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Christian Novak

Nel documento Le trasformazioni dei lavori in corso (pagine 179-186)

Politecnico di Milano

DAStU - Dipartimento di Architettura e Studi Urbani Email: christian.novak@polimi.it

Abstract

All’interno del dibattito urbanistico il tema del riuso del patrimonio costruito è divenuto centrale a valle di un periodo di crisi del mercato immobiliare, di una nuova sensibilità per lo spazio aperto (consumo di suolo, fruizione, paesaggio, rischio idrogeologico), di una percentuale crescente di patrimonio abbandonato. Il centro del dibattito è occupato dal tema del recupero delle aree dismesse industriali e dall’adeguamento energetico dell’enorme patrimonio costruito nel dopoguerra, mentre il dibattito sui centri storici sembra essere bloccato fra le argomentazioni dei conservatori, il dibattito sulla ricostruzione dei centri storici devastati dai terremoti del centro Italia e dal motto semplificante e consolatorio “ricostruire com’era e dov’era”. Nel durante i piccoli centri storici italiani, quelli che non sono al centro dell’attenzione dei media, che non sono meta turistica, vivono il dramma dell’abbandono o per contro di un cieco processo di demolizione e ricostruzione. In entrambe i casi la pianificazione urbanistica non sembra attrezzata ad incidere sui processi, sia per una rigidità normativa, sia per una cultura professionale diffusa, soprattutto nei territori provinciali, che non è attrezzata per la valorizzazione del patrimonio. A partire da esperienze dirette di pianificazione di piccoli centri storici, si propone un ragionamento su come il Piano Urbanistico possa tornare a costruire una cultura della bellezza e della conservazione e su quali strumenti normativi si possano studiare per stimolare il recupero del patrimonio abbandonato, specie se di qualità e su quali misure normative possano contribuire a riattivare il recupero del patrimonio abbandonato.

Parole chiave: centri storici, abbandono, patrimonio

1 | Segnali di crisi dei centri storici minori

Segnali di crisi dei centri storici minori italiani, di quelle migliaia di piccoli comuni sotto i 25.000 abitanti, sono sempre più evidenti. In misura ed in forme diverse, nei territori interni, nel centro Italia terremotato, nei tanti paesi mal cresciuti del nord, nei borghi spopolati del sud, i centri storici minori, esclusi o al margine dei processi di valorizzazione turistica, vivono da tempo fenomeni di abbandono del patrimonio edilizio storico, che sembrano non trovare una soluzione.

I paesi spopolati dei territori interni vivono la situazione più difficile. I palazzi una volta dei dignitari locali, sono abbandonati da anni, vittime del loro essere troppo costosi da recuperate, dell'essere difficilmente appetibili sul mercato turistico, dell'assenza di potenziali abitanti o fruitori, per i costi di manutenzione troppo elevati per le famiglie impoverite o semplicemente distanti ed interessate ad altro.

Le costruzioni agricole, lontane dai distretti dell'agriturismo, svuotate dai contadini da oltre mezzo secolo, sembrano dei vuoti a perdere di una economia agricola che non ne ha più bisogno, dei rifiuti, difficilmente riciclabili, per i quali il costo di recupero è superiore al valore immobiliare. Sono costruzioni povere e fragili che solo dopo pochi decenni di abbandono divengono sostanzialmente irrecuperabili. Velocemente evolvono in materiale di studio per gli archeologi del futuro.

Nei centri storici minori del nord, ricco e distratto, dove l'ideologia della villetta e dei centri commerciali ha svuotato di "centralità" il centro storico, affianco all'abbandono, gode di ottima salute la pratica della demolizione e ricostruzione fedele, del sopralzo, del portico, della demolizione del tessuto antico e della ricostruzione di un nuovo modello di edilizia pseudo storica, mimetica, ma che importa all'interno di tessuti antichi gli standard di vita contemporanei e richiesti dal mercato (i box sottocasa, un po' di verde privato, la loggia, il balcone), spesso incompatibili con la fragile composizione dei tessuti storici.

O ancora i tanti centri storici agricoli, nelle grandi pianure del nord, che hanno ereditato dal passato un patrimonio di edifici agricoli all'interno dei centri storici, che faticano a trovare una posizione sul mercato e ad essere riconvertiti in nuovi usi, ma che costituiscono spesso una percentuale rilevante dei volumi esistenti.

Figura 1 | Edificio di origine tardo medioevale, non soggetto a vincolo ministeriale nel comune di Bussolengo (VR) in stato di abbandono e parzialmente crollato. Fonte: foto dell'autore.

