• Non ci sono risultati.

L’ORGANIZZAZIONE DEI COSTITUENTI NELLA FRASE DIPENDENTE

5. ITALIANO ANTICO: I DATI DELLA TRADIZIONE LETTERARIA

5.5 L’ORGANIZZAZIONE DEI COSTITUENTI NELLA FRASE DIPENDENTE

Come descritto nel corso del cap. 3, la letteratura sulla sintassi dell’italiano antico non rileva grandi asimmetrie tra frase principale e frase dipendente: gli unici due fenomeni riguardo ai quali si evocano delle differenze, seppur non radicali come accade invece nelle lingue germaniche a V2, sono la conservazione dell’ordine basico SVO, molto più frequente nella frase subordinata, e la tendenza, sempre nella frase subordinata, a una più frequente lessicalizzazione del soggetto pronominale.

L’indagine dei testi dimostra effettivamente che la prima delle due osservazioni è corretta: le frasi subordinate tendono più spesso a conservare l’ordine basico di quanto non accada nelle frasi principali, indipendentemente dalla natura del testo preso in esame. Il secondo fenomeno invece non pare così evidente: se è vero che il soggetto pronominale è più frequente di quanto accade nell’italiano moderno (come già descritto nella sez. 5.2 per la frase principale), è anche vero che il pro-drop è largamente riscontrabile in tutta la tradizione. Per studiare più a fondo questo fenomeno, e alcune altre caratteristiche interessanti della sintassi delle proposizioni subordinate, prendiamo in considerazione i seguenti esempi:

(21) a. Poi quando pro piazzeggiavano così riposando in su il mangiare, fue domandato il Saladino per un cavaliere così dicendo… (Nov. XL, 3).

b. Ed allora parloe Pernam e sì disse a lo ree Marco che pro non volea che questo trebuto si dovesse pagare (TR I, 4).

(22) a. E voglio che tue mi facce compagnia, e sì ti dico che tue ti debie bene guardare che tue queste

parole non manifesti altrui né a persona del mondo (TR XLIV, 8).

b. La qual cosa ebbe Dio onnipotente sì per male, che tutta quella gente abandonò a’ demonî che faceano loro reverenza come a Dio (Bono Giamboni, Libro LVIII, 6).

c. E quando è l’anima per la Morte partita e sceverata dal corpo, va nel suo paese, là dove dimorrà sempre mai. (Bono Giamboni, Trattato XXIX, 5).

d. ma ben è gran vilezza / ingolar tanta cosa / che già fare non osa / conviti né presenti (Tes., 1480-1483).

e. Madonna, se’ malvagi cavalieri di Cornovaglia parlano di me <in questa maniera>, tutto primamente dico che giamai io di queste cose non fui colpevole (Nov. LXV, 13).

f. Anche ordiniamo che qualunque de la nostra compagnia passasse di questa vita, sì lli sia fatto

onore in questo modo (Madonna d’Orsammichele, 34).

(23) a. Anche ordinaro i detti capitano co lloro consiglio, la sezzaia domenica di dicembre, che si debbia far fare una arciscranna la quale stea in chiostro, che vi si possa riporre entro cose della Compagnia, e che vi si possa sedere suso agiatamente e orrevolmente (S. M. Carmine, 59, 17- 21).

b. Et in questo modo covertamente s’infingea di non volere quello che volea, per venire in animo di loro che llo scampassero per avere, da che mercé non valea (Ret. 87).

(24) a. e divennero sì copiosi in dire che, per l’abondanza del molto parlare sanza condimento di senno, che cuminciaro a mettere sedizione e distruggimento nelle cittadi e ne’ comuni (Ret. 9). b. E comandò che quando sua anima fosse partita dal corpo, che fusse aredata una ricca navicella

coperta d’un vermiglio sciamito (Nov. LXXXII, 4).

Nei due esempi in (21) vediamo casi di pro-drop in frase subordinata, sia circostanziale che completiva, e in entrambi i casi si tratta di terze persone, quelle statisticamente più suscettibili di lessicalizzazione del soggetto pronominale. Nelle frasi raccolte in (22) abbiamo invece vari esempi di riorganizzazione dei costituenti nella frase subordinata. La frase completiva retta da guardare “badare” in (22a) ha ordine SOV113, e la situazione è molto simile anche nella consecutiva in (22b), che ha ordine OV; nella subordinata temporale in (22c) troviamo una costruzione copulare con inversione tra il soggetto l’anima e il verbo è; nella relativa (in 22d), che già fare non osa, abbiamo un infinito focalizzato fare preceduto anche dall’avverbio già, mentre in (22e) il verbo finito fui, oltre che dalla negazione non, è preceduto da tre costituenti, l’avverbio

giammai, il soggetto io e il sintagma di queste cose. Nelle frasi subordinate si

riscontrano talvolta anche casi di tema sospeso, come quello rappresentato in (22f).

