Capitolo 2: Il principio “un’azione un voto” e le sue deviazioni nell’evoluzione
1 Il quadro normativo italiano
1.1 Dal Codice napoleonico del 1808 al Codice civile del 1942
Nel codice di commercio napoleonico, emanato in Francia nel 1807 e adottato nel Regno d’Italia l’anno successivo, non si ritrovano grandi cambiamenti alla disciplina legislativa delle società di capitali per quanto concerne il principio di proporzionalità del voto75.
Ma, la principale novità introdotta dal Codice riguarda l’introduzione della “società anonima”, che rappresenta il prototipo della società di capitali76. Siffatta società permetteva ai soci di svolgere la loro attività d’impresa rischiando esclusivamente il capitale conferito, in quanto introduceva la separazione patrimoniale tra i beni del socio e quelli della società, rappresentando per tale motivo un forte incentivo all’investimento produttivo. Inoltre, consentiva una più facile raccolta di capitale e di circolazione delle
74 v. ALVARO S., CIAVARELLA A., D’ERAMO D., LINCIANO N., 2004.
75 v. UNGARI P., “Profilo storico delle anonime in Italia”, Roma, Bulzoni, 1974.
azioni tramite la standardizzazione e la spersonalizzazione delle stesse77. L’origine del nome di “società anonima”, si fa risalire proprio al fatto che le azioni non erano più titoli nominativi e quindi non si rendeva più nota l’identità degli azionisti78.
Il codice conteneva solo poche disposizioni relative alle azioni e alle regole di partecipazione societaria. Queste stabilivano che “i soci sono soggetti solo alla perdita dell’ammontare della loro quota nella società” (art. 33 c. comm.) e che “il capitale della società anonima si divide in azioni ed anche in porzioni di azioni di uguale valore” (art. 34 c. comm.). “Il contratto di società viene regolato dal diritto civile, dalle leggi particolari al commercio e dalle convenzioni delle parti” (art. 18 c. comm.), si lasciava quindi un’ampia libertà negoziale ai soci79.
Per quanto riguarda la situazione italiana, alle società per azioni restava pertanto ampio margine di libertà esercitabile attraverso il rinvio allo statuto societario e tale assetto rimase sostanzialmente invariato nel corso di tutto il periodo compreso tra la Restaurazione (1814) e l'unità d'Italia (1861) sia in quello successivo tra l'emanazione del primo Codice di Commercio del 1865 e quello del 1882.
Il Codice di Commercio italiano del 1865 disponeva all’art. 143 c. comm. che: “lo statuto sociale determina quando gli azionisti dovranno essere convocati in assemblea generale, le materie sopra le quali dovranno deliberare, il numero degli azionisti necessario alla validità delle deliberazioni e il modo con cui i medesimi eserciteranno il diritto di suffragio”.
Nel successivo codice del commercio del 1882 veniva introdotto il voto scalare: erano determinati degli scaglioni che comportavano il depotenziamento del diritto di voto progressivo al crescere della partecipazione azionaria. In altre parole, il peso in termini di voto del singolo azionista diveniva proporzionalmente inferiore mano a mano che aumentava il numero di azioni possedute80.
77 v. GALGANO F., “Storia del diritto commerciale”, 1976. 78 v. UNGARI P., 1974.
79 Per quanto riguarda la letteratura storiografica sulle società per azioni (già anonime) all'epoca del Code de commerce napoleonico nonché sui precedenti progetti di Codice di Commercio del Regno d'Italia. v. PADOA SCHIOPPA A., “Saggi di storia del diritto commerciale”, 1992.
La norma lasciava tuttavia la possibilità ai privati di derogare a questa tipologia di voto nello statuto o nell’atto costitutivo. L’art 157 c. comm. riportava infatti che “per le assemblee generali successive alla legale costituzione della società, la convocazione è fatta dagli amministratori ed è necessaria la presenza di tanti soci che rappresentino almeno la metà del capitale sociale. Ogni socio ha un voto ed ogni azionista ha un voto fino a cinque da lui possedute. L’azionista che possiede più di cinque e sino a cento azioni ha un voto ogni cinque azioni e per quelle che possiede oltre il numero di cento ha un voto ogni venticinque azioni. Le deliberazioni si prendono a maggioranza assoluta”.
L’unico limite alla libertà statutaria veniva introdotto dall’art. 164 c. comm., comma 1, il quale prevedeva che “le azioni devono essere di eguale valore e conferiscono ai loro possessori eguali diritti, se non è stabilito diversamente nell’atto costitutivo, salvo però ad ogni azionista il diritto di voto nelle assemblee generali”. In sintesi, veniva posto il divieto all’emissione di azioni prive di diritti di voto e si permetteva di esercitare il voto in assemblea a chiunque possedesse almeno un’azione.
