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3.6 Il ruolo del consiglio di amministrazione nei Sms delle banche »

3.6.2 Il Codice di Autodisciplina italiano »

Il Codice di autodisciplina è redatto dal comitato per la corporate governance. Il comitato nella sua configurazione attuale è stato fondato nel 2011 dalle Associazioni di impresa (ABI, ANIA, Assonime, Confindustria), da investitori professionali (Assogestioni) e da Borsa Italiana S.p.A. La definizione dal glossario di borsa italiana per il codice di autodisciplina è:

"Il Codice di Autodisciplina delle società quotate è stato redatto nel 1999 dal Comitato per la Corporate Governance promosso da Borsa Italiana e contiene raccomandazioni che costituiscono un modello di "best practice" per l’organizzazione ed il funzionamento delle società quotate italiane. Le raccomandazioni del Codice non sono vincolanti, ma le società quotate devono, in conformità alle Istruzioni al Regolamento di Borsa Italiana, tenere informati sia il mercato sia i propri azionisti in merito alla propria struttura di governance ed al grado di adesione al Codice. A tal fine, le società quotate sono tenute alla pubblicazione di una apposita relazione, in occasione della pubblicazione dei dati di bilancio, che viene messa a disposizione dell’assemblea dei soci e contestualmente trasmessa a Borsa Italiana, che la mette a disposizione del pubblico"

L'adesione al codice è volontaria, tuttavia le società devono informare il mercato circa la loro conformità allo stesso. La formula di adesione è simile a quella del king report III, ovvero comply or explain. Infatti le società quotate che non aderiscono, anche a singoli articoli del codice, devono indicare e spiegare il motivo della difformità nella relazione sul governo societario. Gli emittenti dovranno applicare le modifiche della versione del codice di Luglio 2015 entro l'inizio dell'esercizio 2016. Il codice è indirizzato alle società quotate, ma costituisce una raccolta di buone pratiche di governance applicabile da tutte le società. Le maggiori banche o gruppi bancari italiani sono quotati, pertanto dall'analisi del codice possiamo ricercare degli spunti interessanti circa il ruolo del Cda nel processo di gestione degli stakeholder e formulazione delle strategie. Inoltre per far parte del segmento STAR del mercato azionario italiano è richiesta la conformità al codice di autodisciplina. La conformità al codice è senza dubbio un valore aggiunto all'immagine della banca. Il codice di autodisciplina nella versione di Luglio 2015 si compone di dieci articoli:

Art 1 - Il ruolo del consiglio di amministrazione;

Art 2 - Composizione del consiglio di amministrazione; Art 3 - Amministratori indipendenti;

Art 4 - Istituzione e funzionamento dei comitati interni al consiglio di amministrazione; Art 5 - Nomina degli amministratori;

Art 6 - Remunerazione degli amministratori;

Art 7 - Sistema di controllo interno e gestione dei rischi; Art 8 - Sindaci;

Art 9 - Rapporti con gli azionisti;

Art 10 - Sistemi di amministrazione e controllo dualistico e monistico.

Ogni articolo contiene i principi guida dell'argomento e i criteri per attuarli, dei commenti per spiegare meglio principi e criteri applicativi, oltre che per proporre altre condotte virtuose in linea con i principi descritti.

L'articolo 1 del codice descrive il ruolo del consiglio di amministrazione. Il Cda ha un ruolo centrale nella governance societaria e la sua azione deve essere guidata dall'obbiettivo di creazione di valore per gli azionisti nel medio-lungo termine. La governance sembra dunque orientata verso un modello shareholder o al massimo a dei modelli stakeholder strumentali. La definizione non dice che devono essere sacrificati gli interessi degli altri stakeholder, ma ribadisce la centralità degli azionisti. I principi dell'articolo 1 parlano di creazione di valore, il termine è molto ampio e lascia spazio, a mio avviso, anche alla soddisfazione degli interessi degli stakeholder, almeno in termini strumentali. I commenti all'articolo 1 definiscono la creazione di valore per gli azionisti come l'obbiettivo prioritario dell'azione dei consiglieri. Il codice è indirizzato a tutte le società quotate e l'utilizzo di termini sufficientemente astratti è necessario per una sua applicazione a soggetti eterogenei. Il codice è redatto da organi che operano attorno al mercato dei capitali, pertanto è necessario garantire una maggiore protezione degli azionisti. I criteri applicativi dell'art 1 attribuiscono al Cda il compito di esaminare e approvare i piani strategici industriali e finanziari della società o gruppo e di monitorare periodicamente la loro attuazione. Il Cda è descritto come un organo di supervisione e indirizzo per l'azione dei dirigenti esecutivi. A questo scopo il Cda definisce la struttura di governo societario e del gruppo. Il Cda deve presidiare i rischi, poiché definisce la natura e il livello di tutti i rischi, compatibili con gli obbiettivi strategici, in un'ottica di sostenibilità di medio-lungo termine. Se decliniamo questo criterio in ambito bancario, possiamo senza dubbio definire il Cda come il primo interlocutore con le autorità di vigilanza per quanto riguarda eventuali violazioni ai limiti di rischio sostenibile, riscontrate nelle strategie aziendali. Il ruolo di supervisione, al fine di verificare l'attuazione delle strategie, è garantito dall'obbligo da parte degli organi delegati di riferire al massimo ogni trimestre circa l'attività svolta.

