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3. IL V2 NELLE LINGUE ROMANZE ANTICHE

3.1 LINGUE ROMANZE E GERMANICHE: ANALOGIE E DIFFERENZE

3.1.2 PRONOMI CLITIC

Le lingue romanze presentano due distinte serie di pronomi complemento, una delle quali dotata caratteristiche piuttosto particolari dal punto di vista morfo-sintattico e pressoché assente invece nelle lingue germaniche, ovvero la classe dei pronomi clitici, dotata di caratteristiche peculiari, innanzitutto fonologiche: non possono infatti essere accentati, e compaiono sempre fonologicamente legati al verbo53 mediante proclisi o enclisi.

I clitici sono dotati però anche di proprietà sintattiche diverse rispetto a quelle degli omologhi pronomi liberi, o tonici, secondo la denominazione classica di impronta fonologica. La prima di queste è sicuramente la collocazione: mentre i pronomi liberi

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Si tornerà sulla questione del pro-drop nelle frasi subordinate in toscano antico nella sezione 5.5.

53 Salvo casi eccezionali, come quello di “ecco”, che però anche per questo motivo in molte trattazioni

compaiono nella stessa sede in cui sarebbero collocati i sintagmi nominali, i clitici devono assumere posizioni diverse nella sequenza lineare. Altre sono la non enunciabilità in isolamento, con cui si intende l’impossibilità di pronuncia isolata del solo pronome clitico, e l’impossibilità di coordinare due clitici.

Tuttavia, non tutti i pronomi clitici delle lingue romanze sono caratterizzati dalle medesime peculiarità fonologiche e sintattiche: proprio a questo proposito, nel corso degli anni ’70 si è elaborata una ulteriore distinzione all’interno della casistica dei pronomi clitici, a partire dalla quale si distinguono pronomi clitici fonologici e sintattici. Con la prima definizione si indicano le particelle pronominali foneticamente deboli ma non caratterizzate da caratteristiche sintattiche differenti rispetto alle forme pronominali forti; la seconda si applica invece a pronomi che uniscono all’atonicità le peculiari caratteristiche sintattiche descritte in precedenza. L’analisi linguistica dimostra infatti che esistono forme pronominali clitiche a livello fonologico ma non a livello sintattico, mentre una forma clitica sintattica lo è anche dal punto di vista fonologico. Per dare conto di ciò, osserviamo i seguenti esempi:

(3) a. Elle dance et elle chante. Ella balla e ella canta. b. La canta e la bala. c. Éla la canta e la bala. d. Mario el canta. e. *Maria e la canta. f. Mario e lu i canta. g. *La canta e bala.

I pronomi soggetto francesi, come elle dell’esempio (3a), non sono caratterizzati da tratti distintivi dal punto di vista sintattico; la loro opposizione rispetto ai pronomi soggetto italiani e spagnoli sta proprio nell’atonicità: i pronomi soggetto francesi sono clitici fonologici, mentre in italiano e spagnolo invece non esistono clitici soggetto, né fonologici né sintattici. Questa categoria è però presente in alcuni dialetti settentrionali: come si può notare dall’esempio (3b), il dialetto veronese ha la stessa caratteristica di coordinabilità dei pronomi presentata nella proposizione francese (3a), ma in veronese è anche possibile la co-occorrenza di forma tonica e atona, realizzando

un processo, agrammaticale in altre lingue come il francese o l’italiano, chiamato “reduplicazione”, in cui il pronome tonico occupa la sede tipica del sintagma nominale (in questo caso Spec TP, trattandosi di soggetto), mentre il clitico è collocato altrove. Clitici come il francese elle sono dunque tali solo a livello fonologico, e nello schema strutturale astratto si collocano nella stessa sede del sintagma nominale e del pronome tonico corrispondenti; i pronomi soggetto del dialetto veronese e quelli oggetto italiani e spagnoli sono anche clitici sintattici. Allo stesso modo dei pronomi oggetto italiani e spagnoli, dotati di tratti distintivi evidenti, anche i clitici soggetto veronesi si differenziano dalle forme toniche, perché possono comparire anche in co-occorrenza con un pronome tonico, come accade in (3c), o eventualmente un sintagma nominale, come si verifica invece in (3d), ma non possono essere coordinati a uno di essi, come dimostra l’agrammaticalità di (3e), a differenza di quanto è possibile fare per i pronomi tonici: infatti la frase (3f) in veronese è assolutamente grammaticale.

I clitici sintattici vanno a collocarsi in una sede strutturale diversa da quella dei sintagmi nominali e dei pronomi tonici, mediante processi di dislocazione sintattica. Vi sono varie teorie in proposito, che si possono ascrivere principalmente a due correnti di pensiero. Una, più “standard”, parla di movimento “testa a testa” dei clitici, che li porta ad aggiungersi a INFL (o T, a seconda della terminologia in uso) assieme al verbo flesso54. Secondo questa impostazione, una frase come “la mamma lo osserva” avrebbe la seguente rappresentazione strutturale (semplificando la rappresentazione nella parte inferiore dello schema X-barra ed escludendo Sv*):

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Primo a formulare questa ipotesi è Kayne (1975), ma l’idea è stata ripresa e riformulata più volte in seguito e tuttora ha molto seguito: è questa ad esempio l’analisi della sintassi dei clitici riportata in Frascarelli, Ramaglia e Corpina (2012).

TP NP T’ T VP La mammak clit. T NP VP loj osservai tk V NP ti tj

Il verbo, come già osservato più volte, si solleva da V verso T; il clitico raggiunge la stessa posizione partendo dalla posizione di complemento di VP, in funzione di oggetto diretto, e nelle due sedi di partenza rimane la traccia dell’elemento sollevato.