2 | Fra norme contraddittorie e ricette inefficaci

Nel paese che detiene un invidiato patrimonio storico, nel paese degli 8.000 comuni e dei 22.621 centri storici , la norma nazionale sul recupero del patrimonio edilizio è del 1978, una norma vecchia di 40 anni. 1 2

Questo dato a prescindere dalla validità ed efficacia della norma, fa riflettere sull'attenzione al patrimonio storico diffuso, e al ruolo debole della pianificazione urbanistica nella valorizzazione dei centri storici. Sono, spesso, più influenti sul destino dei centri storici, o rischiano di esserlo, norme di carattere settoriale. Tre norme in particolare rischiano di costituire un forte incentivo alla sostituzione edilizia del patrimonio storico non tutelato.

La normativa antisismica che cerca di dare risposta al dramma dei ripetuti terremoti del centro Italia, 3

contiene al suo interno un rischio implicito per il patrimonio storico, la cui dimensione è ancora poco studiata. Il rischio è quello di creare una diseconomia ulteriore nel recupero delle strutture storiche esistenti, introducendo norme e standard di sicurezza che sono difficilmente applicabili all'edilizia storica o particolarmente onerose. La difficoltà di applicazione di queste norme è una delle principali argomentazioni utilizzate dalle proprietà e dai tecnici per dimostrare l'impossibilità economica degli interventi conservativi sul patrimonio, e per orientare i progetti alla demolizione e ricostruzione.

La normativa sul risparmio energetico , legando l'obbiettivo del contenimento del consumo energetico a 4

specifici incentivi economici, defiscalizzazioni e incentivi volumetrici (esclusione dal calcolo delle volumetrie dei muri esterni, dell'ispessimento dei solai e delle coperture), produce di fatto una convenienza ulteriore alla demolizione e ricostruzione degli edifici o all'applicazione impropria di tecnologie di isolamento (cappotti) ad edifici storici. Sempre più spesso si vedono improbabili facciate coibenti su edifici storici con cornici liberty, balconi o ballatoi che vengono incassate all'interno di false facciate dal sapore "plastico" e apparati decorativi che vengono messi in secondo piano rispetto alle prestazioni energetiche. Una normativa generalista che non è stata in grado di prevedere una specifica declinazione per l'edilizia storica, ne in merito all'applicabilità, ne rispetto a possibili norme di salvaguardia degli apparati decorativi di facciata.

Si fa riferimento in particolare alla mostra "il Bel Paese", Triennale di Milano, 27 settembre-26 novembre 2017, e alla 1

pubblicazione Albrecht B., Magrin A. (a cura di, 2017), Il Bel Paese. Un progetto per 22621 centri storici, Rubbettino, Saveria Manelli (CZ).

Legge 5 agosto del 1978, n. 457 “Recupero del patrimonio edilizio esistente” 2

Il DM del 17/01/2017 fa chiarezza, in particolare sulle norme costruttive antisismiche da applicare agli edifici esistenti. 3

Le normative sul risparmio energetico sono declinate a livello regionale, mentre gli incentivi fiscali sono definiti dalle leggi di 4

Figura 2 | Palazzo padronale nel centro storico di Gioi Cilento (SA) in stato di abbandono ed in attesa di una possibile valorizzazione turistico ricettiva.

Fonte: foto dell'autore.

La certificazione statica degli edifici, così come quella energetica, pensate per adeguare e migliorare il vetusto patrimonio edilizio italiano, potranno contribuire più che ad un suo adeguamento, ad una sostituzione, con un costo culturale e paesaggistico, oltre che ecologico difficilmente quantificabile.

In sostanza sembra sempre mancare nella ratio legislativa settoriale sull'edilizia un'attenzione specifica all'edilizia storica, fatta eccezione per quella sottoposta a vincolo ministeriale, che induce di fatto ad interventi inadeguati o alla convenienza della demolizione e ricostruzione.

In alcune regioni, inoltre, agisce, in combinato, ancora la normativa relativa al Piano Casa , ad esempio in 5

Veneto o in Campania, dove da anni viene prorogata la norma con il solo limite di non applicabilità agli edifici sottoposti a forme di vincolo (ministeriale, paesaggistico o da piano regolatore comunale).

La normativa permette incrementi volumetrici fino al 20% a fronte di un miglioramento energetico. L'interpretazione ed estensione degli interventi di ristrutturazione fino alla demolizione e ricostruzione 6

con sagoma diversa dalla preesistente, ha, inoltre, introdotto uno strumento che tende a mettere sullo stesso piano interventi conservativi ad interventi non conservativi. Questa interpretazione induce molte amministrazioni, poco attente, a fraintendimenti e ad equiparare nella sostanza la conservazione alla distruzione, agevolando, di fatto, la perdita del patrimonio storico.

