• Non ci sono risultati.

Chi è il mediatore linguistico-culturale?

La mediazione linguistico-culturale e interculturale

2.2 Chi è il mediatore linguistico-culturale?

Ci affrettiamo a dire che ciò che andiamo a presentare in questo capitolo è l'immagine ideale del mediatore linguistico-culturale, ma dobbiamo essere consapevoli della distanza esistente dalla sua reale funzione e impiego. Conosciamo, infatti, quanto la composizione demografica, la sensibilità di un territorio, la disponibilità di risorse e le scelte politiche locali giochino sull'offerta e l'organizzazione di servizi quali quello di mediazione linguistica e culturale. Ci faremo aiutare pertanto dal racconto delle esperienze dirette dei mediatori intervistati per scoprire il loro reale lavoro.

Mediare significa “mettersi in mezzo” a due o più parti per stabilire un contatto che

160Cfr. Conferenza delle regioni e delle province autonome, 2009, Riconoscimento della figura

permetta il raggiungimento di un accordo. Media l'agente immobiliare che fa avvicinare l'offerta del proprietario di un appartamento alla domanda di un potenziale acquirente, media la madre per mettere fine al litigio tra i figli per il contendersi di un gioco, media l'interprete commerciale che con la competenza linguistica collabora alla conclusione degli affari. Si tratta quindi della stessa funzione di avvicinare le parti in un accordo, ma ogni genere di mediazione richiede abilità diverse. Ciò che viene richiesto al mediatore linguistico-culturale va oltre le competenze che sembra suggerirci la denominazione di questo tipo di mediazione. Vediamone meglio i tratti.

Il mediatore interviene in situazioni che lo straniero non è nelle condizioni di gestire. Ovviamente l'ostacolo più consistente risulta essere quello della lingua: non condividere un codice di comunicazione non permette l'efficace scambio di messaggi e il mediatore, con la sua competenza linguistica nei diversi codici, ripristina il flusso di comunicazione. Ma le difficoltà che ostacolano l'autonomia dello straniero non sono esclusivamente di natura linguistica. Come già abbiamo visto, la lontananza dei modelli culturali di riferimento – si pensi a quelli di organizzazione sociale e familiare – provoca delle difficoltà concrete nella vita quotidiana. Ecco quindi che il mediatore si deve fare non solo interprete linguistico ma anche traduttore del cosiddetto software mentale161 al fine di evitare incomprensioni e scontri interculturali dovuti a distanza di

principi e modelli culturale.

Tra gli elementi del profilo del mediatore ideale si esige inoltre l'aver fatto esperienza di migrazione. Questo è un aspetto spesso sottovalutato ma requisito di grande importanza. Come potrebbe una persona che non conosce gli aspetti positivi e negativi del processo migratorio, comprendere – prima ancora che gestire – le problematiche legate alla vita nel paese di immigrazione? Abbiamo visto come questa esperienza di viaggio coinvolga emotivamente e psicologicamente la persona che lo intraprende, al punto di causare episodi di shock psicologici che si ripercuotono sul suo stato di benessere psico-fisico. Ignorare queste dinamiche – proprio perché non le si è vissute in prima persona – significa non essere nella posizione di sapere individuare l'esperienza di migrazione come causa delle problematiche e degli atteggiamenti manifestati.

Oltre quindi alla padronanza degli idiomi e la conoscenza delle culture di appartenenza

delle parti, il mediatore è chiamato ad essere pienamente consapevole degli effetti del processo migratorio affrontato dallo straniero, preferibilmente appresi attraverso l'esperienza personale diretta. Ma non è tutto.

Sebbene, la nebbia legislativa non indichi quali sono i requisiti per esercitare questa professione, l'operare nell'ambito della mediazione richiede di volta in volta il possesso di conoscenze e informazioni specifiche relative l'aspetto giuridico, sociale, politico, economico necessarie ad operare nei diversi ambiti in cui sono presenti gli stranieri. Inoltre, si è andata affermando in maniera spontanea la missione interculturale, accolta dagli operatori della mediazione. Con questa si intende l'intento di sfruttare l'occasione di incontro obbligato per aprire canali di conoscenza reciproca e interazione. Nell'intervento del mediatore è insito l'impegno di avvicinare le parti senza forzare nessuna delle due a prendere posizioni lontane dalle proprie convinzione e dei propri modelli, e renderle consapevoli dei motivi di distacco e delle ragioni di entrambe, in modo da predisporli all'ascolto, alla comprensione e magari all'incontro.

Evidentemente quelli posseduti dal mediatore sono strumenti esclusivi – perché non detenuti da tutti gli operatori – indispensabili per far funzionare la comunicazione. Per questa ragione riteniamo impensabile intraprendere questa professione senza un'adeguata preparazione formativa. Ma affronteremo tutti questi aspetti nei paragrafi che seguono.

Prima però è giusto riportare le riserve espresse da Paolo Balboni162 su questa figura.

Mentre non è messa in discussione la capacità di una persona di saper padroneggiare una lingua non madre – anche se acquisita ad un livello non da madrelingua, perché appresa successivamente alla fase critica163 – viene invece messa in dubbio da Balboni

la possibilità di potersi fare portavoce di due diversi modelli culturali. Come dicevamo, per poter tradurre il significato di un comportamento di una parte non compresa dall'altra parte – perché distante dai propri modelli – bisogna aver assorbito i singoli

162BALBONI P. E., 2009, “La mediazione linguistica e culturale: un approccio filosofico” in SERRAGIOTTO G.

(a cura di), La facilitazione e la mediazione linguistica nell'italiano L2, Venezia, Studio LT2, pag. 27- 30.

163La linguistica definisce età critica quella che indicativamente intercorre tra i 4 e gli 8 anni. In questo periodo il bambino può raggiungere un livello di competenza linguistica pari a quella di un madre lingua, quindi trovarsi in condizione di bilinguismo. Questo non avviene nella fase successiva, che fino ai 22 anni circa si definisce “età sensibile”, ma l'acquisizione può ugualmente portare a livelli alti di competenza comunicativa.

tratti della cultura di riferimento e ciò è difficilmente realizzabile dal momento che la cultura porta con sé un modo di vedere e concettualizzare la realtà che spesso rappresenta aspetti particolarmente profondi e inesplorati della nostra identità. Com'è possibile quindi che il mediatore indossi contemporaneamente due diverse lenti per leggere il mondo?

Tuttavia, nonostante questo punto critico, è da considerare come la figura che più si presta a questo tipo di compito per la sua naturale propensione alla rilevazione delle differenze e alla sua frequente volontà di valorizzazione della diversità in un'ottica di incontro e scambio interculturale.

Il carattere ideale di quanto qui descritto e il profilo nebuloso che il nostro ordinamento interno riserva alla figura del mediatore linguistico-culturale richiede che ci addentriamo nelle esperienze e nelle parole degli stessi mediatori per delineare un profilo più realistico di questa professione. Per questa ragione saranno presenti frequenti richiami alle voci dei mediatori, raccolte nel corso delle interviste.