Lo scopo di questo capitolo è individuare le advocacy coalition presenti nel sottosistema di policy che riguarda la politica pubblica della cittadinanza, prendendo in considerazione il periodo della XVII legislatura (2013-2018) che, come già detto, è stata ad un passo dal varare la riforma del diritto di cittadinanza. La riforma, approvata alla Camera, una volta approdata in Senato non è riuscita a diventare legge entro i termini della legislatura, chiudendosi così la finestra di opportunità che si era aperta. A tal proposito, ripercorrendo il dibattito pubblico attraverso i maggiori quotidiani nazionali e il dibattito parlamentare avvenuto alla Camera per l’approvazione della riforma, si cercherà di individuare quali attori politici e sulla base di quali credenze condivise possano individuare una o più advocacy coalition cosi come definite dai parametri dell’ACF. Per fare ciò è innanzitutto opportuno tratteggiare il contesto politico della legislatura in esame.
3.1 Le elezioni del 2013
Le elezioni del 2013 sono definite da vari analisti come un evento di rottura, che pone fine alle caratteristiche che il sistema partitico aveva conservato dal 1994, anno del passaggio dalla cosiddetta Prima Repubblica alla Seconda Repubblica.
Le elezioni precedenti rispetto a quelle del 2013 sono state quelle del 2008: il centro-destra, con Berlusconi alla guida di una coalizione formata da Pdl e Lega Nord, aveva ottenuto la maggioranza assoluta sia alla Camera che al Senato, assicurandosi una vittoria netta. Nonostante l’incalzante crisi finanziaria che faceva crollare il Pil del 2008 (- 1,3 %) e ancor più del 2009 (-5,2 %), i successivi appuntamenti elettorali con le elezioni europee del 2009 e le regionali del 2010 confermavano la tenuta del centro-destra. Il 2010 segnava però un momento di svolta, con le vicende relative alle frequentazioni e ai “festini” di Berlusconi, la scissione di Massimo Fini con la nascita del suo partito Futuro e libertà (Fli) e l’aggravarsi della crisi economica. Le elezioni amministrative del maggio 2011 e i referendum popolari di giugno confermavano l’inesorabile discesa del centro- destra fino a che nel novembre 2011, con l’impennata del differenziale tra i tassi di
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interesse pagati sui titoli di debito italiani rispetto a quelli tedeschi, Berlusconi fu costretto alle dimissioni.
Alle dimissioni di Berlusconi fece seguito il governo tecnico di Mario Monti, sostenuto in Parlamento da Pdl, Pd, Udc e Fli, chiamato a sanare la disastrosa situazione economica in cui versava il paese e per ridare fiducia agli investitori internazionali. Ciò venne portato avanti attraverso misure di austerità, con tagli alla spesa pubblica e aumento delle tasse, oltre che con la riforma del lavoro e del sistema pensionistico. Se da una parte queste misure servirono a risistemare le finanze pubbliche, dall’altra l’economia continuava il ristagno in atto da anni. A questo punto il Pdl, criticando e facendo mancare a Monti l’appoggio necessario al suo governo, lo costringeva alle dimissioni, concludendo in maniera leggermente anticipata la legislatura.
La competizione elettorale in vista delle elezioni del 2013 vedeva sfidarsi 3 coalizioni: quella di centro-destra, formata da Pdl, Lega e la neonata Fratelli d’Italia e guidata ancora una volta da Berlusconi, quella di centro-sinistra formata da Pd, Sel ,Centro-democratico e Ps ( solo al Senato), quella di centro, vero elemento di novità, formata da Scelta Civica, il partito appena fondato da Mario Monti, insieme a Udc e Fli. Oltre alle coalizioni, correvano da soli e con la speranza di ottenere seggi superando la soglia di sbarramento il “Movimento 5 Stelle”, al suo debutto elettorale, “Rivoluzione civica” di Antonio Ingroia e “Fare per fermare il declino” di Oscar Giannino.
Per quanto riguarda la partecipazione elettorale, le elezioni del 2013 hanno registrato il minimo della storia repubblicana con 75,1 % degli aventi diritto che ha votato. Il dato non stupisce dal momento che il trend al ribasso era in atto da più di trent’anni e data la forte componente anti-estabilishment presente nell’opinione pubblica, che avrebbe potuto anzi far calare di molto la percentuale dei votanti se un nuovo attore come il M5s non avesse attirato proprio questa fetta dell’elettorato (Chiaramonte, 2014 ).
