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4. Altre direzioni: Ruiz Aguilera prologa Campoamor

2.3. Juan Valera prologa P.A de Alarcón

Ho già citato altrove le opinioni di Juan Valera, senza dubbio uno dei protagonisti dell’ambiente culturale della seconda metà del secolo e, soprattutto, un critico lucido e coerente dotato di uno sguardo analitico capace di inquadrare il contemporaneo panorama letterario. Sono numerosissimi i testi che egli scrisse per presentare i volumi pubblicati di svariati autori, poeti e narratori. Qui vorrei accennare al prologo redatto per la prima edizione delle Poesías293 del suo amico Pedro Antonio de Alarcón294 in cui coglie l’occasione per una riflessione sulla sua epoca, sulla poesia e in particolare su quella cosiddetta “subjetiva”.

Innanzitutto, Valera giustifica il suo prologo spiegando che la raccolta di poesie è stata pubblicata proprio grazie alle sue suppliche; inoltre, dal momento che il poeta è già sufficientemente noto, è chiaro che la sua intenzione non sarà quella di “buscar argumentos para persuadir al público a que guste de ellas [las poesías]”, bensì cercherà di esporre “algúnas de las razones en que el gusto y el ya alcanzado aplauso se fundan”.

Entra, quindi, nel vivo del discorso letterario, con una premessa importante che lo contraddistingue:

En muchos escritos míos he dicho repetidas veces, y he procurado demostrar, que la edad presente es más favorable a la poesía lírica y más fecunda en buenos poetas líricos que ningúna de las pasadas.

293 ALARCÓN, P.A., Poesías serias y humorísticas, Madrid, Gregorio Estrada, 1870

294Pedro Antonio de Alarcón y Ariza (Guadix, Granada, 1833-Madrid, 1891). Oscillò tra politica e letteratura durante gran parte della sua vita, tra Madrid e la sua terra natale. Nella capitale, diresse il periodico satirico El látigo (1855). Dagli anni ottanta si ritirò, anche a causa di una paralisi. La sua fama si deve soprattutto alla sua opera narrativa, tra cui spicca il romanzo El sombrero de tres picos (1874).

Non sa dire con precisione quando questo periodo di fecondità abbia avuto inizio, ma gli interessa maggiormente interrogarsi sulla sua fine: la poesia “acabará”, come alcuni pretendono, o sarà immortale?

Yo soy de los más firmes creyentes en la constante y activa duración de la poesía […]. La ciencia y la experiencia, por grandes que sean sus progresos, no invaden todo el campo de la fantasía.

Anzi, egli è convinto che la poesia è destinata a crescere, proprio perché la scienza, con le sue scoperte, non restringe il campo della fantasia, bensì “lo que descubre lo hace mayor y más bello que lo que había fingido la fantasía”; in questo modo “calculando luego la mente lo no explorado por la grandeza de lo explorado, también lo no explorado se agranda y se sublima.” La poesia lirica, dunque, “ensancha sus dominios y aumenta su energía con el andar de los tiempos”. Ciò non toglie che in questo periodo “altamente favorable a la poesía lírica”, di cui ipotizza l’inizio “a fines del siglo próximo pasado”, “hay un período de terrible prosaísmo, en el cual vive hoy y vegeta toda Europa, y singularmente España”. Valera prosegue nell’analisi della situazione, indagando le cause di questo “prosaísmo momentáneo”, non riferito alla sola Spagna ma, con l’apertura che gli è congeniale, ampliando il discorso all’ambito europeo:

Causa principal de este prosaísmo momentáneo ha sido (considerando en consunto toda la civilización europea) el cansancio natural, el desmayo y el desaliento que suceden a las hondas especulaciones metafísicas, en que nuestra edad ha sido tan rica.

Paradossalmente, la Spagna, poiché “no desplegó la mayor actividad en el movimiento metafísico”, oggi non si trova “tan infestada del materialismo y del llamado positivismo”; tuttavia, tali dottrine, “por estar más al alcance del vulgo, han penetrado más y se han difundido lo bastante para destruir y secar en las almas las inspiraciones y los pensamientos poéticos”.

Per concludere il lungo preambolo che introduce la figura del suo amico poeta, Valera vuole precisare ulteriormente i motivi del prosaismo, questa volta

specificamente in Spagna: egli individua una concausa nella diffusione della consapevolezza del”malestar material” che ha portato con sé “el deseo de vivir mejor materialmente”, riducendo a semplice svago l’attività poetica.

In questo mondo prosaico è venuto al mondo Alarcón. Prima, però, di dedicarsi alla sua poesia, Valera introduce una nuova digressione per descrivere i vizi che infestano “casi toda la poesía novísima”, vizi che, ovviamente, non possiede l’opera di Alarcón. I vizi principali sono tre, “el principal […] se puede llamar (valiéndose de un vocabolo muy usado hoy por los naturalistas) atavismo exagerado” che porta i poeti, anche quelli che in prosa si dimostrano progressisti, a scrivere in versi solo di argomenti del passato, esaltandolo a scapito del presente. Il secondo vizio è “el incesante sermonear”; mentre il terzo consiste nella “afectación de un espiritualismo severo, que condena todo lo que no es mortificación de los sentidos […] y retraímiento del mundo y de sus pompas”, atteggiamenti che non corrispondono certo alla vita reale dei poeti. Al contrario, “El señor Alarcón no peca por ningúno de estos lados. Es un poeta natural. En prosa y en verso, es siempre el mismo. El escritor y el hombre son , lo que deben ser, enteramente idénticos.”

Dopo un nuovo excursus sulla storia della poesia umoristica, partendo dai classici latini, e l’elogio delle composizioni che seguono questo registro, giudicate tra le migliori del tomo, Valera si sofferma su un diverso tipo di poesia:

Lo más selecto del tomo es de lo que ahora se llama subjetivo: es poesía autobiográfica, si bien no tanto de los accidentes externos de la vida cuanto de lo íntimo y profundo del corazón y de la mente, y de sus pasiones e ideas. Más que a la casta o linaje de poetas doctrinales y que se dirigen al pueblo, como Píndaro, Solón, Tirteo, Schiller, Manzoni y Quintana, pertenece el señor Alarcón a aquella otra casta cuyos versos no se semejan a una homilía, sino a un monólogo, donde el poeta se da razón de sus impresiones y hace, por decirlo así, examen de conciencia, deteniéndose un rato a considerarse, interrogarse y juzgarse a sí propio, en medio de una vida azarosa, agitada y aventurera.

Fino a questo punto la descrizione della poesia “subjetiva” poteva quasi far pensare a un ripiegamento verso i toni Bécqueriani. Valera, però, smentisce ogni aspettativa nel prosieguo del suo discorso, in cui paragona l’opera di Alarcón a quella degli “antiguos trovadores y minnesinger”, o, meglio ancora, “como nuestros poetas mahometanos de la Edad Media, que corrían las aventuras; que eran soldados y peregrinos”. Dopo aver svelato che “como amante” produce “gran abundancia de sonetos”, nelle ultime righe afferma che “toca todas las teclas y registros, y ensaya [..] todos los tonos”, compresa l’epica, benché Valera stesso la consideri un genere “ahora artificial y anacrónico”. Il volume di Alarcón è sulla linea della maggior parte delle raccolte analizzate finora, una miscellanea, in cui, in realtà, non è possibile trovare la poesia “subjetiva” che Valera descrive nel prologo.

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