Fino a questo periodo storico, dunque, si può osservare come l’azione avesse esclusivamente la funzione di mero strumento finanziario in grado di incorporare i diritti sociali e garantire una più rapida circolazione dello stesso. Infatti, il trasferimento dei titoli azionari era governato dalle leggi in materia di circolazione dei beni mobili (caratterizzata da una maggiore rapidità e facilità di trasferimento) e non dalle norme riguardanti la cessione dei contratti. Non si avvertiva ancora l’esigenza di normare il sistema di attribuzione del diritto di voto agli azionisti, lasciando ai soci la possibilità di regolare al meglio i rapporti interni, in base alla partecipazione posseduta. È verso la fine dell'Ottocento inizio Novecento che si verificano dei fenomeni sociali che avranno notevole impatto sulla collettività e che si ripercuoteranno anche sul modo di fare impresa. In Italia, in questo periodo, si assiste all’affermazione dei diritti del cittadino, in particolare al riconoscimento del diritto di voto (1861), alla sua successiva estensione ad una più ampia base elettorale (1881) e, soltanto a metà del ventesimo secolo, alla concessione del suffragio universale. A questo si accompagna l’avvento di una borghesia,
dinamica ricca e intraprendente, che inizia a farsi strada sulla scena politica e imprenditoriale81.
Sulla scia di queste tendenze, in ambito commerciale, inizia ad essere sempre più sentita l’esigenza di rinnovare la preesistente normativa (Codice di Commercio del 1882) ritenuta inadeguata e non più al passo con i tempi. I soci iniziavano a richiedere di poter esprimere la propria volontà all’interno dell’assemblea degli azionisti, indipendentemente dalla partecipazione posseduta (anche nel caso di detenzione di una sola azione). Vivante, già nel 1912, cogliendo tali aspetti scriveva: “chi possiede anche una sola azione ha degli interessi da tutelare, degli amministratori da eleggere, uno statuto da far rispettare, degli utili cui partecipare e pertanto, deve poter sempre intervenire e votare in assemblea"82. Si stava affermando, come principio di ordine pubblico, l’idea che l’unità azionaria dovesse costituire l’entità minima di partecipazione al capitale sociale da parte del socio affinché lo stesso potesse esercitare i diritti ad essa collegati (diritto agli utili, diritto alla quota di liquidazione, diritto di opzione e, tendenzialmente, ma non rigidamente, diritto di voto)83. Questo era il punto cardine su cui si fondava la dottrina e cioè che ciascun investitore fosse libero di decidere la quantità di risorse da apportare nella società, a seconda del livello di partecipazione desiderato alla vita della società.
Di conseguenza non era ammissibile pensare a categorie di azioni prive del diritto di voto, perché si sarebbe andati a compromettere le fondamenta della struttura societaria, ossia che ogni socio avesse il diritto a tutelare i propri interessi e di conseguenza poter intervenire e votare in assemblea in base alla quota di capitale posseduta84.
Seguendo questa evoluzione, si giunse all’affermazione di altri due fondamenti teorici, che andranno poi a costituire i cardini del diritto societario contenuto nel Codice civile del 194285. Il primo era il principio di uguaglianza dei diritti incorporati all’interno delle azioni: poiché le azioni sono titoli standardizzati, ognuna ha il medesimo valore patrimoniale e allo stesso
81 v. GALGANO F., 1976; ALVARO S., CIAVARELLA A., D’ERAMO D., LINCIANO N., 2004. 82 v. VIVANTE C., in Trattato di diritto commerciale, vol. II, Società commerciale, IV edizione, Milano, Vallardi, 1912.
83 v D'ALESSANDRO F., “I titoli di partecipazione”, Milano 1968. 84 v. VIVANTE C., 1912.
modo conferisce identici diritti e doveri86. L’altro è il principio di proporzionalità tra rischio e potere, ossia la relazione lineare positiva tra l’ammontare di risorse conferito e il potere decisionale che ne consegue. Detto in altri termini, emerge il concetto di plutocrazia, ossia gli individui che detengono maggiori partecipazioni, influenzeranno in maniera decisiva gli indirizzi e le politiche aziendali (in quanto tali soggetti detengono un maggior numero di voti esercitabili in assemblea)87.