Passando ai risultati, alla Camera la competizione è stata vinta dalla coalizione di centro-sinistra, con il 29,6 %, una maggioranza relativa che gli ha assicurato il premio di maggioranza e quindi una maggioranza assoluta in questo ramo del Parlamento. Al 29,2 % la coalizione di centro-destra e al 25,6% il M5S, mentre la coalizione centrista di Monti al 10,5 %. Al Senato, nonostante le previsioni fossero che la coalizione di sinistra da sola o in alleanza post-elettorale con la coalizione di centro potesse spuntare la vittoria, nessuna coalizione ha ottenuto una maggioranza assoluta, anche per via del diverso meccanismo di assegnazione, su base regionale e non nazionale, del premio di maggioranza. Il Pd ha ottenuto il 31,9 % , Pdl 30 %, M5s 23,3%, Scelta Civica 9,3%.
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Se come sostenuto da Chiaramonte (2014) la natura multipolare delle elezioni del 2013, congiuntamente alle caratteristiche del sistema elettorale, ha determinato questo esito senza vincitore, cioè una lista o una coalizione in grado di formare un governo con i seggi conquistati, dalla comparazione con le precedenti elezioni del 2008 si possono tuttavia definire chiaramente vincitori e vinti.
In primo luogo, se comparato con i risultati del 2008 è il centro-destra a ricevere una grande sconfitta, con la perdita di 7,3 milioni di voti, quando nel 2008 aveva raggiunto il 46,3 %. Questa sconfitta, non attribuibile alla perdita di Fli che nel 2013 ha ottenuto un risultato modesto, ma su cui invece ha pesato il pessimo risultato della Lega Nord, non è stata in ogni modo percepita in maniera netta dal momento che, come sottolinea chiara monte (2014), Berlusconi è comunque riuscito nonostante le vicende giudiziarie e gli scandali a recuperare terreno. Sfiorando infatti la vittoria alla Camera e aggiudicandosi regioni importanti al Senato, che hanno impedito al PD di ottenere i premi necessari ad avere una maggioranza assoluta al Senato, Berlusconi è rimasto fondamentale per la costruzione di un nuovo esecutivo.
La semivittoria che ha però il sapore amaro della sconfitta ha riguardato il centro- sinistra, che è passato dal 37,5 al 29,6%, perdendo 3,7 milioni di voti. Molti osservatori si aspettavano una vittoria netta o quantomeno l’ottenimento dei seggi necessari a formare un governo insieme allo schieramento di Mario Monti e senza dover appoggiarsi al Pdl o al M5s.
Per quanto riguarda il polo centrista di Monti, ottenendo il 10,8% contro il 5,7% dell’Udc nel 2008, risultato ascrivibile al ruolo trainante di Monti e del suo neonato partito SC, dal momento che l’Udc ha perso tre quarti del suo precedente elettorato, il risultato è stato considerato buono anche se al di sotto di certe aspettative che lo vedevano ottimisticamente al 15%, grazie all’influenza della figura dell’ex premier nell’appena conclusa esperienza di governo.
Il vero vincitore del 2013 è stato indubbiamente il M5s, che al suo primo appuntamento elettorale ha battuto ogni record, facendo meglio di Forza Italia nel momento in cui entrò in scena alle elezioni del 1994. Si è attestato infatti come primo partito alla Camera, se si escludono i voti degli italiani all’estero (Maggini e De Lucia, 2014).
Date queste premesse, Chiaramonte (2014) conclude che le elezioni del 2013 sono state straordinarie nel senso che : hanno registrato una partecipazione di 5 punti percentuali inferiore rispetto alle elezioni precedenti, con la percentuale di votanti più bassa di sempre;
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la mobilità degli elettori è stata senza precedenti, con 20 milioni circa di italiani che hanno mutato il proprio voto rispetto al 2008 , di cui 11 milioni passando da uno schieramento all’altro, ma ben pochi da centro-destra a centro-sinistra e viceversa; un partito nuovo,il M5S, ha conseguito più del 25% dei voti; l’assetto bipolare della competizione elettorale, cioè la caratteristica principale del periodo tra il 1994 e il 2013, ossia la “seconda repubblica”, è entrato in crisi; inoltre,per la prima volta dal 1994 appunto, le elezioni non sono state in grado di produrre un esecutivo e nemmeno di dare una chiara indicazione sulla sua formazione, lasciando aperte più ipotesi. Il tasso di innovazione effettiva che misura i partiti dal punto di vista organizzativo ed identitario che per la prima volta si presentano alle elezioni, nel 2013 ha raggiunto il più alto livello della Seconda Repubblica, tasso ritrovabile solo nelle elezioni del 1994 (Chiaramonte, Emanuele 2014).