Infine la normativa nazionale sui parcheggi di pertinenza , ammette la realizzazione di parcheggi interrati 7

o di superficie nei centri urbani, compresi i centri storici, in deroga alla pianificazione urbanistica, fatta eccezione, anche qui, per i soli vincoli ministeriali.

Il combinato disposto di queste leggi di settore sull'edilizia sembra svuotare la pianificazione urbanistica, in particolare sui centri storici, tendendo a ridurla ad un esercizio teorico di buone pratiche, potenzialmente disattendibili dalle proprietà o economicamente meno convenienti rispetto alla somma degli incentivi proposti dalle norme nazionali.

.Le leggi cosiddette "Piano Casa" hanno declinazioni regionali e vengono autonomamente prorogate e modificate dalle 5

assemblee regionali.

Testo Unico dell’Edilizia D.P.R. 380/01 all’art.3, comma 1, lettera d. 6

Si fa riferimento alla cosiddetta legge Tonioli n. 122 del 24 marzo 1989 che aveva come principale obiettivo la liberalizzazione dei 7

parcheggi interrati nelle grandi aree urbane, ma che non distingue al suo interno ne con specifiche decreti applicativi, il campo di applicazione, e viene quindi esteso indifferentemente a tutte le aree urbanizzate.

Figura 3 | Complessi di annessi agricoli un tempo di proprietà di famiglie nobiliari milanesi e ceduti ai contadini a partire dagli anni '50 in un centro storico lombardo Cornaredo (MI), in attesa di una nuova funzione

Fonte: foto dell'autore.

Ammettiamo di essere proprietari di un edificio antico in un piccolo centro, in cattivo stato di manutenzione, di essere in una regione in cui vige ancora il Piano Casa, di avvalerci di professionisti locali abituati ad una pratica progettuale standardizzata e non su misura. Se si opta per la demolizione e ricostruzione, si ottiene un premio volumetrico per il risparmio energetico, un adeguamento antisismico più economico, gli incentivi e gli sgravi fiscali relativi ad entrambe, il premio volumetrico del Piano Casa, la possibilità di fare posti auto interrati sotto il sedime della casa, di recuperare il volume del sottotetto, aumentando complessivamente la volumetria rispetto all'esistente in misura considerevole. Il recupero del vecchio edificio si orienta naturalmente verso la demolizione e ricostruzione, salvo in casi di grande sensibilità della proprietà, dei tecnici e dell'amministrazione locale.

Inoltre la stessa politica fiscale nazionale prevede un'IVA agevolata al 4% sulle nuove costruzioni e il 10% su interventi di risanamento conservativo e restauro, incentivando la filiera edislizia della nuova costruzione rispetto a quella del restauro.

E' così, ad esempio, che in un piccolo comune del veronese (Bussolengo, 20.000 abitanti), accade che all'interno del centro storico solo il 40% degli edifici siano effettivamente più vecchi di 70 anni, e su 700 edifici complessivi circa 100 edifici siano in stato di abbandono, in attesa di essere demoliti e ricostruiti. Le ricette classiche della pianificazione urbanistica e dei Piani di Recupero sembrano essere inefficaci di fronte alla convenienza economica e alla libertà di azione che le normative di settore sull'edilizia nazionali e locali danno a proprietà e tecnici.

I premi volumetrici presenti nella pianificazione locale, sono stati spesso superati in offerta da quelli delle norme nazionali. A valle di dieci anni di contrazione del mercato immobiliare, ed in una situazione di sovra-offerta immobiliare, l'incentivo volumetrico ha perso in parte anche la sua efficacia. In particolare i premi volumetrici da esprime in loco, in adiacenza o sopraelevazione dell'edificio, inducono l'introduzione nei delicati equilibri dei centri storici, già densi, di forme e dimensioni talvolta inappropriate ed innescano processi contraddittori con le norme nazionali (ad esempio antisismiche). Una sopraelevazione di un edificio ne modifica la struttura e, quindi, rende obbligatorio affrontare le procedure di adeguamento antisismico, orientando la convenienza economica verso la demolizione integrale.