Gli articoli 2 e 3 definiscono il ruolo degli amministratori esecutivi, non esecuti e indipendenti. Gli amministratori non esecutivi hanno la peculiarità di essere molto utili nelle tematiche in cui azionisti e amministratori esecutivi si scontrano, quali ad esempio le retribuzioni dei consiglieri, la gestione dei rischi o il sistema di controlli interni. Tra gli amministratori non esecutivi vengono selezionati gli amministratori indipendenti. Gli amministratori indipendenti, oltre a non avere compiti esecutivi, non hanno rapporti con la società tali da condizionarne l'operato. Il grado di autonomia è ancora più elevato rispetto agli amministratori non esecutivi. Quindi nelle società ad azionariato diffuso si ravvisa la necessità di avere soggetti come gli amministratori non esecutivi, che allineino gli interessi degli azionisti con quelli degli amministratori esecutivi, diminuendo i costi di agenzia. Nelle società con un gruppo di controllo, o azionisti che hanno un'influenza notevole, sono necessari degli amministratori non esecutivi e amministratori indipendenti, non

condizionati dagli azionisti di controllo, per tutelare gli azionisti di minoranza e allineare gli interessi degli organi di governance.

L'articolo 4 descrive la composizione di comitati interni al Cda con funzioni consultive e propositive. I comitati non si sostituiscono al Cda, ma ne aumentano l'efficacia e l'efficienza delle decisioni. I commenti dell'art 4 danno la possibilità alle società appartenenti al FTSE MIB di costituire un apposito comitato atto alla gestione delle relazioni con gli stakeholder e alle politiche di sostenibilità dell'impresa. In alternativa il consiglio può delegare tali funzioni ad altri comitati. L'articolo 5 tratta la nomina degli amministratori. Gli amministratori sono nominati dall'assemblea dei soci. In situazioni di azionariato diffuso i soci potrebbero essere poco attenti agli amministratori da votare perché il loro interesse è legato ai profitti dell'investimento, non alla conduzione della società. L'articolo 5 allora dispone che il Cda deve costituire un comitato per le nomine composto in maggioranza da amministratori indipendenti. Il comitato per le nomine esprime dei pareri e propone alla nomina consiglieri con elevato grado di competenza e indipendenza rispetto ai manager. Il suo ruolo è di colmare la mancanza di interesse, da parte di assetti proprietari molto parcellizzati, alla conduzione della società e nelle aziende con azionisti di controllo svolge un importante ruolo consultivo.

Uno dei terreni nei quali si manifesta il conflitto di interessi tra dirigenti e azionisti sono le retribuzioni. L'articolo 6 del codice di autodisciplina detta alcune disposizioni utili a dirimere il conflitto. Il codice suggerisce la nomina,, in seno al Cda, di un comitato per le retribuzioni composto da amministratori non esecutivi e in maggioranza indipendenti. Il comitato valuta l'adeguatezza dei piani retributivi di amministratori esecutivi e dirigenti con responsabilità strategiche, inoltre presenta proposte e pareri al Cda. In particolare in tema di retribuzioni variabili, valuta le finalità di tali politiche e verifica l'effettivo raggiungimento degli obbiettivi di medio - lungo termine. Le politiche retributive delle società hanno come obbiettivo quello di allineare gli interessi degli amministratori esecutivi e dei dirigenti con responsabilità strategiche, con l'obbiettivo prioritario di creazione di valore per gli azionisti nel medio - lungo termine. Gli obbiettivi, secondo le linee guida, possono avere natura anche non economica. La politica retributiva è approvata dal Cda, su proposta del comitato per la remunerazione. Gli amministratori esecutivi e i dirigenti con responsabilità strategiche hanno una remunerazione divisa in una componente fissa e una variabile, bilanciate in ragione dell'attività svolta, degli obbiettivi strategici e dei rischi. Le componenti variabili sono corrisposte sulla base di performance predeterminate, misurabili e collegate alla creazione di valore per gli azionisti nel medio - lungo termine, inoltre è previsto un tetto massimo. La remunerazione corrisposta in azioni o in opzioni per l'acquisto di azioni potrebbe aumentare l'attenzione dei riceventi alle performance nel breve termine. Il codice permette questo tipo di

retribuzioni, che avvicinano gli interessi degli azionisti con quelli di dirigenti e amministratori esecutivi; tuttavia prevede che mantengano una porzione predeterminata della partecipazione fino al termine del loro mandato o, nei casi di dirigenti assunti a tempo indeterminato, con un vincolo temporale opportuno. Se la remunerazione in denaro è collegata all'andamento delle azioni, devono essere previste delle share retention, quali ad esempio un reinvestimento obbligatorio del premio monetario in azioni della società, da detenere nei termini dei compensi in azioni. La remunerazione di questi soggetti dovrebbe garantire la sostenibilità nel medio - lungo termine dell'emittente ed essere basata su risultati realmente conseguiti. Gli amministratori non esecutivi non possono avere una remunerazione basata sui risultati economici e non possono ricevere compensi in azioni o diritti collegati al loro valore, salvo motivata deliberazione dell'assemblea dei soci.