Se per vent’anni le elezioni erano state vinte con la capacità di costruire grandi ed efficaci coalizioni, per la prima volta nel 2013 gli elettori hanno dato vita ad un massiccio cambiamento espresso in due direzioni: l’esplosione della critica nei confronti della classe politica e un significativo riequilibrio tra centro-destra e centro-sinistra (De Sio, Cataldi 2014)
Seguendo De Sio e Cataldi (2014) nel tentare di dare una spiegazione di ampio respiro a questi risultati, scegliendo di compararli con le altre elezioni avvenute nel contesto europeo segnato dalle politiche di austerità, si può innanzitutto rilevare come l’elettorato che è rimasto negli argini del sistema partitico esistente abbia in primo luogo penalizzato il governo uscente, con il classico meccanismo della punizione del governo uscente , mentre l’elettorato che ha scelto di rompere questi argini abbia optato per l’astensionismo o per la scelta di partiti nuovi anti-estabilishment, che hanno sfidato i partiti già esistenti su un terreno di competizione trasversale al tradizionale asse sinistra - destra. Nel caso italiano, mentre la seconda dinamica è molto chiara visto il risultato del M5s e di SC, la prima presenta delle difficoltà: il governo uscente era rappresentato dal governo Monti, appoggiato dal centro-destra vincitore del 2008, ma anche dal centro- sinistra, situazione che rendeva difficile individuare il “colpevole”. Alla luce dei risultati, se confrontati con quelli del 2008, è comunque il centro-destra di Berlusconi ad avere subito la “punizione” dell’elettorato.
Nelle figure di seguito (Figura 1 e Figura 2) sono riportati i nomi e la consistenza dei gruppi parlamentari formatisi alla Camera e al Senato in seguito alle elezioni del 2013.
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Figura 1: gruppi parlamentari Camera (fonte: openparlamento.it)
73 3.1.2 La formazione del governo
Incaricato il 22 marzo dal Presidente della repubblica Napolitano, Bersani si è trovato nella complicata situazione di dover formare un nuovo governo. In seguito al rifiuto da parte del M5s di appoggiare il centro-sinistra e al fallimento per la corsa al Quirinale dei due nomi proposti dal Pd, Franco Marino e Romano Prodi, Bersani ha rassegnato le dimissioni da segretario del Partito Democratico. In seguito alla rielezione di Giorgio Napolitano al Quirinale, il nuovo governo, conosciuto come governo delle “larghe intese”, è stato in seguito formato da Enrico Letta del Partito Democratico, con l’appoggio di una maggioranza parlamentare ampia e composta da Pd, Scelta Civica, Udc, e Pdl.
Berlusconi e il centro-destra, nonostante i pessimi pronostici, avevano quindi ottenuto un risultato importante e avevano avuto nel contesto post-elettorale un ruolo chiave sia nell’elezione del Presidente della Repubblica sia nella formazione del nuovo governo. Come sottolineato da Pasquino (2014), nel giro di sei mesi la situazione sarebbe però cambiata drasticamente per il leader del centro-destra, dal momento che nel novembre 2013 veniva espulso dal Senato per le vicende giudiziarie e il Pdl veniva scisso. La divisone del partito avveniva da una parte con il rilancio di Forza Italia nelle mani di Berlusconi, che passava all’opposizione, e dall’altra con la creazione del nuovo partito NCD da parte di Angelino Alfano, prima successore designato di Berlusconi, ora contrario allo scioglimento del Pdl e fedele al governo Letta.
Le dimissioni di Bersani da Segretario del PD avevano inoltre creato le basi per una pesante conseguenza indiretta (Pasquino 2014). Si era infatti aperta la strada per una corsa ai vertici del partito da parte di Matteo Renzi, sindaco di Firenze, sconfitto proprio da Bersani alle primarie del partito nel 2012. Nel dicembre del 2013 Matteo Renzi veniva eletto segretario del Pd, non senza imbarazzo per i molti nomi che, prima fedeli a Bersani, adesso salivano sul carro del vincitore (ibidem). La conseguenza della vittoria di Renzi è stata la crisi del governo Letta che ha rassegnato nel febbraio 2014 le sue dimissioni irrevocabili dopo la sfiducia votata dalla Direzione nazionale del Partito Democratico. A ciò ha fatto seguito la formazione di un nuovo esecutivo guidato da Matteo Renzi, con l’appoggio della stessa maggioranza parlamentare del governo precedente.
