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4. Infiltrato infiammatorio: ruolo nella patogenesi tumorale

4.2.3 Chemochine

Le chemochine sono un gruppo di peptidi a basso peso molecolare, della famiglia delle citochine chemoattraenti, che inducono la chemotassi di diversi sottogruppi di leucociti (Zlotnik, 2000). Esse regolano il reclutamento e l’attivazione di leucociti e altri tipi di cellule, in seguito all’intervento di stimoli infiammatori e non (Luster, 1998).

Ad oggi sono state descritte più di 50 chemochine, classificate in quattro famiglie maggiori (Zlotnik, 2000), ma solo due di queste famiglie sono state accuratamente studiate e caratterizzate: α (o CXC) e β (o CC) (5, 27, 28). La distinzione in questi due sottogruppi viene si basa sulla posizione dei residui cisteinici conservati. Tipicamente le chemochine CXC attraggono i neutrofili e promuovono la loro aderenza alle cellule endoteliali (Baggiolini, 1998; Luster, 1998; Kemp, 2003), mentre le chemochine CC attraggono linfociti T, monociti e cellule NK. Tuttavia le chemochine CXC mancanti del motivo ELR N-terminale, come la proteina 10 IFNγ- inducibile (IP-10/CXCL10), la monochina indotta da IFNγ (Mig/CXCL9) e l’α-chemoatrattante delle cellule T IFNγ inducibile (ITAC/CXCL11), non agiscono come chemoatrattanti dei neutrofili (Dewald, 1992; Loetscher, 1996; Mackay, 1996), ma attraggono i linfociti T attivati (Mackay, 1996; Taub, 1993).

Negli ultimi anni sempre più numerosi studi hanno dimostrato che le chemochine giocano un ruolo centrale in svariati aspetti della progressione tumorale. Le cellule tumorali esprimono recettori per le chemochine, che a loro volta ne favoriscono la proliferazione, l’angiogenesi e la sopravvivenza e promuovono la localizzazione organo- specifica delle metastasi a distanza. L’espressione di chemochine nelle neoplasia maligne umane è associata all’infiltrazione di leucociti e quindi a meccanismi di sottrazione immunologica. In modelli sperimentali e umani di melanoma, carcinoma dell’ovaio, della cervice, della mammella, di sarcoma e glioma, si è osservato che le chemochine CC sono i maggiori contribuenti all’infiltrazione dei macrofagi e dei linfociti (Mantovani,1992; Negus, 1995; Luboshits, 1999). La proteina 1 chemioattrattante per i monociti (MCP- 1/CCL2) è un prototipo di chemochina CC, che ha un importante ruolo nello sviluppo della risposta adattativa Th2 inducendo la differenziazione del cellule Th0 in Th2 in vitro.

I recettori per le chemochine (CCR e CXCR) sono espressi sia dalle cellule infiammatorie nel contesto del tumore, sia dalle stesse cellule tumorali. Le cellule del melanoma, per esempio, possono esprimere CXCR 1 e 2 e il loro ligando (IL-8),

stimolando così la progressione e la migrazione delle cellule infiammatorie (Hanghnegahdar, 2000).

Sono stati pubblicati importanti studi preclinici basati su terapie che intervengono sul network delle chemochine tumorali (Ruffini, 2007).

Il ruolo delle chemochine nella patologie neoplastica e non della tiroide è stato ampiamente analizzato. Ashhab ha dimostrato una più alta espressione di varie chemochine CC nella malattia di Basedow, rispetto a disordini tiroidei non autoimmuni (Ashhab, 1999). Simchen ha identificato, nei pazienti con malattia di Basedow, una chiara correlazione tra l’intensità dell’infiltrato linfocitario e i livelli di RANTES (regulated on activation, normal T cells expressed and secreted), una chemochina che attrae cellule T e monociti (Simchen, 2000).

Negli ultimi anni sono emerse evidenze sperimentali a supporto del ruolo centrale delle chemochine IFNγ- inducibili (CXCL9, CXCL10, CXCL11) e del loro recettore, CXCR3, nei disordini autoimmuni che coinvolgono le ghiandole endocrine (Garcia-Lopez, 2001; Antonelli, 2005; Antonelli, 2014). Inoltre è stato dimostrato che dopo la stimolazione con IFNγ le cellule epiteliali endocrine secernono CXCL10 che permette la chemiotassi dei linfociti T helper 1, che a loro volta secernono IFNγ perpetuando il processo autoimmune (Antonelli, 2006).

