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Chiara Barattucc

Nel documento Le trasformazioni dei lavori in corso (pagine 67-71)

Università Iuav di Venezia e Politecnico di Milano Dipartimenti: Dacc e Dppac (Iuav) – Dastu (PoliMi)

Email: barattuc@iuav.it

Abstract

In questo paper si propongono alcune riflessioni sull’importanza di potenziare la relazione tra due diversi “modelli” urbanistici europei: quello della progettazione degli ecoquartieri e quello del recupero dei centri storici. All’interno di strategie di pianificazione e progettazione urbanistica, sempre più attente, anche in Italia, al “risparmio di suolo” e alla “rigenerazione” dell’esistente, molti centri storici italiani potrebbero assumere un ruolo particolarmente rilevante, attraverso interventi diversificati, capaci di invertire il continuo e progressivo loro abbandono da parte degli abitanti e dei commercianti. Si sostiene quindi la tesi che un’attenta ed ecologica conservazione, riqualificazione e rivitalizzazione di molti centri storici italiani, perchè diventino gli ecoquartieri del futuro, potrebbe essere una valida risposta italiana alla moltiplicazione degli ultimi anni di questo “modello” urbanistico europeo. Inquadrando la rilevanza della cultura italiana sui centri storici nell’urbanistica europea di “ristrutturazione sostenibile” dell’esistente, si propone di mettere in evidenza i caratteri principali che connotano gli ecoquartieri europei, per riflettere sul possibile adeguamento di alcuni centri storici italiani rispetto a tali caratteri. Un esito atteso da queste riflessioni è una possibile ricerca inter-universitaria italiana ed europea, comparativa e operativa, strutturata sull’obiettivo di elaborare sperimentazioni progettuali interdisciplinari contestualizzate, a partire da casi studio specifici e differenziati.

Parole chiave: urban regeneration, historic centers, eco-neighborhoods.

La recente moltiplicazione del modello urbanistico europeo dell’ecoquartiere

Nel trentennio della cultura della sostenibilità (1987-2017), nei vari paesi europei, l’urbanistica di rigenerazione e ristrutturazione sostenibile dell’esistente si è concentrata, anche se in modi diversi, sulle 1

seguenti sei strategie d’intervento principali: 1. riconversione e riuso di aree dismesse o sottoutilizzate (industriali, militari, ferroviarie, ecc.); 2. rigenerazione e riqualificazione dei quartieri di edilizia residenziale pubblica; 3. incremento della mobilità sostenibile e riqualificazione degli spazi aperti pubblici; 4. conservazione e riuso dei tessuti urbani storici (centri storici, borghi rurali, ecc.); 5. valorizzazione, tutela e ristrutturazione del paesaggio (agrario, fluviale, boschivo, storico-culturale, ecc.); 6. realizzazione di ecoquartieri (per lo più in aree urbane non più utilizzate e dimesse, in minor misura in zone di espansione e solo in pochissimi casi in tessuti storici). Se non va dimenticato che le strategie di riqualificazione, ristrutturazione e riuso non sono un’invenzione degli ultimi decenni, ma che hanno comunque da sempre fatto parte della storia dell’urbanistica europea, va anche sottolineato che queste sei strategie principali sono divenute ormai dominanti e fanno ufficialmente parte dell’ european sustainable urbanism, in stretta associazione all’obiettivo europeo di consumo di suolo zero al 2050. Ognuna di queste sei strategie principali, nei diversi paesi, è stata utilizzata e applicata in modo diverso e ha assunto un differente peso. Tra queste, con un crescendo negli ultimi anni, sono stati però gli ecoquartieri a rappresentare una reale novità nella storia europea più recente del campo disciplinare urbanistico, che nel trentennio della sostenibilità è stato fortemente influenzato dalle politiche dell’UE per l’urbano, per il clima e l’energia e che trova nella Carta di Lipsia del 2007 molti orientamenti per rendere le città europee “città sostenibili”. A partire dagli anni novanta del secolo scorso, per la recente moltiplicazione degli ecoquartieri non solo in Europa, importante è stata l’intensa sperimentazione della loro progettazione e realizzazione partecipata e concertata. Basti ricordare i più noti ecoquartieri, citati spesso come esempi da seguire: Solarcity a Linz,

L’argomento relativo al trentennio 1987-2017 sulle “tendenze europee di ristrutturazione sostenibile del territorio esistente” è 1

stato centrale nelle attività di didattica e di ricerca universitaria di chi scrive negli ultimi dieci anni, in vari modi e in relazione a differenti parti e situazioni del territorio ‘occidentale’ europeo (aree produttive, militari, ferroviarie dismesse, paesaggio storico- culturale, periferie, paesaggi fluviale e agrario, centri storici, borghi rurali, dispersione insediativa, ecc.). L’urbanistica sostenibile europea differenzia i suoi obiettivi secondo le diverse situazioni e porzioni territoriali, agisce attraverso varie modalità d'intervento, da scegliere, adeguare e utilizzare con attenzione rispetto al contesto urbano, paesaggistico e territoriale considerato (riuso, riqualificazione, restauro, conservazione, rivitalizzazione, valorizzazione, demolizione, rinaturalizzazione, rimboschimento, ecc.).

