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CIMBRO E ITALIANO ANTICO: DUE SISTEMI A CONFRONTO

APPENDICE AL CAP 5: UN CASO INTERESSANTE DI ORDINE OS

6. CIMBRO: I DATI DELLA TRADIZIONE TRA XVI E XIX SECOLO

6.4 CIMBRO E ITALIANO ANTICO: DUE SISTEMI A CONFRONTO

I dati ricavati dall’osservazione dei due catechismi cimbri hanno messo in luce in modo molto chiaro una serie di questioni di cruciale importanza. Innanzitutto, si è riscontrato come il cimbro seicentesco possa considerarsi una lingua a V2 pur avendo già perduto alcune caratteristiche tipiche delle lingue germaniche occidentali continentali. Rimane comunque evidente anche in cimbro la stretta connessione tra il fenomeno del V2 e la struttura dell’area del complementatore, che si osserva soprattutto nell’analisi delle forme pronominali deboli, che in proposizione subordinata sono “attratte” dalla marca di subordinazione.

Un peso rilevante assume anche il parametro del soggetto nullo. Lo studio operato sull’evoluzione del cimbro pare confermare che tale fenomeno e il V2 si trovino in un certo qual modo in distribuzione complementare: il V2 si riscontra infatti solo in idiomi che lessicalizzano obbligatoriamente il soggetto della frase, esclusi casi ben circostanziati (coordinazione, frasi passive ecc.) o fenomeni di calco. Si potrebbe trattare di un secondo segnale della “debolezza” del sintagma temporale nelle lingue a V2: in tali idiomi alcuni tratti di tempo e accordo paiono essere “sfuggiti” al TP ed essere migrati verso l’area del complementatore, obbligando dunque alla salita del verbo finito nella proposizione principale, e impedendo allo stesso tempo che venga licenziato un pro in posizione di soggetto.

L’evoluzione di cui il cimbro pare dar prova nel catechismo ottocentesco, con l’apparizione di numerosi fenomeni correlati al soggetto nullo e in generale una maggiore elasticità nell’ordine dei costituenti (anche se non tale da eguagliare ancora quella delle lingue romanze), fa invece pensare che l’area strutturale legata a tempo e accordo abbia “recuperato” parte delle proprie prerogative sintattiche, e il verbo flesso non sia dunque più oggetto di internal merge, finendo per collocarsi in un nodo dell’area del CP. Una ulteriore prova di tutto ciò è offerta dall’evoluzione delle forme

pronominali atone, che da pronomi deboli compiono un decisivo passo verso la trasformazione in forme clitiche, e la cliticizzazione, al di là del quadro teorico di riferimento per la sua descrizione strutturale, è indubbiamente un fenomeno collegato di norma all’area del TP come variante alternativa per saturare la valenza verbale in determinati contesti sintattici, ad esempio quando determinati argomenti sono dislocati fuori dal TP (focalizzazione, topicalizzazione ecc.) per realizzare un agree a distanza col verbo collocato in T o in una delle teste dell’area del TP.

A questo punto un confronto tra i dati appena esposti e quanto è stato osservato per l’italiano antico nel capitolo precedente può chiarire molti dubbi relativi sia allo statuto empirico della restrizione V2, sia sulla descrizione della sintassi dei due idiomi.

Una prima somiglianza tra il cimbro seicentesco e l’italiano antico è che entrambe le lingue mostrano fenomeni di dislocazione della voce verbale finita, ma tali fenomeni paiono di natura piuttosto differente: mentre in italiano antico, come illustrato soprattutto nella sezione 5.1, si possono ascrivere a scelte pragmatiche del parlante, e danno infatti luogo in molti casi a strutture complementari con o senza dislocazione del verbo flesso, non pare verosimile ascrivere a effetti pragmatici quanto si osserva nel catechismo cimbro del 1602, perché gli unici fenomeni di complementarietà tra strutture differenti si riscontrano quando si mettono a confronto forme spontanee della grammatica cimbra e calchi della prosa italiana:

(33) a. Allora lo ree Marco disse a Pernam: “Io no la lasceroe la corona per neuno cavaliere del mondo” (TR I, 7).

b. E allora disse lo ree a Gheddino: “Vae dirieto a quegli cavalieri” (TR XLVII, 4). c. Ghepotet dez drite de vairoghe der Vairtaghe (K1, 513) (=2c)

Commanda il terzo l’osservanza delle feste.

d. Dez sibente schaffet, daz koander net neme ander leute guet stulonghe (K1, 542, 543). Il settimo comanda, che nessuno pigli la robba d’altri occultamente.

