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Federica Fava

Nel documento Le trasformazioni dei lavori in corso (pagine 83-90)

Università IUAV di Venezia

Dipartimento di Progettazione e Pianificazione in Ambienti Complessi Email: [email protected]

Abstract

Il paper discute alcune pratiche individuali e collettive che si riconoscono, oggi, nell’abitare Venezia, spesso in risposta alle logiche respingenti di un centro storico sempre più immerso nei flussi turistici di massa. Gli esempi riportati costituiscono alcuni esiti di due ricerche sviluppate entro il Cluster Lab “H-City. Housing in the City” dell’Università IUAV di Venezia, condotte attraverso indagini quantitative e qualitative sulla realtà abitativa veneziana. Il paper si compone di due paragrafi. Il primo descrive le condizioni di spopolamento e invecchiamento che caratterizzano le isole minori della città; al contempo traccia un quadro di alcuni nuovi “isolani” che, in controtendenza rispetto alle dinamiche in atto, decidono di trasferirsi e di vivere stabilmente in tali contesti. Il secondo paragrafo, invece, racconta l’esperienza di una realtà di movimento, l’Assemblea Sociale per la Casa, da anni impegnata nell’occupazione-ristrutturazione-assegnazione di case pubbliche, attivando processi che, dallo spazio domestico, questionano e ridefiniscono le principali economie della città.

Parole chiave: housing, tourism, urban practices

Introduzione

Venezia è spesso descritta come un “Disneyland sul mare”, un parco giochi globale sempre più immerso nei flussi turistici di massa che ne minacciano la sua stessa appartenenza ai patrimoni dell’umanità UNESCO (Tantucci, 2017a). Studi e ricerche, negli anni, hanno confermato tale lettura, evidenziando la riduzione dei residenti e la progressiva “turisticizzazione” del centro storico (Settis, 2014; Minoia, 2017). Ciò nonostante, i timidi provvedimenti sul decoro urbano e sui cambi di destinazione d’uso degli immobili , e i significativi investimenti sulla costruzione di nuove strutture alberghiere in terraferma 1

(Mestre) continuano a essere l’espressione di operazioni di marketing territoriale che concepiscono il turismo come uno dei più importanti campi di investimento della Regione Veneto (Regione del Veneto, 2017; Bramezza, 2018). A questa situazione si aggiunge la mancanza, da parte della stessa amministrazione comunale, di politiche abitative efficaci volte a favorire la residenzialità in centro storico.

L’approvazione della variante n. 18 al Piano degli Interventi per la Città Antica, volta a bloccare ulteriori insediamenti di attività 1

ricettive e alberghiere nel centro storico (comunque ammissibili con deroga comunale), esclude dal suo raggio d’azione sia le isole lagunari che la terraferma.

Non è un caso che, nel 2017, Anno Internazionale del Turismo per lo Sviluppo Sostenibile, il Tribunale Internazionale degli Sfratti (ITE) scelga Venezia, simbolo mondiale di interessi e conflittualità legate 2

all’attività turistica, come sua sede temporanea. Il caso dell’isola di Pellestrina, specificatamente sottoposto al tribunale come paradigma della situazione veneziana, evidenzia proprio la recente estensione dell’industria turistica anche in zone geograficamente ai margini più remoti del Comune, con importanti conseguenze sulla domanda di casa da parte dei residenti (Tantucci, 2017b).

Sebbene la sempre più intensa diffusione del fenomeno turistico nei “bordi” lagunari (contesti a bassa densità insediativa caratterizzati da limitata accessibilità territoriale, spopolamento, invecchiamento della popolazione e, al contempo, inestimabile patrimonio paesaggistico-ambientale) si configuri come una concreta manifestazione del fenomeno della “planetary urbanization” (Brenner, 2014), entro tale contesto è possibile riconoscere pratiche (individuali e collettive) che si fanno espressione di forme “alternative” del vivere Venezia, manifestazioni di una concezione diversa di abitare la casa e la stessa città. L’obiettivo di questo paper è quello di raccontare alcune situazioni in cui individui e gruppi variamente attratti dalla laguna veneziana e dalle sue isole hanno organizzato soluzioni residenziali innovative e “resistenti” alle logiche espulsive del centro storico, spesso facendo della casa uno spazio di soglia (Stavrides, 2016) dialogante tra dimensione pubblica e privata.

