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La circolazione aurea ponderale a partire dal secolo III e l’entità delle

Va ricordato, anzitutto, che il sistema monetario dell’epoca di riferimento ave- va al suo centro la moneta aurea, detta aureus, o solidus a partire da Costantino, il qua- le regolarizzò l’emissione del pezzo aureo ad un peso corrispondente a 1/72 di libbra, dopo le oscillazioni ponderali delle coniazioni disposte dagli imperatori precedenti.

Gli studiosi sono giunti da tempo alla conclusione che nel periodo in esame (IV- VI secolo) e, anzi, già a partire dalla metà del III secolo, l’oro abbia circolato «in tutto il territorio imperiale sulla base dell’esclusivo valore ponderale», senza alcuna sopravva- lutazione del metallo coniato rispetto all’intrinseco valore della moneta1. In altri ter-

1 Cfr. il recente lavoro di F. CARLÀ, L’oro nella tarda antichità: aspetti economici e sociali, Torino, 2009,

p. 33, ma già TH. MOMMSEN, Geschichte des römischen Münzwesen, Berlin, 1860, p. 778. La letteratura in materia di circolazione aurea e fiscalità nella tarda antichità è sconfinata; ci limitiamo a citare alcuni

mini, le monete venivano pesate. I pagamenti in questo metallo avevano luogo, dun- que, previa pesatura del metallo. Alla domanda se ciò dovesse avvenire soltanto in oc- casione delle grandi transazioni commerciali e non per spese quotidiane di piccola en- tità («a minor dealing in daily life»)2, è stata opposto il rilievo che nessuna transazione

in moneta d’oro potesse considerarsi tale, e che, di conseguenza, fosse costante il rilie- vo assunto dalla verifica del peso delle monete. L’emissione di monete auree di peso di- verso, non solo in differenti periodi ma anche da parte di uno stesso imperatore, e la loro contemporanea circolazione aveva reso impossibile la circolazione dell’oro se non attraverso la previa pesatura dello stesso3.

Come abbiamo visto, l’unità di peso utilizzata dagli imperatori per quantificare la multa aurea (o, più rararamente, in argento) è la libra4 – a volte si riscontra invece la

forma avverbiale pondo, dal medesimo significato –, equivalente, secondo la conver- sione stabilita tramite una legge imperiale, a 72 solidi. Stabiliscono Valentiniano e Va- lente in C. Th. 12.6.13 (= C. 10.72.5):

fondamentali contributi: E. LO CASCIO, Teoria e politica monetaria a Roma tra III e IV d. C., in Società

romana e impero tardoantico, I, Istituzioni ceti economie, (a cura di A. GIARDINA), Roma, 1986, pp. 535- 557; ID., Prezzi dell’oro e prezzi delle merci, in L’inflazione nel quarto secolo d. C. Atti dell’incontro di

studio. Roma 1988, Roma, 1993, pp. 155-188; ID., Aspetti della politica monetaria nel IV secolo, in Atti

dell’Accademia Romanistica Costantiniana, X convegno internazionale in onore di Arnaldo Biscardi, Napoli, 1995, pp. 481-502; ID., Prezzi in oro e prezzi in unità di conto tra il III e il IV sec. d. C., in Écono- mie antique: prix et formation des prix dans les économies antiques, Musée archéologique départe- mental de Saint-Bertrand-de-Comminges, 1997, pp. 161-182; S. MAZZARINO, Aspetti sociali del quarto secolo. Ricerche di storia tardo-romana, cit.; Dal denarius al dinar. L’Oriente e la moneta romana. Atti dell’incontro di studio. Roma 16-18 settembre 2004, (a cura di F. DE ROMANIS – S. SORDA), Roma, 2006; W.

E. METCALF (ed.), The Oxford handbook of Greek and Roman coinage, Oxford, 2012, p. 602 ss; J. BANAJI, Agrarian Change in Late Antiquity. Gold, Labour, and Aristocratic Dominance, Oxford, 2001.

2 P. H. WEBB, The Roman Imperial Coniage, V, Valerian to the Reform of Diocletian, 1, p. 7. Al contrario,

contesta F. CARLÀ, op. cit., p. 131, “l’oro, oltre ad essere unità di conto, doveva dunque assolvere prima- riamente a funzioni fiscali, ed in generale nei rapporti finanziari e fiscali con il potere centrale, o co- munque nelle transazioni di altissimo livello, caratterizzanti i ceti più alti e le loro operazioni econo- miche”. Detentori dell’oro non erano solo gli appartenenti all’aristocrazia fondiaria, ma anche l’esercito e i funzionari tardoimperiali, che non tarderanno ad affacciarsi ai ranghi del Senato (cfr. S. RODA, Nobiltà burocratica, aristocrazia senatoria, nobilità provinciali, Storia di Roma, III.1, (a cura di A.

CARANDINI,L.CRACCO RUGGINI,A.GIARDINA), Torino, 1993, pp. 643-674). V. anche J. BANAJI, Agrarian Change in Late Antiquity. Gold, Labour, and Aristocratic Dominance, cit., pp. 36-37.