3 | Prove di sperimentazione a partire dalla pianificazione urbanistica

La pianificazione urbanistica esce sicuramente depauperata dall'applicazione delle norme nazionali, ma sono possibili, comunque, strategie di pianificazione che possano offrire un futuro al patrimonio storico minore e diffuso nei piccoli centri. Il panorama delle sperimentazioni è ampio e spesso declinato a seconda dei contesti e degli obiettivi specifici. Molto, ad esempio, si sta facendo nei territori terremotati all'interno dei piani di ricostruzione. Metodi, guide, manuali, norme, pratiche nascono prevalentemente dalla cultura dei conservatori, dalle scuole di restauro, di architettura, ma trovano difficilmente spazio nella riflessione urbanistica. Le motivazioni sono molteplici, e anche di carattere culturale e disciplinare. Urbanistica e conservazione sembrano essere due mondi separati, incapaci di dialogare, orientati

ontologicamente a conservare il passato e a pianificare il futuro. Nella pianificazione urbanistica, nella pratica quotidiana dell'atto pianificatorio il centro storico è una zona omogenea in cui le trasformazioni sono solo orientate ad un teorico maggiore controllo, in cui i vincoli sono spesso ancora limitati agli edifici di riconosciuto interesse storico. Tentativi passati di estensione dei vincoli attraverso la costruzione di regesti regionali , negli anni '90, spesso non hanno sortito un maggior livello di conservazione, ma si sono 8

limitati a registrare uno stato di fatto del patrimonio, oggi in alcuni casi scomparso.

La crisi gestionale e di risorse delle sovrintendenze, gioca anch'essa un ruolo nel processo, così come i continui tentativi di delegittimazione e di liberalizzazione dei processi amministrativi e autorizzativi nel campo dell'edilizia.

Nelle stesse amministrazioni comunali, assuefatte all'impotenza e all'inadeguatezza delle risorse, umane, culturali ed economiche, la conservazione dei centri storici non costituisce una priorità, non produce oneri urbanistici rilevanti, anzi al contrario riduce le entrate economiche a fronte, invece, degli oneri dovuti per interventi non conservativi. I tecnici comunali escono raramente dagli uffici e le loro competenze sono schiacciate dalla routine di un lavoro amministrativo, che si limita ad un controllo documentale e formale. Sperimentare vie di uscita dal vicolo cieco in cui sembra essere obbligato il destino dei centri storici minori, non è ancora riconosciuto come un obiettivo strategico del fare urbanistica. Se andiamo oltre alle elaborazioni sul recupero del patrimonio industriale storico dismesso, ormai già invecchiato dal punto di vista del dibattito accademico, ma ancora affrontato prevalentemente nella pratica urbanistica come un bacino di volumi potenziali per nuove edificazioni residenziali, poco si intravede all'orizzonte.

Partire dalla costruzione di una conoscenza può essere già un buon innesco. In molti Comuni non c'è consapevolezza della consistenza del proprio patrimonio e la fase di rilievo ed analisi storica nei piani urbanistici riveste un ruolo secondario, anche dal punto di vista puramente economico. Il primo atto è, quindi, quello del ritornare a conoscere, dell'osservare, del valutare, del distinguere, dell'entrare anche all'interno degli edifici, nelle corti, di indagarne la storia ed i racconti, ma anche del comunicare, ai cittadini, tecnici e amministratori, le qualità dei centri storici.

Nei nostri recenti Piani l'analisi dei tessuti storici e le norme di conservazione sono direttamente 9

connesse, comunicate, raccontate, anche con iniziative itineranti rivolte ai cittadini, tecnici e amministratori, coinvolgendo i tecnici e i politici nei sopralluoghi, introducendo, anche nelle norme, forme di verifica obbligatoria dei tecnici sul campo. L'obiettivo che intendiamo perseguire è quello di rendere trasparente, scientificamente motivata e il più possibile stabile nel tempo la definizione di valore di un bene e le relative prescrizioni.

La fase di analisi della storia, dei meccanismi di genesi e sviluppo dei tessuti storici, di analisi dei caratteri tipologici e morfologici, deve avere oggi l'obiettivo di riconoscere il valore storico della complessità dei tessuti antichi, di pregio architettonico, ma anche dell'edilizia tradizionale corrente, per agevolarne la conservazione materica, e non solo della forma urbana e della tipologia edilizia, come nella tradizione urbanistica tipo morfologica italiana degli anni '60 e '70 , ed evitare la mera conservazione dell'edilizia di 10

pregio, secondo un'ottica selettiva e sostanzialmente classista.

Una seconda strategia adottata è quella della diversificazione degli incentivi volumetrici per il recupero del patrimonio storico abbandonato, a fronte del riconoscimento di un valore collettivo del patrimonio edilizio storico privato.