Nel carcinoma papillare i riarrangiamenti RET/PTC e le mutazioni attivanti di BRAF e RAS inducono una upregolazione di CXCL10, che, insieme a CXCL1/GRO-α e CCL2 è iperespresso nelle cellule tumorali, rispetto al parenchima sano, presupponendo un ruolo, ancora da chiarire, di questi fattori nella progressione tumorale (Melillo, 2005).

La chemochina CXC ”growth-regulated oncogene-α (GRO-α)/melano growth stimulatory activity (MGSA)” è stata isolata nel 1988, come fattore di crescita autocrino, da line cellulari umane di melanoma (Richmond, 1988). Un’ampia varietà di cellule, tra cui cellule epiteliali, cellule muscolari lisce, cellule endoteliali, fibroblasti, macrofagi e linee cellulari tumorali, producono questa chemochina in risposta a stimoli indotti da citochine proinfiammatorie (Vaddi, 1997). GRO-α è un potente attivatore dei neutrofili. Sebbene i neutrofili non siano elementi che fanno parte dell’infiltrato infiammatorio tiroideo, nei pazienti con malattia di Basedow si è osservata un’alterazione funzionale dei neutrofili circolanti (Wolach, 1989). Jinquan (Jinquan, 1995) ha osservato che GRO-α richiama cellule T isolate, in particolare linfociti T CD45RO+, sottotipo CD4+ e CD8+. L’infiltrato infiammatorio nella malattia di Basedow è composto per più del 70% da linfociti T CD18+, cioè elementi CD45RO+ (Martin, 1990; Aust, 1996). Questa potrebbe essere la

base per dimostrare il coinvolgimento di GRO-α nel mantenimento dell’infiltrato leucocitario nelle tiroidi di pazienti affetti da malattia di Basedow.

Tra le chemochine CC, Antonelli ha osservato che i livelli di CCL2 nella tiroidite autoimmune non sono aumentati (Antonelli, 2005). Tuttavia, diversi lavori hanno dimostrato che i livelli sierici di CCL2 aumentano con l’età sia in pazienti normali (Linton, 1997; Inadera, 1999) che in pazienti con aterosclerosi (Egashira, 2003; Kusano, 2004).

4.3 Meccanismi di azione delle citochine infiammatorie e tumore

L’insieme delle citochine infiammatorie può influire sulla sopravvivenza, sulla crescita, sulla mutazione, sulla proliferazione, sulla differenziazione e sul movimento sia delle cellule tumorali che delle cellule stromali. Le citochine possono regolare le comunicazioni tra il tumore, le cellule stromali e la matrice extracellulare. I meccanismi con cui agiscono sono numerosi e variati come mostrato in tabella 2.

Tabella 2

Danno del DNA tramite NO (ossigeno reattivo) Inibizione della riparazione del DNA tramite NO Inattivazione funzionale dei geni soppressori del tumore

Produzione di fattori di crescita autocrini e paracrini per le cellule tumorali Induzione della permeabilità vascolare

Rimodellamento dei tessuti tramite l’induzione/attivazione di metalloproteinasi Controllo diretto e indiretto della migrazione delle cellule tumorali

Controllo dell’infiltrato leucocitario Modulazione delle molecole di adesione cellulare

Alterazione della risposta immunitaria

Stimolazione dell’angiogenesi e produzione di fattori angiogenici Resistenza ai farmaci citotossici

5. Infiltrato infiammatorio e tumore

In letteratura sono diversi gli esempi di patologia infiammatoria cronica correlata allo sviluppo del cancro.

L’accumulo di mast-cells alla periferia delle neoplasie è stata descritta già nel secolo scorso, ma solo recentemente è stata dimostrata la loro capacità di sintetizzare fattori di crescita con funzioni mitogeniche su cellule epiteliali, endoteliali e fibroblasti, fattori pro- angiogenetici ed enzimi rimodellanti la matrice extracellulare (Takanami, 2000; Toth- Jakatics, 2000; Esposito B, 2001).

Strouch et al. hanno studiato il ruolo delle mastcellule nello sviluppo del carcinoma pancreatico, osservando che la loro presenza a livello intratumorale promuove la crescita e l’invasione neoplastica (Strouch, 2010).