1 | Abitare le isole minori della laguna

Come confermato dai più recenti dati forniti dal Servizio Ricerca e Statistica del Comune di Venezia, il centro storico della città e, con ancor più intensità, le isole minori lagunari, sono caratterizzate da progressivo spopolamento e invecchiamento demografico, dinamiche in corso da oramai un cinquantennio. Tra il 2007 e il 2015, infatti, tutti i quartieri del contesto lagunare registrano una ulteriore e significativa diminuzione di residenti, in particolare Burano-Mazzorbo-Torcello (-15,46%), S. Marco- Castello-S. Elena-Cannaregio in centro storico (-8,73%), e l’isola di Pellestrina-S. Pietro in Volta (-8,57%). Sono in primis le condizioni di “marginalità” territoriale e di difficile accessibilità delle isole a essere causa di tale continuo e intenso spopolamento. Non di rado, all’abbandono degli abitanti e delle abitazioni, e alla chiusura di attività economiche e servizi, si sono sostituite attività ricettive e resort di lusso, in un quadro di progressiva “turisticizzazione” di Venezia, non solo nel centro storico, ma anche nei suoi margini lagunari più remoti. Eppure, sottotraccia e in controtendenza, esistono storie di persone che – volontariamente – decidono oggi di andare (o tornare) a vivere nelle isole, anche in assenza di specifiche politiche pubbliche volte a favorire il reinsediamento, qui, di abitanti. Pur risultando impossibile un’esatta quantificazione del fenomeno, l’osservazione di tali pratiche consente comunque di riflettere sulle dimensioni che l’abitare assume, oggi, in territori tradizionalmente concepiti come marginali (fig. 1). Le pratiche sono, come ovvio, molto diverse tra loro, e ogni pretesa di eccessiva generalizzazione rischia di rivelarsi fuorviante. Eppure, le evidenze empiriche sino a oggi ottenute nel corso delle interviste condotte nelle isole di Burano, Giudecca, Pellestrina, Sant’Erasmo, Torcello e Vignole consentono già di individuare alcuni tratti comuni. Essi fanno riferimento, nello specifico, all’idea di isola e all’idea di abitare che i nuovi abitanti manifestano.

L’ITE è un tribunale di opinione fondato nel 2011 dall’Alleanza Internazionale degli Abitanti con la collaborazione di 2

Figura 1 | Isola di Torcello (foto di Matteo Basso)

Idea di isola

In prima battuta, la scelta di trasferirsi nelle isole si lega a un’idea delle stesse che è ben diversa da quella dominante nell’immaginario comune, legata al frame (negativo) di marginalità. Al contrario, il trasferirsi ai margini diventa un’opportunità di cambiamento personale e di ricerca di uno stile di vita più lento, silenzioso, al contatto con la natura, ben lontano dalla frenesia turistica del centro storico veneziano e dal vivere “urbano” di Mestre-Marghera, in terraferma.

Idea di abitare

Per le famiglie e le giovani coppie con famiglia in formazione, la decisione di trasferirsi nelle isole si lega ovviamente a una motivazione economica, connessa, in particolare, all’acquisto di appartamenti e di case. Tali contesti, di fatto, offrono la possibilità di acquisto e ristrutturazione di case unifamiliari con giardino, con un rapporto dimensione/prezzo impossibile da trovarsi nel centro storico veneziano.

