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Le Città metropolitane italiane oggi

Capitolo 6 – Considerazioni Conclusive

2.1.3 Le Città metropolitane italiane oggi

Ciò che si è voluto mettere in evidenza attraverso questa breve ricostruzione storica, è che se inizialmente, tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli '80, il riconoscimento di vie di sviluppo alternative alla dicotomia Nord-Sud e alla grande impresa, ha trovato nella Terza Italia di Bagnasco (1977) e nell'Italia emergente studiata dal gruppo guidato da Dematteis (1983) un primo piano di scoperta e analisi, è solo successivamente che esplode la consapevolezza che le realtà locali stanno uscendo dallo stadio di perifericità in cui erano relegate per assumere una fisionomia centrale nello sviluppo italiano.

Così, a partire dagli anni '90, “il territorio dapprima relegato a scenografia dei successi localistici, riacquista propria fisionomia e diviene protagonista. Alle visioni individualistiche e parcellizzate si sostituisce una visione d'insieme che punta l'attenzione sugli elementi di coesione e non più sui soli vertici di eccellenza.” (Bonora, 2003) Si inizia a parlare allora di sistemi locali territoriali, in cu il territorio non appare come somma di prerogative e prestazioni o come supporto del loro agire, ma come attore in prima persona. Unico e originale, dotato di precisa fisionomia e riconoscibilità. Un organismo vivente, lo definisce Magnaghi (2000) per dare il senso della complessità, in continua trasformazione, che in certe condizioni sa riprodursi e autogovernarsi e tuttavia dagli equilibri fragilissimi. (Bonora, 2003).

Da quanto detto finora, emerge che il concetto di città metropolitana, così come definita dalla normativa italiana, sembra riferirsi più ai vecchi modelli di urbanizzazione polarizzata e per corone degli anni '60, che non a quelli della fase attuale caratterizzati dalla polarizzazione selettiva, dai processi di periurbanizzazione e dalle sinergie di rete regionali.

riferimento, poiché si osserva innanzitutto che in essa le città italiane occupano una posizione da semi-periferica (quelle del Nord) a periferica (quelle meridionali e insulari).

Il sistema metropolitano italiano dalle rappresentazioni degli anni '80 ad oggi

Uno studio comparativo (Brunet, 1989) permette di confrontare le 12 città italiane considerate metropolitane in base alla legge 142 del 1990 (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Cagliari, Palermo e Catania) con quelle europee di pari dimensione demografica, secondo una serie di indicatori di dotazione funzionale. Tra le prime venti città europee, caratterizzate dalla presenza delle funzioni metropolitane di livello superiore, rientrano solo Roma e Milano. Tra le successive 20 città europee con buone dotazioni funzionali troviamo Torino, Bologna, Firenze, Napoli e Venezia. Per trovare le altre città considerate metropolitane in Italia, dobbiamo scendere intorno al centesimo posto della graduatoria europea.

Se confrontiamo questo dato con il diffuso livello di internazionalizzazione dei sistemi urbani italiani si può concludere che la forza della rete urbana italiana è data dalla densità e dal dinamismo dei livelli intermedi e anche inferiori, soprattutto nel Nord e nel Centro, mentre la sua debolezza riguarda l'armatura metropolitana di livello superiore. Infatti, là dove altri grandi paesi europei o sono rappresentati al massimo livello – quello delle "città globali" - (come la Francia con Parigi e la Gran Bretagna con Londra), o possono contare, come la Germania, almeno su quattro metropoli di livello funzionale pari a quello di Milano e Roma (Francoforte, Berlino, Monaco, Amburgo).

Sulla base delle principali ricerche che hanno affrontato il tema delle gerarchie tra le città europee e che hanno proposto classifiche nazionali e internazionali più o meno similari, Mazzeo ha elaborato una gerarchia di sintesi basata sulla posizione occupata da ogni città nei singoli studi. Dai risultati ottenuti emerge l’esistenza di 8 gruppi di centri che possono essere associati tre macro-categorie di città: un gruppo di città guida a livello europeo, con forti agganci ed influenze a livello mondiale; un gruppo intermedio di città di livello internazionale; un gruppo di importanza nazionale e sovra-regionale, molto mobile ed instabile. Al gruppo 1 appartengono soltanto Londra e Parigi. Con particolare riferimento alle città italiane, si osserva che Milano appartiene al gruppo 2, dopo Francoforte, prima di Amsterdam, Bruxelles, Madrid, Monaco di Baviera. Mentre Roma è inclusa nel gruppo 3, dopo Amburgo e Barcellona e seguita da altre 9 città europee tra cui Berlino, Vienna, Lione, Stoccarda, Stoccolma.