La coppia di esempi (33a)-(33b), tratta dal Tristano Riccardiano, mostra due frasi con ordine dei costituenti diverso, pur essendo di significato pressoché identico: in (33a) la prima proposizione ha un ordine AvvSVOi, nella seconda invece il soggetto è

postverbale e l’ordine è dunque AvvVSOi. L’unica ragione che si può avanzare per

l’attenzione sull’azione stessa piuttosto che su chi la compie, trattandosi di un soggetto noto. In questo caso, quindi, seguendo l’ipotesi descritta in Righi (2013), nella struttura della frase potrebbe collocarsi un operatore astratto di tipo eventivo, che attrarrebbe il verbo flesso in un nodo più alto. La frase cimbra (33c), con Vorfeld nullo e ordine VS, potrebbe essere analizzata in modo simile a (33b), cioè con la presenza di un operatore astratto, stavolta presumibilmente presentativo, e la salita della voce verbale finita

ghepotet “comanda” in prima posizione a livello superficiale, non avendo l’operatore

una realizzazione fonetica. Si tratta però di una forma che nel primo catechismo cimbro troviamo soltanto come calco della prosa italiana, che in qualche passaggio ancora utilizza questo tipo di strutture, forse per conferire un tono più elevato a determinati passaggi, o per semplice tendenza conservatrice. Non a caso, in (33d), che traduce una frase italiana con normale ordine SVO, non c’è alcuna focalizzazione, e più in generale in tutto il testo non si trovano mai casi di V1 con inversione stilistica innovativo rispetto al modello italiano: gli unici (e sparuti) casi sono sempre e comunque calchi della prosa del Bellarmino.

Un’altra dicotomia tra il cimbro, di entrambe le fasi sincroniche prese in esame, e l’italiano antico consiste nella sintassi del soggetto. Come documentato nella sez. 5.2, nonostante alcune peculiarità sintattiche e stilistiche pare ragionevole classificare anche l’italiano antico, come quello moderno, quale lingua a soggetto nullo. Non esiste nessun testo toscano dell’arco sincronico esaminato in cui sia sistematica la lessicalizzazione del soggetto referenziale, né tanto meno di quello espletivo: si possono riscontrare una tendenza più insistita alla lessicalizzazione del soggetto in frase subordinata e l’apparizione sporadica di soggetti espletivi, ma essi correlano sempre con strutture complementari a soggetto nullo. Per dare un quadro di queste differenze tra le due lingue, osserviamo gli esempi seguenti (i soggetti pronominali presi in esame sono riportati in corsivo, mentre il soggetto nullo è regolarmente indicato con pro):

(34) a. Et pro èe rettorica una scienzia di bene dire, ciò è rettorica quella scienzia per la quale noi sapemo ornatamente dire e dittare. (Ret. 1).

c. E allora comandoe lo ree che sia dato a la reina lo beveraggio, ed ella disse che ella non ne berebe […] Ed ella disse che pro no lo vollea (TR III, 26-27).

d. pro Bil koden, das der son Gottez, cioè das zboa person der Hailighen Trinità, der ist gemakt man (Cat. 1602, 200).

Vuol dire, che il figliuolo di Dio, cioè la seconda persona della Santissima Trinitò, si è fatto huomo.

e. Baz effetten tuet de Tofe? pro Maket, daz der man kimet Gottez Kint (Cat. 1602, 600). Che effetto fà il Battesimo? Fà che l’huomo diventa figliuolo di Dio.

f. Quanto von der ubel, iz vorset sik, daz er ùz liberàre, am ersten von den passarten ubel. (Cat.