Ciò nonostante, quello economico non è assolutamente l’aspetto centrale del trasferimento in isola. I nuovi abitanti si fanno infatti portatori di un’idea di abitare per così dire “espansa”, che va oltre la dimensione della casa: essa diventa infatti il primo step di un progetto ben più ampio, di costruzione di reti di relazioni sociali (a partire dai vicini di casa più prossimi), senso di comunità e condivisione (ad esempio dei mezzi di trasporto, come barca e auto) . In molti casi, il trasferimento si accompagna all’avvio di 3

attività economiche che hanno forti legami con le caratteristiche fisiche, sociali, culturali e identitarie dei luoghi (agricoltura, orticoltura, turismo, artigianato), spesso anche in rottura rispetto a percorsi di formazione (quasi sempre universitari) e professionali precedenti.

2 | Abitare oltre la norma

Già negli anni antecedenti la crisi economica del 2008, la necessità di rinnovamento del settore abitativo pubblico – a livello di politiche nazionali e locali – si presenta come un dato di fatto. Da questi presupposti nel 2017 segue, da parte della Regione Veneto, l’emanazione della legge 39 in materia di ERP, un settore

Non a caso, quasi tutti gli intervistati sono particolarmente attivi nelle realtà associative e di volontariato presenti nelle isole e 3

nell’intera città, nello specifico quelle attente alla salvaguardia del patrimonio pubblico e dei beni comuni, e di una idea “differente” di abitare Venezia.

nell’ultimo decennio caratterizzato – a livello comunale – da una ricerca di nuove alleanze pubblico-private piuttosto fallimentari . 4

Il patrimonio abitativo pubblico della laguna, protetto da una legge regionale che ne blocca l’alienazione, costituisce per Venezia una risorsa significativa per plausibili politiche abitative e urbane finalizzate ad “abbassare” il grado di specificità turistica di cui soffre il centro storico (Fava, 2018).

Sebbene la questione residenziale configuri il principale centro gravitazionale delle numerose associazioni cittadine variamente impegnate nella salvaguardia di Venezia (Cardona & Secchi, 2017), l’azione dell’Assemblea Sociale per la Casa si concentra – fin dai suoi esordi – sulla rivendicazione degli alloggi dismessi di proprietà pubblica. Lavorando sulla doppia linea del disagio sociale e del contrasto allo spopolamento, l’attività dell’ASC racconta una dimensione innovativa dell’abitare che, in un contesto di pregio come quello veneziano, trova nelle occupazioni una via alternativa di accesso alla casa.

Cantieri in movimento

ASC è una realtà di movimento presente in città dal 1998; cresciuto come assemblea piuttosto che associazione, si configura come spazio di confronto sulle possibilità del vivere a Venezia, trasformando l’incontro di attivisti e cittadini in atto di rivendicazione di beni pubblici (78 alloggi occupati, di cui 63 nel solo centro storico) . 5

Il nucleo occupante è formato soprattutto da giovani e famiglie con figli che, riflettendo le dinamiche complessive di Venezia, risultano nella città d’acqua prevalentemente di nazionalità italiana . Se l’abitare 6

illegale non rappresenta certo una novità (Staid, 2017), nel confrontarsi con le logiche di espulsione generate dalla pressione turistica, l’attività del gruppo può essere ricompresa entro un “set” di pratiche “anti-gentrification”, capaci cioè di garantire un accesso permanente allo spazio urbano e alla casa per gruppi sociali vulnerabili e precari (Annunziata, 2017).

Anche se le prime occupazioni risalgano agli anni 2000, le azioni dell’ASC si intensificano notevolmente con la crisi economica, triplicando il numero di case occupate e coinvolgendo così circa 190 persone . 7

Oltre che con azioni di appropriazione, concentrate soprattutto negli immobili Ater, il trattenimento degli abitanti si definisce anche attraverso momenti collettivi di contrasto allo sfratto volti a negoziare condizioni di uscita tutelanti o risposte istituzionali di seconda soglia, spesso culminanti con assegnazione di alloggi dal basso (Anon., 2018). Nell’illegalità dell’operazione, i membri dell’ASC definiscono quindi un punto alternativo di assistenza a soggetti in emergenza abitativa, che trova ascolto nelle assemblee tenute bisettimanalmente negli spazi del centro sociale Morion, sede storica del nucleo attivista.