Per quanto riguarda il M5s di Beppe Grillo, la “vittoria” elettorale è stata senza dubbio più facile della fase successiva. Secondo Pasquino (2014) il Movimento si sarebbe isolato sia alla Camera che al Senato, non essendo decisivo, seppur non irrilevante, in nessuno dei tre momenti chiave post-elettorali, ossia l’elezione del Presidente della
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Repubblica, la formazione del governo Letta e successivamente la formazione del governo Renzi. Il movimento, preoccupandosi di non far verificare certe ipotesi, ne avrebbe indirettamente favorite altre: l’opposizione a Romano Prodi, proposto dal Pd come Presidente della Repubblica, ha favorito la rielezione di Giorgio Napolitano; la chiusura nei confronti di Bersani ha dato vita al governo delle “larghe intese”; l’opposizione nei confronti di Matteo Renzi ha dato vita ad un secondo governo con l’accordo tra le stesse forze politiche ( ma con NCD alla maggioranza e Forza Italia all’opposizione).
La legislatura non sarebbe in ogni modo terminata con il governo di Matteo Renzi. In seguito all’esito negativo del referendum costituzionale del dicembre 2016 che aveva come oggetto la riforma costituzionale da lui fortemente voluta, Matteo Renzi ha rassegnato le dimissioni sue e del suo governo e nel febbraio del 2017 anche quelle da Segretario del Pd, ruolo a cui è stato rieletto nel maggio del 2017. Il presidente Sergio Mattarella ha incaricato Paolo Gentiloni del Pd di formare un nuovo governo, il terzo ed ultimo della XVII legislatura.
A livello di partiti un’altra novità è stata lo scioglimento nel marzo 2017 di NCD da parte del suo presidente Angelino Alfano e la contemporanea creazione di un nuovo partito chiamato Alternativa Popolare e guidato dallo stesso Alfano, che ha continuato il suo appoggio al governo Gentiloni, di cui l’ex braccio destro di Berlusconi è stato ministro degli Affari Esteri.
Anche il PD ha visto grandi turbolenze interne in seguito al risultato referendario e alle dimissioni da segretario del partito di Matteo Renzi, che desideroso di ottenere una nuova legittimazione attraverso il Congresso del partito e le primarie, avvenute poi nel maggio 2017, andava contro il volere della sinistra del PD, in sostanza quella componente che aveva perso le precedenti primarie contro di lui. Il 25 febbraio 2017 è nato Articolo 1- Movimento Democratico e Progressista, dalla confluenza tra i maggiori esponenti dell’ala sinistra del Pd tra cui Enrico Rossi, Roberto Speranza, Guglielmo Epifani, Pierluigi Bersani e Massimo D’Alema, e alcuni fuoriusciti da Sinistra Ecologia e Libertà, che si stava sciogliendo contemporaneamente in Sinistra Italiana. Nell’ottobre del 2017 Articolo 1 è passato all’opposizione ed insieme a Possibile, il partito di Giuseppe Civati, avversario di Renzi uscito precedentemenete dal PD, e a Sinistra Italiana hanno creato in vista delle elezioni del 2018 la lista unica LeU ( Liberi e Uguali), con a capo il Presidente del Senato Pietro Grasso.
L’opposizione costante ai tre governi della legislatura, oltre che dal M5s, è stata condotta dalla Lega Nord di Matteo Salvini e Fratelli di Italia di Giorgia Meloni, per
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quanto riguarda l’opposizione da destra. A sinistra del Pd e all’opposizione fin dall’inizio è sempre stata anche Sinistra Ecologia e Libertà, poi confluita in Sinistra Italiana alla fine del 2016.
La riforma della cittadinanza ha avuto quindi la sua finestra di opportunità per essere approvata durante una legislatura particolare, iniziata nel 2013 con elezioni che non hanno decretato un vero vincitore, costringendo il centro-sinistra, promotore della riforma, a creare alleanze delicate con il centro e con il centro-destra, con un opposizione costituta dal “quasi vincitore” del 2013, il M5s, dalla sinistra di Sel e da forze di estrema destra, in continua crescita e contrarie a qualsiasi forma di ius soli.