Vauban a Friburgo, GWL Terrein ad Amsterdam, BedZed a Londra. Questi, insieme a molti altri, sono per lo più il risultato del riuso e della riqualificazione di diverse aree non più utilizzate. Al di là della loro variabile qualità architettonica, si tratta generalmente di quartieri che, nella loro progettazione e realizzazione, hanno posto grande attenzione alla mobilità sostenibile per la connessione con il resto del territorio urbano, alla mobilità dolce, poiché al loro interno generalmente gli spazi ad uso pubblico sono eslusivamente pedonali e ciclabili, al risparmio di risorse finite come acqua e suolo, alla forte riduzione dei consumi energetici grazie all’innovazione tecnologica, al ruolo giocato dalla componente vegetazionale per la riduzione dell’emissione dei gas a effetto serra, alla mixité sociale e funzionale, grazie soprattutto all’inserimento di percentuali diverse di edilizia residenziale pubblica. Sono questi i caratteri comuni della maggioranza degli ecoquartieri europei, ma un aspetto rilevante da mettere in evidenza è che essi sono considerati, da larga parte della cultura urbanistica internazionale, come un’importante invenzione dell’european sustainable urbanism degli ultimi decenni, come già sottolineava alcuni anni fa il noto urbanista inglese Peter Hall. Riconoscendo comuni principi e caratteri, studiando in particolare Hammarby Sjöstad a Stoccolma, Malmö a Copenhagen e Vauban a Friburgo, P. Hall inserisce l’ecoquartiere tra quei “modelli”, prodotti dall’urbanistica europea, che a partire dalla garden city di E. Howard, sono stati esportati internazionalmente. Hall considera, quindi, gli ecoquartieri come il più recente “modello” elaborato dalla storia di questo campo disciplinare. L’urbanista mette in evidenza anche il ruolo centrale che tale modello stava assumendo, nel contesto inglese, per l’elaborazione della politica delle ecotowns. Gli ecoquartieri europei, e in particolare il quartiere Vauban a Friburgo, hanno avuto poi una grande influenza anche per lo sviluppo del sustainable urbanism statunitense, molto legato all’importanza della componente vegetazionale, che li considera esempi privilegiati, come sottolinea, tra gli altri, l’architetto urbanista D. Farras in un suo libro di qualche anno fa.

Sopravvalutata o meno, l’invenzione europea del “modello” urbanistico degli ecoquartieri rappresenterebbe quindi un momento molto importante nella storia dell’urbanistica, un modello prodotto nel trentennio della cultura della sostenibilità, del tutto coerente con l’urbanistica di rigenerazione dell’esistente e strettamente connesso alle politiche e agli orientamenti per l’urbano, il clima e l’energia dell’Unione Europea.