3 Sintetizza efficacemente il quadro ancora F. CARLÀ, op. cit., p. 35: “Il fatto stesso che queste monete

circolassero tutte assieme, anche laddove la varietà era tanto grande e le differenze di peso alle volte tanto irregolari da non poter far percepire tutti i pezzi come multipli o sottomultipli gli uni degli altri, è estremamente significativo. È infatti ovvio che, in un sistema monetario come quello antico, in cui il valore nominale di una moneta, per quanto sopravvalutato, non poteva completamente prescindere dall’esistenza di un intrinseco metallico, una moneta che venga dichiarata fuori corso vale esclusiva- mente per il peso di metallo che contiene. Risulta perciò significativa l’abitudine di indicare con rego- larità il peso su ogni singolo pezzo, proprio come accadeva con i lingotti di metallo prezioso. Dal mo- mento che, però, la circolazione dell’oro era già esclusivamente ponderale, non era pensabile né sensa- ta alcuna messa fuori corso di aurei delle epoche precedenti, che continuarono a circolare, esattamen- te come prima, sulla base del loro intrinseco”.

4 Sulla determinazione esatta del peso in grammi della libbra romana e bizantina non c’è certezza. Cfr.

la recente proposta di H. POTTIER, Nouvelle approche de la livre byzantine du Ve e VIIe siècle, in «RBN»,

Impp. Valentinianus et Valens AA. ad Germanianum comitem sacrarum largitionum. pr. Quotienscumque solidi ad largitionum subsidia perferendi sunt, non solidi, pro quibus adulterini saepe subduntur, sed aut idem in massam redacti aut, si aliunde qui solvit potest habere materiam, auri obryza dirigatur, pro ea scilicet parte, quam unusquisque dependit, ne diu- tius vel allecti vel prosecutores vel largitionales adulterinos solidos subro- gando in compendium suum fiscalia emolumenta convertant. 1. Illud etiam cautionis adicimus, ut, quotienscumque certa summa solidorum pro tituli qualitate debetur et auri massa transmittitur, in septuaginta duos solidos libra feratur accepto. Et cetera. Dat. VI id. Ian. Romae Lupicinio et Iovino conss. (367 Ian. 8).

Il solo paragrafo primo della costituzione è riportato anche nel Codice Giustinia- no, ma l’equivalenza 1 libra = 72 solidi è mantenuta5. Una libbra d’argento valeva, in-

vece, 5 solidi, come attestato in C. Th. 13.2.1 (= C. 10.78.1)6. Alcune multe (come quella

riportata in C. Th. 6.27.15.1) sono espresse in once, misura che corrisponde ad 1/12 di libra. La corrispondenza era fissata, ancora in via legislativa, non a 6 solidi (come vor- rebbe una corretta operazione di divisione) ma a 7 solidi per oncia7. Si legga C. Th.

12.7.1:

Imp. Constantinus A. ad Eufrasium rationalem trium provinciarum. Si qui solidos appendere voluerit, auri cocti septem solidos quaternorum scripu- lorum nostris vultibus figuratos adpendat pro singulis unciis, XIIII vero pro duabus, iuxta hanc formam omnem summam debiti illaturus. Eadem ratione servanda, et si materiam quis inferat, ut solidos dedisse videatur.

5 Ulteriore conferma si legge in C. Th. 7.24.1. La medesima costituzione riportata nel Codice Giustiniano

(C. 12.48.1) perde invece l’indicazione del numero di solidi corrispondente ad una libbra.

6 Cfr. C. Th. 13.2.1 (Impp. Arcadius et Honorius AA. Eutychiano praefecto praetorio): Iubemus, ut pro

argenti summa, quam quis thensauris fuerat illaturus, inferendi auri accipiat facultatem, ita ut pro sin- gulis libris argenti quinos solidos inferat. Dat. XI kal. Mart. Constantinopoli Caesario et Attico conss. (397 Febr. [?] 19) e il medesimo testo riportato in C. 10.78.1.

7 La costituzione è stata al centro di differenti intepretazioni e di sospetti di interpolazione. Rimandia-

mo al complesso ma suggestivo dibattito sul punto nella ricostruzione di F. CARLÀ, op. cit., pp. 94-99, il quale ritiene, sulla scorta di un’intuizione del Seeck (O. SEECK, Die Münzpolitik Diocletians und seiner

Nachfolger, in «Zeitschrift für Numismatik», 17 (1890), p. 55 ss., il quale, però, pensava ad un generale innalzamento delle tasse), che l’intervento legislativo abbia introdotto una sorta di imposta indiretta, “per chi debba effettuare un pagamento in oro allo Stato, di un automatico aumento di 1/6 della som- ma da versare”.

Aurum vero quod infertur aequa lance et libramentis paribus suscipiatur, scilicet ut duobus digitis summitas lini retineatur, tres reliqui liberi ad su- sceptorem emineant nec pondera deprimant nullo examinis libramento servato, nec aequis ac paribus suspenso statere momentis. Et cetera. Pro- posita XIIII kal. Aug. Paulino et Iuliano conss. (325 Iul. 19).

La stessa costituzione descrive anche le regole per procedere ad una corretta pesatura: due dita dovevano reggere la bilancia a due piatti e le altre, libere, dovevano essere mostrate all’esattore (che, quindi non era anche pesatore, funzione assunta pro- babilmente, a partire da Giuliano, dallo ζυγοστάτης8) e non utilizzate per spingere i pesi

e falsare l’equilibrio della bilancia9.

Sono stati rinvenuti, in varie parti dell’Impero, numerosi esempi di quelli che la dottrina ha definito «veri e propri “kit” per la pesatura delle monete10», uno dei quali è

stato dagli studiosi riferito proprio ad un riscossore di multe11.

Come è noto, l’oro proveniente dai pagamenti dovuti allo Stato era, in un primo periodo, fuso dopo la riscossione (come si legge in C. Th. 12.6.13pr., in massam redacti), così da accertarne la purezza (pratica sicuramente scomparsa al tempo di Giustiniano, che accoglie solo il paragrafo primo della costituzione).