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Il Progetto 80: un'esperienza di pianificazione strategica

Capitolo 6 – Considerazioni Conclusive

2.1.2 Il Progetto 80: un'esperienza di pianificazione strategica

E' sull'osservazione e sull'analisi dell'Italia degli anni '50 e '60, che poggia le basi il Progetto 80, un documento elaborato tra il 1968 e il 1971 dal Ministero del bilancio e della programmazione economica sul quale si ritiene, in questa sede, indispensabile soffermarsi, ritenendolo la prima esperienza di pianificazione strategica a livello

nazionale.

Il principale elemento di innovazione che si riscontra nel Progetto 80 è quello di interpretare il territorio come progetto sociale. Ciò ha condotto a considerare, in primo luogo, un orizzonte temporale ampio, ed, in secondo luogo, ad estendere i ruoli dell'operatore pubblico, in “un'espressione assai lata, che abbraccia non solo gli organi di programmazione centrale, ma anche e soprattutto i sistemi periferici di decisione autonoma” allo scopo di “organizzare in Italia una programmazione policentrica” (Di Fenizio, 1969).

In questo ampliamento di prospettiva, per la prima volta, in termini espliciti, il territorio viene inserito tra gli impieghi sociali del reddito, partendo dal presupposto secondo cui occuparsi di società non può prescindere dall'occuparsi anche di territorio e dal tipo di condizioni ambientali in cui si svolge la vita quotidiana dei lavoratori e dei cittadini. Il riconoscimento di una costante ”interdipendenza tra le caratteristiche generali dello sviluppo e assetto territoriale, fra sviluppo economico e trasformazioni territoriali” (Carabba, 1977) segna un momento di svolta nel discorso pubblico sullo sviluppo in Italia: nei documenti precedenti al Progetto 80, infatti, il territorio appare come variabile quantitativa e la scala nazionale, al di là dell'attenzione nei confronti del Mezzogiorno, non viene individuata nelle linee generali del programma né tra gli obiettivi né tra gli orientamenti.

“A differenza di altri paesi occidentali, l'Italia nel secondo dopoguerra non si dota di uno strumento spaziale a scala nazionale e città e territorio, intesi come questioni non settoriali e sovra locali, entrano piuttosto tardi in modo esplicito nel dibattito politico e tra le azioni di governo. Nonostante questo, diverse immagini e rappresentazioni della città e del territorio circolano con continuità in modo implicito nei piani e programmi pluriennali elaborati nel corso degli anni: proiezioni spaziali delle aspettative pubbliche in merito alla dimensione territoriale dello sviluppo e del benessere” (Calafati, 2009)

Nonostante negli anni '60 il discorso sulla città e sul territorio stenti ancora ad occuparsi in modo esplicito di temi che superino la sola localizzazione degli insediamenti produttivi, l'introduzione della pianificazione urbanistica come necessità civile del paese, rende conto non solo dell'allargamento delle questioni di cui la programmazione si fa carico, ma anche della mutata attenzione nei confronti della dimensione spaziale, in un paese che cerca di coniugare un neonato stato democratico con progresso economico e intervento pubblico.

principali temi di dibattito rispetto all'urbanistica e alla sua riforma legislativa: la questione della rendita fondiaria e l'ampliamento della scala di pianificazione che comprende riferimenti al tema della città regione e della pianificazione comprensoriale. Quando si arriva all'elaborazione del Progetto 80 si è dunque da tempo messa in moto a diversi livelli una serie di meccanismi di costruzione del piano e il governo del territorio nazionale, sebbene in forme ancora in via di definizione, è diventato di fatto una parte integrante del piano di sviluppo.” (Renzoni, 2012)

Entrando nel merito dei contenuti e delle analisi del Progetto 80 si osserva che le risorse territoriali vengono classificate secondo 4 categorie di beni, il cui grado di flessibilità diventa via via crescente e vengono articolate in “beni connessi alla natura”; “beni connessi a preesistenze storico-culturali”; beni connessi all'agglomerazione urbana degli insediamenti umani”; beni connessi ai sistemi infrastrutturali”. Da tale classificazione discende la distinzione tra aree libere e aree intensive, le prime collegate alle risorse naturalistiche e storico-artistiche, le seconde all'agglomerazione urbana. “Proprio nel rapporto tra aree libere e aree intensive o in termini più generali tra densità e rarefazione, concentrazione e dispersione, uno dei temi centrali dell'intero progetto” (Renzoni, 2011).