113 Nella frase notiamo poi anche un caso di lessicalizzazione particolarmente fitta del soggetto

Per quanto riguarda la sintassi dei clitici, la stessa frase (22e) e la completiva di (23a) confermano quanto osservato in precedenza, ad esempio in (20d): nelle frasi subordinate esplicite è di regola la proclisi, sia con singoli pronomi clitici che con complessi clitici, come il vi si che ritroviamo due volte in (23a); inoltre, come puntualizzato nel cap. 5.4, se un clitico come si o lo è preceduto immediatamente dalla congiunzione subordinante, è frequente che vi si appoggi in enclisi, come testimonia il raddoppiamento fonosintattico che vediamo anche in (23b).

Un altro curioso fenomeno che si riscontra nei testi, già preso in analisi anche in Renzi- Salvi (2010), è il raddoppiamento del complementatore che nel caso in cui la subordinata sia particolarmente lunga perché intervallata dalla presenza di elementi incidentali: due esempi di questo tipo sono riportati in (24a) e (24b). Lo schema proposto in Renzi-Salvi (2010), che proponeva due posizioni per che, trova anche questi esempi come prova dell’ipotesi, ma il contesto in cui si realizzano queste costruzioni (tutto sommato sporadiche, ma comuni a un po’ tutta la tradizione italiana antica, e più in generale romanza) fa pensare che si possa trattare anche semplicemente di un fattore stilistico, una sorta di ripresa del discorso utile a renderlo più facilmente leggibile per il destinatario.

Le subordinate finora analizzate sono tutte esplicite; ci si aspetterebbe infatti che le subordinate implicite abbiano una sintassi molto più rigida in merito ai fenomeni studiati in questo capitolo, e generalmente infatti è così114. Secondo le teorie avanzate dagli studi cartografici e riassunte in Renzi-Salvi (2010), non dovremmo aspettarci alcun caso di riorganizzazione dei costituenti che coinvolga la periferia sinistra nella subordinata implicita, perché il complementatore in quel caso si collocherebbe in Fin, non in Force: eppure, lo spoglio del corpus dà anche risultati come i seguenti:

(25) a. e di ciò fare siano tenuti i consiglieri e questi sei buoni uomini (S. Gilio, 25, 21-22).

114

A meno di costruzioni latineggianti e di qualche altro fenomeno, come quello abbastanza ricorrente nella prosa narrativa dell’anteposizione del soggetto tematico nelle frasi al gerundio: “Ma la reina

rimanendo ne lo diserto ed ella appensandosi de le parole che Merlino l’avea dette, incomincioe

b. Per le sue malvagie opere fare, d’accattare tesoro e non rendere, abattere la buona moneta e dare corso alla rea, cadde in tanto disdegno, che da lui si rubellò quasi tutti i suoi maggiori baroni (Cronica, p. 148, 27-30).

In entrambe le frasi si riscontra la focalizzazione dell’oggetto diretto, che va a frapporsi tra il complementatore, rispettivamente di in (25a) e per in (25b), e il verbo di modo non finito, in entrambi i casi fare. Si tratta di esempi estremamente rari, ma la loro presenza non passa inosservata: non dovrebbe infatti esservi alcuna posizione intermedia nella struttura frasale a disposizione per la focalizzazione dell’oggetto diretto.

Prima di compiere qualsiasi valutazione di carattere teorico, la prima spontanea osservazione complessiva su ciò che si è mostrato nel corso dell’intero capitolo è che il margine di variazione stilistica che si riscontra nei testi è decisamente ampio. Ciascuno di essi pare caratterizzato da peculiarità sintattiche specifiche, a volte del tutto sporadiche in altri testi: basti pensare alle frasi a V1 con inversione soggetto/verbo, molto frequenti nel Novellino e ben rappresentate anche nei due libri di Bono Giamboni, ma praticamente assenti in altri testimoni del corpus, oppure anche a quest’ultimo esempio mostrato, cioè le frasi subordinate implicite con focalizzazione dell’oggetto, che non ha traccia in gran parte della tradizione. Qualsiasi panoramica generale sulla sintassi dei testi, per ragioni di carattere storico-linguistico e letterario, pare avere più i caratteri di approssimazione, utile a focalizzare i fenomeni principali comuni a tutta la tradizione medievale, ma difficilmente in grado di fotografare le sfaccettature di tutti.

Per quanto riguarda il fenomeno del V2, alcune delle caratteristiche della sintassi dell’italiano antico, come le modalità di focalizzazione dell’oggetto diretto, sembrano portare proprio in quella direzione, altre invece (ad es. la sintassi del soggetto, e per molti versi anche la sintassi dei clitici) sembrano invece differenziare nettamente il comportamento dell’italiano antico da quello delle lingue V2 conosciute. La bilancia sembra però apparentemente propendere proprio verso una direzione non V2: i fenomeni riscontrati coinvolgono quasi sempre l’ambito pragmatico, la volontà del parlante di mettere in rilievo determinati costituenti o di “plasmare” in un certo modo

la sequenza frasale, cosa che non corrisponde del tutto ai principi di fondo dell’analisi V2 delle lingue germaniche. Pur escludendo una natura V2 dell’italiano antico, rimane comunque aperto l’interrogativo sul perché delle somiglianze tra la varietà medievale dell’italiano e le lingue V2. Ad alcuni di essi si tenterà di dare risposta nel cap. 7, dopo aver analizzato a fondo anche i dati della tradizione cimbra, che potranno rendersi utili ad avere una visione più chiara del fenomeno V2 e della sua natura.