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Le abilità del mediare in un contesto interculturale

La mediazione linguistico-culturale e interculturale

2.3 Le abilità del mediare in un contesto interculturale

La competenza linguistica e comunicativa nelle lingue coinvolte rappresenta il requisito principe, abbiamo dedotto, per l'esercizio della professione. Alain Goussot afferma:

la lingua non è solo strumento funzionale alla comunicazione utilitaristica, ma anche veicolo degli universi simbolici, che funziona con dei codici e produce una concezione del mondo. Il linguaggio, poi, è di importanza decisiva per il mondo interiore della persona: organizza la sua mappa mentale e struttura il suo sistema cognitivo.164

Da questo scaturisce l'importanza della competenza della lingua in uso, come padronanza di lingua nella comunicazione, che richiama all'estrema rilevanza per tutti quegli elementi che partecipano alla costruzione del messaggio da scambiare ma che non rientra propriamente nel linguaggio verbale. Mi riferisco con questo all'importanza di leggere correttamente i significati che passano attraverso il linguaggio del corpo,

delle distanze, dell'abbigliamento e quanto abbiamo visto rientrare nell'extra-verbale, e comprendere senza equivoci i riferimenti alla cultura dell'interlocutore. César, mediatore peruviano, ce ne porta un esempio raccontandoci di un suo intervento di mediazione in favore di una ragazzina sud americana:

La ragazzina abitava con la sua sorella, con la sua madre, e sua madre conviveva con un uomo. E questo uomo lo chiamava “el tio”, lo zio. Non diceva “il compagno di mia madre” sino “lo zio”. Io ho capito, dopo parlando con lei, praticamente lei diceva lo zio para no... però volevano sapere di più di questo, dicevano “Il che?” e io: “Lascia stare perché non è il suo zio, è il convivente della sua madre, solo che lei lo chiama “zio”. Non vuole essere lui il compagno...”. Perché in Latino America se tu non sei sposata con la persona è un poco vergognoso. Tu devi stare sposato quando è il suo compagno senza avere sposato, perché la signora se è separata e si è messa con un altro. Quindi non lo chiamano “patrigno”, lo chiamano “zio”, qualcuno, soprattutto ecuadoregni, Perù dicono questo. E loro volevano sapere. E io “Calma, lo dicono zio e basta. Tu sai che è patrigno.” perché non puoi sapere. Perché a volte gli italiani vogliono sapere “No, voglio che mi dica chi è” e io dico “Calma!”. Queste sono questioni che tu devi sapere, non devi andare più là. Perché puoi offenderla, puoi metterla in una situazione che... perché, prendi una ragazzina di dodici anni si potrebbe chiudere. Stanno parlando, arrivando alla fiducia, e lasciala stare, se vuole chiamarlo “zio”, lascialo “zio” e basta. Dettagli stupidi, piccoli che però compromettono la relazione.

Vacilla quindi la convinzione per cui sia sufficiente sapere la lingua per sostenere una conversazione interculturale. Commentando il nuovo corso di laurea in “Mediazione linguistica e culturale” dell'Università statale di Milano, per la medesima ragione, Vesna – mediatrice rumena – si dimostra un po' dubbiosa quando dice: “Potranno parlare la lingua benissimo, potranno studiare e capire la cultura, tutto, ma non è la stessa cosa, dico io”.

È necessario infatti conoscere profondamente la propria cultura – considerando tuttavia che tante volte si tratta di culture, dal momento che si è chiamati a mediare in favore di connazionali, anche appartenenti a regioni diverse e quindi culturalmente distanti dalla propria – e i punti di non-incontro con la cultura del posto per prevederne le reazioni e saperne dare una traduzione corretta. Leggere queste parole ci ricorda l'immagine di

Graziella Favaro della lingua come luogo da abitare165 e rafforza l'idea che a farsi

rappresentante di un determinato mondo possa essere esclusivamente una persona che da quel mondo proviene e nel quale ha vissuto.

Tuttavia, talvolta alcuni servizi preferiscono, addirittura, rivolgersi ad italiani che conoscono profondamente la cultura del paese coinvolto, piuttosto che ad una persona originaria di quel paese, come mi confessa, l'assistente sociale Rossi:

Ormai, il livello di competenza che hanno sviluppato gli operatori di questo servizio è talmente alto che la figura del mediatore è utilizzata da noi, più come una figura d'interpretariato che non come una figura di mediazione, perché nella mediazione degli aspetti culturali allora bisogna avere in realtà una grande conoscenza del contesto culturale. Nel senso che chi viene dal Marocco, saprà anche il marocchino, l'arabo, ma dipende anche da che zona arriva, se è una zona rurale, se è una zona invece urbana, da quanti anni è in Italia, da quanti anni manca dal paese, … cioè ci possono essere delle situazioni in cui, il fatto che si abbia la stessa nazionalità sul passaporto, non sia di per sé un elemento sufficientemente forte per spiegare, magari, il comportamento di quella persona, che noi come servizio sociale incontriamo e conosciamo. Ad esempio, l'altro giorno ho fatto un colloquio con un signore cinese e c'era l'interprete che non sapeva nemmeno dove fosse la zona, perché? Perché era un interprete cinese di seconda generazione e non sapeva nemmeno dire la città dove fosse, in che zona della Cina fosse. E allora se devo sapere qualcosa della Cina vado a chiamare il ricercatore sul campo, l'universitario, cerchiamo un livello più alto.