Rispetto agli altri paesi, in Italia si sono realizzati ancora pochi ecoquarieri, secondo il “modello” urbanistico europeo, anche se “la moda” e un documento di Legambiente del 2011, intitolato “ecoquartieri per l’Italia”, stiano contribuendo a diffonderlo sempre più anche nel nostro paese. Interessanti, sotto diversi aspetti, sono alcuni recenti realizzazioni a Trento e a Milano, non solo per i contenuti, i materiali, le innovazioni tecnologiche, ma anche per riflettere sui cambiamenti che la cultura della sostenibilità sta apportando pure alla progettazione della dimensione fisica del tessuto urbano, nei principi insediativi proposti. In particolare, il quartiere le Albere a Trento, realizzato nel 2013, grazie alla ristrutturazione e al riuso della zona industriale dismessa della Michelin, rappresenta finora l’esempio più alto di progettazione di un ecoquartiere di qualità in Italia e interpreta in modo attento quelle tendenze urbanistiche europee degli ultimi decenni che si definiscono «sostenibili» nel recupero, riqualificazione e rivitalizzazione di aree non più utilizzate, degradate o dismesse. Sebbene si tratti di un ecoquartiere di alta qualità architettonica, molto ben contestualizzato e permeabile dal resto del tessuto urbano, c’è però da considerare che i prezzi degli immobili, sia per l’affitto che per l’acquisto, sono molto elevati: è quindi un ecoquartiere esclusivamente destinato ad abitanti appartenenti a fasce di reddito alte. Per quanto riguarda le dimensioni economiche e sociali della sostenibilità, Le Albere non presenta quindi quei principi e caratteri dell’ecoquartiere - “modello”, sebbene la dimensione ambientale sia stata strutturante e abbia guidato l’intera concezione dell’architettura urbana. Il suo progettista, l’architetto Renzo Piano, sostiene che mentre negli anni settanta la preoccupazione principale era la salvezza dei centri storici, il tema principale del nostro tempo è proprio relativo alla sostenibilità ambientale dell’intervento architettonico e urbanistico e alla progettazione degli ecoquartieri. Ebbene, seppure si possa sostenere che oggi gli ecoquartieri in Europa siano nuove importanti centralità e che saranno i centri storici del futuro, connettendo le due preoccupazioni legate alle difficili condizioni dei centri storici di oggi e le preoccupazioni relative a quegli ecoquartieri che non tengono in sufficiente considerazione tutte e tre le dimensioni della sostenibilità (non solo ambientale, ma anche sociale ed economica), qui si sostiene che la riqualificazione, rivitalizzazione e riuso dei centri storici di oggi rappresentino una strategia d’intervento estremamente attuale nel quadro dell’urbanistica europea di ristrutturazione sostenibile dell’esistente. Si sostiene, inoltre, che queste importanti parti del tessuto urbano richiedano una nuova, urgente e rinnovata attenzione da parte dell’urbanistica europea per diventare, loro, attraverso adeguamenti, riusi e riqualificazioni, i veri ecoquartieri del futuro.

L’urbanistica “sostenibile” italiana e la riqualificazione dei centri storici come ecoquartieri

In Italia, negli ultimi trent’anni, i principi dello «sviluppo sostenibile» sono entrati con un crescendo e in vari modi nelle leggi e negli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale considerando soprattutto la dimensione ambientale, anche se le ricadute concrete sul territorio non appaiono ancora sostanziali per poter parlare anche nel nostro paese di effettiva “urbanistica sostenibile”, a causa di resistenze culturali ed economiche legate alla rendita urbana e alla lentezza dell’innovazione del campo disciplinare urbanistico. Per quanto riguarda la rigenerazione urbana, connessa alla valorizzazione e tutela delle aree fertili e alla riduzione del consumo di suolo, rispetto agli altri paesi europei, al livello di legislazione nazionale l’Italia è rimasta, infatti, indubbiamente indietro. Nonostante importanti precedenti nella riqualificazione del territorio esistente, solo alcune recenti leggi regionali negli ultimi anni iniziano ufficialmente ad accogliere tali preoccupazioni, come in Toscana, Lombardia, Liguria, ma soprattutto in Emilia Romagna, dove la legge urbanistica, approvata nel dicembre del 2017, costituisce un importante passo in avanti, anche se ampiamente criticabile sotto molti e diversi aspetti. La stessa cosa non si può dire a livello nazionale. Sebbene, infatti, anche l’Italia aderisca ufficialmente all’obiettivo europeo di consumo di suolo zero al 2050, il disegno di legge approvato solo alla Camera nel maggio 2016 e intitolato «Contenimento del consumo di suolo e riuso del suolo edificato», sembra essere rimasto bloccato nella XVII legislatura. Malgrado sia argomento al centro del dibattito urbanistico e politico, non esiste dunque ancora una ferma volontà politica di Stato (come ad esempio in Germania) di associare la valorizzazione del territorio inedificato, permeabile e fertile, alla lotta al consumo di suolo e alla ristrutturazione e rigenerazione «sostenibile» del territorio esistente in tutte le sue parti e situazioni. Ma è anche vero che rispetto alle sei strategie d’intervento dominanti nel quadro europeo, elencate in precedenza, l’Italia è il paese che sin dal secolo scorso, ha concentrato di più la sua attenzione sul recupero, riuso e riqualificazione dei tessuti urbani storici. Ricordiamo, infatti, che sin dalla Carta di Gubbio del 1960 e da alcune esperienze esemplari, prime tra tutte quella del centro storico di Bologna, l’Italia ha costruito un verso e prorio “modello” urbanistico di riqualificazione dei tessuti urbani storici che ha influenzato fortemente l’urbanistica degli altri paesi europei in materia. Il recupero del centro storico di Bologna è stato, in particolare, estremamente importante in Francia per l’elaborazione della démarche del projet urbain. Nel caso di Bologna, quindi, la cultura urbanistica della “ristrutturazione”, riqualificazione e riuso del territorio esistente, con una particolare attenzione ai tessuti urbani storici, ha mezzo secolo ed è confermata anche dal Piano urbanistico approvato ormai dieci anni fa, ma anche dalla recente legge urbanistica regionale dell’Emilia Romagna.