Le prime analisi sono di tipo essenzialmente quantitativo, fondate sulle indagini statistiche dell'ISTAT e soprattutto il lavoro di Salvatore Cafiero e Alessandro Busca sullo sviluppo metropolitano in Italia26 condotto alla fine degli anni '60 che operava una classificazione in base al numero di abitanti, di servizi e di addetti extra agricoli. Successivamente, vengono create categorie più complesse, come quelle di distribuzione della popolazione, presenza di servizi e localizzazione degli impianti produttivi.

Nelle analisi del Progetto 80 si registra la presenza di alcune grandi aree urbane (in prima istanza quelle del triangolo industriale, assieme a Roma e Napoli), ma “ciò che emerge in forme interessanti è un tessuto insediativo più capillare e rarefatto che problematizza le categorie di densità territoriale e sviluppo economico”. (Renzoni, 2012) Viene infatti operata una distinzione tra “città di grandi dimensioni” (come la grande conurbazione milanese), città medie e quello che viene definito “un tipo di insediamento estremamente polverizzato” (MBPE, 1969), cioè costituito da centri con popolazione inferiore ai 5000 abitanti. “Una classificazione su base quantitativa non certo delle più 26I cui esiti sono stati descritti nel precedente Capitolo 1.2.3

dettagliate, ma che restituisce alcuni fenomeni in atto che fanno i conti con la difficoltà di costruire categorie interpretative che superino la coppia oppositiva città/campagna e che permettano di osservare il fenomeno urbano non solo attraverso i movimenti espansivi delle grandi città e lo spopolamento dei piccoli centri, ma anche attraverso una rete insediativa più minuta che procede in altre direzioni.” (Renzoni, 2012)

Per la prima volta, vengono poste all'attenzione alcune realtà emergenti e altre già in fase di consolidamento, finora non considerate come parti di un sistema integrato. Si tratta del Nord-Est ed in particolare dell'area centrale veneta, della via Emilia e della fascia costiera adriatica, della regione milanese, della Toscana settentrionale, del Salento. Vengono inoltre evidenziate le aree a diffusa industrializzazione, ossia quelle aree con una densità territoriale superiore ai 100 ab/kmq e una percentuale di addetti all'industria superiore al 50%.

Attraverso l'individuazione di questi distretti industriali sarà possibile portare alla luce processi economici e territoriali che qualche anno più tardi Bagnasco metterà in evidenza con la felice formula della “terza Italia” (1977), “compresa tra le aree del Nord- Ovest della grande industria caratterizzate dalla diffusione spontanea e l'Italia del sud, terre del ritardo economico e del sostegno pubblico”. (Dallari, 2011)

Nel passaggio dallo scenario attuale del Progetto 80 (modello A) a quello programmatico (modello P), le tre categorie interpretative prima descritte27 subiscono un'evoluzione lessicale, ma anche sostanziale accompagnata dal termine “sistema”. Si inizia a parlare quindi di “sistema delle aree per il tempo libero”, di “sistemi gravitazionali” e “sistemi metropolitani”; di “sistema nazionale dei trasporti”28.

Come ricordato, il fulcro del Progetto 80 è il riequilibrio territoriale, ossia la trasformazione dei sistemi gravitazionali attuali in sistemi metropolitani. A tale scopo, i sistemi gravitazionali individuati nel modello A, di assetto territoriale attuale, vengono ricondotti a 3 categorie prevalenti dette rispettivamente stellare, lineare e reticolare. La struttura stellare è legata a contesti urbani prevalentemente monocentrici, in cui viene riconosciuto uno squilibrio tra il centro del sistema e gli insediamenti marginali. Le

27aree libere, aree intensive, sistemi infrastrutturali

28 Si noti come le infrastrutture siano parte di un sistema fin dalle prime battute dell'analisi, essendo già programmato un disegno organico delle grandi opere di infrastrutturazione, da mantenere e potenziare.

strutture lineare e reticolare vengono invece definite come “organizzazioni policentriche riscontrabili in quei sistemi dove esiste un certo equilibrio tra il rango dei vari centri” (MBPE, 1971). Si evidenziano in particolare i sistemi metropolitani emiliano e adriatico, versiliese e veneto29.

Ciò che emerge dal modello A è un territorio organizzato in 51 sistemi gravitazionali, ossia “forme di aggregazione spontanea dei centri urbani” suddivisi secondo una classificazione gerarchica in sei ordini che distinguono tra aree forti e aree deboli, in base alla dotazione infrastrutturale di cui dispongono. Il modello restituisce un'immagine alquanto frammentata dell'Italia urbana, fatta di una serie di strutture monocentriche di diversa importanza e una distribuzione di centri di piccole dimensioni che non fanno sistema con il territorio circostante.

