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Nella visione classica o neoclassica le finalità dell'impresa sono orientate alla produzione di utili e alle performance finanziarie, con l'obbiettivo di soddisfare gli interessi degli azionisti: shareholder view.

Tuttavia una società, nel corso della sua vita, intrattiene delle relazioni con diversi attori economici. Dipendenti, clienti, fornitori, azionisti, creditori, poteri pubblici, contesto economico, media sono esempi di soggetti con i quali l'azienda entra in contatto. L'impresa dovrebbe orientare le proprie

attività verso il soddisfacimento degli interessi dei soggetti con i quali entra in contratto nel corso della sua attività e verso il rafforzamento delle relazioni con essi dalle quali dipendono le sorti dell'impresa stessa. Il valore prodotto dall'azienda non è visto soltanto a beneficio degli azionisti, ma dovrebbe essere distribuito tra tutti i portatori di interesse: stakeholder view.

Le due visioni si sono intervallate nel corso della storia recente, la prima ha guidato le strategie aziendali fino al 1929, per riemergere negli anni '80 e '90 e la crisi del 2008 ha acceso il dibattito circa la troppa attenzione verso risultati meramente finanziari. Prima di iniziare l'analisi delle due visioni di impresa è necessario definire cosa si intende per stakeholder.

Perimetrare i soggetti portatori di interesse in un'impresa è complesso poiché definire quali sono gli interessi meritevoli di attenzione, quali soggetti li rappresentano e capire tutti i nessi causali di ogni azione intrapresa dall'impresa verso gli stakeholder può risultare impossibile. Il problema deriva in prima battuta dalla difficoltà di delimitare un perimetro oggettivo di inclusione o esclusione del soggetto. In seconda ipotesi dalla metodologia per identificazione il soggetto: l'impresa potrebbe definire quali sono i suoi portatori di interesse (prospettiva soggettiva), oppure potrebbero essere definiti dei requisiti oggettivi che il soggetto deve possedere per entrare nella platea degli stakeholder. Alcune delle definizioni tratte dalla dottrina ci aiutano a risolvere il problema.

La prima definizione viene elabora da Freeman che descrive lo stakeholder come: "ogni gruppo o individuo che può influenzare o è influenzato dalla realizzazione degli obbiettivi dell'organizzazione". Freeman in seguito lo definisce in modo più stringente: "quei gruppi o individui identificabili da cui l'impresa dipende per la sua continua sopravvivenza". Freeman è il precursore della teoria degli stakeholder, a queste definizioni ne seguono altre. Carroll definisce gli stakeholder come portatori di diritti o interessi legittimi nell'impresa. Phillips specifica la definizione osservando che la legittimità degli interessi deriva dagli obblighi morali che l'impresa è chiamata a rispettare verso gli stakeholder (legittimità morale) e dall'influenza che lo stesso ha sui risultati aziendali (potere). Clarkson definisce gli stakeholder come i soggetti che sono esposti ai rischi dell'attività d'impresa. Il rischio è legato all'investimento in capitale umano o finanziario. Secondo Donaldson e Preston gli stakeholder si suddividono in stakeholder detentori di interessi legittimi e influencer ovvero soggetti che influenzano i risultati aziendali. Entrambi incidono sull'attività dell'impresa, ma soltanto il primo gruppo detiene degli interessi legittimi, ad esempio un media non ha nessun interesse nell' attività di impresa, tuttavia una notizia imprecisa sulla contaminazione batterica del latte di una certa impresa nel settore caseario, potrebbe influenzare le sue vendite. Mitchell, Agle e Wood teorizzano quattro caratteri che un soggetto deve possedere per essere considerato stakeholder:

La relazione può essere soltanto potenziale;

L'identificazione degli stakeholder è affidata al management; I criteri del management possono essere oggettivi o soggettivi.

