• Non ci sono risultati.

Capitolo 1: L’Advocacy Coalition Framework

1.5 Framing e frame

Nohrstedt e Weible (2010, in Weible e Sabatier, 2017), riferendosi in questo caso all’impatto che un evento interno ad un sottosistema ha sulle credenze delle advocacy

coalition, affermano che quando accade un evento come una crisi, uno scandalo politico,

un fiasco elettorale, ci si aspetta che le coalizioni avversarie di un sottosistema si sfidino in

framing contest con l’obiettivo di dare un’interpretazione dell’evento il più possibile in

linea con gli interessi della coalizione.

Per quanto riguarda l’oggetto di studio di questa ricerca, parlare di framing diventa fondamentale. Per capirlo basti pensare infatti al fenomeno migratorio, legato imprescindibilmente al tema del diritto di cittadinanza italiano e alla policy che ne regola i contenuti. Banalmente, a seconda della prospettiva da cui si guarda il fenomeno, questo può andare ad interessare la politica del lavoro, quella dell’ordine pubblico, o quella più specificatamente dedicate alla cittadinanza. È necessario quindi precisare con chiarezza in cosa consista l’attività di framing, su cui le coalizioni sono continuamente concentrate e che va ben oltre la riduttiva traduzione in termini di definizione o inquadramento di un fenomeno o evento.

I concetti di frame e framing vengono usati in molteplici campi, dalla sociologia alla psicologia, dalla linguistica agli studi sulla comunicazione, e sono stati introdotti anche in ambito di politiche pubbliche, con grande interesse da parte della policy inquiry, che ha

38

condiviso con le discipline citate l’interesse per le intelaiature che sorreggono l’acquisizione di nuove informazioni, impressioni, credenze (Regonini, 2001, p. 209). La

policy inquiry muove da un’impostazione di fondo di tipo prescrittivo, in cui l’analista,

studiando e capendo le dinamiche delle politiche pubbliche, consiglia il policy maker nella presa di decisioni di policy. Sebbene l’impostazione del nostro studio del diritto di cittadinanza attraverso l’ACF si basi su finalità diverse, i contributi portati dall’inquiry riguardo ai frame rappresentano un’interessantissima cassetta degli attrezzi. In particolare, è interessante fare riferimento al contributo che gli autori Schon e Rein hanno portato in questo campo, insieme alle elaborazioni di autori successivi.

Schon e Rein hanno utilizzato il termine frame analysis, riferendosi ad esso come uno strumento per il problem-setting, e sottolineando successivamente la sua utilità per la risoluzione di dispute politiche, in particolar modo quelle controversie considerate irrisolvibili, per cui non basta o non serve appellarsi ai dati, alla ricerca o alla razionalità degli argomenti (Shon e Rein, 1994)17.

Quando si parla di frame e framing è necessario innanzitutto chiarire la differenza tra i due concetti. Con framing si intende l’azione del soggetto che guardando ad un problema o ad una questione, lo definisce in base ai propri interessi, alle proprie prospettive e all’accesso che quel soggetto ha alle informazioni che riguardano quel problema. Shon (1971, in van Hulst, Yanow 2016) ritiene però che una volta scelta un’interpretazione del problema, questa tenda ad essere stabile nel tempo. Queste interpretazioni del problema sono i frame, risultati del processo di framing. In altre parole, un problema nuovo è framed in maniera differente e duratura dai vari soggetti o attori politici18.

L’attività di framing assolve a più funzioni tra loro differenti. Secondo una tripartizione proposta da van Hulst e Dvora Yanow (2016), la prima di queste è il sense-

making. Quando gli attori politici si trovano di fronte a una situazione, e ancor più se

questa situazione è ambigua, la prima domanda che si pongono è “ di che cosa si tratta?” In questa prima operazione gli attori cercano di ricondurre una situazione problematica ad un problema ben formulato, cercano di dare senso a una situazione che inizialmente sembra

17

L’implicazione prescrittiva del frame analysis è evidente e si basa sull’assunto che il primo step per la risoluzione di questioni altamente conflittuali risiede innanzitutto nella definizione del problema. Il problema non è quindi “dato” a priori e la domanda iniziale per risolverlo non deve riguardare le azioni da

intraprendere, bensì la definizione stessa del problema che può differire enormemente da attore a attore. 18

La differenza tra frames e framing si riflette anche sugli studi di questo ambito. Gli approcci incentrati sui

frames hanno per oggetto frames consolidati e un’impostazione più statica, basata sulla definizione e sulla

classificazione. Quelli incentrati sul framing hanno invece ad oggetto un’attività dinamica ed articolata, alla base della produzione dei frames

39

esserne priva. Trovandosi di fronte a stimoli tra loro molto differenti e potenzialmente caotici, come suoni, immagini, testi scritti o dati scientifici, gli attori fanno ricorso a ciò che già sanno, a esperienze e pensieri precedenti, di cui si servono per dare forma al nuovo di cui stanno avendo esperienza (Shon e Rein, 1977).