Un altro studio condotto da Acikalin et al. su carcinoma del colon-retto suggerisce l’esistenza di una correlazione tra la densità di mastociti all’interno del tumore e la promozione della neoangiogenesi con progressione della crescita tumorale (Acikalin, 2004).

Oltre ai mastociti, anche i macrofagi presenti nel contesto tumorale sono stati associati alla prognosi di malattia (Fujimoto,2009; Maltby, 2009).

Forssel et al. hanno osservato che un denso infiltrato macrofagico a livello del fronte invasivo tumorale può influenzare positivamente la prognosi nel carcinoma colon-rettale (Forssel, 2007).

In accordo con l’apparente ruolo prognosticamente positivo dell’infiltrato macrofagico, Pollard ha dimostrato che topi transgenici, predisposti allo sviluppo del carcinoma mammario, sviluppano tumori meno invasivi se trattati con CSF-1, un fattore chemotattico per i macrofagi (Lin, 2001).

Di contro, altri studi condotti da Mantovani et al. sui macrofagi nel carcinoma mammario, hanno mostrato un peggioramento della prognosi nei tumori con abbondante infiltrato infiammatorio, costituito da un sottogruppo specifico di macrofagi: i TAM, tumor-associated-macrophages (Mantovani, 2007). A tal riguardo, Goswani et al. hanno descritto l’esistenza di uno scambio di segnali paracrini tra le cellule tumorali e i TAM: mentre le cellule cancerogene secernono CSF-1 e le chemochine CCL2 e CCL5, fattori

che reclutano e attivano i macrofagi, dall’altro lato i TAM rispondono con la secrezione di EGF, fattore di crescita epiteliale in grado di stimolare la motilità delle cellule tumorali (Goswani, 2005).

Ci sono anche altre popolazioni cellulari che influenzano la crescita cellulare, come le cellule dendritiche immaure, i linfociti T CD4+ e i precursori midollari. In quest’ultima classe ricordiamo le cellule mieloidi “soppressori” e le cellule staminali midollari.

Le prime contribuiscono alla crescita tumorale attraverso una tolleranza immunitaria tumore-indotta (Marigo, 2008); le seconde, reclutate fisiologicamente dal circolo per ripopolare porzioni di epitelio danneggiate, contribuiscono alla genesi del linfoma gastrico indotto da Helicobacter pylori.

Un’importante scoperta è stato il riscontro di un’iperepressione dell’ enzima COX-2, cicloossigenasi-2, in molte neoplasie umane quali il carcinoma del colon-retto, l’adenocarcinoma della mammella, il pancreas e i tumori di esofago, stomaco e polmone. La sintesi della COX-2 viene indotta da numerose citochine che si rilevano nell’ambito dell’infiammmazione cronica (Maier, 1990); tale enzima catalizza la sintesi di prostaglandine e di altri mediatori dell’infiammazione a partire dall’ossidazione dell’acido arachidonico, ricavato dai fosfolipidi della membrana cellulare.

L’over-espressione di COX-2 nel contesto del carcinoma colon-rettale determina inibizione dell’apoptosi e proliferazione delle cellule tumorali (Tucker, 1999); a livello dell’epitelio mammario causa dapprima iperplasia, poi displasia ed infine trasformazione maligna (Liu, 2001).

In base a quanto detto l’utilizzo dei FANS, farmaci anti-infiammatori non-steroidei, che inibiscono l’espressione costitutiva della COX-1 e quella infiammazione-dipendente della COX-2, ha portato a buoni risultati nella riduzione dell’incidenza del carcinoma colon-rettale (riduzione di circa il 40-50%) (Baron, 2000) e nell’ inibizione della crescita delle cellule tumorali pancreatiche in vivo ed in vitro (Kokawa, 2001).

Ulteriori prove a dimostrazione dell’ipotesi che l’infiammazione possa sostenere lo sviluppo del cancro vengono dall’osservazione di polimorfismi in geni codificanti per le chemochine, che sembrano essere associati ad un aumentato rischio di sviluppo di alcune forme di cancro nell’uomo . Ad esempio Jae-Joon Jung et all. hanno osservato in 96 pazienti affetti da carcinoma gastrico, attraverso tecniche di biologia molecolare e correlazioni fra lo stadio tumorale e i livelli di CXCL1 nel siero dei pazienti, che la chemochina CXCL1 può rappresentare un possibile marker di progressione tumorale (Jung, 2010).