A cavallo tra XX e XXI secolo e soprattutto negli ultimi anni, nell’urbanistica italiana a differenti scale (paesaggistica-territoriale, comunale, attuativa) si sono quindi consolidati molti temi legati allo «sviluppo sostenibile», alcuni, anche se vecchi, sono stati indubbiamente aggiornati dalla cultura europea della sostenibilità, ma al di là del caso bolognese, certo non sono stati i tessuti urbani storici ad essere al centro dell’attenzione come luoghi strategici di riqualificazione urbana, anzi, lo sguardo era rivolto altrove. Mentre la dispersione insediativa di case, attività produttive e centri commerciali, contribuiva fortemente al progressivo loro abbandono da parte degli abitanti e dei commercianti, l’urbanistica italiana pensava ad altro. Un importante cambiamento di tendenza sembra però farsi strada: la riflessione su una “strategia nazionale per il rilancio delle aree interne” e finalmente la recente legge «salva-borghi» 2017-2023, sembra essere un importante sintomo che anche in Italia l’urbanistica di ristrutturazione e rigenerazione sostenibile del territorio esistente deve includere assolutamente nella sua elaborazione i migliaia di centri storici minori italiani. Molte e indispensabili differenziazioni devono ovviamente essere fatte tra le diversità dimensionali, architettoniche e sociali dei tessuti urbani storici, ma se concentriamo qui l’attenzione sui centri storici di molte medie e grandi città italiane, risulta sempre più evidente da varie ricerche in corso che il loro riuso, riqualificazione e rivitalizzazione sia urgente e necessario. Alcune conferenze e convegni recenti mostrano che forse questa consapevolezza sta crescendo non solo all’interno della cultura urbanistica, ma anche nel dibattito politico. Interessante appare, in particolare, uno studio sulla situazione dei centri storici italiani promossa proprio in questi anni da Ancsa-Cresme che sta iniziando a precisare il quadro italiano sotto diversi aspetti. Per quanto riguarda il loro adeguamento “sostenibile” come ecoquartieri, secondo le tre dimensioni ambientale, socio-culturale ed economica, se anche i centri storici sono stati compresi nella riflessione di alcuni anni fa di Legambiente a riguardo, è anche vero che concretamente non si è fatto nulla. I centri storici italiani non sono stati riqualificati con attenzione rispetto ai caratteri che si riconoscono negli ecoquartieri. Si è pensato spesso alla mobilità sostenibile, si è migliorata la qualità degli spazi pubblici e la loro pedonalizzazione, più raramente la loro riqualificazione si è occupata del restauro dei singoli edifici e dei loro involucri considerando le loro prestazioni energetiche, la loro riconversione ecologica o il recupero delle acque. Tanto meno la riqualificazione e rivitalizzazione del tessuto urbano fisico/sociale dei centri storici, è stata fondata su mixités diverse, funzionali e sociali.

Eppure in molti casi si potrebbe farlo. Per il loro adeguamento come ecoquartieri non mancano soltanto attente ricerche su casi specifici, mancano anche adeguati programmi/progetti d’intervento, politiche economiche e strumenti finanziari capaci di sostenere la loro rinascita. Eppure anche nel nostro paese, come nel resto dell’Europa, un importante cambiamento rispetto all’urbanistica italiana del passato, c’è stato e riguarda il maggiore utilizzo di politiche urbane fondate sulla crescente fiducia accordata alla partecipazione degli abitanti e alle negoziazioni differenziate tra molti attori economici (pubblici, privati, misti). Si riuscirà, attraverso queste politiche a costruire in modo ‘condiviso’ una ‘visione’ concretamente utilizzabile per i centri storici di oggi come ecoquartieri? O si continuerà a costruirli altrove? Magari ancora a Trento. L’Italia, nel quadro di un’urbanistica strutturale/strategica di “rigenerazione” sostenibile dell’esistente, invece, potrebbe avere un importante ruolo da svolgere: quello di elaborare un nuovo “modello” urbanistico che dimostri che gli ecoquartieri del futuro sono nel tessuto del nostro passato.

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