Mentre per dimensioni e modalità d’intervento tale fenomeno può dirsi ordinario, la scelta di agire su alloggi “inassegnabili”, caratterizzati cioè da un elevato livello di degrado, configura un doppio ambito di sperimentazione dell’abitare, tanto in termini architettonici che di comunità, consolidando logiche urbane incrementali e generatrici di reti culturali e nuove possibilità lavorative.

Posizionandosi in continuità con le sperimentazioni che da sempre fanno della casa un campo privilegiato dell’architettura (Corbellini, 2012), la proposta dell’ASC si definisce attraverso forme di auto-recupero basate sull’applicazione di tecniche di bio-edilizia testate e documentate attraverso un progetto pilota realizzato nella prima abitazione occupata nel Sestiere di Castello . Gli esperimenti sui materiali, tra cui in 8

particolare la terra cruda, definiscono inoltre l’espediente attraverso cui allargare l’azione del movimento dalla casa al quartiere, diffondendo le competenze acquisite attraverso progetti specifici condotti nelle scuole elementari e materne della laguna (fig. 2, 3). 9

In continuità con la tradizione del mutuo soccorso, dello scambio di prossimità e dell’aiuto reciproco, nei progetti dell’ASC si riconoscono quindi elementi innovativi dell’esperienza sociale (Arena & Iaione, 2015), dove i territori della casa pubblica sono trasformati in laboratori di produzione e diffusione di conoscenze.

Per una ricostruzione dettagliata delle questioni dell’abitare pubblico nel Comune di Venezia, cfr. Fava e Fregolent, Report dal 4

fronte casa. Storie, quantità e prospettive della residenza pubblica veneziana (in corso di pubblicazione). Fonte: ASC.

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Chiara Buratti, intervento all’Università IUAV di Venezia tenutosi il 19 aprile 2018. 6

Dal 2013 al 2018 si passa da 25 a 75 occupazioni. Chiara Buratti, intervista con Federica Fava. Venezia, 29 aprile 2018. 7

Cfr.: http://issuu.com/giuliogrillo/docs/a4-progettopilota-sanpiero2014/1. 8

Laboratori di terracruda sono stati svolti nelle scuole elementari Armando Diaz, Giacinto Gallina, Gabelli (Lido) e alle scuole 9

Figura 2 | Istruzioni di gioco per “terrASCuola”, fronte. Fonte: Assemblea Sociale per la Casa - Rebiennale

Dall’illegalità all’impresa

La definizione di ragionamenti strettamente legati alla rigenerazione urbana sono il risultato di un percorso collaborativo con istituzioni, università e studi professionali che, nel corso ultimo decennio, hanno permesso la costruzione della piattaforma Rebiennale, spin-off operativo dell’ASC. Nata da esperienze occasionali di smontaggio-recupero dei materiali provenienti dai padiglioni della Biennale di Venezia, Rebiennale è attualmente un’impresa di cui fanno parte sette giovani del movimento, con sede-magazzino nel quartiere di Marghera (VE).

La ricerca del gruppo si concentra sul riuso degli scarti risultanti dal dis-allestimento della mostra, attivando cicli virtuosi di produzione-riuso dei materiali di risulta da applicare nel recupero delle abitazioni e in più ampie operazioni di rigenerazione urbana . 10

Nel 2008, anno della sua fondazione, la piattaforma si costruisce attraverso una rete collaborativa che coinvolge i curatori e gli architetti partecipanti alle mostre Experimental Architecture e  L’italia cerca casa, entrambe esposte ai padiglioni italiani  durante l’11° Mostra Internazionale di Architettura a Venezia . 11

Mentre i primi lavori si sono sviluppati in una serie di workshop congiunti con l’Università IUAV di Venezia, l’esperienza culminante di Rebiennale si realizza, nel 2016, con la collaborazione con il Rural Studio della Auburn University.