Anche studi più recenti hanno supportato questa ipotesi, dimostrando che un aumento dell’espressione e dei livelli sierici di CXCL1 è associato alla crescita della massa tumorale e alla presenza di metastasi linfonodali e a distanza (Junnila, 2010).

Molti studi hanno osservato la coesistenza di infiltrato linfocitario e carcinoma tiroideo (Dailey, 1955), ma nonostante questa indubbia associazione, il ruolo svolto dall’infiltrato infiammatorio nel tumore è ancora poco chiaro.

La presenza di infiltrato linfocitario è maggiormente apprezzabile nei soggetti con carcinoma papillare che nei casi di patologia nodulare benigna (Okayasu, 1995), suggerendo che la componente infiammatoria possa favorire lo sviluppo della neoplasia. Tuttavia le correnti di pensiero tendono a dividersi: infatti mentre alcuni casi di tiroidite cronica linfocitaria risultano associati a un tasso più alto di insorgenza di carcinoma papillare, altri tumori associati a infiltrato infiammatorio cronico mostrano un andamento scarsamente aggressivo con un minore tasso di recidive e metastasi.

Rimane comunque da capire se la presenza dell’infiltrato linfocitario nel carcinoma tiroideo e l’atteggiamento tumorale meno aggressivo rappresentino un’eccezione o siano un comune riscontro in caso di tiroiditi croniche (Matsubayashi, 1995; Fiumara, 1997).

La maggior parte dei tumori tiroidei associati a tiroidite cronica sono carcinomi papillari, con una frequenza compresa tra 0,5 e 37,9% (Loh, 1998; Crile, 1953); tuttavia ci sono anche casi di carcinomi follicolari, anaplastici, midollari e a cellule squamose (Okayasu, 1995; Hirabayashi, 1965).

In diversi studi sull’associazione tra carcinoma papillare e tiroidite cronica, è stato dimostrato che la presenza dell’infiltrato infiammatorio nei tumori comporta una sopravvivenza libera da malattia di più lunga durata (Maceri, 1986; Clark, 1980), uno stadio più basso al momento della diagnosi e un minor rischio di recidiva tumorale (Matsubayashi, 1995; Baker, 1995).

I carcinomi tiroidei scarsamente differenziati e anaplastici sono caratterizzati da una notevole riduzione dell’infiltrato linfocitario rispetto ai PTC, avvalorando l’ipotesi che i linfociti abbiano un ruolo protettivo (Ugolini, 2007).

I macrofagi e le cellule dendritiche, soprattutto immature, sono state individuate nei PTC (Scarpino, 2000) e, mentre le cellule dendritiche sembrano avere un ruolo protettivo nel cancro tiroideo (Ugolini, 2007), i macrofagi tumore-associati (TAM) sono generalmente considerati pro-tumorigenici (Sica, 2008). Ryder in un altro studio ha riscontrato una maggior densità di TAM nei carcinomi poco differenziati e anaplastici rispetto ai PTC e ai carcinomi follicolari e questo dato è risultato significativamente

associato con l’invasione capsulare, l’estensione extratiroidea e la scarsa prognosi (Ryder, 2008).

Anche le mastcells, studiate da Melillo in 96 PTC comparati con 14 campioni di tiroide normale, sono apparse più numerose nel tessuto neoplastico che in quello di controllo e la loro presenza è risultata significativamente correlata all’invasione capsulare. Inoltre i mastociti, come dimostrato in studi su altre neoplasie umane, sembrano favorire la proliferazione, la sopravvivenza e la capacità di invasione delle cellule tumorali tiroidee, contribuendo all’espansione e all’infiltrazione del carcinoma (Melillo, 2010).

Nel 2004 Russell ha studiato la presenza di cellule infiammatorie in topi transgenici esprimenti RET/PTC3 nella tiroide. I topi hanno sviluppato lesioni simil-PTC, caratterizzate da infiltrato leucocitario, prevalentemente composto di macrofagi (Russell, 2004).