Nel caso dei clitici soggetto veronesi osservati in precedenza la questione è più complessa, perché se si assumesse uno spostamento da Spec TP a T la traccia non rimarrebbe propriamente governata, e l’enunciato violerebbe il principio di categoria vuota. Del resto, però, l’esempio (4c) dà l’idea che non sia quella la sede in cui viene generato il pronome clitico, visto che non c’è agrammaticalità realizzando foneticamente anche un pronome tonico, che sicuramente ha sede in quel nodo. L’ipotesi che si assume in questo caso è che il pronome clitico sia generato direttamente in T, come espressione della flessione verbale; pertanto, l’esempio (3c) può essere schematizzato nel modo seguente:

TP NP T’ Éla T V clit. T la cantai ti

Una seconda via per spiegare la peculiare sintassi dei clitici sintattici è che essi siano sì oggetto di dislocazione in una posizione più alta della struttura, ma non nel nodo T, bensì in proiezioni appositamente dedicate ad essi, collocate nella periferia sinistra del sintagma del tempo. Il primo ad avanzare questa proposta è Sportiche (1995), secondo

la cui ipotesi per l’appunto “a clitic is analyzed as heading its own projection and as licensing in its specifier a particular property of a designated argument agreeing with it in the relevant features” (Sportiche 1995, p. 213). Quest’analisi in sostanza assimila la sintassi dei clitici a quella di altre costruzioni che prevedono il movimento sintattico come esigenza di soddisfare una relazione specificatore-testa, ad esempio il movimento wh- o la focalizzazione (altro fenomeno su cui si tornerà ampiamente nel prosieguo del lavoro): “I suggest that accusative clitic is a base generated head, call it Acc, selecting as its specifier an accusative DP*. This selection must be satisfied by LF by moving DP* to [Spec,AccP] = DP^, as an instance of spec/head licensing” (Sportiche 1995, p. 215). Si prenda in considerazione il seguente esempio:

(4) a. Marie lesi aura presentées XPi* a Louis.

Marie le avrà presentate a Louis.

b. [AccP DP^ [ [ Acc les] [ … aura presentées DP* + acc. …]]]

Il clitico les “le” (acc. plur. femm.) della frase (4a) è generato direttamente nella testa Acc della proiezione AccP. XP* indica la posizione in cui comparirebbe un sintagma nominale di caso accusativo, cioè la posizione di complemento di SV, che qui però non ha realizzazione fonetica perché in distribuzione complementare con il clitico. La proposta è affascinante, e presenta vari vantaggi nello spiegare alcune caratteristiche peculiari della sintassi delle forme pronominali in questione, ma apre evidentemente degli interrogativi di natura esplicativa nel momento in cui si procede al confronto interlinguistico e si prendono in considerazione anche idiomi privi di clitici. Si terrà comunque conto anche di questa possibile analisi nel prosieguo del lavoro, in particolare nel cap. 5, allorché si andrà ad analizzare la sintassi dei clitici in italiano antico con l’ausilio dei dati provenienti dalla tradizione letteraria.

Anche le lingue romanze antiche, ivi compreso il toscano, presentano infatti una vasta gamma di pronomi clitici di natura sia fonologica che sintattica. Il loro comportamento, nei termini della linguistica tradizionale, è regolato dalla “legge Tobler-Mussafia”, secondo la quale il pronome risulta obbligatoriamente enclitico se il verbo finito si trova in prima posizione assoluta o preceduto solamente da una congiunzione

coordinante, mentre è normalmente proclitico se la prima posizione è occupata da un costituente o da un complementatore o una congiunzione subordinante:

(5) a. Àne dato Bartolino, dies XII uscente luglio ne l’ottanta cinque, II fio. d’oro […]. Dielimi per lui Dino del Barone Ristori (Lapo Riccomanni 6r, 18-21).

b. Avuta la vittoria, venne in Guascogna sopra le sue terre che lli erano rubellate, e teneale per forza lo re di Franzia; e quivi prese V cittadi, e puosesi ad oste sopra la città di Bordella. (Cronica 145, 13-16).

c. Lo romeo lo contò a punto (Nov. X, 4).

d. Lo ’mperadore donò una grazia a un suo barone che qualunque uomo passasse per sua terra, che li togliesse d’ogni magagna evidente uno danaio di passaggio (Nov. LIII, 1).

Gli esempi proposti rappresentano le quattro situazioni descritte dalla legge: in (6a) il verbo è in prima posizione in entrambe le frasi, pertanto i clitici ne e il nesso clitico limi compaiono in enclisi. Anche le e si in (6b) sono enclitici, poiché il verbo finito in ambedue i casi è preceduto solo dalla congiunzione coordinante e. In (4c) invece il pronome lo è proclitico, poiché la prima sede della frase è occupata dal sintagma in funzione di soggetto; lo stesso accade in (6d) nella completiva, dove il clitico li segue il complementatore e precede il verbo, appoggiandosi fonologicamente a quest’ultimo. Pertanto, come anticipa l’enunciato stesso della legge, l’ordine relativo di clitico e verbo non dipende dalla forma grammaticale del verbo, come accade in italiano moderno, dove il clitico si aggiunge sempre per proclisi al verbo di modo finito (tranne che per l’imperativo) e per enclisi al verbo di modo non finito, ma alla posizione dei costituenti nella sequenza lineare.

La generalizzazione Tobler-Mussafia non è tuttavia sufficiente a spiegare la sintassi dei clitici, poiché ha puramente carattere empirico, limitandosi a descrivere una regolarità riscontrabile nei testi senza indagare sulle sue ragioni né sulle possibili eccezioni e sfaccettature più complesse. Occorrerà dunque un’analisi più dettagliata sui dati per comprendere più a fondo le dinamiche soggiacenti a questi dati.