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La relazione esistente tra infiammazione e carcinoma tiroideo è complessa e non del tutto chiarita. Come in altri modelli tumorali (Coussen, 2002), il carcinoma tiroideo è influenzato nella sua progressione dall’infiammazione, ma ne è anche un attivo modulatore (Loh, 1999). Dati epidemiologici e istologici indicano che il carcinoma tiroideo è frequentemente associato a patologia autoimmune, come la tiroidite di Hashimoto, e che un ricco infiltrato infiammatorio è spesso presente al suo interno (Kebebew, 2001).

Il ruolo di queste cellule è complesso e numerosi studi indicano che a seconda della popolazione cellulare considerata, l’effetto può essere sia pro- che anti-tumorigenico. In particolare, la presenza di linfociti, che appartengono al braccio adattativo dell’immunità, è significativamente maggiore nelle lesioni neoplastiche che in quelle benigne, sia nelle popolazioni adulte che pediatriche (Gupta, 2001). Tuttavia, l’infiltrato linfocitario sembra avere un ruolo protettivo nei confronti della progressione tumorale (Loh, 1999). D’altra parte la presenza di cellule appartenenti all’immunità innata, come macrofagi e mastociti, favorisce la progressione tumorale ed è associata ad una prognosi sfavorevole.

La capacità sia dell’immunità acquisita che di quella congenita di interferire con la crescita e la diffusione di una neoplasia è stata dimostrata in diversi modelli animali (Prdoll, 2001; Lanier, 2001). Nonostante l’acquisizione di queste nuove conoscenze, il ruolo della risposta immunitaria nel controllo della genesi e della progressione delle neoplasie, è ancora scarsamente documentato.

Nei carcinomi tiroidei inoltre, l’attivazione degli oncogeni della cascata delle MAPK (RET/PTC, RAS e BRAF) può attivare dei programmi trascrizionali proinfiammatori che coinvolgono prevalentemente citochine, chemochine e i loro recettori (Melillo, 2005; Ryder, 2013). Queste molecole svolgono due effetti primari nel cancro tiroideo. Da una parte con meccanismo autocrino sostentano le caratteristiche di malignità come la proliferazione, la sopravvivenza cellulare e l’invasività (Melillo, 2010). Dall’altra con meccanismo paracrino, e in parte endocrino, inducono il rimodellamento dello stroma tumorale richiamando cellule infiammatorie, immunitarie, endoteliali e midollari (Caillou, 2011). In questo modo, le citochine possono ulteriormente favorire la progressione

tumorale attraverso il rilascio di mediatori prodotti dalle cellule infiltranti, stimolando l’angiogenesi e sovvertendo la normale risposta infiammatoria antitumorale (Guarino, 2010). Sulla base di queste osservazioni è stato proposto che la crescita e la progressione dei carcinomi tiroidei sia favorita sia dalle cellule infiammatorie che compongono lo stroma tumorale che dall’attivazione nelle cellule epiteliali tumorali di segnali speficici mediati da oncoproteine (Guarino, 2010).

L’obiettivo del nostro studio è stato quello di valutare la presenza e l’intensità dell’infiltrato infiammatorio in una casistica consecutiva di carcinomi tiroidei di tipo papillare e anaplastico. In particolare abbiamo valutato la presenza di due specifici cloni cellulari, i macrofagi CD68 positivi e i mastociti triptasi positivi, che da tempo vengono approfonditamente studiati in modelli neoplastici animali e umani, per chiarire il loro ruolo come promotori della crescita e progressione tumorale.

A questo abbiamo affiancato la ricerca dell’espressione delle chemochine CXCL10/IP10, CXCL1/GRO-α e CCL2/MCP1, chemochine che attraggono i linfociti T attivati e T helper, i monociti e i neutrofili, che modulano complesse cascate immunologiche.

Abbiamo in prima istanza osservato che la presenza di tiroidite linfocitaria è strettamente correlata è associata ad alcuni indicatori di aggressività, come un istotipo meno differenziato e la presenza di mutazione del gene BRAF. D’altra parte però se la presenza di un abbondante infiltrato infiammatorio peritumorale sembra favorire l’estensione del tumore oltre la capsula tiroidea, l’infiltrato intratumorale è correlato all’assenza di infiltrazione della capsula tumorale. Pertanto sembra coesistere, come sopra discusso, un duplice ruolo dell’infiltrato linfocitario, forse dipendente della sua localizzazione e dalle cellule con cui va ad interagire, neoplastiche o stromali.

Per quanto riguarda le mast cell, i nostri dati mostrano la diretta relazione esistente tra la presenza di tali cellule e la maggiore aggressività locale della neoplasia. Infatti c’è una proporzionalità diretta tra la loro localizzazione intratumorale e peritumorale e l’infiltrazione della capsula tumorale. Questi dati confermano quanto riportato da Melillo su modelli di carcinomi tiroidei in vivo ed ex vivo (Melillo, 2010). Le mast cell favorirebbero la crescita locale e l’infiltrazione neoplastica, mentre non influenzerebbero la diffusione a distanza della neoplasia. In particolare, sebbene siano necessari ulteriori riscontri per avvalorare l’ipotesi, sembrerebbe che siano i mastociti presenti al vallo tumorale a giocare un ruolo prevalente in questa funzione.

