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CONTINUITÀ TRA ANTICO E MODERNO: LA SINTASSI DELL’ITALIANO ANTICO

3. IL V2 NELLE LINGUE ROMANZE ANTICHE

3.7 CONTINUITÀ TRA ANTICO E MODERNO: LA SINTASSI DELL’ITALIANO ANTICO

Come osservato in queste pagine, e come spesso risulta intuibile implicitamente dall’analisi degli esempi riportati, gli studi cartografici confluiti nella Grammatica

dell’italiano antico offrono una descrizione dell’italiano medievale che si discosta in

alcuni casi anche considerevolmente da quella dell’italiano moderno66. Non sorprende certo che questa prospettiva, che per certi versi capovolge lo storico giudizio sul carattere conservativo dell’italiano, non sia stata accettata da tutta la comunità linguistica. Della tesi opposta si fa portatrice un’altra meritoria opera giunta al termine nel 2012, la Sintassi dell’italiano antico, a cura di Maurizio Dardano, opera che fa capo alla linguistica funzionalista e lambisce soltanto la terminologia e i risultati della grammatica generativa. Il primo capitolo dell’opera chiarisce già senza mezzi termini la prospettiva dell’opera, che si pone in esplicito contrasto alla Grammatica dell’italiano

antico:

È rimasta a lungo indiscussa la tesi riguardante il carattere conservativo dell’italiano, considerato una delle varietà romanze più stabili nel tempo […] Negli ultimi anni, tuttavia, alcuni studiosi hanno

65

Da notare infine che proprio in (23d) abbiamo un ulteriore caso di proclisi, quello in frase subordinata:

m’ è infatti preceduto soltanto dal complementatore che, ma in questo caso non si può individuare

alcun elemento focalizzato in [1]. Anche su questo punto si tornerà in seguito. 66

sostenuto che l’it. mod. differisce non poco dall’ it. ant. […] I risultati cui perviene il presente volume vanno in una direzione contraria a questa tesi. In più occasioni cercheremo di dimostrare che le differenze esistono, ma non sono tali da giustificare il giudizio (Dardano 2012, p. 6).

Nel confronto tra le due fasi sincroniche dell’italiano prevarrebbe dunque il carattere di continuità rispetto al mutamento, anche per quanto concerne la sintassi. Ciò non implica ovviamente che nel confronto tra le due fasi sincroniche non si possano individuare delle chiare differenze, che come sappiamo sono in qualche caso piuttosto evidenti anche a una lettura superficiale. La Sintassi dell’italiano antico individua in particolare sei differenze:

1) Legge Tobler-Mussafia a governare la sintassi dei pronomi clitici.

2) Mutamento nell’ordine dei pronomi deboli all’interno dei complessi clitici, con l’oggetto indiretto a precedere sempre quello diretto, mentre anticamente era l’opposto (lo mi diede > me lo diede).

3) Tematizzazione tramite topicalizzazione semplice anziché dislocazione con ripresa pronominale.

4) Affermazione in italiano moderno del c’è presentativo (che manca in italiano antico, dove è semplicemente essere ad assolvere alla funzione).

5) L’uso larghissimo delle particelle para-ipotattiche, soprattutto sì, come marcatori di continuità tematica.

6) Alcune differenze nell’uso dei tempi e modi verbali (ad es. condizionale presente per indicare il futuro nel passato, struttura che resiste sino all’ottocento inoltrato). A queste differenze si accompagna anche un’evoluzione nella struttura delle frasi e dei periodi: se l’italiano antico abbondava di ripetizioni di vocaboli e sintagmi (anafore pronominali, costituenti tematizzati ecc.) e prediligeva le costruzioni paratattiche o para-ipotattiche, l’italiano moderno si è evoluto verso l’ipotassi e ha eliminato l’uso di elementi ripetitivi nel discorso.

Le differenze qui menzionate coincidono sostanzialmente con quanto descritto nella

Grammatica dell’italiano antico, ma come vediamo non c’è alcun riferimento ai

movimento sintattico e così via. La Sintassi dell’italiano antico si concentra piuttosto sull’aspetto semantico, dando ampio spazio allo studio dei ruoli tematici, e su quello pragmatico, senza cercare di riversare tutte le spiegazioni dei fenomeni nell’ambito sintattico.