1602, 381-382).

Quanto al male, si domanda, che ci liberi, primo dal male passato.

In (34a), tratto dalla Rettorica di Brunetto Latini, osserviamo subito una asimmetria nella realizzazione del soggetto: la prima frase copulare non lessicalizza alcun pronome soggetto in posizione preverbale, lasciando tale posizione vuota, nella seconda invece appare un elemento che si può interpretare come soggetto espletivo, ciò. Alternanze di questo tipo, come appena precisato, sono molto comuni, e si verificano anche con i verbi impersonali e una serie di altre costruzioni136. In ((34b) notiamo invece sia nella principale che nelle proposizioni subordinate e coordinate la lessicalizzazione molto fitta di pronomi soggetto referenziali noti, di cui solo il primo io dotato di una certa enfasi. Sia in questo esempio che nella prima parte di (34c) si trova una completiva con un soggetto pronominale referenziale ribadito a breve distanza da quello della principale (io in (34b), ella in (34c)), ma la seconda frase contenuta in (34c) dimostra che tale circostanza non è obbligatoria, poiché in questo caso la completiva che no lo

vollea è a soggetto nullo, e il passo si trova a una manciata di righe di distanza dal

precedente.

Le alternanze che si osservano soprattutto nel cimbro del primo catechismo invece non paiono dovute a scelte opzionali, ma all’interferenza con la prosa italiana, che dà talvolta luogo a fenomeni di calco del soggetto nullo, come quelli qui riportati in (34d) a (34e) (apparsi in precedenza come (16c) e (16d)). Il fatto che non si tratti di costruzioni spontanee è ben chiarito dal fatto che mentre le espressioni a soggetto nullo (sia referenziale che espletivo) sono sempre traduzioni pari pari di passi italiani, quelle con soggetto espletivo o referenziale sono anche innovative rispetto alla prosa

136

del Bellarmino: l’esempio (34f), già osservato in (15b), è un caso di questo genere, come si nota dalla diversa posizione e funzione sintattica del pronome sik. Nel secondo catechismo poi il calco sintattico diventa un procedimento ancor meno frequente, come già osservato e documentato, quindi l’obbligatorietà della lessicalizzazione del pronome soggetto diventa ancor più evidente.

Alla luce di questi fenomeni e di tutti gli altri elencati nel precedente e in quest’ultimo capitolo, si può ragionevolmente avanzare l’ipotesi che tanto l’italiano quanto il cimbro abbiano vissuto, pur con modalità e probabilmente anche ragioni di fondo differenti, una fase in cui la loro sintassi prevedeva la possibilità (o la necessità) di accesso più o meno ampio alla periferia sinistra (ampio per l’italiano, limitato ad un'unica posizione per il cimbro seicentesco, in quanto lingua V2), e siano poi andati incontro a una riorganizzazione dell’ordine dei costituenti, nonché delle prerogative delle aree sintattiche, ma dal punto di vista della sintassi del soggetto abbiano compiuto un percorso molto diverso. L’italiano, secondo quanto si evince dai testi medievali, non è mai stato una lingua a soggetto nullo, ma mostra sia l’uso di pronomi espletivi che l’utilizzo più frequente di pronomi referenziali soggetto nella stessa fase in cui avvenivano i fenomeni di focalizzazione e topicalizzazione qui accennati; il cimbro, invece, pur avendo subito una radicale riorganizzazione sintattica, ha mantenuto saldamente la prerogativa di lingua a soggetto non nullo, come tutte le altre lingue germaniche, e come mostrato nel cap. 4 tutt’ora mantiene saldamente questa caratteristica. Il nodo cruciale per stabilire l’interazione tra il parametro del soggetto nullo e l’ordine V2 pare quindi la comprensione della sintassi del soggetto proprio in quelle forme italiane antiche poi scomparse: questo potrebbe aiutare ad individuare quali siano realmente le caratteristiche di fondo dell’ordine V2 e quale interazione vi sia tra la sintassi del soggetto, la natura del TP e quella del CP.