A seguito della Prima Guerra mondiale, accanto alla tendenza verso la standardizzazione della partecipazione azionaria e al principio “one-share, one-vote”, si sviluppò in Italia il dibattito a riguardo l’introduzione del voto plurimo. Le ragioni di tali cambiamento, sono da ricercarsi negli sconquassamenti politici, economici e sociali, derivanti soprattutto dalla crisi finanziaria globale della primavera del 1907 e dalla svalutazione monetaria del periodo post-bellico88. A ciò si aggiunse l’apertura dei mercati che esponeva al rischio le società a possibili acquisizioni da parte di soggetti residenti in paesi a valuta più forte89.
Alla luce di questi fenomeni, varie società italiane introdussero nei loro statuti il voto plurimo (in base al dettato dell’art. 164 del Codice di Commercio del 188290), a scopo di protezione contro eventuali scalate ostili estere91.
Negli stessi anni, si sviluppo un acceso dibattito all’interno della giurisprudenza sull’ammissibilità legislativa del voto plurimo: in base ai sostenitori, l’emissione di tali azioni doveva essere nominativa ed essere subordinata al possesso della cittadinanza italiana da parte dell’azionista. La Sottocommissione Reale, nominata con R.D. 3 giugno 1924 e presieduta da Mariano D’Amelio, fu istituita allo scopo di formulare delle proposte di
86v. CAMPOBASSO G.F., “Diritto commerciale. 2. Diritto delle società”, VIII ed. a cura di M. CAMPOBASSO, Torino, Utet Giuridica, 2012.
87 v. COTTINO G., “Diritto commerciale”, Vol. I, Tomo II, III ediz., CEDAM, 1994.
88 Cfr.: BRUNER R. F., CARR S.D., “The Panic of 1907: Lessons Learned from the Market's Perfect Storm”, John Wiley & Sons, 2007; TALLMAN E. W.; MOEN J. R., “Lessons from the Panic of 1907” in Federal Reserve Bank of Atlanta Economic Review, vol. 75, 1990, pp. 2– 13.
89 v. BIONE M., “Le azioni di risparmio tra mito e realtà”, in Giurisprudenza Commerciale, vol. I, 1975.
90 L’art. 164 del Codice di Commercio del 1882 (R.D. 31 ottobre 1882, n. 1062) prevedeva che “Le azioni devono essere di eguale valore, e conferiscono ai loro possessori eguali diritti, se non è stabilito diversamente nell’atto costitutivo, salvo però ad ogni azionista il diritto di voto nelle assemblee generali”.
modifica inerente alla revisione del Codice di Commercio per trovare un compromesso alla disputa circa la possibilità di emettere speciali categorie di azioni, tra cui le azioni a voto multiplo92. A questo riguardo, la Sottocommissione si espresse in maniera diffidente e contraria alla loro introduzione (nonostante nella prassi fossero frequentemente utilizzate), adottando una soluzione di compromesso (tramite l’introduzione delle azioni a voto limitato) che soddisfasse, almeno in parte, le esigenze degli imprenditori italiani93. Il perché di questa decisione è da ricercarsi nel timore che l’ammissione del voto multiplo avrebbe potuto causare fenomeni di concentrazione e cristallizzazione dei pacchetti azionari di controllo, nelle mani di pochi, con conseguenze sfavorevoli sul governo societario, tra cui l’impossibilità di realizzare scalate societarie, in risposta ad esigenze fisiologiche del mercato dettate da criteri di efficienza economica e la manifesta ostilità nei confronti del meccanismo della quotazione in borsa94. La Sottocommissione non espresse tuttavia un esplicito divieto circa l’emettibilità delle azioni a voto plurimo, al fine di non pregiudicare, in ulteriori lavori, l’eventuale riesame della questione nell’ambito dei lavori preparatori alla realizzazione del Codice civile95.
Questa situazione rimase invariata dal Progetto D’Amelio fino alla redazione del Codice civile del 1942 che, all’art. 212 delle Disposizioni per l’attuazione del Codice civile e disposizioni transitorie prevedeva il divieto di emettibilità di azioni a voto multiplo. Allo stesso tempo però si consentiva alle società che avessero già emesso tale tipo di azioni di poterle mantenere (per tutta la durata della società). All’art 2351 c.c., comma 2, veniva prevista l’introduzione delle azioni a voto limitato96. Questo tipo di azioni consente al soggetto che le detiene di mantenere il potere d’intervento e di esercizio del
92 Cfr.: ASQUINI A., “Le azioni privilegiate a voto limitato”, in Rivista delle società, 1961, pag. 929.
93 v. UNGARI P., “I precedenti storici del vigente diritto delle società per azioni”, in Ricerca sulle società commerciali, Collana dei Quaderni di studi di legislazione della Camera dei deputati, Roma, 1968.