Con The Teather of Usefull, il progetto sviluppato dal noto gruppo statunitense concretizza quell’inversione culturale cercata dal gruppo pensando, da principio, “la fine” dell’allestimento e un nuovo completo riuso . La riproduzione del teatro proposta da Rural Studio è infatti realizzata attraverso l’utilizzo di reti 12

per materassi e pannelli isolanti in legno, reinterpretando spazialmente una lista di materiali indicati da ASC e dalla cooperativa Caracol come necessari al recupero di case e spazi pubblici. 13

Conclusioni. Oltre la casa, verso la città inclusiva

Le pratiche in precedenza descritte raccontano, pur nella loro intrinseca diversità, concezioni rinnovate e alternative dell’abitare a Venezia, quasi sempre in contrapposizione al modello dominante di sviluppo urbano primariamente legato al turismo.

Attraverso tali esperienze emerge un forte interesse per i modi di vita propri dei contesti storici lagunari; non a caso i diversi attori si fanno espressione di una realtà civica fortemente coinvolta nella protezione di Venezia, quindi nella difesa dei suoi principi di residenzialità e socialità.

Se l’abitare ai margini, fisici e sociali che siano, si configura come opportunità di vivere un territorio di assoluto pregio, le pratiche della casa qui indagate sposano un più generale ripensamento dello stesso paesaggio domestico, secondo i principi di un abitare “espanso” che va oltre la casa, verso la città (AA. VV., 2017). Di fatto, nonostante le differenze socio-economiche e culturali cui fanno riferimento le storie qui riportate, tra le pieghe del ragionamento si individua un comune desiderio di condivisione di spazi, mezzi e quotidianità doppiamente alimentato da una ricerca di qualità e di diritto di “centro-città” (Grazioli & Caciagli, 2017).

In conclusione, è nelle dimensioni sperimentali, lavorative e comunitarie oltreché private espresse in queste realtà che si individuano possibili modelli critico-operativi attraverso cui ripensare politiche abitative capaci di integrare culture e sostenibilità, residenzialità e socialità. Nella sfera privata e pubblica, l’insediamento puntuale di nuovi abitanti misura dunque, sulla scala del singolo, capacità trasformative ampie, produttrici di nuove tessiture urbane.

Superanti gli aspetti legittimativi della politica, l’informalità che, in gradi e modi differenti, caratterizza i “margini” veneziani, racconta perciò un patrimonio di saperi e sperimentazioni al quale riferirsi nella definizione di nuovi scenari insediativi (Urban@it, 2018), risorse immateriali di cui la città necessariamente vive.

Ne sono un esempio i magazzini del Sale, restaurati attraverso il riadattamento totale del Pavilion for Revolutionary Free 10

Speech, presentato alla Biennale di Venezia del 2011 da Thomas Kilpper negli spazi dello stato danese. Cfr.: http://rebiennale.org/it/.

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Giulio Grillo, intervista con Federica Fava, Venezia 30 aprile 2018. 12

Caracol è una cooperativa sociale nata dall’attività del centro sociale Rivolta, impegnata dai primi anni del 2000 fino al 2016 nel 13

progetto Senza Dimora promosso dal Comune di Venezia. Oggi la cooperativa ospita 21 richiedenti asilo proventi dal campo di Cona (Città Metropolitana di Venezia).

Attribuzioni

Il paper è il risultato di un ragionamento comune dei due autori. Nella stesura finale, tuttavia, sono da attribuirsi a Matteo Basso il paragrafo 1 e a Federica Fava il paragrafo 2; introduzione e conclusione, invece, sono stati redatti congiuntamente.

Riferimenti bibliografici

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Annunziata S. (2017), “Anti-gentrification, an anti-displacement urban (political) agenda”, in Urbanistica

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Anon. (2018), “L’ASC risponde a Brugnaro: Case pubbliche pericolose perché vuote”, “Il Gazzettino”, 18 Gennaio 2018, p. 4.

Arena G., Iaione C. (a cura di) (2015), L’età della condivisione: la collaborazione fra cittadini e amministrazioni per i

beni comuni, Carocci, Roma.

Bramezza I. (2018), “Azioni e finanziamenti regionali a sostegno della città di Venezia”, in Engramma, n. 155, disponibile su http://www.engramma.it/eOS/index.php?id_articolo=3389.

