que reconocen su origen en el estudio [...] en los grandes maestros [...] en la contemplación de la naturaleza.

292

Antonio Alcalde y Valladares (Baena, Cordoba, 1828-1894). Tra le sue pubblicazioni, oltre al volume analizzato, si trova Hojas de laurel (1882), che raccoglie le poesie premiate in diversi certami.

Dal discorso si evince l’idea che Amador de los Ríos aveva della vera poesia. Pur essendo Andaluso e legato a personaggi di spicco della scuola di Siviglia, come Juan José Bueno e Alberto Lista, egli nei suoi componimenti aveva cercato di smorzare il tono magniloquente e la pompa tipici del gruppo; sostenitore dell’importanza della forma improntata allo studio dei grandi del passato, egli sembra, però, convinto dell’indispensabile equilibrio che deve intercorrere tra questa e il contenuto, che rischia, altrimenti, di venir soffocato.

Amador de los Ríos riconduce lo stile di Alcalde y Valladares a quello della “scuola” di Córdoba, con una considerazione sulle leggi supreme della natura: esiste, infatti, un “genio español” ravvisabile da Lucano, Seneca, Mena, Góngora fino ad oggi che determina le caratteristiche dei poeti. In particolare, l’autore del volume ha pregi e difetti del “genio cordobés”, proprio come Góngora, il quale “precipitó […] la dolorosa decadencia de la poesía y aún de las letras españolas.” Secondo la sua opinione, Alcalde somiglia a Góngora sia per i temi trattati che per la scelta delle forme. Dopo aver tracciato un breve profilo del poeta del XVII secolo, sottolineando il suo essere “príncipe de la luz y príncipe de las tinieblas”, si sofferma sulle poesie più semplici, e quindi più belle, che scrisse. Infatti, anche Alcalde y Valladares dà il meglio di sé quando si lascia trasportare dalle “inspiraciones libres y populares”. In effetti, le poesie appartenenti al terzo gruppo rispondono al proposito di esprimere i sentimenti provati dal poeta nelle sue esperienze amorose, ed emergono alcuni passi in cui egli indugia nella contemplazione delle sue sensazioni, lontano dai toni altisonanti e dai temi artificiosi.

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