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La lingua come strumento di lavoro

1.3.1 Fare della competenza comunicativa interculturale una professione

Ed eccoci giunti al nocciolo della questione, di cui i due precedenti paragrafi hanno costruito le basi teoriche – e non solo.

Tra i diversi tragitti ed esperienze di vita che abbiamo analizzato finora, intendo intercettarne una. Tra tutti gli immigrati, esiste chi, ha deciso di apprendere di buon grado la lingua italiana; che sa accettare e usufruire dei cambiamenti che il contatto con un'altra cultura chiede alla sua stessa identità; che nell'affrontare le avversità del processo migratorio, decide di farsi soggetto attivo non solo allo scopo di una sua sopravvivenza, affermazione, realizzazione, ma anche per farsi strumento degli obiettivi altrui. Esiste chi, infatti, investe tutte le sue forze per reperire i mezzi e le condizioni per essere d'aiuto all'altro nelle difficoltà comunicative.

Il dialogo interculturale è il terreno fertile per far crescere relazioni positive. È però una dimensione cui si deve accedere con le dovute cautele e gli strumenti appropriati. Per questo motivo dev'essere affidato ad una figura formata e competente quale il mediatore linguistico-culturale136.

Il mediatore linguistico-culturale, infatti, si adopera per acquisire gli strumenti – un livello di competenza comunicativa, di conoscenza della cultura, del proprio territorio, un'apertura al confronto – tali da poter garantire, a chi questi strumenti non li ha ancora, una base d'appoggio nelle diverse difficoltà.

Il mediatore interculturale, potremmo dire, è l'unica figura a sapersi muovere in un contesto di multiculturalità e dirigere l'incontro verso la costituzione di un rapporto di comprensione e collaborazione tra i soggetti. Attraverso il suo intervento, mette a servizio dell'incontro tutto il suo bagaglio di formazione, esperienza e vocazione.

Come meglio vedremo nel prossimo capitolo, il mediatore, nel suo lungo soggiorno in Italia e spesso attraverso la formazione linguistica, ha maturato un competenza linguistica e comunicativa – e spesso anche metalinguistica e metacomunicativa – tale

136Si noti la doppia denominazione, che corrisponde alle competenze possedute: le lingue che si fronteggiano, seguite dal corredo culturale rispettivo. Vedremo questo nel prossimo capitolo.

da poter affrontare con tranquillità qualsiasi conversazione con gli italofoni. Il mediatore esperto conosce le regole della comunicazione in tutte le sue forme. È consapevole del significato dei segni del linguaggio non verbale e ha padronanza anche delle diverse microlingue, ovvero dei linguaggi specialistici dei settori in cui è chiamato a mediare137.

L'esperienza acquisita nello svolgere la sua professione, accompagnata dalla formazione e da una tendenza alla riflessione sui temi e i problemi interculturali – che come immigrato ha vissuto in prima persona – inoltre, gli consentono di gestire con le giuste misure il rapporto di intermediazione, creando un canale di comunicazione efficace e garantendo contro il rischio di conflitti per incomprensioni o malintesi. Ha raggiunto, possiamo dire, quella che abbiamo visto essere la competenza comunicativa interculturale138.

Per “vocazione” al lavoro interculturale è portato, inoltre, ad affrontare l'alterità in maniera aperta e disponibile. Sa regolare il giusto equilibrio per comprendere tutte le parti e sa quando agire e quando astenersi.

Ha assunto ciò che Roberto Dolci definisce “personalità interculturale” che “non è uno stato, ma, ancora una volta, un processo dinamico. […] non è fatta di varie identità sovrapposte, multiculturali, ma piuttosto di un continuo passaggio tra di esse. È un cantiere di lavoro in evoluzione”139.

Questa visione si avvicina al modello elaborato da Young Yun Kim.

Kim definisce, infatti, la dimensione della trasformazione interculturale di un individuo come la meta di un processo di “adattamento cross-culturale” che tende ad acquisire un'identità interculturale, identità che è per natura dinamica. Roberto Dolci riporta le sue parole:

L'adattamento cross-culturale viene definito da Kim come un processo 137Siano essi contesti medici, giuridici, scientifici, ecc. ognuno possiede un proprio vocabolario

composto di terminologie tecniche che il mediatore è tenuto a conoscere pena l'impossibilità di una traduzione efficace o perlomeno fluida. (BALBONI P. E., 2008, Fare educazione linguistica. Attività

didattiche per italiano L1 e L2, lingue straniere e lingue classiche, Torino, UTET Università, pag. 15)

138BALBONI P. E., 2007, La comunicazione interculturale, Venezia, Marsilio, pag. 19.

139DOLCI R., 2008, “Osservare e interpretare il processo di adattamento socioculturale: un modello di

analisi” in CAON F. (a cura di), Tra lingue e culture. Per un'educazione linguistica interculturale,

dinamico e complesso caratterizzato da una struttura multidimensionale e sfaccettata, le cui componenti operano interattivamente e simultaneamente (Kim, 2001, p XII). Questa transizione permette all'individuo di stabilire delle relazioni relativamente stabili, reciproche e funzionali all'ambiente circostante. […] Un siffatto processo si evolve attraverso la comunicazione e l'interazione del soggetto con l'ambiente e la comunità ospitante […] che passa attraverso fasi psicologiche di stress, adattamento e crescita.

[…] Attraverso l'interazione e la comunicazione con l'ambiente, l'individuo modifica il proprio sistema interno, integra concetti, attitudini e azioni, impara a partecipare e quindi progredisce.140

Siamo portate a credere, che per il ruolo che deve rivestire, il mediatore esperto abbia raggiunto il suddetto profilo.

Risulta quindi essere la figura più adatta ad assumere la responsabilità di costituire spazi di incontro tra le culture coinvolte e stimolare un clima di interazione a livello societario, a partire dalle esperienze di mediazione. Il suo lavoro, infatti, come vedremo, non si esaurisce solamente nell'intervento di mediazione, ma questo costituisce il punto di partenza per realizzare progetti di interculturalità, filosofia da cui trae ispirazione e fine verso cui tende.

Analizzeremo nel dettaglio il valore di questa professione nel prossimo capitolo. Concludiamo riportando il pensiero di Maalouf, a cui ci allineiamo, che così si esprime:

Basterebbero un po' di buonsenso, un po' di lucidità, un po' di volontà, perché le correnti di scambi, commerciali, culturali e di altra natura, fossero principalmente in mano a coloro che nutrono per il partner un interesse particolare, e che l'hanno dimostrato con un impegno culturale significativo sposandone la lingua identitaria; solo loro possono andare molto più lontano nella relazione141.

140DOLCI R., 2008, “Osservare e interpretare il processo di adattamento socioculturale: un modello di

analisi” in CAON F. (a cura di), Tra lingue e culture. Per un'educazione linguistica interculturale,

Milano, Mondadori, pag. 109-110.

Capitolo 2