La risposta alla situazione descritta e agli scenari prefigurati, sta nella costruzione di un modello di sviluppo alternativo, il modello P, esito di una “variazione della disposizione spaziale” e delle interrelazioni tra le diverse componenti del modello attuale. “Modello di assetto territoriale programmatico”, “criteri di una trasformazione programmata”, “nuovo assetto territoriale”: sono queste alcune delle parole chiave usate nel testo per parlare di un modello di sviluppo territoriale che nelle intenzioni degli autori travalica i confini spaziali per alludere a temi più ambiziosi.” (Renzoni, 2012).

Si propone quindi una nuova organizzazione dei sistemi urbani fondata sul sistema metropolitano: “nuove forme di aggregazione programmata basate su una organizzazione policentrica e specializzata delle città in esse comprese, che raggiungano nel loro insieme un livello di popolazione tale da permettere un elevato grado di civiltà urbana e potenziale economico, e che siano comprese entro limiti dimensionali tali da consentire una rapida reciproca accessibilità”(MBPE, 1971).

All'articolazione degli insediamenti esistenti in 51 sistemi gravitazionali, vengono contrapposti 30 sistemi metropolitani, distribuiti su tutto il territorio nazionale e organizzati in una struttura policentrica coincidente in buona parte con i confini amministrativi regionali. Vengono così individuati sistemi metropolitani di tipo A (attuali aree metropolitane), di tipo B (di riequilibrio), di tipo C (alternativi). I sistemi fondati sulle “attuali aree metropolitane” ricalcano sostanzialmente le grandi città italiane esistenti (sistemi A: Milano, Torino, Genova, Roma, Napoli) e le aree più densamente popolate a 29 Il sistema del Veneto è l'unica struttura reticolare, tutte le altre sono lineari.

struttura insediativa prevalentemente policentrica (sistemi A1: sistema veneto, bolognese-romagnolo, toscano settentrionale e siciliano orientale).

Si osserva che i sistemi metropolitani individuati del Progetto 80 rappresentano, con la sola esclusione di Bari, le Città metropolitane previste dalla normativa attuale.

Sistemi metropolitani e sistemi dei flussi di trasporto nel Progetto 80

Per i sistemi A a struttura monocentrica, le politiche di intervento prevedono la riduzione dei flussi migratori e il decentramento di potenziale economico e attrezzature civili nei sistemi ad essi adiacenti (i sistemi di tipo B, di riequilibrio), allo scopo di favorire la formazione di una effettiva rete policentrica (secondo le già schematizzate strutture insediative reticolare e lineare).

Per i sistemi A1, già articolati in un'organizzazione policentrica e caratterizzati da uno sviluppo metropolitano più recente, si propone il consolidamento e il rafforzamento della rete attraverso la realizzazione di forme di coesione, specializzazione e complementarietà dei vari insediamenti.

I sistemi metropolitani di riequilibrio vengono organizzati nei pressi delle grandi conurbazioni delle quali subiscono la forte attrazione (sistemi B: del Piemonte settentrionale, del Piemonte meridionale, dell'Adige e del Garda e dell'Emilia

occidentale, sistemi basso laziale e salernitano). Scopo di questi sistemi urbani è contrastare la tendenza alla concentrazione nelle aree più forti attraverso il potenziamento di servizi e il consolidamento dell'armatura urbana preesistente; la struttura insediativa è sostanzialmente lineare e procede parallela alle principali direttrici di trasporto, cui è demandato il ruolo di promozione territoriale. Infine i sistemi metropolitani alternativi sono quelle “città o aree lontane da un'organizzazione di tipo metropolitano”, classificate in base alla loro valenza strategica rispetto alle aree di sviluppo già consolidate (sistemi C: sistema friulano, toscano meridionale, umbro-alto laziale, della Puglia centrale e meridionale, della Sicilia occidentale e della Sardegna meridionale) e rispetto alla loro collocazione periferica (sistemi C1: sistema marchigiano, abruzzese, molisano-alto pugliese, lucano, della Calabria centrale, dello stretto, della Sicilia centro-meridionale e della Sardegna settentrionale). Si tratta delle aree economicamente più deboli del paese, in cui però la disponibilità di risorse territoriali, se correttamente indirizzata, può costituire il presupposto necessario per lo sviluppo.