Gli articoli 7 e 8 parlano dei controlli interni e del collegio sindacale.

Per gli scopi di questo lavoro riveste un'importanza maggiore l'articolo 9: i rapporti con gli azionisti. Il consiglio di amministrazione dovrebbe adoperarsi per favorire la massima partecipazione degli azionisti alla vita sociale e l'esercizio dei loro diritti. Il Cda deve nominare un responsabile incaricato alla gestione dei rapporti con gli azionisti. La partecipazione degli azionisti, in particolare quelli istituzionali, permette agli stessi di conoscere meglio la società e di ridurre le asimmetrie informative nei confronti degli amministratori o dei manager.

Per concludere l'articolo 10 parla del sistema monistico e dualistico i quali, a detta del codice di autodisciplina, hanno travato limitato spazio nel mercato italiano. Inoltre l'ampia autonomia statutaria permette a questi modelli di adattare la governance al tipo di attività svolta, rendendo difficile la costruzione di norme generali ed astratte. Come criterio generale possono essere seguiti i principi del codice civile, nei quali le raccomandazioni che fanno riferimento agli amministratori nel modello tradizionale si applicano ai membri del consiglio di gestione (nel modello dualistico) e di amministrazione (nel modello monistico), e quelle che fanno riferimento ai sindaci si applicano ai membri del consiglio di sorveglianza (nel dualistico) e del comitato per il controllo sulla gestione (nel monistico).

Il codice di autodisciplina conferma il ruolo centrale del consiglio di amministrazione e i suoi compiti di supervisione e indirizzo. A differenza del king report III l'azione del Cda sembra essere orientata verso la soddisfazione dei soli azionisti, quando in più punti viene definito come obbiettivo prioritario la creazione di valore per gli azionisti nel medio - lungo termine. A mio avviso una società quotata, che per sua natura intrattiene rapporti con i mercati e quindi con il pubblico non può porre attenzione soltanto agli interessi degli azionisti. Ad esempio un movimento ambientalista potrebbe ridurre la reputazione di una società, con evidenti riflessi in termini di fiducia degli investitori e di corso borsistico delle azioni. Il Codice infatti utilizza il termine valore

per gli azionisti e non profitto. I due termini di discostano molto, perché il profitto richiama più l'obbiettivo del breve termine e la massimizzazione degli interessi degli azionisti, mentre il valore ha valenza nel medio - lungo termine e ha accezioni più ampie del profitto. Per valore possiamo intendere di certo il profitto, ma anche un'azienda impegnata socialmente che devolve parte degli utili a scopi umanitari, accresce la sua immagine avendo maggiore appeal sul consumatore e vendendo più prodotti, aumentando così il suo valore. La nozione di valore è più ampia del solo profitto e ricomprende fattori stakeholder oriented. Inoltre l'attenzione verso gli stakeholder è confermata dalla predisposizione di comitati per la gestione delle loro relazioni con gli stessi e dalla possibilità di collegare le retribuzioni variabili a criteri non economici. A mio avviso l'orientamento del Codice si avvicina ad una teoria stakeholder strumentale, ovvero una società attenta alla gestione degli stakeholder, al fine massimizzare il valore degli azionisti. L'obbiettivo della società rimane il valore per gli azionisti, ma per crearlo si curano le relazioni con gli stakeholder necessarie per il successo della società.

I conflitti di interessi tra azionisti e manager sono affrontati a più riprese: con la definizione delle politiche retributive, che allineino gli interessi di azionisti e dirigenti, con la predisposizione di amministratori non esecutivi, tra i quali quelli indipendenti, con scelte trasparenti e una spinta verso il coinvolgimento degli azionisti nella conduzione sociale. La genesi del codice di autodisciplina giustifica una visione stakeholder strumentale piuttosto che una normativa, in virtù del fatto che il codice è indirizzato a società che hanno una platea di azionisti diffusa, diversificata e con obbiettivi di profitto. Il mercato dei capitali è per sua natura shareholder oriented, anche se le imprese in un mercato globalizzato e attento, come quello odierno, non possono tralasciare gli interessi di soggetti diversi dagli azionisti. Gli obbiettivi di medio - lungo periodo sono di certo una conseguenza della crisi del 2008, ma contengono al loro interno un'attenzione maggiore alla continuità aziendale. Si ravvisano, soprattutto in tema retributivo, il disincentivo a politiche orientate al breve termine che possono allineare gli interessi di azionisti, management e di diverse categorie di stakeholder. Una società solida è un'impresa che prospera nel lungo periodo e che esercita le sue attività in modo efficiente a vantaggio di tutti i soggetti ad essa collegati. L'impresa che svolge la sua attività in modo efficiente è anche l'impresa che pone attenzione alle esigenze degli stakeholder.

3.6.3 Le linee guida del Comitato di Basilea: "Corporate governance principles