Brenner N. (a cura di, 2014), Implosions/explosions: towards a study of planetary urbanization, Jovis Verlag, Berlin. Cardona T., Secchi M. (a cura di, 2017), Venezia in Facebook: storie e peripezie dei social forum, La Toletta,

Venezia.

Corbellini G. (2012), Housing is back in town: breve guida all'abitazione collettiva, LetteraVentidue, Siracusa. Fava F. (2018), “Vuoti di normalità. Evoluzioni della casa  veneziana nell’era del turismo globale”, in

Engramma, n. 155, disponibile su http://www.engramma.it/eOS/index.php?id_articolo=3408.

Grazioli M., Caciagli C. (2017), “The right to (stay put in) the city: il caso di Porto Fluviale a Roma”, in

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Minoia, P. (2017), Venice reshaped? Tourism gentrification and sense of place. In Bellini N., Pasquinelli C. (eds)

Tourism in the City -Towards an integrative agenda on urban tourism. Springer, Heidelberg, pp. 261-274.

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Settis S. (2014), Se Venezia muore, Einaudi, Torino.

Staid A. (2017), Abitare illegale. Etnografia del vivere ai margini in Occidente, Milieu, Milano. Stavrides S. (2016), Common space. The city as commons, Zed books, London.

Tantucci E. (2017a), “Borletti: I giornali stranieri vedono Venezia in pericolo”, “La Nuova di Venezia e Mestre”, 05 Agosto 2017, p. 17.

Tantucci E. (2017b), “Tre sfratti al giorno a Venezia e Mestre”, “La Nuova di Venezia e Mestre”, disponibile su http://nuovavenezia.gelocal.it/venezia/cronaca/2017/06/15/news/tre-sfratti-al-giorno- a-venezia-e-mestre-tremila-richieste-1.15492096.

Urban@it (2018), Terzo Rapporto sulle città. Mind the gap. Il distacco tra politiche e città, Mulino, Bologna.

Riconoscimenti

Articolo segnalato come miglior paper di autori under 40 per il workshop “Forme e modi per (ri)usare il patrimonio costruito, storico e contemporaneo” (SIU 2018).

Processi di governance nella riconversione di ex aree industriali

Luca Brignone

Università Sapienza di Roma

DICEA - Dipartimento Ingegneria Civile Edile Ambientale Email: [email protected]

Abstract

La ricerca si propone di indagare i processi di governance nella rigenerazione e riconversione di aree urbane dismesse, come ex industrie, caserme, stazioni ferroviarie ecc., le quali rappresentano spesso arene di conflitti socio- spaziali, contese tra l'esigenza di ri-appropriazione degli abitanti e processi di valorizzazione e mercificazione. Lo studio è stato condotto attraverso un'analisi comparata tra Tallinn, e Roma. Il metodo di analisi è stato lo stesso per le due città, ovvero lo studio della letteratura esistente, l'osservazione partecipante, la raccolta di interviste ad informatori chiave e l'analisi territoriale condotta con software GIS.

La tesi sostenuta nella ricerca è che con la ristrutturazione economica che ha seguito la de-industrializzazione, realizzata attraverso investimenti in rigenerazione orientati in questo caso principalmente ad una produzione artistica e culturale, se da un lato si risponde ad importanti questioni contemporanee come ad esempio il consumo di suolo, dall'altro si mettono in moto processi di esclusione sociale riconducibili a gentrification, la quale, quindi, non va intesa come forma di rigenerazione urbana, quanto come esito da evitare quando si cerca di raggiungere questa, attraverso un diverso governo del territorio. Nel paper si propongono infine alcuni spunti ed esempi su cui lavorare per immaginare una diversa prospettiva urbana, orientata agli abitanti prima che allo spazio fisico. Nel particolare, delle riflessioni sono state elaborate a proposito dei sistemi di governance, degli strumenti di pianificazione e progettazione e del ruolo della partecipazione degli abitanti.

Nel documento Le trasformazioni dei lavori in corso (pagine 83-90)