La questione, il problema, il fatto nuovo non ha “senso” in sé, ma lo acquista nel corso di questo processo. Gli attori sono coinvolti in una sorta di conversazione con la situazione, in un processo iterativo e interattivo, in cui hanno un ruolo determinante anche le interazioni che l’attore ha con altri attori o con il gruppo o coalizione di riferimento (van Hulst e Yanow, 2016, p. 98).

Questa prima funzione svolta dall’attività di framing è molto simile al ruolo che l’ACF attribuisce al sistema di credenza. Come già detto, l’individuo dotato di razionalità limitata, farebbe affidamento al suo belief system quando si trova di fronte a eventi, stimoli, informazioni nuove a cui deve dare senso o di cui deve fornire un’interpretazione.

Non sempre però i frame, che fanno seguito a questa prima funzione dell’attività di

framing, risultano coerenti e chiari nell’interpretazione del problema di policy e

nell’anticipazione, come vedremo, delle possibili soluzioni. Il lavoro di Dekker (2017) sulle politiche di integrazione dei migranti evidenzia come in certe circostanze la caratteristica dei frame sia proprio l’ambiguità e debolezza nella definizione del problema, quando il problema stesso è fortemente complesso e polarizzante. In ogni modo, questa debolezza sembra una caratteristica voluta quando i policy maker, a causa della complessità del problema, si trovano bloccati.

Inoltre, come sostenuto più volte durante la trattazione dell’ACF, per attori politici non si intendono soltanto i policy maker. Un importante attività di framing viene condotta infatti dai media, che possono elaborare frame simili ma anche contrastanti rispetto a quelli elaborati da altri attori politici. Nel momento in cui elaborano frame contrastanti che hanno grande risonanza a livello di opinione pubblica, possono avere grande influenza nell’indirizzare l’agenda politica (Dekker e Sholten, 2017).

Durante il processo di framing, la seconda attività che viene svolta è quella del

naming, ( Shon e Rein 1977, 1944)19, selecting, categorizing. Attraverso il selecting gli attori politici scelgono, tra i vari elementi, quelli che reputano interessanti, procedendo simultaneamente a scartare, ignorare o nascondere altri aspetti. In questo modo, dando significato, scegliendo e nominando alcuni aspetti di una questione, gli attori preparano

19

Schon e Rein parlano della complementarità tra framing e naming, mentre le categorie di selecting e categorizing vengono affiancate a quella di naming da van Hulst e Dvora Yanow.

40

inevitabilmente i presupposti per le possibili azioni future. Il selezionare alcuni aspetti tacendone altri è una decisione politica, dal momento che una scelta differente porterebbe a scenari differenti, ma è allo stesso tempo una decisione che risponde ad esigenze pratiche; gli attori sono infatti bombardati continuamente da una enorme quantità di stimoli e al fine di prendere delle decisioni la semplificazione diventa essenziale.

Il naming fa riferimento al dare un nome alle cose e diventa quindi fondamentale al fine di poter comunicare. Spesso per fare riferimento a concetti nuovi vengono usate metafore che riconducono la situazione a riferimenti già conosciuti, rendendo più chiara e comprensibile la situazione.

Infine, attraverso il categorizing, gli attori politici operano delle differenziazioni forti, per esempio tra nativi e immigrati, o tra europei e extracomunitari. Queste tre azioni rappresentano nel complesso un modo per “creare” un mondo in cui l’attore può agire e un modo per avere parametri attraverso cui conoscere quel mondo.

Framing racchiude anche l’attività del raccontare, o storytelling (ibidem), la terza.