Se nell'esempio citato può essere giustificato il ricorso a persone non madrelingua e non formate sulla mediazione, tante volte il servizio che necessita di mediazione sottovaluta l'importanza dell'elemento culturale per ignoranza o per ragioni economiche:

Non è che tutti quelli che imparano arabo sono mediatori. Il mediatore deve capire bene ed essere aggiornato giorno per giorno. Altrimenti che mediatore sei? Appena uno parla due parole arabo… questo succede a volte nei servizi, per non chiamare il mediatore, per un motivo o un altro, per un problema personale dell'operatore o un motivo di servizio, prende quello vicino “Parla perfetto l'arabo.” (Leila, mediatrice egiziana)

165FAVARO G., 2008, “La lingua forma la cultura, che forma la lingua”, in CAON F. (a cura di), Tra lingue e

Abbiamo già visto quanto sia addirittura più importante l'aver affrontato l'esperienza migratoria e i processi di integrazione e acculturazione successivi, rispetto all'essere bilingui.

Tuttavia, c'è anche da considerare che, alla luce della carenza di risorse di mediatori formati e la domanda sempre maggiore di interventi di mediazione, è comprensibile che l'organizzazione che offre il servizio non sempre valuti il livello di competenza, la formazione e l'esperienza dei candidati mediatori. Può succedere quindi che si sconfini sul mero interpretariato:

A volte è semplicemente interpretazione linguistica, ad esempio quando vado per Ghana, perché purtroppo non abbiamo mediatrici a sufficienza, avevamo una brava che poi si è ammalata. Allora vado e lì faccio proprio interpretazione linguistica, perché io di cultura ghanese... dovrei andarci, vivere per un po', non posso inventarmi. Anche se certe dinamiche le impari andando. Le vedi, sono quelle dinamiche tra rapporto uomo- donna, le noti e poi le vedi in uno, due, tre e poi cominci a capire. (Arundhati, mediatrice indiana)

Da questa ultima frase si evince un elemento indispensabile nella comunicazione interculturale: lo spirito d'osservazione. Ce lo conferma Paolo Balboni che stila – non solo per i mediatori, ma per tutti coloro che intendono comunicare con persone non connazionali – le tappe del percorso al rapporto con l'alterità.

entrare in una prospettiva interculturale non significa abbandonare i propri valori ma a. conoscere gli altri,

b. tollerare le differenze almeno fino a quando non entrano nella sfera dell'immortalità che, secondo i nostri standard, non intendiamo accettare,

c. rispettare le differenze che non ci pongono problemi morali ma che rimandano solo alle diverse culture,

d. accettare il fatto che alcuni modelli culturali degli altri possono essere migliori dei nostri e, in questo caso,

e. mettere in discussione i modelli culturali con cui siamo cresciuti166

Naturalmente poi non ci si può fare guide di un luogo senza conoscerne la mappa. Per

questo, è indispensabile che il mediatore sia a conoscenza del funzionamento della società, ne conosca il territorio, la distribuzione e l'organizzazione dei servizi, e la legislazione relativa a quando può interessare lo straniero167. In questa direzione si

muove anche l'iniziativa dell'associazione “Il quarto ponte” che organizza corsi in preparazione della forza volontaria per farne assumere il valore dalla cittadinanza ed esprimere il bisogno di nuove risorse umane. Tra gli obiettivi del corso c'è quello di rendere il candidato volontario consapevole dell'offerta dei vari servizi della città.

La formazione è un momento imprescindibile per lo svolgimento di ogni professione. Ogni mediatore che ho incontrato dichiara di aver seguito almeno un corso di mediazione iniziale, per essere introdotto con le basi necessarie nella professione. È indiscutibile inoltre che quello con la formazione diventi per il mediatore un appuntamento fisso cui periodicamente deve sottoporsi in forma di aggiornamenti o approfondimenti su temi specifici.

Non è facile, veramente per fare l'operatore di questo servizio, è molto complesso. Non devi avere solo la preparazione tecnica, non la chiamerei giuridica, devi stare sempre al passo con tutto quello che sta succedendo, tanto è vero che noi facciamo dei corsi di formazione, ci sono degli avvocati, dei professori di università che vengono qua. La maggior parte di noi sono anche operatori presso molti sportelli in diversi comuni, lì da un certo punto di vista ti autogestisci. (Vesna)

Infine, ciò che non è raggiungibile con la formazione, si fa proprio con l'esperienza. Pensiamo ad esempio alla microlingua del settore medico o la terminologia propria impiegata per il contesto burocratico. Solo l'esperienza infatti può consolidare la propria preparazione e permettere di camminare sicuri nel campo minato della comunicazione interculturale.

Alla luce di tutto ciò, viene da chiedersi come una figura tanto preparata e formata possa non essere riconosciuta come soggetto professionale e per quale ragione il suo lavoro venga generalmente confinato al volontariato.

167Sia quella generale in materia di immigrazione, sia quella dei settori che tocca e specifica dei servizi sociali, della scuola, dell'ambiente sanitario. Naturalmente deve possedere la legislazione nazionale sia quella locale.