94 v. CAMPOBASSO G.F., 2012.
95 v. Commissione Reale per la Riforma dei Codici, Sottocommissione B, “Codice di Commercio”, vol. I, Progetto, e vol. II, Relazione sul Progetto, Roma, 1927.
96 Cfr.: ANGELICI C., “Le azioni”, in Schlesinger P. (diretto da), Il Codice civile. Commentario, Giuffrè, Milano, 1992; GRASSETTI C., “Azioni a voto plurimo e aumento di capitale per conguaglio monetario”, in Riv. dir. comm., 1949, I, p. 81; FRANCESCHELLI R., “Passaggio a capitale di saldi attivi di rivalutazione monetaria, azioni a voto plurimo e compiti dell’Autorità Giudiziaria”, in Riv. dir. comm., 1950, II, p. 196.
diritto di voto nelle assemblee straordinarie con oggetto la deliberazione su modifiche statutarie anche concernenti l’assetto amministrativo societario (per esempio numero dei componenti e durata in carica, ma non la nomina). In sostanza, si può dire che con il Codice civile del ‘42 continua il processo di uniformazione del titolo azionario, introducendo il principio in base al quale tutte le azioni di una medesima categoria dovevano avere lo stesso valore nominale e conferire ai loro possessori uguali diritti (art. 2348 c.c.)97, allo scopo di facilitare la circolazione delle azioni in un momento di apertura dei mercati finanziari e di sviluppo dei mercati borsistici98.
Era poi previsto che il possesso di un’azione conferisse necessariamente il diritto a una parte proporzionale degli utili netti e del patrimonio netto risultante dalla liquidazione (art 2350 c.c., comma 1) e che ad ogni azione fosse riconosciuto il diritto di voto (limitabile a determinati argomenti o al verificarsi di condizioni non meramente potestative) (art. 2350, commi 1 e 2); riconoscendo poi il diritto di intervento in assemblea (art. 2370, comma 1) e il diritto di farsi rappresentare nell’assemblea stessa (art. 2372, comma 1)99. Come più volte sottolineato il Codice civile del 1942, risulta fortemente improntato al rispetto del principio di proporzionalità tra potere sociale e ricchezza finanziaria, affermando il fiorire della plutocrazia100.
Inoltre, il Codice, pur lasciando all’autonomia statutaria la possibilità di deviare dal principio di proporzionalità, ha voluto vietare esplicitamente le
97 v. CAMPOBASSO G.F., 2012.
98 v. JAEGER P. G., “Il voto divergente nella società per azioni”, Milano, Giuffrè, 1976. 99 v. ALVARO S., CIAVARELLA A., D’ERAMO D., LINCIANO N., 2004. Sul tema della standardizzazione della partecipazione azionaria nel Codice civile, cfr.: ZANARONE G., “S.r.l. contro S.p.a. nella legislazione recente”, in Giur. comm., 1995; ZANARONE G., “Società a responsabilità limitata, in Trattato dir. comm. e dir. pubbl. dell'economia”, diretto da F. GALGANO, 8, Bologna, 1985, p. 181; ANGELICI C., “Le azioni”, in Schlesinger P. (diretto da), Il Codice civile. Commentario, Giuffrè, Milano, 1992; ; MINERVINI, G., “La Consob”, Napoli, 1989; JAEGER P. G., 1976; VISENTINI G., “I valori mobiliari”, in Trattato di diritto privato, diretto da P. RESCIGNO, 16, Torino, 1985; SPADA P., “Dalla nozione al tipo della società per azioni”, in Riv. dir. civ., I, 1985, p. 95 e ss.; D'ALESSANDRO F., “La seconda direttiva e la parità di trattamento degli azionisti”, in Riv. soc., 1988, p. 1 e ss.; D'ALESSANDRO F., “L'attività di sollecitazione del pubblico risparmio”, in AA. VV., Sistema finanziario e controlli: dall'impresa al mercato, Milano, 1986, p. 98; D'ALESSANDRO F., “I titoli di partecipazione”, Milano, 1968.
100 v. SAGLIOCCA M., “Il definitivo tramonto del principio “un’azione, un voto”: tra azioni a voto multiplo e maggiorazione del voto”, in Rivista del Notariato, 2015, p. 923.
due soluzioni più estreme di scostamento da tale principio, ossia il voto multiplo e le azioni senza diritto di voto.