Gli attori, come abbiamo visto, selezionano scientemente alcuni aspetti della situazione o del problema, tacendone altri. A questo punto, per presentare efficacemente una issue di policy a un pubblico formato per esempio da potenziali elettori, gli attori devono collegare questi aspetti e “impacchettarli” attraverso un filo narrativo afferrabile e coerente. Attraverso lo storytelling gli attori spiegano esplicitamente cosa accade e perché accade e quali sono le soluzioni prospettate. Quando gli attori raccontano una storia hanno quindi la necessità di essere persuasivi verso chi li ascolta. La storia individua la causa del problema e la possibile soluzione, con una linearità funzionale a rendere la realtà semplice e comprensibile e a convincere verso la soluzione prospettata. Per funzionare, una storia lascia da parte l’accuratezza e ricerca la plausibilità.

In ultimo, dal momento che attori rilevanti partono spesso dalla base di esperienze, aspettative, desideri e paure diverse tra loro, è probabile che nascono conflitti sull’interpretazione e sul significato di storie, o frame, diversi tra loro. In questo caso, a seconda delle caratteristiche dell’ambiente in cui circolano, alcuni frame prevalgono ai danni di altri che verranno scartati (Hans- Cees Speel )20.

Nella tabella di seguito (tabella 3) viene sintetizzata la tripartizione del framing.

20

L’autore, presentando il suo Memetic Analysis of Policy Making descrive questa competizione a proposito dei meme, ossia dati, informazioni, idee che vengono copiati e trasmessi da individuo a individuo e che possono scontrarsi tra di loro con il risultato di prevalere o essere scartati.

41

Tabella 3: Tripartizione Framing

Sense-making

▪ Operazione attraverso cui il soggetto attribuisce senso alle informazioni che riceve

Selecting/naming/categorizing

▪ La scelta, l’attribuzione di nomi e la categorizzazione delle informazioni ricevute dal soggetto.

Storytelling

▪ Il racconto e la presentazione al pubblico di frame da parte del soggeto, secondo le sue necessità

Se fino ad ora si è discusso sull’attività del framing, a questo punto diventa utile specificare quale sia l’oggetto concreto dell’attività di framing, o in altre parole cosa viene

framed dagli attori politici. Seguendo l’impostazione di van Hulst e Yanow (2016), è

possibile operare anche in questo caso una tripartizione.

Ad essere framed sono innanzitutto le idee rilevanti per le policy issue in questione (Shon e Rein, 1994). Per fare un esempio, se si ipotizzano due coalizioni di cui una è a favore dell’aborto e una contraria, l’idea di maternità sarà framed in maniera diversa e potenzialmente inconciliabile dai due schieramenti. Se rimaniamo invece nell’ambito del nostro oggetto di indagine, diventa chiaro che un concetto come quello ad esempio di straniero, potrà essere framed in maniera totalmente diversa da due coalizioni che sostengono alternativamente lo ius soli o lo ius sanguinis. Alla luce di quanto detto, varierà in concreto il senso attribuito all’idea, saranno selezionati aspetti convenienti mentre ne vengono taciuti altri e lo storytelling organizzerà un racconto chiaro e funzionale agli interessi dello schieramento.

Ma non sono solo le idee ad essere oggetto di framing, anche l’identità della propria posizione come attore politico e l’appartenenza alla propria coalizione vengono framed, così come le identità degli avversari politici. L’aspetto più interessante è che l’identità degli attori politici può diventare strettamente collegata a un certo tipo di framing di una

policy issue. Gli attori e le loro identità possono diventare in altre parole un tutt’uno con i

problemi di policy, non solo formalmente nel caso in cui per esempio votino a favore di una determinata legge, ma anche psicologicamente, socialmente e culturalmente. Da ciò derivano rivalità e amicizie negli schieramenti politici, con la conseguenza che un potenziale refraiming delle questioni e della propria identità sia molto più profondo di un semplice cambio di idea su un problema di policy (van Hulst e Yanow, 2016, p. 102-103).

Ad essere oggetto di framing è inoltre anche lo stesso policy process. Quando ad esempio una proposta di legge sull’immigrazione entra nell’agenda politica e avviene una votazione in parlamento, si assiste ad una narrazione su chi ha portato in parlamento quella proposta e chi l’ha votata. Si parla del processo, dicendo poco o niente dei contenuti reali,

42

ma tanto sul contesto culturale, sociale e politico di quella legge. Avviene quindi un

framing dell’attività di policy making, che racconta a sua volta una storia. In questo caso si

ha quindi meta-comunicazione, ossia la comunicazione a riguardo di quello che viene comunicato, una storia sulla storia, uno storytelling dello storytelling.