All’interno del gruppo 4, tra le città di livello internazionale intermedio troviamo Bologna e Torino; al gruppo 5 appartengono invece Venezia, Firenze, Bari, Palermo, Trieste, Cagliari, Verona, Catania, Taranto, Napoli, Parma, Reggio Calabria, mentre nessuna città italiana è classificata nei gruppi 6, 7 e 8.

Pur nella consapevolezza dei limiti e delle semplificazioni che caratterizzano le classificazioni di tipo gerarchico, limiti dovuti essenzialmente alla selezione degli indicatori e al modo in cui questi ultimi vengono combinati, dalla sintesi sopra riportata emergono due importanti considerazioni relative alle Città metropolitane italiane.

La prima è che, con le sole eccezioni di Milano e Roma, tutte le città italiane si pongono al di fuori del circuito delle città con un ruolo di guida a livello europeo, con forti agganci ed influenze a livello mondiale. La seconda riguarda il rapporto tra le Città metropolitane individuate e riconosciute a livello normativo e la totalità dei centri oggetto delle gerarchie europee, all’interno delle quali troviamo realtà come Trieste, Cagliari, Verona, Catania, Taranto non contemplate dalla legge sulle Città metropolitane, che occupano invece posizioni migliori rispetto a Napoli e Reggio Calabria, che invece sono destinate a diventarlo.

Nel panorama italiano è poi possibile riconoscere alcune città maggiormente caratterizzate da un approccio di governo verso l’esterno che ne arricchisce la forza istituzionale e ne accresce il livello gerarchico. Si tratta di città come Venezia e Torino che hanno puntato in maniera più decisa sull’internazionalizzazione, ossia sulle opportunità derivanti dalle relazioni che la città è in grado di intrattenere all’esterno, soprattutto, ma non solo, in verticale con gli altri livelli di governo (regionali, nazionali,

europei), allo scopo di attrarre risorse pubbliche e investimenti privati.

Altre realtà italiane di livello intermedio hanno privilegiato, al contrario, il governo “verso l’interno” ossia le relazioni che la città è in grado di intrattenere con i suoi elementi costitutivi caratterizzanti, ossia tra i poli (produttivi, residenziali ecc.) di cui essa si compone o, in altri termini, tra il Comune centrale e i Comuni che gli stanno attorno. I due tipi di capacità istituzionale non sono necessariamente correlati. Una città può essere in grado di sviluppare una presenza molto attiva nei rapporti con lo stato nazionale, l’Unione europea e le altre metropoli, pur trascurando il proprio hinterland. E, viceversa, una città può essere dotata di un buon livello di programmazione dei servizi e di pianificazione urbanistica su scala metropolitana ed avere, ciò malgrado, una debole proiezione esterna. Non è detto, in altre parole, che la costruzione della “città-capitale” vada di pari passo con la costruzione della “città-regione”(Dente 1989).

Alla lunga, però, l’integrazione tra due tipi di risorse istituzionali dovrebbe costituire un fattore favorevole alla competizione in quanto in quasi tutte le Città metropolitane si va accentuando la complementarità tra il nucleo centrale, che perde abitanti ed insediamenti produttivi, ed i Comuni limitrofi. Si noti che in alcune realtà metropolitane italiane, come ad esempio Torino e Venezia, il rapporto tra i due aspetti (le relazioni esterne e le relazioni interne) appare attualmente squilibrato a favore del primo. Queste città hanno infatti puntato più sul ruolo di “città-capitale” che su quello di “città-regione”. I passi compiuti in direzione dell’integrazione verticale verso l’esterno sono stati più decisi e convinti di quelli compiuti verso l’integrazione orizzontale all’interno dell’area. Al contrario in altre realtà si è scelto di sviluppare in via prioritaria un processo di integrazione orizzontale della governance metropolitana.