I macrofagi CD68 positivi sono cellule che si riscontrano nello stroma tra le cellule tumorali e nella colloide, in misura minore sono presenti in sede peritumorale ed extratumorale. Quanto emerge dai nostri dati è che tali cellule sarebbero più abbondanti nei carcinomi papillari che presentano aree di minore differenziazione, come cellule alte, e nei carcinomi anaplastici. Inoltre ci sarebbe una diretta associazione tra maggiori dimensioni della neoplasia e abbondanza di macrofagi intratumorali. In aggiunta le cellule peritumorali sono positivamente associate alla presenza di metastasi linfonodali. Si può pertanto supporre un ruolo dei macrofagi come promotori di una maggiore aggressività istologica della neoplasia e della diffusione a distanza, mentre, a differenza dei mastociti, non avrebbero alcuna influenza sull’invasività locale. Interessante è notare con la presenza di macrofagi sia significativamente associata ad una maggior espressione della chemochina CXCL10, nota come stimolante la migrazione di monociti (Puxeddu, 2005; Melillo, 2005).

Questo dati avvalorano le osservazioni di Fagin e coll, che hanno riportato una correlazione tra la maggiore densità dei macrofagi tumore-associati (TAM) e una peggiore prognosi in carcinomi tiroidei poco differenziati e anaplastici, rispetto a carcinomi ben differenziati. In particolare la densità dei TAM è sensibilmente minore nelle forme ben differenziate e non è mai associata all’invasione capsulare ed extratiroidea o alla diffusione vascolare. Viceversa nelle forme poco differenziate e anaplastiche la densità di TAM è più elevata e direttamente associata ad una diffusione a distanza della neoplasia (Ryder, 2008). Si può pertanto supporre che quali che siano i meccanismi che richiamano i macrofagi all’interno del tumore, questi, attraverso la secrezione di fattori di crescita e chemochine favoriscono la progressione tumorale. Infine, a conferma di procedenti osservazioni (Mesa, 2006), anche la mutazione del gene BRAF è stata chiamata in causa suggerendo che tumori con tale mutazione fossero maggiormente predisposti ad una infiltrazione macrofagica.

Inoltre sembrano essere confermati dati più recenti relativi al ruolo attivo svolto dai TAMs nei carcinomo anaplastici, come costruttori di un denso network stromale direttamente correlato all’aggresività della neoplasia tramite funzioni trofiche e metaboliche che devono ancora essere determinate (Caillou, 2011). E ancora si perpetua il ruolo dei macrofagi come elementi tumorigenici nei carcinomi papillari, associati a più elevata frequenza di metastasi linfonodali e maggiore dimensione tumorale (Kim, 2013).

Assai più articolato si è rivelato lo studio delle chemochine. In prima istanza abbiamo apprezzato la significativa differenza tra la loro espressione nel tessuto neoplastico

rispetto al tessuto normale, a conferma di quanto riportato da Fugazzola e coll (Muzza, 2010) e Melillo e coll (Melillo, 2005). Abbiamo inoltre osservato la totale indipendenza dell’espressione delle tre chemochine analizzate dai fattori anatomopatologici e dalla tiroidite, tranne che per CCL2, lasciando supporre che non giochino un ruolo diretto sull’omeostasi delle cellule tumorali, ma che siano invece dei mediatori, che comunicano con le cellule neoplastiche intervenendo su altre cellule dell’infiammazione, come i macrofagi, i mastociti e i linfociti.

Inoltre non abbiamo riscontrato alcuna relazione tra la presenza di macrofagi e mast cell e l’espressione di CXCL1 e CCL2. Questo fa supporre che tali citochine intervengano su cascate immunologiche mediate da altri elementi, come i linfociti.

Invece l’espressione di CXCL10 è direttamente proporzionale alla presenza di macrofagi e di mast cell. E’ noto dai lavori di Melillo e coll (2010) che i mastociti riescano a produrre CXCL10, la quale, tramite un’azione sinergica con altri mediatori, come CXCL1 ed istamina, agisce sulla progressione tumorale.

Infine abbiamo riscontrato una correlazione diretta tra la presenza della mutazione del gene BRAF e la quantità di mRNA codificante la chemochina CXCL10, ma tra la stessa mutazione e l’espressione immunoistochimica della chemochina. Melillo e coll (Melillo, 2005) hanno osservato con test ELISA che CXCL1 e CXCL10 sono significativamente più espresse in linee cellulari umane di PTC con riarrangiamento RET/PTC1 (TPC1, FB2, BHP2-7) o con mutazione BRAF(V600E) (BCPAP, BHP5-16), che in culture primarie di cellule follicolari umane normali. Inoltre hanno osservato una riduzione dei livelli di BRAF endogeno e conseguentemente di attivazione della cascata di ERK, tramite la transfezione di siRNA per BRAF, che determina anche una notevole riduzione dell’espressione di CXCL10 e CXCL1.

La nostra osservazione si colloca in linea con questi dati. Infatti sebbene non abbiamo potuto dimostrare una correlazione diretta tra la presenza della mutazione e la maggiore espressione di CXCL10 come riscontrato in vitro, si può tuttavia ipotizzare l’esistenza di un blocco della traduzione dell’mRNA, che sarà oggetto di nuove e più approfondite analisi, ma che tuttavia è risultato al di fuori degli obiettivi e delle potenzialità dell’attuale studio.

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