Si può affermare che la rappresentazione del territorio che emerge dal Progetto 80 mette in evidenza che “l'immagine di un'Italia agricola e di una società prevalentemente contadina sembra definitivamente accantonata: il territorio è veicolo e sede di una società nuova, che si riflette in una rete diffusa di sistemi metropolitani di dimensioni comprese tra 1 e 3 milioni di abitanti, circondata e sostenuta da un sistema di parchi uniformemente distribuiti sul territorio e collegati alle maglie larghe delle strade a scorrimento veloce, delle rotte marittime e aeree, da un tessuto capillare di infrastrutture e servizi.” (Renzoni, 2012)

Un importante aspetto da sottolineare, perchè emblematico del contesto storico in cui il Progetto 80 si inserisce, cioè un'Italia aperta al dibattito sulla città-regione e sulla nuova dimensione urbana, è quello che riguarda l'utilizzo del termine “città” all'interno dei documenti. Può sembrare un dettaglio, ma i sistemi metropolitani individuati dal progetto 80 non portano il nome delle città su cui si inseriscono30, bensì quello delle regioni in cui si sviluppano. La stessa delimitazione geografica e rappresentazione cartografica dei sistemi metropolitani risulta volutamente ambigua e poco definita a rafforzare il carattere di “bacino” policentrico in grado di ospitare funzioni, servizi, attrezzature e anche diverse città.

Ed è da questo punto di vista che si costruisce la contrapposizione tra sistemi monocentrici e sistemi policentrici, ponendo l'attenzione sulle potenzialità dell'articolata armatura urbana italiana, fondata essenzialmente sull'industrializzazione diffusa e la struttura urbana policentrica.

Non a caso la maggior parte dei sistemi urbani viene indirizzata verso la struttura urbana policentrica, sia essa struttura reticolare o lineare, in un ripensamento del fenomeno urbano in Italia teso a convertire i sistemi monocentrici in strutture più articolate. Il sistema policentrico nord-orientale viene inoltre assunto come modello virtuoso di sviluppo: infatti la struttura policentrica del sistema veneto verrà applicata grosso modo a tutto il territorio nazionale.

Bisogna a questo punto ricordare che il Progetto 80 nasce e si sviluppa “nella fase di massima concentrazione della popolazione e delle attività economiche in poche grandi città con il giustificato timore che ciò potesse compromettere lo sviluppo economico e civile del Paese. Era quindi un grande piano di riequilibrio territoriale basato sul policentrismo. Esso non ebbe seguito, anche perchè negli anni '70, le nuove e impreviste tendenze alla contro-urbanizzazione e alla disurbanizzazione frenarono la polarizzazione metropolitana e favorirono la rivitalizzazione dei sistemi urbani periferici.31” (Dematteis, 1997)

Così, alla “progettualità deserta” (Aasor Rosa) del Progetto 80, si contrappone la realtà delle trasformazioni territoriali degli anni '70 attraverso le quali si andava costruendo spontaneamente quel modello di riequilibrio su scala nazionale tanto auspicato.

Ciò che si ritene importante sottolineare è che tutti i sistemi metropolitani del Progetto 80 poggiano sull'armatura urbana italiana, marcatamente policentrica e distribuita in modo più o meno omogeneo su tutto il territorio nazionale che viene quindi a costituire la vera e propria base per le ipotesi programmatiche, senza la quale i sistemi metropolitani non potrebbero esistere.

“Coerentemente con le teorie della modernità propugnate dall’urbanistica e dalla stessa economia, si pensò allora di poter guidare attivamente il mutamento orientandolo verso la formazione di efficienti sistemi metropolitani, collegati tra loro da nuovi corridoi di infrastrutture autostradali e ferroviarie, oltre che da capillari reti per l’energia. 31Per la descrizione del ciclo di vita delle città si rimanda al Capitolo 1.1.2

Riconoscendo il valore delle diversità nell’Italia delle “cento città” e della possibile evoluzione di queste ultime verso le aree metropolitane, con il Progetto 80 ci si proponeva di garantire almeno i servizi indispensabili, nella prospettiva dell’universalizzazione dei diritti alla città e della tutela dei beni comuni.

In definitiva, con un respiro programmatico di cui purtroppo si sarebbe in seguito perso traccia, lo Stato si dava in quegli anni una visione di sorprendente modernità rivolta al futuro, attenta ai lasciti della storia quanto alle qualità del nostro patrimonio ambientale, con l’obiettivo di orientare razionalmente gli investimenti pubblici sul territorio.” (Clementi, 2007)