Dare una definizione astratta di stakeholder è complesso data la soggettività della valutazione, tuttavia con alcune classificazioni si riduce la dimensione del problema. Gli stakeholder potrebbero essere ordinati in ragione delle caratteristiche proprie di ognuno e in relazione all'importanza strategica rivestita. La classificazione degli stakeholder parte dall'analisi del singolo soggetto. Il portatore di interesse potrebbe essere classificato in base all'intensità dell'interesse, della relazione e al potere di influenza sull'attività d'impresa. Otteniamo così una suddivisione dei soggetti portatori di interesse per categorie (fornitori, azionisti, dipendenti ecc...) ma non abbiamo analizzato all'interno di ogni categoria eventuali sottogruppi di soggetti con interessi diversi (clienti con redditività bassa o alta, dipendenti talentuosi o meno) dei quali la società dovrebbe tener conto. L'impresa poi assegnerà ad ogni gruppo un grado di priorità. In seguito la risposta strategica dell'impresa è formulata in relazione ai soggetti e alle priorità identificate. Come possiamo osservare la discrezionalità è molto elevata e dà spazio a molte classificazione proposte dalla dottrina. Carroll classifica gli stakeholder in primari e secondari. Gli stakeholder primari sono necessari alla continuità aziendale (es. creditori, dipendenti, clienti, azionisti ecc...), quelli secondari non entrano in relazione diretta con l'impresa ma ne influenzano l'attività o sono da essa influenzati (es. media, gruppi ambientalistici ecc...). Clarkson aggiunge gli stakeholder pubblici, che forniscono la struttura di governo, diritto, giustizia e infrastrutture senza le quali l'impresa non potrebbe operare. Mitchell, Agle e Wood valutano l'importanza di un portatore di interesse sulla base della sua rilevanza, composta da tre fattori: la legittimità della relazione, il potere di influenza dello stakeholder e la velocità con cui lo stakeholder può soddisfare un suo interesse. Le caratteristiche possedute classificano lo stakeholder. Coloro che possiedono tutte e tre i caratteri sono quelli ad alta priorità. Se possiedono solo due caratteristiche hanno una media priorità e tra le qualità hanno maggior peso specifico nell'ordine: legittimità e potere. Se il soggetto possiede solo un attributo si considera a bassa priorità e se non soddisfa nessun requisito non è considerato uno stakeholder. Freeman e Liedtka suggeriscono una profilazione degli stakeholder basata sulle strategie da adottare per gestire le relazioni future con essi, osservando il potenziale di collaborazione o di minaccia. Ad esempio se la relazione con un fornitore, dal quale l'impresa acquista un prodotto fondamentale nel suo processo produttivo si deteriorasse, costituirebbe una grave minaccia per la continuità aziendale: pertanto le strategie di relazione con esso saranno orientate verso la difesa del rapporto. Friedman e Miles organizzano gli stakeholder osservando la forza del legame e la compatibilità degli interessi tra soggetto e impresa. L'impresa dovrà svolgere approfondite analisi per studiare gli

interessi degli stakeholder e il loro potere di influenzare l'azienda, così da elaborare delle strategie capaci di gestire questi legami. Le strategie guidano l'impresa nella sua attività tipica e quindi definiscono il modo in cui l'impresa interagisce con i soggetti che ne influenzano l'attività. Le connotazioni più o meno ampie e le classificazioni degli stakeholder hanno aperto la strada a una serie di teorie sugli stakeholder che racchiudono la visione dell'impresa circa le sue finalità e di come dovrebbe relazionarsi con i portatori di interesse. Le teorie sugli stakeholder sono teorie manageriali e suggeriscono atteggiamenti, pratiche e strutture organizzative mediante le quali l'impresa dovrebbe condurre la propria attività, relazionarsi con i portatori di interesse e assumere le decisioni. Le diverse teorie si distinguono per i principi seguiti per distribuire il valore prodotto dal business, in particolare si contraddistinguono per lo spettro di soggetti meritevoli di percepire il valore aziendale e quindi per la loro distanza nei confronti della tradizionale shareholder view. Ai fini del presente lavoro non è possibile analizzare i dettagli di ogni stakeholder theory, proviamo però a proporre alcune classificazioni al fine di comprendere al meglio quale macrovisione d'impresa il management bancario potrebbe aver adottato nella formulazione delle strategie.

Donaldson e Preston raggruppano le teorie in descrittive, strumentali e normative. Le descrittive analizzano quello che l'impresa fa, le strumentali o strategiche vedono il soddisfacimento degli interessi degli stakeholder come un mezzo per la produzione di reddito nel lungo periodo mentre per quelle normative vedono il soddisfacimento degli interessi di tutti gli stakeholder come la finalità dell'impresa. Hasnas distingue le stakeholder theory tra quelle orientate al miglioramento delle performance aziendali a supporto della shareholder view e quelle che vedono il management come un arbitro dei diversi interessi da soddisfare in modo equo, a prescindere dagli effetti sui profitti. Il soddisfacimento degli interessi dei soggetti coinvolti nell'attività d'impresa è visto come strumentale ai risultati e quindi un mezzo per ottimizzare le performance economico-finanziarie e quindi il risultato degli azionisti; oppure come il fine dell'attività d'impresa, da modulare secondo ragioni di ordine politico, morale, etico, sociale e economico. La prospettiva strumentale vede gli stakeholder subordinati agli azionisti, mentre quella etico-morale sostiene che l'impresa dovrebbe essere gestita come entità a se stante a beneficio di tutti gli stakeholder, nei quali rientrano senza dubbio gli azionisti.