3.2 Le advocacy coalition attraverso la ricostruzione del dibattito pubblico Al fine di individuare gli attori formanti coalizioni cosi come intese dall’ACF, un primo passo è stato quello di ripercorrere il dibattito pubblico creatosi intorno alla riforma attraverso la consultazione degli articoli rintracciabili nell’archivio on-line di Repubblica e del Corriere della Sera. La scelta di questi due quotidiani è dipesa dalla loro tiratura, che li vede detenere i primi due posti della classifica italiana. Consultando i dati ADS, l’Associazione di accertamento diffusione stampa, (inserire immagine) il Corriere della Sera e Repubblica sono rispettivamente primo e secondo per tirature a livello nazionale, sia oggi che nel periodo di riferimento della nostra ricerca, ossia tra il 2013 e il 2018. Il dibattito pubblico è stato già in parte trattato nel capitolo 2 al paragrafo 3 con riferimento alla posizione del governo e dei partiti e ai motivi del fallimento della riforma. Qui l’attenzione si è concentrata maggiormente sul resto degli attori.
Partendo dal dibattito pubblico e dagli articoli sono stati poi ricercati statuti, manifesti, documenti programmatici dei vari attori che hanno figurato nelle fila dei sostenitori o dei detrattori della riforma della cittadinanza, con l’intento di ottenere maggiori informazioni sulla posizione degli attori oltre a quella che può essere, per esempio, la mera partecipazione ad un corteo pro-riforma.
La ricostruzione del dibattito pubblico ha portato innanzitutto in luce due temi fondamentali: in primo luogo l’atteggiamento dell’opinione pubblica nei confronti della riforma, influenzato da fatti di cronaca nazionali ed extranazionali, interpretabili come
perturbazioni esterne al sottosistema di policy, una categoria fondamentale dell’advocacy coalition framework. in secondo luogo è emerso palesemente come i meccanismi di sense making e story telling (vedi cap.1) , siano intervenuti con forza nel dibattito sulla riforma,
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con un risultato che ha distorto la realtà ed è andato a tutto vantaggio della fazione che si opponeva alla riforma.
3.2.1 L’opinione pubblica e le perturbazioni esterne
Secondo l’Advocacy Coalition Framework gli attori rilevanti di un sottosistema sono tutti coloro i quali siano regolarmente impegnati nell’influenzare gli affari del sottosistema e quindi l’esito delle politiche pubbliche. Alla luce di ciò i cittadini comuni non sono considerabili attori rilevanti in senso stretto, tuttavia gli studi di politiche pubbliche in generale hanno portato sempre più spesso in primo piano il ruolo dell’opinione pubblica nel suo rapporto tutt’altro che scontato con gli eletti. Il concetto di opinione pubblica, se riferito alla somma dei pareri individualmente espressi da campioni della popolazione, porta a diversi interrogativi salienti tra cui l’assonanza o la discordanza tra l’opinione pubblica e le scelte compiute dalle istituzioni. La risposta sembrerebbe essere ottimisticamente positiva. Ciò non deve far dedurre un lineare rapporto di causa- effetto tra il cambiamento dell’opinione pubblica e le svolte impresse alle politiche, rapporto che appare dunque complesso e non lineare, ma esistente (Regonini, 2001).
Per quanto riguarda l’ACF, l’opinione pubblica e più propriamente un cambio dell’opinione pubblica su una questione, è considerata uno degli esempi di Dynamic
external event, ovvero eventi esterni al sottosistema che potenzialmente mettono in moto
meccanismi di policy change (vedi cap. 1)
Gli eventi che sembrerebbero aver causato una modificazione dell’opinione pubblica sul diritto di cittadinanza sono i vari attentati che hanno coinvolto la Francia nel periodo tra il 2015 e il 2016, tra cui i più famosi quello che ha coinvolto Charlie Hebdo, quello del Bataclan e quello di Nizza, tutti di matrice Jihadista, insieme ai frequenti sbarchi di immigrati sulle coste italiane. Anche in questo caso si tratta di shock esterni al sottosistema, ovvero eventi su cui nulla possono fare gli attori del sottosistema che riguarda le politiche di cittadinanza, ma che potenzialmente innescano un processo di policy change (vedi cap. 1)
Nell’articolo del Corriere della Sera “La sconfitta dello Ius soli e gli interrogativi sui diritti” (07/10/17 Corriere della Sera) e “Negare la cittadinanza non allontana i pericoli”(16/06/17 Corriere della Sera) del 2017 l’autore sostiene questa teoria facendo riferimento al fatto che mentre i sondaggi del 2011 vedevano il 71% dell’opinione pubblica favorevole allo ius soli, quelli del 2017, anno di fine legislatura e ultimo a disposizione per
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l’approvazione della riforma in Senato, vedevano un crollo dei favorevoli a poco più del