Alla luce di quanto detto diventa chiaro che utilizzare i concetti del framing insieme all’ACF, tenendo presente il ruolo del sistema di credenze degli attori e il parallelismo tra questo e l’operazione di sense-making appena descritta, ci consentirà di indagare efficacemente le posizioni degli attori influenti e delle coalizioni che riscontreremo nel sottosistema della politica di cittadinanza.

Approccio

▪ Advocacy Coalition Framework

▪ Framing

Domande di partenza

▪ Ci sono coalizioni rivali nel sottosistema della politica di cittadinanza?

▪ Quali attori comprendono e su quali idee si aggregano? ▪ Perché la politica di cittadinanza non ha subito cambiamenti (policy change)?

Fonti

▪ Dibattito pubblico sul ddl ius soli (riforma cittadinanza) attraverso quotidiani ▪ Dibattito parlamentare Camera sul ddl ius soli

Tabella 4: Impostazione ricerca

Nella Tabella 4 viene riassunta l’impostazione generale della nostra ricerca. L’approccio usato, ACF e teoria del Framing, è da noi utilizzato per rispondere ad alcune domande di ricerca, relative alle coalizioni presenti nel sottosistema di policy della cittadinanza, alla loro composizione e alle idee alla base di tali aggregazioni di attori. Per rispondere a queste domande si è analizzato il dibattito pubblico sulla riforma della

43

CAPITOLO 2: MIGRAZIONI E CITTADINANZA

Nell’introduzione si è sostenuto che il tema del diritto di cittadinanza è strettamente collegato con il tema migratorio, un legame intuitivo che necessita ulteriori chiarimenti.

La tendenza di uno Stato ad introdurre normative dettagliate in tema di cittadinanza è storicamente riconducibile a due tipi di esigenze. Da una parte, esigenze di natura simbolica e pratica, come l’introduzione della coscrizione obbligatoria, collegate con il processo di nation-building. Dall’altra, necessità di regolamentazione dei flussi migratori in entrata e in uscita (Pastore, 2001). Per quanto riguarda il secondo aspetto, che in questa sede ci interessa, la policy relativa al diritto di cittadinanza diventa strategica nel caso di paesi di emigrazione come strumento per mantenere o sciogliere i legami con gli emigrati. Nel caso invece di paesi di immigrazione, la cittadinanza è invece strumento per includere o viceversa escludere i nuovi arrivati, a seconda degli interessi politici, economici e sociali che si manifestano di volta in volta nei singoli paesi. Nonostante la cittadinanza non possa essere ridotta a dispositivo di regolazione dei flussi migratori e non si possa affermare che essa operi soltanto sulla faglia cittadino/straniero, dal momento che opera storicamente anche su altri campi come quello del genere, schiavitù, classe e religione (Bascherini, 2019), il nesso tra movimenti migratori e cittadinanza a partire dalla fine dell’Ottocento ha indubbiamente un rilievo centrale e il legame tra le relative policy sarà costantemente tenuto in considerazione in questa trattazione.

L’Italia è stata storicamente un paese di emigrazione, per poi diventare a partire dalla fine degli anni Settanta dello scorso secolo un paese di immigrazione, un cambio di tendenza comune ad altri paesi ma avvenuto con una rapidità straordinaria che ha necessitato un adeguamento delle politiche migratorie in generale, e della cittadinanza in particolare, non ancora concluso.

Alla luce di quanto detto, questo capitolo inizia passando in rassegna i più importanti sviluppi della policy migratoria adottata dall’Italia dal dopoguerra fino ai provvedimenti più recenti. L’obiettivo è l’individuazione degli interessi in gioco e degli attori di questa policy, che in alcuni casi hanno le caratteristiche di una vera e propria

44

advocacy coalition. La specifica policy di cittadinanza è invece trattata approfonditamente

nella seconda parte del capitolo.

2.1 L’Italia da paese di emigrazione a paese di immigrazione

Le politiche migratorie, nel complesso, rispondono a due tipi di esigenze. La prima è quella di intervenire sulla mobilità a seconda degli obiettivi di politica economica o internazionale che ciascuno Stato si pone. La seconda deriva dal ruolo che ciascuno Stato attribuisce all’emigrazione in altri paesi dei suoi cittadini e, parallelamente, al ruolo attribuito agli stranieri che entrano all’interno dei suoi confini.