Ultimo, ma non meno importante nodo è quello dei pronomi deboli. La sintassi delle forme pronominali clitiche del cimbro del secondo catechismo è molto differente sia da quella dell’italiano antico, governata dalla cosiddetta restrizione Tobler–Mussafia, che dall’italiano moderno. In cimbro il clitico appare sempre in enclisi al verbo, sia di modo finito che non finito; fanno eccezione solamente le completive introdotte da az

“che”, che attraggono il clitico all’inizio della subordinata separandolo dal verbo flesso, esattamente come accade per i pronomi deboli del cimbro seicentesco, nonché del tedesco. Vi è poi un ulteriore fenomeno da non sottovalutare, ovvero l’utilizzo allomorfico dei (presunti) clitici in luogo delle forme toniche, ad esempio in prima posizione di frase, di cui si è dato conto nella sezione 6.3.

Come sappiamo, una delle proprietà peculiari dei pronomi clitici è quella di non poter occorrere nella medesima posizione delle forme toniche corrispondenti, e di essere sempre e comunque legati al verbo. Una spiegazione per l’utilizzo allomorfico dei pronomi deboli è per l’appunto che il paradigma dei clitici nella fase del cimbro presa in esame (prima metà del XIX sec.) non sia ancora completo, ed esistano ancora forme non puramente clitiche, su tutte quella della 1° persona, sia singolare che plurale, in cui si concentrano la maggior parte di questi fenomeni, ma come si è documentato ciò accade anche per persone in cui l’utilizzo clitico parrebbe ben più accertato (cfr es. (29a) con il pronome ar di terza singolare maschile).

Il dubbio che sorge nel comparare le due classi di pronomi è pertanto se quelli che si osservano nel secondo catechismo cimbro possano essere considerati a tutti gli effetti dei pronomi clitici nello stesso senso in cui vengono definiti clitici i pronomi atoni romanzi. Per rispondere a questo interrogativo sarebbe necessario verificare quale sia la posizione dei pronomi in questione nella struttura astratta della frase, tanto in italiano quanto in cimbro, e quali siano i fenomeni che permettono di licenziarli sistematicamente in enclisi in cimbro, e in proclisi o enclisi (a seconda della struttura) in italiano antico. Il sospetto è che la sintassi dei pronomi cimbri e italiani moderni si possa spiegare per via puramente sintattica, come già avanzato in Bidese (2010) e prima ancora in Poletto-Tomaselli (1995), mentre ciò non valga per l’italiano antico. L’italiano medievale appare per molti versi una lingua in fase di ristrutturazione, in cui convivono processi conservativi e innovativi; probabilmente questa impressione è ancora più forte ai nostri occhi perché, essendo una lingua ancora priva di una norma codificata, il margine di variazione sintattica intertestuale è particolarmente ampio: è per questo che possiamo osservare differenze anche piuttosto macroscopiche tra i vari testi, compresa una serie di processi sintattici concorrenti (su tutti la topicalizzazione

sia con che senza ripresa clitica, a seconda dei contesti), alcuni dei quali destinati a soccombere ad altri in seguito alla fissazione di determinati canoni.

In conclusione, lo studio dell’evoluzione della lingua cimbra dal V2 verso una progressiva ma mai completa romanizzazione a livello sintattico si rivela di indubbio interesse per la disciplina, e il confronto con l’italiano antico può permettere di capire meglio la sintassi di entrambi gli idiomi, per certi versi vicini alle lingue germaniche moderne a V2, per altri nettamente differenti. La vera sfida è dare un quadro teorico complessivo di tutte queste somiglianze o differenze, soprattutto nei campi in cui la ricerca ha trovato possibili interrogativi di ampia portata, come il parametro del soggetto nullo e la sua interazione con la sintassi del verbo finito. Di alcuni di questi argomenti si occuperà il seguente capitolo.