Due sono le direzioni principali sviluppate: la limitazione nel tempo degli incentivi volumetrici al fine di accelerare i processi di recupero e ridurre il rischio di perdita del bene per deperimento; l'eventuale delocalizzazione dell'incremento volumetrico all'esterno del centro storico, su lotti della medesima proprietà, su terreni pubblici soggetti ad apposita convenzione, su altri terreni privati come incremento dei volumi ammessi.

Ad esempio il SIRBeC- Sistema Informativo dei Beni Culturali della Regione Lombardia. SIRBeC è il sistema di catalogazione, 8

del patrimonio culturale lombardo, pubblico o privato, diffuso sul territorio o conservato all'interno di musei, raccolte e altre istituzioni culturali. A partire dal 1992, attraverso SIRBeC, è stata avviata una nuova politica culturale di conoscenza e

documentazione dei beni culturali in Lombardia per il supporto ad azioni di tutela e conservazione ed inoltre per la promozione di iniziative di valorizzazione.

Si fa riferimento ad un gruppo di lavoro composito e mutevole, che fa riferimento al DAStU del Politecnico di Milano ed al 9

Prof. Arturo Lanzani, ma che agisce anche professionalmente al di fuori dell'università, composto da Christian Novak, Mariasilvia Agresta, Daniela Gambino, Claudia Parenti, e che si è occupata a vario titolo negli ultimi anni di pianificazione urbanistica comunale (Monza, Desio, Bussolengo, Gioi, Cornaredo) e di pianificazione e progettazione ambientale ed ecologica.

Si fa riferimento agli studi su Venezia di Saverio Muratori , agli studi di Carlo Aymonino e di Aldo Rossi sulle tipologie e i 10

La delocalizzazione dei volumi premiali porta con se un duplice vantaggio, incentiva il recupero del patrimonio storico e controlla la realizzazione di nuovi volumi nel tessuto antico.

Una terza strategia è quella di differenziare gli interventi edilizi ammessi in centro storico per ogni singolo edificio in funzione di un processo di conoscenza e preminenza dei caratteri storico architettonici locali. La logica delle zone A omogenee soggette a Piano di Recupero di iniziativa privata, senza una distinzione accurata degli interventi ammessi, rischia di legare il destino dei centri storici ad una contrattazione pubblico privata, senza basi fondate di conoscenza e di strategia pubblica sugli obiettivi di conservazione, e di esporre le amministrazioni a confronti asimmetrici con i privati.

I Piani sviluppati di recente dal gruppo di lavoro propongono, quindi, un'accurata classificazione degli interventi per ogni singolo edificio, la possibilità di operare in convenzione secondo gli obiettivi del Piano, di procedere su ogni singolo edificio con intervento diretto, se di tipo conservativo, ed individua ambiti particolarmente complessi o prioritari in cui sviluppa Ambiti di Riqualificazione Urbana.

Una ulteriore strategia è quella legata alle funzioni. Si propone per i centri storici un superamento della pianificazione funzionale, prevedendo una sostanziale indifferenza funzionale, ossia la possibilità di introdurre funzioni diverse senza limiti (in parte mantenuti solo per le superfici commerciali e per le attività non compatibili). L'indifferenza funzionale è fondamentale per liberare nuove potenzialità, per incrementare la fattibilità economica degli interventi, per agevolare le attività commerciali e artigianali, spesso molto deboli nei centri storici minori.

Infine una riflessione va sviluppata nel rapporto fra offerta immobiliare nei centri storici e nelle zone di espansione. Se i piani urbanistici continuano ad essere generalmente sovradimensionati in termini di offerta di edificabilità ex novo, difficilmente gli operatori saranno orientati ad interventi più difficili ed onerosi nei centri storici o nel patrimonio industriale dismesso. Lavorare sull'esistente deve divenire una priorità anche nell'offerta di trasformazione dei piani urbanistici.

4 | Note per il recupero del patrimonio storico abbandonato

Il nodo dell'abbandono del patrimonio storico non si può sciogliere solo attraverso la leva urbanistica locale, che abbiamo visto essere debole e di carattere volontario.

Da un lato è necessario rivedere le politiche edilizie nazionali, per prevedere all'interno di queste specifiche declinazioni per l'edilizia storica, anche non soggetta a vincolo, dall'altro si rende sempre più necessario costruire forme di incentivi e disincentivi che orientino al recupero del patrimonio edilizio abbandonato, prioritariamente di carattere storico.

Le forme di disincentivo all'abbandono degli edifici, sono, oggi, deboli e inefficaci e si limitano a due campi, quello della tassazione, che prevede aliquote massime dell'IMU per gli edifici non utilizzati, e forme

Nel documento Le trasformazioni dei lavori in corso (pagine 179-186)