Data l’ampiezza e la complessità del fenomeno migratorio, sono molti gli interventi che possono influire direttamente o indirettamente su di esso, con la conseguenza che diventa difficile individuare i confini di una precisa policy migratoria. Seguendo l’impostazione di Sori (2003), è possibile individuare quattro distinti livelli di intervento pubblico. Il primo fa riferimento agli indirizzi di politica economica e estera, il secondo agli interventi di settore collegati in qualche modo al fenomeno, il terzo alle politiche migratorie in senso stretto e il quarto agli attori collettivi non pubblici che incidono comunque sulla mobilità. Questo lavoro si occuperà della policy migratoria in senso stretto, suddividibile a sua volta, secondo la proposta di Pugliese (2002), in migration

policy e immigrant policy, a seconda che il focus dell’intervento sia rispettivamente la

gestione dei flussi o il trattamento degli immigrati nella società di arrivo.

L’Italia repubblicana ha ricoperto nella sua storia tutti i possibili ruoli del fenomeno migratorio, passando dall’essere un paese di straordinaria emigrazione a meta attrattiva per ingenti flussi di immigrati. La politica pubblica rispecchia inevitabilmente il difficile tentativo di stare al passo con cambiamenti tanto radicali quanto repentini.

L’articolo 35 della Costituzione italiana riconosce la libertà di emigrazione e tutela il lavoro italiano all’estero. Questo articolo, oltre a rappresentare una cesura rispetto alle restrizioni del periodo fascista, rispecchia le necessità economiche di un’Italia che affrontava nel dopoguerra il problema di una popolazione eccedente le capacità occupazionali di un sistema produttivo arretrato e sofferente a causa del periodo bellico21. L’impostazione liberista dei governi italiani legittimava quindi l’emigrazione, considerata una scelta economica per alleggerire la pressione della disoccupazione sul mercato del

21

La produzione agricola del 1945 rispetto al 1938 era calata del 30 % mentre quella manifatturiera addirittura del 70%.

45

lavoro nazionale, garantire maggiori risorse per la popolazione e sfruttare le rimesse degli emigrati (Bonifazi, 2005, p.21)

I governi italiani si mossero sia sul piano esterno che su quello interno per favorire il fenomeno. Cercarono innanzitutto di concludere accordi bilaterali con paesi interessati ad accogliere i migranti italiani, oltre che promuovere in sede internazionale l’interesse italiano a favorire l’emigrazione22

. Sul piano interno intervennero per velocizzare le pratiche amministrative degli emigranti e per diffondere informazioni sulle opportunità di lavoro all’estero.

Per quanto riguarda gli accordi bilaterali, essi venivano stipulati dalla Direzione generale dell’Emigrazione presso il Ministero degli Esteri, che concluse accordi con vari paesi europei tra cui Belgio, Francia, Svizzera, Svezia, Gran Bretagna, Olanda, Lussemburgo e successivamente anche Germania, meta privilegiata negli anni Sessanta, e con paesi transoceanici come Argentina, Brasile, Canada e Australia. Questo sforzo di promozione di un’emigrazione assistita da parte del governo italiano non riuscì a incidere molto sulle condizioni23 e sul trattamento degli italiani emigrati, anche a causa dello scarso peso del governo italiano, uscito perdente dalla guerra, che si trovava a negoziare con paesi spesso in grosse difficoltà economiche e in un contesto in cui prevalevano i fattori di push italiani più che quelli di pull24 dei paesi di destinazione (Bonifazi, 2005).

La prima inversione di tendenza fu provocata dal boom economico italiano iniziato alla fine degli anni Cinquanta, che ebbe come conseguenza una progressiva riduzione della componente italiana nei flussi migratori con una diminuzione veloce delle quote assistite, cioè le quote di migranti previste negli accordi bilaterali, e un aumento invece dalla migrazione interna dal sud al nord del paese. Nel 1973 il saldo migratorio italiano divenne positivo e contemporaneamente i paesi europei arrestarono i flussi in arrivo ponendo fine al golden period delle migrazioni europee per lavoro.

Alla fine degli anni Settanta iniziò invece il flusso migratorio verso l’Italia, che trovò ad attenderlo solamente il testo unico di pubblica sicurezza, una legislazione redatta durante il ventennio fascista e disciplinante ingresso, soggiorno ed espulsione, quanto mai

22 In questo senso è bene ricordare lo sforzo europeista dell’Italia volto a favorire il raggiungimento della

Documenti correlati