Dopo aver esposto le linee guida del campo di ricerca, la quasi totalità del lavoro è dedicata allo studio della frase complessa, dapprima nel suo insieme e poi nelle sue principali tipologie (completiva, relativa, temporale, causale ecc.). Ad occuparsi della frase semplice e dell’ordine dei costituenti è il solo cap. 367, ma in termini molto più tradizionali rispetto a quanto accade nella Grammatica dell’italiano antico. Riguardo alle caratteristiche generali della frase semplice, l’autore afferma che

il nucleo della frase semplice – in it. ant. come in it. mod. – ha un’organizzazione abbastanza rigida; le parti esterne al nucleo, invece, possono essere disposte con una maggiore libertà di scelta. Nel nucleo le parole si dispongono secondo un ordine ideale detto canonico o non marcato, che nella lingua italiana è rimasto sostanzialmente stabile. L’ordine è il seguente: soggetto (S), verbo (V), complementi (X) (Dardano 2012, p. 70).

Nessuna particolare descrizione viene data per l’ordine degli elementi periferici, il che costituisce una differenza macroscopica rispetto all’approccio di Benincà e Poletto nella Grammatica dell’italiano antico, che proprio sul sofisticato assetto della periferia sinistra giocano gran parte dell’argomentazione. Se però da un lato il capitolo sulla sintassi della frase semplice nella Grammatica dell’italiano antico sorprende per l’articolazione minuziosa, che porta a conclusioni talora sorprendenti per un lettore non esperto di grammatica generativa (basti pensare alla sintassi delle frasi con ordine SVO e salita di S e V nella periferia sinistra), la Sintassi dell’italiano antico rimane per così dire su un piano più intuitivo. Del resto, come anticipato, si tratta comunque di un’opera non di matrice generativista, quindi la diversità di prospettive anche dal punto di vista espositivo non sorprende.

Anche per quanto riguarda la sintassi del soggetto si nota una certa distanza tra le due opere. La Sintassi dell’italiano antico non prende una chiara posizione in merito allo

67 Ad opera di G. Lauta. Il cap. 2, di Dardano e G. Colella, anticipa soltanto alcuni concetti di base, come

statuto dell’italiano antico rispetto al parametro del pro-drop, pur propendendo per la tesi di Palermo (1997), secondo cui “l’italiano presentava sin dalle origini le caratteristiche di una lingua a soggetto obbligatorio; ha perso tali caratteristiche a partire dal Cinquecento” (Dardano 2012, p. 75). Le differenze che si notano nei testi toscani del corpus medievale sarebbero quindi dunque non sostanziali, “ma solo differenze di frequenza, spiegabili con alcuni vincoli di carattere sintattico che, per un certo tempo, hanno favorito l’omissione del pronome soggetto” (Dardano 2012, p. 75). L’argomentazione viene però qui sospesa, senza ulteriori indagini in merito.

Interessante è anche la valutazione che l’autore dà degli ordini non canonici: si afferma esplicitamente infatti che l’ordine ideale dei costituenti viene modificato “talvolta per ragioni puramente sintattiche, talvolta per ragioni pragmatiche” (Dardano 2012, p. 78). Un caso è dato dalle frasi presentative, in cui il verbo compare all’inizio della frase o comunque prima del soggetto (come ad es. in “ruppesi la triegua”, Nov. XXV, p. 51), un altro è quello della focalizzazione dell’oggetto. Vi sono poi sia la focalizzazione a sinistra che quella a destra, e soltanto quest’ultima “appare, fin dalle origini, un tratto del parlato” (Dardano 2012, p. 78).

In conclusione, il quadro della Sintassi dell’italiano antico ha il pregio di essere molto efficace a livello descrittivo anche per chi non è esperto di linguistica generale, d ha la capacità di mettere a nudo in modo molto preciso i segnali di continuità tra italiano antico e moderno, anche se questo spesso va a scapito di un’analisi più minuziosa (indipendentemente dal framework teorico) degli elementi di distanza tra le due fasi sincroniche. Alcune delle utili osservazioni qui ritrovate verranno comunque tenute presente nel proseguo del lavoro, aiutando a tracciare la strada per dare una spiegazione ad alcuni fenomeni particolarmente spinosi.