Un'immagine di sintesi della rete urbana italiana è necessariamente complessa perché ogni sistema urbano locale va pensato inserito e attivo in due tipi di spazi: quello fisico- territoriale in cui le interazioni e quindi le configurazioni spaziali dipendono dalle distanze e dalle posizioni geografiche, e quello virtuale formato da reti di flussi e di interazioni non condizionate dalla distanza fisica. La difficoltà di tracciare una tale geografia nasce dal fatto che questi due tipi di metriche spaziali sono concettualmente molto diversi e non reciprocamente riducibili fra loro. Ma ciò non significa che i fenomeni urbani che si manifestano a livello locale-regionale, cioè quelli che rappresentiamo efficacemente in uno spazio territoriale, siano qualcosa di diverso o addirittura di alternativo rispetto a quelli che si presentano a scala globale e che pensiamo in termini

di reti.

Al contrario, entrambi operano sempre congiuntamente, anche se ciò può dar origine a tensioni e conflitti locali. Perciò le città non possono essere viste né come semplici porzioni di territorio in cui si radicano delle collettività organizzate né come semplici "nodi" in cui le reti dei flussi globali convergono e si connettono. Esse sono le due cose insieme, non separabili nei fatti, così come in una lingua i significati devono legarsi ai significanti perché le parole abbiano senso.

Si innesta in questa direzione l'innovativa rappresentazione del territorio italiano offerta dagli studi condotti nell'ambito dell'elaborazione del Quadro Strategico Nazionale 2007- 2013 da un gruppo di lavoro coordinato da Gaetano Fontana32. L'analisi condotta infatti restituisce l'immagine di un insieme di territori-rete che connettono selettivamente, alle diverse scale, molteplici strati di territorio, generando piattaforme strategiche transcalari e territori-snodo che danno forma all’atterraggio dei flussi globali, intrecciandosi variamente con i territori sedimentati localmente. E, inoltre,”fasci infrastrutturali di connessione materiale e immateriale”, con l’aggancio agli spazi sovranazionali europei, mediterranei e internazionali.

In questa rappresentazione, i “rassicuranti” sistemi metropolitani, descritti nel Progetto 80 come sistemi organizzati dal principio di prossimità spaziale e tenuti insieme dal telaio della rete autostradale e ferroviaria, vengono così sostituiti da uno spazio multistrato e multidimensionale, attraversato da molteplici flussi di connessione alle reti lunghe dello scambio, proprio come un “territorio millefoglie intrecciato da linee di flusso interne ed esterne, che evolve dinamicamente nella mutevole interazione tra i diversi strati e flussi.” (Clementi, 2007)

In questo quadro di internazionalizzazione si assiste a particolari dinamiche economiche e territoriali che rendono mobile la produzione e di conseguenza instabile l’economia di ogni città, che va “in cerca di economie, così come le economie sono in cerca di città.” (Calafati, 2010)

Gli strati si articolano a partire dai territori identitari, rappresentati dai contesti insediativi locali sedimentati nel tempo e oggi in fase di profonda trasformazione; poi i territori della competitività, ricostruiti con un approccio fortemente innovativo che coniuga fino al livello locale le strategie d’impresa con le dotazioni di risorse territoriali; poi ancora i territori-snodo, intesi come commutatori privilegiati di flusso, predisposti a fungere da 32 Italia Europa. Il territorio come infrastruttura di contesto Contributi alla programmazione 2007-2013, elaborato nel 2007 dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e dal DICOTER (Direzione generale per lo sviluppo del territorio).

«ambienti innovatori suscettibili di riverberare all’intorno gli impulsi di cambiamento delle strutture produttive e sociali esistenti” (Clementi, 2007); e infine i grandi territori comunitari, ovvero i sistemi macroregionali riconoscibili come specificazioni dello spazio geopolitico europeo e mediterraneo.

Uno dei risultati di maggior rilievo di queste interpretazioni del territorio italiano è la costruzione di una visione guida articolata in corridoi e piattaforme territoriali strategiche, a loro volta di livello transnazionale, nazionale, interregionale con l'obiettivo primario di misurarsi attivamente con i processi in atto, cercando di orientarli positivamente.