Questo risultato sembra essere RET-specifico, in quanto un oncogene similare, TRK- T1, che deriva anch’esso dal riarrangiamento di un recettore tirosin-chinasico con un gene eterologo, non ha lo stesso effetto. Sorprendentemente, l’incidenza e la crescita di carcinomi nei topi RET/PTC3 sembra essere influenzata dal background genetico dell’animale.

In generale questi dati indicano che l’oncoproteina RET/PTC3 favorisce il richiamo di cellule infiammatorie all’interno del tumore e che le citochine, da esse prodotte, mediano la crescita tumorale.

In un altro gruppo di esperimenti Pufnock e Rothstein hanno analizzato il ruolo di RET/PTC3 nel recruitment di cellule infiammatorie all’interno del microambiente tumorale (Pufnock, 2009). RET/PTC3 e la sua isoforma mutata (RET/PTC3 Y1062F), inefficace nell’attivazione della cascata di segnale RET-mediata, sono stati trasdotti in linee cellulari murine di fibrosarcoma. I tumori sono stati indotti iniettando cellule esprimenti RET/PTC3 e RET/PTC3 Y1062F in topi singenici. I tumori RET/PTC3 sono significativamente più grandi rispetto a quelli RET/PTC3 mutati, mentre la densità di linfociti T CD4+ e CD8+ è comparabile nei due gruppi.

Tuttavia, RET/PTC3 presenta un ricco infiltrato linfocitario con ruolo soppressivo (Maringo, 2008; Gabrilovich, 2009), invece RET/PTC3 mutato richiama le cellule dell’infiammazione, che a loro volta permettono l’elusione della risposta immunitaria e favoriscono lo sviluppo tumorale

Ad oggi non è noto se anche altri meccanismi siano coinvolti in questo processo di evasione tumorale.

I riarrangiamenti di RET/PTC, elementi peculiari del carcinoma papillare, sono stati riscontrati anche in pazienti con patologie tiroidee non neoplastiche, come la tiroidite di Hashimoto (Wirtschafter, 1997; Sheil, 2000; Elisei, 2001). Ulteriori prove dell’associazione tra tiroidite e carcinoma papillare derivano dalla dimostrazione che in pazienti esposti a radiazioni ionizzanti, come quelle conseguenti all’incidente nucleare di Chernobyl, si sono riscontrati sia casi di carcinoma papillare, che casi di tiroidite autoimmune RET/PTC indotta (William, 2002).

Sono stati creati due modelli che cercano di spiegare l’associazione tra tiroidite di Hashimoto e riarrangiamenti RET/PTC.

Il primo suppone che l’infiammazione possa favorire il riarrangiamento. La produzione di radicali liberi, la secrezione di citochine, la proliferazione cellulare e altri fenomeni associati all’infiammazione predisporrebbero le cellule follicolari tiroidee al riarrangiamento RET/PTC. A supporto di tale ipotesi è stato osservato che il tasso mutazionale nei tessuti con infiammazione è maggiore di quello riscontrato nei tessuti normali (Colotta, 2000).

Per quanto riguarda la seconda ipotesi, il riarrangiamento RET/PTC potrebbe indurre la risposta infiammatoria nel contesto tumorale. Il RET/PTC indurrebbe infatti la sintesi di numerose proteine infiammatorie (CSF1,2,3; IL1A,B; IL6; IL8; IL4; IL10; IL24; VEGFA; SPP1; TNF; CCL2; CCL20; CXCL1; CXCL10; CXCL12; IL8RB; CXCR3; CXCR4; CD44; PTGES; PTGS2) nelle cellule epiteliali tiroidee. Inoltre in topi transgenici TG-RET/PTC, in cui l’espressione di RET/PTC è confinata alla ghiandola tiroidea, si è osservata un’intensa risposta infiammatoria associata alla sviluppo di PTC (Powell, 2003; Melillo, 2005; Puxeddu, 2005; Pufnock, 2009).

In questi animali tuttavia non sono osservabili le altre caratteristiche della tiroidite di Hashimoto, come la presenza di autoanticorpi antitiroidei circolanti e la formazione di follicoli linfoidi nel parenchima tiroideo.

Concludendo, si può ipotizzare che la tiroidite autoimmune crei un ambiente protumorigeno in cui i riarrangimenti RET/PTC sono ben tollerati e a loro volta i riarrangiamenti favoriscano il mantenimento della reazione infiammatoria.

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