Del resto gli studi elaborati nell’ambito del QSN 2007-2013 non costituiscono in nessun modo il prodotto dei metodi di previsione adoperati nelle scienze quantitative, ma rappresentano piuttosto “l’esito di un’anticipazione intenzionale di rappresentazioni di possibili assetti del territorio in conseguenza dell’attuazione delle strategie prefigurabili […], prodotto di un’esplorazione ancora aperta, che cerca di anticipare le possibili configurazioni future del territorio in condizioni di relativa incertezza previsionale, offrendole come riferimento su cui impostare il confronto decisionale con gli altri soggetti coinvolti nelle politiche di assetto del territorio nazionale, in questo caso in particolare le Regioni e gli altri ministeri coinvolti nella costruzione del QSN 2007-2013” (Clementi, 2007).

In conclusione, si può affermare, anche nell'ottica d introdurre le riflessioni che saranno sviluppate nei successivi capitoli, che in Italia la questione urbana sia stata l'esito di una rivoluzione territoriale che, negli anni '50 ha generato un profondo cambiamento dell’organizzazione territoriale della società italiana. Lo straordinario processo di concentrazione delle attività antropiche che lo ha accompagnato ha condotto alla formazione di sistemi urbani nei quali le città storiche si sono fortemente indebolite. Si tratta di nuove forme territoriali – intercomunali e disperse – che della città hanno sia la dimensione spaziale sia quella relazionale, ma non il carattere costitutivo, ovvero l’identità politica. Secondo un'interessante interpretazione di Calafati, questa “rivoluzione territoriale” non è stata tuttavia accompagnata da una rivoluzione istituzionale33 ed è per questo che il governo del territorio, e in particolare il governo delle città metropolitane ed i processi decisionali ad esse collegati continuano a svolgersi su scale territoriali incongrue rispetto ai problemi che ambirebbero a governare.

Da molti anni infatti si sarebbe dovuto adeguare il processo politico alla nuova 33Si veda A. Calafati, Economia in cerca di città, La questione urbana in Italia Donzelli editore, 2010

organizzazione spaziale e relazionale emersa con la “rivoluzione territoriale”, favorendo la trasformazione dei nuovi sistemi urbani formatisi per “coalescenza territoriale” in unità di auto-regolazione. In questo senso, ora che l’internazionalizzazione dell’economia europea, con i suoi cambiamenti tecnologici e culturali, fa della questione urbana un tema decisivo per lo sviluppo economico del paese, la istituzionalizzazione delle nuove forme di organizzazione spaziale e relazionale, può rappresentare una importante occasione per il rilancio di un progetto per le città e per l'avvio di politiche urbane nazionali rivolte alle città di maggiori dimensioni, ma non esclusivamente ad esse, secondo gli indirizzi dell’Unione Europea per il prossimo ciclo di programmazione dei fondi strutturali 2014-2020.

2.2 Il contesto normativo ed istituzionale

Le trasformazioni dell'organizzazione territoriale descritte nei capitoli precedenti si sono scontrate nel corso degli anni con un sistema istituzionale estremamente rigido ed incapace di governare con i propri strumenti il cambiamento, rinunciando così, nella maggior parte dei casi, a coglierne gli aspetti positivi. Il dibattito sulla città metropolitana si colloca al centro di questa fase di profonda trasformazione degli assetti territoriali, come esigenza amministrativa del governo locale, in seguito alle prime esperienze dei piani intercomunali degli anni '50 del secolo scorso che avrebbero potuto costituire “uno strumento appropriato per ridurre la cattiva distribuzione delle funzioni urbane, gli squilibri tra le diverse tipologie di Comuni presenti nelle aree metropolitane, nonché valutare i costi dei servizi pubblici con particolare riferimento al settore dei trasporti pubblici locali” (Forte, 1963).

Negli anni '60 la questione delle aree metropolitane è stata inoltre inserita all’interno del dibattito preparatorio all’istituzione delle Regioni. In seguito, a metà degli anni '70, un tentativo di governo dei problemi di area vasta è attribuibile all’istituzione, da parte di alcune Regioni, dei Comprensori per far fronte alle esigenze di pianificazione economico-territoriale.